«Mio Guido!» e poi, come sopraffatta dalla pienezza del suo stesso cuore, cadde in ginocchio. I suoi occhi levati al cielo - la sua posa negligente ma graziosa - la raggiante gratitudine che le accendeva il viso - oh, queste sono parole insufficienti! Cuor mio, tu immagini sempre, anche se non sai ritrarre, la celestiale bellezza di quella figlia della luce e dell’amore.

Sentii un passo - un passo rapido, fermo, lungo il viale ombreggiato. Ben presto vidi un cavaliere - riccamente vestito, giovane, e, mi sembrò, di gradevole aspetto -

che avanzava. Mi avvicinai, sempre tenendomi nascosto. Il giovane si approssimò; si fermò sotto le finestre. Lei si alzò, e affacciandosi nuovamente lo vide, e disse… no, non posso, a questa distanza di tempo non posso registrare le sue espressioni di dolce, argentea tenerezza; a me esse erano rivolte, ma da costui ebbero risposta.

«Non me ne andrò», esclamò costui: «qui, dove tu sei stata, dove il ricordo di te scivola come un fantasma in visita al paradiso, io passerò le lunghe ore fino a quando non ci incontreremo di nuovo, mia Giulietta, per non separarci, giorno o notte, mai più. Però tu, amore mio, ritirati; il freddo mattino e le folate di brezza porteranno il pallore alla tua guancia, e riempiranno di languore i tuoi occhi che l’amore illumina.

Ah, dolcissima! Potessi porvi sopra un solo bacio, potrei, credo, quietarmi.»

E poi si avvicinò ulteriormente, e io credetti che stesse per arrampicarsi nella camera di lei. Avevo esitato per non spaventarla; ora non fui più padrone di me stesso. Mi precipitai - mi gettai su di lui - lo strappai di lì - gridai, «O miserabile, spregevole e deforme!»

Non c’è bisogno che ripeta gli epiteti, tutti tesi, come fu chiaro, a inveire contro una persona per la quale al momento nutro qualche considerazione. Un grido scaturì dalle labbra di Giulietta. Io non sentivo né vedevo più - avvertivo solo il mio nemico, la cui gola afferrai, e l’elsa del mio pugnale; egli si dibatté, ma non potè sottrarsi: da ultimo esalò rauco queste parole: «Fallo! - colpisci! Distruggi il mio corpo -tu vivrai ancora: possa la tua vita essere lunga e felice!»

Il pugnale che stava piombando si arrestò a questa parola, ed egli, sentendo il mio corpo rilassarsi, si divincolò ed estrasse la spada, mentre il tumulto nella casa, e il fluttuare di torce da una stanza all’altra, indicava che ben presto saremmo stati separati. In mezzo alla mia frenesia c’era una gran parte di calcolo: cadessi anch’io, purché costui non sopravvivesse, non mi importava del colpo mortale che avrei potuto assestare a me stesso. Pertanto mentre egli riteneva che mi fossi fermato, e io vidi la sua vile intenzione di sfruttare la mia esitazione, nell’affondo improvviso che fece contro di me, io mi gettai sulla sua spada, e allo stesso tempo gli affondai il mio pugnale, con una mira di autentica disperazione, nel fianco. Cademmo insieme, rotolando l’uno sopra l’altro, e l’ondata di sangue che scorse dalla ferita aperta di ciascuno si mischiò sull’erba. Altro non so… persi i sensi.

Di nuovo tornai in vita: in preda a una debolezza quasi mortale, mi trovai disteso su di un letto - Giulietta era inginocchiata accanto a me. Strano! La mia prima richiesta, formulata a stento, fu di uno specchio. Ero così fiacco e spettrale che la mia povera fanciulla esitò, come mi disse in seguito; ma, per la Messa! Mi trovai un giovanotto più che a posto quando vidi il caro riflesso dei miei familiari lineamenti. È

una debolezza, lo confesso, ma debbo dichiararlo, io nutro un considerevole affetto per il viso e le membra che contemplo tutte le volte che guardo dentro uno specchio; e ho più specchi a casa mia, e li consulto con più frequenza, di qualsiasi beltà veneziana. Prima che anche voi mi condanniate troppo, permettetemi di dire che nessuno meglio di me conosce il valore del proprio corpo; nessuno, probabilmente, tranne me stesso, avendone subito il furto.

Incoerentemente sulle prime parlai del nano e dei suoi delitti, e rimproverai Giulietta per aver dato accesso al suo amore con troppa facilità. Lei pensò che deliravo, il che è ben comprensibile, e tuttavia dovette passare del tempo prima che riuscissi a convincermi che il Guido il cui pentimento me l’aveva riconquistata ero proprio io; e mentre maledicevo amaramente il nano mostruoso, e benedicevo il colpo ben diretto che lo aveva privato della vita, mi corressi di colpo quando la sentii dire

«Amen!», rendendomi conto che colui che ella disprezzava ero io stesso. Un po’ di riflessione mi insegnò il silenzio - un po’ di pratica mi mise in grado di parlare di quella notte tremenda senza contraddirmi troppo. La ferita che mi ero inflitto non era uno scherzo - ci volle parecchio tempo perché mi riprendessi - e mentre il benevolo e generoso Torella mi sedeva accanto, pronunciando cose sagge, in grado di conquistare amici al pentimento, e la mia carissima Giulietta mi girava intorno, sopperendo alle mie necessità, e rallegrandomi coi suoi sorrisi, l’opera della mia guarigione corporea e della mia riforma mentale proseguirono insieme. Non ho mai, per la verità, recuperato totalmente la mia forza - la mia guancia è più pallida da allora - la mia persona un po’ curva. Giulietta a volte si arrischia a alludere mestamente al male che ha causato questo cambiamento, ma io la bacio lì per lì, e le dico che è stato tutto per il meglio. Sono un marito più affettuoso e più fedele - e questo è vero - e se non fosse stato per quella ferita, non avrei mai potuto chiamarla mia.