Quel salotto pieno di luce, quantunque dal tetto basso, arredato di mobili già consunti, d'antica foggia, respirava quasi un'aria d'altri tempi e pareva s'appagasse, nella quiete dei due grandi specchi a riscontro, dell'immobile visione della sua antichità scolorita. I vecchi ritratti di famiglia appesi alle pareti erano, là dentro, i veri e soli inquilini. Di nuovo, c'era soltanto il pianoforte a mezzacoda, il pianoforte d'Eleonora, che le figure effigiate in quei ritratti pareva guardassero in cagnesco. Spazientito, alla fine, dalla lunga attesa, il dottore si alzò, andò fino alla soglia, sporse il capo, udì piangere nella camera di là, attraverso l'uscio chiuso. Allora si mosse e andò a picchiare con le nocche delle dita a quell'uscio. - Entra, - gli disse il Bandi, aprendo. - Non riesco a capire perché s'ostina così. - Ma perché non ho nulla! - gridò Eleonora tra le lagrime. Stava a sedere su un ampio seggiolone di cuojo, vestita come sempre di nero, enorme e pallida; ma sempre con quel suo viso di bambinona, che ora pareva più che mai strano, e forse più ambiguo che strano, per un certo indurimento negli occhi, quasi di folle fissità, ch'ella voleva tuttavia dissimulare. - Non ho nulla, v'assicuro, - ripeté più pacatamente. - Per carità, lasciatemi in pace: non vi date pensiero di me. - Va bene! - concluse il fratello, duro e cocciuto. - Intanto, qua c'è Carlo. Lo dirà lui quello che hai. - E uscì dalla camera, richiudendo con furia l'uscio dietro di sé. Eleonora si recò le mani al volto e scoppiò in violenti singhiozzi. Il D'Andrea rimase un pezzo a guardarla, fra seccato e imbarazzato; poi domandò: - Perché? Che cos'ha? Non può dirlo neanche a me? E come Eleonora seguitava a singhiozzare, le s'appressò, provò a scostarle con fredda delicatezza una mano dal volto: - Si calmi, via; lo dica a me; ci son qua io. Eleonora scosse il capo; poi, d'un tratto, afferrò con tutt'e due le mani la mano di lui, contrasse il volto, come per un fitto spasimo, e gemette: - Carlo! Carlo! Il D'Andrea si chinò su lei, un po' impacciato nel suo rigido contegno. - Mi dica... Allora ella gli appoggiò una guancia su la mano e pregò disperatamente, a bassa voce: - Fammi, fammi morire, Carlo; ajutami tu, per carità! non trovo il modo; mi manca il coraggio, la forza. - Morire? - domandò il giovane, sorridendo. - Che dice? Perché? - Morire, sì! - riprese lei, soffocata dai singhiozzi. - Insegnami tu il modo. Tu sei medico. Toglimi da questa agonia, per carità! Debbo morire. Non c'è altro rimedio per me. La morte sola. Egli la fissò, stupito. Anche lei alzò gli occhi a guardarlo, ma subito li richiuse, contraendo di nuovo il volto e restringendosi in sé, quasi colta da improvviso, vivissimo ribrezzo. - Sì, sì, - disse poi, risolutamente.
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