-

 

85

I duo che mostran disiosi affetti

che la gloria di lei sempre risuone,

Gian Iacobi ugualmente erano detti,

l'uno Calandra, e l'altro Bardelone.

Nel terzo e quarto loco ove per stretti

rivi l'acqua esce fuor del padiglione,

due donne son, che patria, stirpe, onore

hanno di par, di par beltà; e valore.

 

86

Elissabetta l'una e Leonora

nominata era l'altra: e fia, per quanto

narrava il marmo sculto, d'esse ancora

sì; gloriosa la terra di Manto,

che di Vergilio, che tanto l'onora,

più; che di queste, non si darà; vanto.

Avea la prima a piè; del sacro lembo

Iacobo Sadoletto e Pietro Bembo.

 

87

Uno elegante Castiglione, e un culto

Muzio Arelio de l'altra eran sostegni.

Di questi nomi era il bel marmo sculto,

ignoti allora, or sì; famosi e degni.

Veggon poi quella a cui dal cielo indulto

tanta virtù; sarà;, quanta ne regni,

o mai regnata in alcun tempo sia,

versata da Fortuna or buona or ria.

 

88

Lo scritto d'oro esser costei dichiara

Lucrezia Bentivoglia; e fra le lode

pone di lei, che 'l duca di Ferrara

d'esserle padre si rallegra e gode.

Di costei canta con soave e chiara

voce un Camil che 'l Reno e Felsina ode

con tanta attenzion, tanto stupore,

con quanta Anfriso udì; già; il suo pastore;

 

89

ed un per cui la terra, ove l'Isauro

le sue dolci acque insala in maggior vase,

nominata sarà; da l'Indo al Mauro,

e da l'austrine all'iperboree case,

via più; che per pesare il romano auro,

di che perpetuo nome le rimase;

Guido Postumo, a cui doppia corona

Pallade quinci, e quindi Febo dona.

 

90

L'altra che segue in ordine, è; Diana.

- Non guardar (dice il marmo scritto) ch'ella

sia altiera in vista; che nel core umana

non sarà; però; men ch'in viso bella. -

Il dotto Celio Calcagnin lontana

farà; la gloria e 'l bel nome di quella

nel regno di Monese, in quel di Iuba,

in India e Spagna udir con chiara tuba:

 

91

ed un Marco Cavallo, che tal fonte

farà; di poesia nascer d'Ancona,

qual fe' il cavallo alato uscir del monte,

non so se di Parnasso o d'Elicona.

Beatrice appresso a questo alza la fronte,

di cui lo scritto suo così; ragiona:

- Beatrice bea, vivendo, il suo consorte,

e lo lascia infelice alla sua morte;

 

92

anzi tutta l'Italia, che con lei

fia triunfante, e senza lei, captiva. -

Un signor di Coreggio di costei

con alto stil par che cantando scriva,

e Timoteo, l'onor de' Bendedei:

ambi faran tra l'una e l'altra riva

fermare al suon de' lor soavi plettri

il fiume ove sudar gli antiqui elettri.

 

93

Tra questo loco e quel de la colonna

che fu sculpita in Borgia, com'è; detto,

formata in alabastro una gran donna

era di tanto e sì; sublime aspetto,

che sotto puro velo, in nera gonna,

senza oro e gemme, in un vestire schietto,

tra le più; adorne non parea men bella,

che sia tra l'altre la ciprigna stella.

 

94

Non si potea, ben contemplando fiso,

conoscer se più; grazia o più; beltade,

o maggior maestà; fosse nel viso,

o più; indizio d'ingegno o d'onestade.

- Chi vorrà; di costei (dicea l'inciso

marmo) parlar, quanto parlar n'accade,

ben torrà; impresa più; d'ogn'altra degna;

ma non però; ch'a fin mai se ne vegna. -

 

95

Dolce quantunque e pien di grazia tanto

fosse il suo bello e ben formato segno,

parea sdegnarsi che con umil canto

ardisse lei lodar sì; rozzo ingegno,

com'era quel che sol, senz'altri a canto

(non so perché;), le fu fatto sostegno.

Di tutto 'l resto erano i nomi sculti;

sol questi due l'artefice avea occulti.

 

96

Fanno le statue in mezzo un luogo tondo,

che 'l pavimento asciutto ha di corallo,

di freddo soavissimo giocondo,

che rendea il puro e liquido cristallo,

che di fuor cade in un canal fecondo,

che 'l prato verde, azzurro, bianco e giallo

rigando, scorre per vari ruscelli,

grato alle morbide erbe e agli arbuscelli.

 

97

Col cortese oste ragionando stava

il paladino a mensa; e spesso spesso,

senza più; differir, gli ricordava

che gli attenesse quanto avea promesso:

e ad or ad or mirandolo, osservava

ch'avea di grande affanno il core oppresso;

che non può; star momento che non abbia

un cocente sospiro in su le labbia.

 

98

Spesso la voce dal disio cacciata

viene a Rinaldo sin presso alla bocca

per domandarlo; e quivi, raffrenata

di cortese modestia, fuor non scocca.

Ora essendo la cena terminata,

ecco un donzello a chi l'ufficio tocca,

pon su la mensa un bel nappo d'or fino,

di fuor di gemme, e dentro pien di vino.

 

99

Il signor de la casa allora alquanto

sorridendo, a Rinaldo levò; il viso;

ma chi ben lo notava, più; di pianto

parea ch'avesse voglia che di riso.

Disse: - Ora a quel che mi ricordi tanto,

che tempo sia di sodisfar m'è; aviso;

mostrarti un paragon ch'esser de' grato

di vedere a ciascun c'ha moglie allato.

 

100

Ciascun marito, a mio giudizio, deve

sempre spiar se la sua donna l'ama;

saper s'onore o biasmo ne riceve,

se per lei bestia, o se pur uom si chiama.

L'incarco de le corna è; lo più; lieve

ch'al mondo sia, se ben l'uom tanto infama:

lo vede quasi tutta l'altra gente;

e chi l'ha in capo, mai non se lo sente.

 

101

Se tu sai che fedel la moglie sia,

hai di più; amarla e d'onorar ragione,

che non ha quel che la conosce ria,

o quel che ne sta in dubbio e in passione.

Di molte n'hanno a torto gelosia

i lor mariti, che son caste e buone:

molti di molte anco sicuri stanno,

che con le corna in capo se ne vanno.

 

102

Se vuoi saper se la tua sia pudica

(come io credo che credi, e creder dé;i;

ch'altrimente far credere è; fatica,

se chiaro già; per prova non ne sei),

tu per te stesso, senza ch'altri il dica,

te n'avvedrai, s'in questo vaso bei;

che per altra cagion non è; qui messo,

che per mostrarti quanto io t'ho promesso.

 

103

Se bé;i con questo, vedrai grande effetto;

che se porti il cimier di Cornovaglia,

il vin ti spargerai tutto sul petto,

né; gocciola sarà; ch'in bocca saglia:

ma s'hai moglie fedel, tu berai netto.

Or di veder tua sorte ti travaglia. -

Così; dicendo, per mirar tien gli occhi,

ch'in seno il vin Rinaldo si trabbocchi.

 

104

Quasi Rinaldo di cercar suaso

quel che poi ritrovar non vorria forse,

messa la mano inanzi, e preso il vaso,

fu presso di volere in prova porse:

poi, quanto fosse periglioso il caso

a porvi i labri, col pensier discorse.

Ma lasciate, Signor, ch'io mi ripose;

poi dirò; quel che 'l paladin rispose.

 

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CANTO QUARANTATREESIMO

 

 

1

O esecrabile Avarizia, o ingorda

fame d'avere, io non mi maraviglio

ch'ad alma vile e d'altre macchie lorda,

sì; facilmente dar possi di piglio;

ma che meni legato in una corda,

e che tu impiaghi del medesmo artiglio

alcun, che per altezza era d'ingegno,

se te schivar potea, d'ogni onor degno.

 

2

Alcun la terra e 'l mare e 'l ciel misura,

e render sa tutte le cause a pieno

d'ogni opra, d'ogni effetto di Natura,

e poggia sì; ch'a Dio riguarda in seno;

e non può; aver più; ferma e maggior cura,

morso dal tuo mortifero veleno,

ch'unir tesoro: e questo sol gli preme,

e ponvi ogni salute, ogni sua speme.

 

3

Rompe eserciti alcuno, e ne le porte

si vede entrar di bellicose terre,

ed esser primo a porre il petto forte,

ultimo a trarre, in perigliose guerre;

e non può; riparar che sino a morte

tu nel tuo cieco carcere nol serre.

Altri d'altre arti e d'altri studi industri,

oscuri fai, che sarian chiari e illustri.

 

4

Che d'alcune dirò; belle e gran donne

ch'a bellezza, a virtù; de fidi amanti,

a lunga servitù;, più; che colonne

io veggo dure, immobili e costanti?

Veggo venir poi l'Avarizia, e ponne

far sì;, che par che subito le incanti:

in un dì;, senza amor (chi fia che 'l creda?)

a un vecchio, a un brutto, a un mostro le dà; in preda.

 

5

Non è; senza cagion s'io me ne doglio:

intendami chi può;, che m'intend'io.

Né; però; di proposito mi toglio,

né; la materia del mio canto oblio;

ma non più; a quel c'ho detto, adattar voglio,

ch'a quel ch'io v'ho da dire, il parlar mio.

Or torniamo a contar del paladino

ch'ad assaggiare il vaso fu vicino.

 

6

Io vi dicea ch'alquanto pensar volle,

prima ch'ai labri il vaso s'appressasse.

Pensò;, e poi disse: - Ben sarebbe folle

chi quel che non vorria trovar, cercasse.

Mia donna è; donna, ed ogni donna è; molle:

lascià;n star mia credenza come stasse.

Sin qui m'ha il creder mio giovato, e giova:

che poss'io megliorar per farne prova?

 

7

Potria poco giovare e nuocer molto;

che 'l tentar qualche volta Idio disdegna.

Non so s'in questo io mi sia saggio o stolto;

ma non vo' più; saper, che mi convegna.

Or questo vin dinanzi mi sia tolto:

sete non n'ho, né; vo' che me ne vegna;

che tal certezza ha Dio più; proibita,

ch'al primo padre l'arbor de la vita.

 

8

Che come Adam, poi che gustò; del pomo

che Dio con propria bocca gl'interdisse,

da la letizia al pianto fece un tomo,

onde in miseria poi sempre s'afflisse;

così;, se de la moglie sua vuol l'uomo

tutto saper quanto ella fece e disse,

cade de l'allegrezze in pianti e in guai,

onde non può; più; rilevarsi mai. -

 

9

Così; dicendo il buon Rinaldo, e intanto

respingendo da sé; l'odiato vase,

vide abondare un gran rivo di pianto

dagli occhi del signor di quelle case,

che disse, poi che racchetossi alquanto:

- Sia maledetto chi mi persuase

ch'io facesse la prova, ohimè;! di sorte,

che mi levò; la dolce mia consorte.

 

10

Perché; non ti conobbi già; dieci anni,

sì; che io mi fossi consigliato teco,

prima che cominciassero gli affanni,

e 'l lungo pianto onde io son quasi cieco?

Ma vo' levarti da la scena i panni;

che 'l mio mal vegghi, e te ne dogli meco:

e ti dirò; il principio e l'argumento

del mio non comparabile tormento.

 

11

Qua su lasciasti una città; vicina,

a cui fa intorno un chiaro fiume laco,

che poi si stende e in questo Po declina,

e l'origine sua vien di Benaco.

Fu fatta la città;, quando a ruina

le mura andar de l'agenoreo draco.

Quivi nacque io di stirpe assai gentile,

ma in pover tetto e in facultade umile.

 

12

Se Fortuna di me non ebbe cura

sì; che mi desse al nascer mio ricchezza,

al diffetto di lei supplì; Natura,

che sopra ogni mio ugual mi diè; bellezza.

Donne e donzelle già; di mia figura

arder più; d'una vidi in giovanezza;

ch'io ci seppi accoppiar cortesi modi;

ben che stia mal che l'uom se stesso lodi.

 

13

Ne la nostra cittade era un uom saggio,

di tutte l'arti oltre ogni creder dotto,

che quando chiuse gli occhi al febeo raggio,

contava gli anni suoi cento e ventotto.

Visse tutta sua età; solo e selvaggio,

se non l'estrema; che d'Amor condotto,

con premio ottenne una matrona bella,

e n'ebbe di nascosto una cittella.

 

14

E per vietar che simil la figliuola

alla matre non sia, che per mercede

vendé; sua castità; che valea sola

più; che quanto oro al mondo si possiede,

fuor del commercio popular la invola;

ed ove più; solingo il luogo vede,

questo amplo e bel palagio e ricco tanto

fece fare a' demoni per incanto.

 

15

A vecchie donne e caste fe' nutrire

la figlia qui, ch'in gran beltà; poi venne;

né; che potesse altr'uom veder, né; udire

pur ragionarne in quella età;, sostenne.

E perch'avesse esempio da seguire,

ogni pudica donna che mai tenne

contra illicito amor chiuse le sbarre,

ci fe' d'intaglio o di color ritrarre:

 

16

non quelle sol che di virtude amiche

hanno sì; il mondo all'età; prisca adorno;

di quai la fama per l'istorie antiche

non è; per veder mai l'ultimo giorno:

ma nel futuro ancora altre pudiche

che faran bella Italia d'ogn'intorno,

ci fe' ritrarre in lor fattezze conte,

come otto che ne vedi a questa fonte.

 

17

Poi che la figlia al vecchio par matura

sì;, che ne possa l'uom cogliere i frutti;

o fosse mia disgrazia o mia aventura,

eletto fui degno di lei fra tutti.

I lati campi oltre alle belle mura,

non meno i pescarecci, che gli asciutti,

che ci son d'ogn'intorno a venti miglia,

mi consegnò; per dote de la figlia.

 

18

Ella era bella e costumata tanto,

che più; desiderar non si potea.

Di bei trapunti e di riccami, quanto

mai ne sapesse Pallade, sapea.

Vedila andare, odine il suono e 'l canto:

celeste e non mortal cosa parea.

E in modo all'arti liberali attese,

che, quanto il padre, o poco men n'intese.

 

19

Con grande ingegno, e non minor bellezza

che fatta l'avria amabil fin ai sassi,

era giunto un amore, una dolcezza,

che par ch'a rimembrarne il cor mi passi.

Non aveva più; piacer né; più; vaghezza,

che d'esser meco ov'io mi stessi o andassi.

Senza aver lite mai stemmo gran pezzo:

l'avemmo poi, per colpa mia, da sezzo.

 

20

Morto il suocero mio dopo cinque anni

ch'io sottoposi il collo al giugal nodo,

non stero molto a cominciar gli affanni

ch'io sento ancora, e ti dirò; in che modo.

Mentre mi rinchiudea tutto coi vanni

l'amor di questa mia che sì; ti lodo,

una femina nobil del paese,

quanto accender si può;, di me s'accese.

 

21

Ella sapea d'incanti e di malie

quel che saper ne possa alcuna maga:

rendea la notte chiara, oscuro il die

fermava il sol, facea la terra vaga.

Non potea trar però; le voglie mie,

che le sanassin l'amorosa piaga

col rimedio che dar non le potria

senza alta ingiuria de la donna mia.

 

22

Non perché; fosse assai gentile e bella,

né; perché; sapess'io che sì; me amassi,

né; per gran don, né; per promesse ch'ella

mi fêsse molte, e di continuo instassi,

ottener poté; mai ch'una fiammella,

per darla a lei, del primo amor levassi;

ch'a dietro ne traea tutte mie voglie

il conoscermi fida la mia moglie.

 

23

La speme, la credenza, la certezza

che de la fede di mia moglie avea,

m'avria fatto sprezzar quanta bellezza

avesse mai la giovane ledea,

o quanto offerto mai senno e ricchezza

fu al gran pastor de la montagna Idea.

Ma le repulse mie non valean tanto,

che potesson levarmela da canto.

 

24

Un dì; che mi trovò; fuor del palagio

la maga, che nomata era Melissa,

e mi poté; parlare a suo grande agio,

modo trovò; da por mia pace in rissa,

e con lo spron di gelosia malvagio

cacciar del cor la fé; che v'era fissa.

Comincia a comendar la intenzion mia,

ch'io sia fedele a chi fedel mi sia.

 

25

- Ma che ti sia fedel, tu non puoi dire,

prima che di sua fé; prova non vedi.

S'ella non falle, e che potria fallire,

che sia fedel, che sia pudica credi.

Ma se mai senza te non la lasci ire,

se mai vedere altr'uom non le concedi,

onde hai questa baldanza, che tu dica

e mi vogli affermar che sia pudica?

 

26

Scostati un poco, scostati da casa;

fa che le cittadi odano e i villaggi,

che tu sia andato, e ch'ella sia rimasa;

agli amanti dà; commodo e ai messaggi.

S'a prieghi, a doni non fia persuasa

di fare al letto maritale oltraggi,

e che, facendol, creda che si cele,

allora dir potrai che sia fedele. -

 

27

Con tal parole e simili non cessa

l'incantatrice, fin che mi dispone

che de la donna mia la fede espressa

veder voglia, e provare a paragone.

- Ora pogniamo (le soggiungo) ch'essa

sia qual non posso averne opinione:

come potrò; di lei poi farmi certo

che sia di punizion degna o di merto? -

 

28

Disse Melissa: - Io ti darò; un vasello

fatto da ber, di virtù; rara e strana;

qual già; per fare accorto il suo fratello

del fallo di Genevra, fe' Morgana.

Chi la moglie ha pudica, bee con quello:

ma non vi può; già; ber chi l'ha puttana;

che 'l vin, quando lo crede in bocca porre,

tutto si sparge, e fuor nel petto scorre.

 

29

Prima che parti, ne farai la prova,

e per lo creder mio tu berai netto;

che credo ch'ancor netta si ritrova

la moglie tua: pur ne vedrai l'effetto.

Ma s'al ritorno esperienza nuova

poi ne farai, non t'assicuro il petto:

che se tu non lo immolli, e netto bè;i,

d'ogni marito il più; felice sei. -

 

30

L'offerta accetto; il vaso ella mi dona:

ne fo la prova, e mi succede a punto;

che, com'era il disio, pudica e buona

la cara moglie mia trovo a quel punto.

Dice Melissa: - Un poco l'abbandona;

per un mese o per duo stanne disgiunto:

poi torna; poi di nuovo il vaso tolli;

prova se bevi, o pur se 'l petto immolli. -

 

31

A me duro parea pur di partire;

non perché; di sua fe' sì; dubitassi,

come ch'io non potea duo dì; patire,

né; un'ora pur, che senza me restassi.

Disse Melissa: - Io ti farò; venire

a conoscere il ver con altri passi.

Vo' che muti il parlare e i vestimenti,

e sotto viso altrui te l'appresenti. -

 

32

Signor, qui presso una città; difende

il Po fra minacciose e fiere corna;

la cui iuridizion di qui si stende

fin dove il mar fugge dal lito e torna.

Cede d'antiquità;, ma ben contende

con le vicine in esser ricca e adorna.

Le reliquie troiane la fondaro,

che dal flagello d'Attila camparo.

 

33

Astringe e lenta a questa terra il morso

un cavallier giovene, ricco e bello,

che dietro un giorno a un suo falcone iscorso,

essendo capitato entro il mio ostello,

vide la donna, e sì; nel primo occorso

gli piacque, che nel cor portò; il suggello;

né; cessò; molte pratiche far poi,

per inchinarla ai desideri suoi.

 

34

Ella gli fece dar tante repulse,

che più; tentarla al fine egli non volse;

ma la beltà; di lei, ch'Amor vi sculse,

di memoria però; non se gli tolse.

Tanto Melissa allosingommi e mulse,

ch'a tor la forma di colui mi volse;

e mi mutò; (né; so ben dirti come)

di faccia, di parlar, d'occhi e di chiome.

 

35

Già; con mia moglie avendo simulato

d'esser partito e gitone in Levante,

nel giovene amator così; mutato

l'andar, la voce, l'abito e 'l sembiante,

me ne ritorno, ed ho Melissa a lato,

che s'era trasformata, e parea un fante;

e le più; ricche gemme avea con lei,

che mai mandassin gl'Indi o gli Eritrei.

 

36

Io che l'uso sapea del mio palagio,

entro sicuro e vien Melissa meco;

e madonna ritrovo a sì; grande agio,

che non ha né; scudier né; donna seco.

I miei prieghi le espongo, indi il malvagio

stimulo inanzi del mal far le arreco:

i rubini, i diamanti e gli smeraldi,

che mosso arebbon tutti i cor più; saldi.

 

37

E le dico che poco è; questo dono

verso quel che sperar da me dovea:

de la commodità; poi le ragiono,

che, non v'essendo il suo marito, avea:

e le ricordo che gran tempo sono

stato suo amante, com'ella sapea;

e che l'amar mio lei con tanta fede

degno era avere al fin qualche mercede.

 

38

Turbossi nel principio ella non poco,

divenne rossa, ed ascoltar non volle;

ma il veder fiammeggiar poi, come fuoco,

le belle gemme, il duro cor fe' molle:

e con parlar rispose breve e fioco,

quel che la vita a rimembrar mi tolle;

che mi compiaceria, quando credesse

ch'altra persona mai nol risapesse.

 

39

Fu tal risposta un venenato telo

di che me ne senti' l'alma traffissa:

per l'ossa andommi e per le vene un gelo;

ne le fauci restò; la voce fissa.

Levando allora del suo incanto il velo,

ne la mia forma mi tornò; Melissa.

Pensa di che color dovesse farsi,

ch'in tanto error da me vide trovarsi.

 

40

Divenimmo ambi di color di morte,

muti ambi, ambi restià;n con gli occhi bassi.

Potei la lingua a pena aver sì; forte,

e tanta voce a pena, ch'io gridassi:

- Me tradiresti dunque tu, consorte,

quando tu avessi chi 'l mio onor comprassi ? -

Altra risposta darmi ella non puote,

che di rigar di lacrime le gote.

 

41

Ben la vergogna è; assai, ma più; lo sdegno

ch'ella ha, da me veder farsi quella onta;

e multiplica sì; senza ritegno,

ch'in ira al fine e in crudele odio monta.

Da me fuggirsi tosto fa disegno;

e ne l'ora che 'l Sol del carro smonta,

al fiume corre, e in una sua barchetta

si fa calar tutta la notte in fretta:

 

42

e la matina s'appresenta avante

al cavallier che l'avea un tempo amata,

sotto il cui viso, sotto il cui sembiante

fu contra l'onor mio da me tentata.

A lui che n'era stato ed era amante,

creder si può; che fu la giunta grata.

Quindi ella mi fe' dir ch'io non sperassi

che mai più; fosse mia, né; più; m'amassi.

 

43

Ah lasso! da quel dì; con lui dimora

in gran piacere, e di me prende giuoco;

ed io del mal che procacciammi allora,

ancor languisco, e non ritrovo loco.

Cresce il mal sempre, e giusto è; ch'io ne muora;

e resta omai da consumarci poco.

Ben credo che 'l primo anno sarei morto,

se non mi dava aiuto un sol conforto.

 

44

Il conforto ch'io prendo, è; che di quanti

per dieci anni mai fur sotto al mio tetto

(ch'a tutti questo vaso ho messo inanti),

non ne trovo un che non s'immolli il petto.

Aver nel caso mio compagni tanti

mi dà; fra tanto mal qualche diletto.

Tu tra infiniti sol sei stato saggio,

che far negasti il periglioso saggio.

 

45

Il mio voler cercare oltre alla meta

che de la donna sua cercar si deve,

fa che mai più; trovare ora quieta

non può; la vita mia, sia lunga o breve.

Di ciò; Melissa fu a principio lieta:

ma cessò; tosto la sua gioia lieve;

ch'essendo causa del mio mal stata ella,

io l'odiai sì;, che non potea vedella.

 

46

Ella d'esser odiata impaziente

da me che dicea amar più; che sua vita,

ove donna restarne immantinente

creduto avea, che l'altra ne fosse ita;

per non aver sua doglia sì; presente,

non tardò; molto a far di qui partita;

e in modo abbandonò; questo paese,

che dopo mai per me non se n'intese. -

 

47

Così; narrava il mesto cavalliero:

e quando fine alla sua istoria pose,

Rinaldo alquanto ste' sopra pensiero,

da pietà; vinto, e poi così; rispose:

- Mal consiglio di diè; Melissa in vero,

che d'attizzar le vespe ti propose;

e tu fusti a cercar poco avveduto

quel che tu avresti non trovar voluto.

 

48

Se d'avarizia la tua donna vinta

a voler fede romperti fu indutta,

non t'ammirar; né; prima ella né; quinta

fu de le donne prese in sì; gran lutta;

e mente via più; salda ancora è; spinta

per minor prezzo a far cosa più; brutta.

Quanti uomini odi tu, che già; per oro

han traditi padroni e amici loro?

 

49

Non dovevi assalir con sì; fiere armi,

se bramavi veder farle difesa.

Non sai tu, contra l'oro, che né; i marmi

né; 'l durissimo acciar sta alla contesa?

Che più; fallasti tu a tentarla parmi,

di lei che così; tosto restò; presa.

Se te altretanto avesse ella tentato,

non so se tu più; saldo fossi stato. -

 

50

Qui Rinaldo fe' fine, e da la mensa

levossi a un tempo, e domandò; dormire;

che riposare un poco, e poi si pensa

inanzi al dì; d'un'ora o due partire.

Ha poco tempo, e 'l poco c'ha, dispensa

con gran misura, e invan nol lascia gire.

Il signor di là; dentro, a suo piacere,

disse, che si potea porre a giacere;

 

51

ch'apparecchiata era la stanza e 'l letto:

ma che se volea far per suo consiglio,

tutta notte dormir potria a diletto,

e dormendo avanzarsi qualche miglio.

- Acconciar ti farò; (disse) un legnetto,

con che volando, e senz'alcun periglio

tutta notte dormendo vo' che vada,

e una giornata avanzi de la strada. -

 

52

La proferta a Rinaldo accettar piacque,

e molto ringraziò; l'oste cortese:

poi senza indugio là;, dove ne l'acque

da' naviganti era aspettato, scese.

Quivi a grande agio riposato giacque,

mentre il corso del fiume il legno prese,

che da sei remi spinto, lieve e snello

pel fiume andò;, come per l'aria augello.

 

53

Così; tosto come ebbe il capo chino,

il cavallier di Francia adormentosse;

imposto avendo già;, come vicino

giungea a Ferrara, che svegliato fosse.

Restò; Melara nel lito mancino;

nel lito destro Sermide restosse:

Figarolo e Stellata il legno passa,

ove le corna il Po iracondo abbassa.

 

54

De le due corna il nocchier prese il destro,

e lasciò; andar verso Vinegia il manco;

passò; il Bondeno: e già; il color cilestro

si vedea in oriente venir manco,

che votando di fior tutto il canestro,

l'Aurora vi facea vermiglio e bianco;

quando, lontan scoprendo di Tealdo

ambe le rocche, il capo alzò; Rinaldo.

 

55

- O città; bene aventurosa (disse),

di cui già; Malagigi, il mio cugino,

contemplando le stelle erranti e fisse,

e costringendo alcun spirto indovino,

nei secoli futuri mi predisse

(già; ch'io facea con lui questo camino)

ch'ancor la gloria tua salirà; tanto,

ch'avrai di tutta Italia il pregio e 'l vanto. -

 

56

Così; dicendo, e pur tuttavia in fretta

su quel battel che parea aver le penne,

scorrendo il re de' fiumi, all'isoletta

ch'alla cittade è; più; propinqua, venne:

e ben che fosse allora erma e negletta,

pur s'allegrò; di rivederla, e fenne

non poca festa; che sapea quanto ella,

volgendo gli anni, saria ornata e bella.

 

57

Altra fiata che fe' questa via,

udì; da Malagigi, il qual seco era,

che settecento volte che si sia

girata col monton la quarta sfera,

questa la più; ioconda isola fia

di quante cinga mar, stagno o riviera;

sì; che, veduta lei, non sarà; ch'oda

dar più; alla patria di Nausicaa loda.

 

58

Udì; che di bei tetti posta inante

sarebbe a quella sì; a Tiberio cara;

che cederian l'Esperide alle piante

ch'avria il bel loco, d'ogni sorte rara;

che tante spezie d'animali, quante

vi fien, né; in mandra Circe ebbe né; in hara;

che v'avria con le Grazie e con Cupido

Venere stanza, e non più; in Cipro o in Gnido:

 

59

e che sarebbe tal per studio e cura

di chi al sapere ed al potere unita

la voglia avendo, d'argini e di mura

avria sì; ancor la sua città; munita,

che contra tutto il mondo star sicura

potria, senza chiamar di fuori aita:

e che d'Ercol figliuol, d'Ercol sarebbe

padre il signor che questo e quel far debbe.

 

60

Così; venì;a Rinaldo ricordando

quel che già; il suo cugin detto gli avea,

de le future cose divinando,

che spesso conferir seco solea.

E tuttavia l'umil città; mirando:

- Come esser può; ch'ancor (seco dicea)

debban così; fiorir queste paludi

de tutti i liberali e degni studi?

 

61

e crescer abbia di sì; piccol borgo

ampla cittade e di sì; gran bellezza?

e ciò; ch'intorno è; tutto stagno e gorgo,

sien lieti e pieni campi di ricchezza?

Città;, sin ora a riverire assorgo

l'amor, la cortesia, la gentilezza

de' tuoi signori, e gli onorati pregi

dei cavallier, dei cittadini egregi.

 

62

L'ineffabil bontà; del Redentore,

de' tuoi principi il senno e la iustizia,

sempre con pace, sempre con amore

ti tenga in abondanza ed in letizia;

e ti difenda contra ogni furore

de' tuoi nimici, e scuopra lor malizia:

del tuo contento ogni vicino arrabbi,

più; tosto che tu invidia ad alcuno abbi. -

 

63

Mentre Rinaldo così; parla, fende

con tanta fretta il suttil legno l'onde,

che con maggiore a logoro non scende

falcon ch'al grido del padron risponde.

Del destro corno il destro ramo prende

quindi il nocchiero, e mura e tetti asconde:

San Georgio a dietro, a dietro s'allontana

la torre e de la Fossa e di Gaibana.

 

64

Rinaldo, come accade ch'un pensiero

un altro dietro, e quello un altro mena,

si venne a ricordar del cavalliero

nel cui palagio fu la sera a cena;

che per questa cittade, a dire il vero,

avea giusta cagion di stare in pena:

e ricordossi del vaso da bere,

che mostra altrui l'error de la mogliere;

 

65

e ricordossi insieme de la prova

che d'aver fatta il cavallier narrolli;

che di quanti avea esperti, uomo non trova

che bea nel vaso, e 'l petto non s'immolli.

Or si pente, or tra sé; dice: - è; mi giova

ch'a tanto paragon venir non volli.

Riuscendo, accertava il creder mio;

non riuscendo, a che partito era io?

 

66

Gli è; questo creder mio, come io l'avessi

ben certo, e poco accrescer lo potrei:

sì; che, s'al paragon mi succedessi,

poco il meglio saria ch'io ne trarrei;

ma non già; poco il mal, quando vedessi

quel di Clarice mia, ch'io non vorrei.

Metter saria mille contra uno a giuoco;

che perder si può; molto, e acquistar poco. -

 

67

Stando in questo pensoso il cavalliero

di Chiaramonte, e non alzando il viso,

con molta attenzion fu da un nocchiero

che gli era incontra, riguardato fiso:

e perché; di veder tutto il pensiero

che l'occupava tanto, gli fu aviso,

come uom che ben parlava ed avea ardire,

a seco ragionar lo fece uscire.

 

68

La somma fu del lor ragionamento,

che colui malaccorto era ben stato,

che ne la moglie sua l'esperimento

maggior che può; far donna, avea tentato;

che quella che da l'oro e da l'argento

difende il cor di pudicizia armato,

tra mille spade via più; facilmente

difenderallo, e in mezzo al fuoco ardente.

 

69

Il nocchler suggiungea: - Ben gli dicesti,

che non dovea offerirle sì; gran doni;

che contrastare a questi assalti e a questi

colpi non sono tutti i petti buoni.

Non so se d'una giovane intendesti

(ch'esser pò; che tra voi se ne ragioni),

che nel medesmo error vide il consorte,

di ch'esso avea lei condannata a morte.

 

70

Dovea in memoria avere il signor mio,

che l'oro e 'l premio ogni durezza inchina;

ma, quando bisognò;, l'ebbe in oblio,

ed ei si procacciò; la sua ruina.

Così; sapea lo esempio egli, com'io,

che fu in questa città; di qui vicina,

sua patria e mia, che 'l lago e la palude

del rifrenato Menzo intorno chiude:

 

71

d'Adonio voglio dir, che 'l ricco dono

fe' alla moglie del giudice, d'un cane. -

- Di questo (disse il paladino) il suono

non passa l'Alpe, e qui tra voi rimane;

perché; né; in Francia, né; dove ito sono,

parlar n'udi' ne le contrade estrane:

sì; che dì; pur, se non t'incresce il dire;

che volentieri io mi t'acconcio a udire. -

 

72

Il nocchier cominciò;: - Già; fu di questa

terra un Anselmo di famiglia degna,

che la sua gioventù; con lunga vesta

spese in saper ciò; ch'Ulpiano insegna

e di nobil progenie, bella e onesta

moglie cercò;, ch'al grado suo convegna;

e d'una terra quindi non lontana

n'ebbe una di bellezza sopraumana;

 

73

e di bei modi e tanto graziosi,

che parea tutto amore e leggiadria;

e di molto più; forse, ch'ai riposi,

ch'allo stato di lui non convenia.

Tosto che l'ebbe, quanti mai gelosi

al mondo fur, passò; di gelosia:

non già; ch'altra cagion gli ne desse ella,

che d'esser troppo accorta e troppo bella.

 

74

Ne la città; medesma un cavalliero

era d'antiqua e d'onorata gente,

che discendea da quel lignaggio altiero

ch'uscì; d'una mascella di serpente,

onde già; Manto, e chi con essa fero

la patria mia, disceser similmente.

Il cavallier, ch'Adonio nominosse,

di questa bella donna inamorosse.

 

75

E per venire a fin di questo amore,

a spender cominciò; senza ritegno

in vestire, in conviti, in farsi onore,

quanto può; farsi un cavallier più; degno.

Il tesor di Tiberio imperatore

non saria stato a tante spese al segno.

Io credo ben che non passar duo verni,

ch'egli uscì; fuor di tutti i ben paterni.

 

76

La casa ch'era dianzi frequentata

matina e sera tanto dagli amici,

sola restò;, tosto che fu privata

di starne, di fagian, di coturnici.

Egli che capo fu de la brigata,

rimase dietro, e quasi fra mendici.

Pensò;, poi ch'in miseria era venuto,

d'andare ove non fosse conosciuto.

 

77

Con questa intenzione una mattina,

senza far motto altrui, la patria lascia;

e con sospiri e lacrime camina

lungo lo stagno che le mura fascia.

La donna che del cor gli era regina,

già; non oblia per la seconda ambascia.

Ecco un'alta aventura che lo viene

di sommo male a porre in sommo bene.

 

78

Vede un villan che con un gran bastone

intorno alcuni sterpi s'affatica.

Quivi Adonio si ferma, e la cagione

di tanto travagliar vuol che gli dica.

Disse il villan, che dentro a quel macchione

veduto avea una serpe molto antica,

di che più; lunga e grossa a' giorni suoi

non vide, né; credea mai veder poi;

 

79

e che non si voleva indi partire,

che non l'avesse ritrovata e morta.

Come Adonio lo sente così; dire,

con poca pazienza lo sopporta.

Sempre solea le serpi favorire;

che per insegna il sangue suo le porta

in memoria ch'uscì; sua prima gente

de' denti seminati di serpente.

 

80

e disse e fece col villano in guisa

che, suo mal grado, abbandonò; l'impresa;

sì; che da lui non fu la serpe uccisa,

né; più; cercata, né; altrimenti offesa.

Adonio ne va poi dove s'avisa

che sua condizion sia meno intesa;

e dura con disagio e con affanno

fuor de la patria appresso al settimo anno.

 

81

Né; mai per lontananza, né; strettezza

del viver, che i pensier non lascia ir vaghi,

cessa Amor che sì; gli ha la mano avezza,

ch'ognor non li arda il core, ognor impiaghi.

è; forza al fin che torni alla bellezza

che son di riveder sì; gli occhi vaghi.

Barbuto, afflitto, e assai male in arnese,

là; donde era venuto, il camin prese.

 

82

In questo tempo alla mia patria accade

mandare uno oratore al Padre santo,

che resti appresso alla sua Santitade

per alcun tempo e non fu detto quanto.

Gettan la sorte, e nel giudice cade.

Oh giorno a lui cagion sempre di pianto!

Fe' scuse, pregò; assai, diede e promesse

per non partirsi; e al fin sforzato cesse.

 

83

Non gli parea crudele e duro manco

a dover sopportar tanto dolore,

che se veduto aprir s'avesse il fianco,

e vedutosi trar con mano il core.

Di geloso timor pallido e bianco

per la sua donna, mentre staria fuore,

lei con quei modi che giovar si crede,

supplice priega a non mancar di fede:

 

84

dicendole ch'a donna né; bellezza,

né; nobiltà;, né; gran fortuna basta,

sì; che di vero onor monti in altezza,

se per nome e per opre non è; casta;

e che quella virtù; via più; si prezza,

che di sopra riman quando contrasta,

e ch'or gran campo avria per questa assenza,

di far di pudicizia esperienza.

 

85

Con tai le cerca ed altre assai parole

persuader ch'ella gli sia fedele.

De la dura partita ella si duole,

con che lacrime, oh Dio! con che querele!

E giura che più; tosto oscuro il sole

vedrassi, che gli sia mai sì; crudele,

che rompa fede; e che vorria morire

più; tosto ch'aver mai questo desire.

 

86

Ancor ch'a sue promesse e a suoi scongiuri

desse credenza e si achetasse alquanto,

non resta che più; intender non procuri,

e che materia non procacci al pianto.

Avea uno amico suo, che dei futuri

casi predir teneva il pregio e 'l vanto;

e d'ogni sortilegio e magica arte,

o il tutto, o ne sapea la maggior parte.

 

87

Diegli, pregando di vedere assunto,

se la sua moglie, nominata Argia,

nel tempo che da lei starà; disgiunto,

fedele e casta, o pel contario fia.

Colui da prieghi vinto, tolle il punto,

il ciel figura come par che stia.

Anselmo il lascia in opra, e l'altro giorno

a lui per la risposta fa ritorno.

 

88

L'astrologo tenea le labra chiuse,

per non dire al dottor cosa che doglia,

e cerca di tacer con molte scuse.

Quando pur del suo mal vede c'ha voglia,

che gli romperà; fede gli concluse,

tosto ch'egli abbia il piè; fuor de la soglia,

non da bellezza né; da prieghi indotta,

ma da guadagno e da prezzo corrotta.

 

89

Giunte al timore, al dubbio ch'avea prima,

queste minacce dei superni moti,

come gli stesse il cor, tu stesso stima,

se d'amor gli accidenti ti son noti.

E sopra ogni mestizia che l'opprima,

e che l'afflitta mente aggiri e arruoti,

è; 'l saper come, vinta d'avarizia,

per prezzo abbia a lasciar sua pudicizia.

 

90

Or per far quanti potea far ripari

da non lasciarla in quel error cadere

(perché; il bisogno a dispogliar gli altari

tra' l'uom talvolta, che sel trova avere),

ciò; che tenea di gioie e di danari

(che n'avea somma) pose in suo potere:

rendite e frutti d'ogni possessione,

e ciò; c'ha al mondo, in man tutto le pone.

 

91

- Con facultade (disse) che ne' tuoi

non sol bisogni te li goda e spenda,

ma che ne possi far ciò; che ne vuoi,

li consumi, li getti, e doni e venda;

altro conto saper non ne vo' poi,

pur che, qual ti lascio or, tu mi ti renda:

pur che, come or tu sei, mi sie rimasa,

fa che io non trovi né; poder né; casa. -

 

92

La prega che non faccia, se non sente

ch'egli ci sia, ne la città; dimora;

ma ne la villa, ove più; agiatamente

viver potrà; d'ogni commercio fuora.

Questo dicea, però; che l'umil gente

che nel gregge o ne' campi gli lavora,

non gli era aviso che le caste voglie

contaminar potessero alla moglie.

 

93

Tenendo tuttavia le belle braccia

al timido marito al collo Argia,

e di lacrime empiendogli la faccia,

ch'un fiumicel dagli occhi le n'uscia;

s'attrista che colpevole la faccia,

come di fé; mancata già; gli sia;

che questa sua sospizion procede,

perché; non ha ne la sua fede fede.

 

94

Troppo sarà;, s'io voglio ir rimembrando

ciò; ch'al partir da tramendua fu detto.

- Il mio onor (dice al fin) ti raccomando: -

piglia licenza, e partesi in effetto;

e ben si sente veramente, quando

volge il cavallo, uscire il cor del petto.

Ella lo segue, quanto seguir puote,

con gli occhi che le rigano le gote.

 

95

Adonio intanto misero e tapino,

e (come io dissi) pallido e barbuto,

verso la patria avea preso il camino,

sperando di non esser conosciuto.

Sul lago giunse alla città; vicino,

là; dove avea dato alla biscia aiuto,

ch'era assediata entro la macchia forte

da quel villan che por la volea a morte.

 

96

Quivi arrivando in su l'aprir del giorno,

ch'ancor splendea nel cielo alcuna stella,

si vede in peregrino abito adorno

venir pel lito incontra una donzella

in signoril sembiante, ancor ch'intorno

non l'apparisse né; scudier né; ancella.

Costei con grata vista lo raccolse,

e poi la lingua a tai parole sciolse:

 

97

- Se ben non mi conosci, o cavalliero,

son tua parente, e grande obligo t'aggio:

parente son, perché; da Cadmo fiero

scende d'amenduo noi l'alto lignaggio.

Io son la fata Manto, che 'l primiero

sasso messi a fondar questo villaggio;

e dal mio nome (come ben forse hai

contare udito) Mantua la nomai.

 

98

De le fate io son una; ed il fatale

stato per farti anco saper ch'importe,

nascemo a un punto, che d'ogn'altro male

siamo capaci, fuor che de la morte.

Ma giunto è; con questo essere immortale

condizion non men del morir forte;

ch'ogni settimo giorno ogniuna è; certa

che la sua forma in biscia si converta.

 

99

Il vedersi coprir del brutto scoglio,

e gir serpendo, è; cosa tanto schiva,

che non è; pare al mondo altro cordoglio;

tal che bestemmia ogniuna d'esser viva.

E l'obbligo ch'io t'ho (perché; ti voglio

insiememente dire onde deriva),

tu saprai che quel dì;, per esser tali,

siamo a periglio d'infiniti mali.

 

100

Non è; sì; odiato altro animale in terra,

come la serpe; e noi, che n'abbià;n faccia,

patimo da ciascuno oltraggio e guerra;

che chi ne vede, ne percuote e caccia.

Se non troviamo ove tornar sotterra,

sentiamo quanto pesa altrui le braccia.

Meglio saria poter morir, che rotte

e storpiate restar sotto le botte.

 

101

L'obligo ch'io t'ho grande, è; ch'una volta

che tu passavi per quest'ombre amene,

per te di mano fui d'un villan tolta,

che gran travagli m'avea dati e pene.

Se tu non eri, io non andava asciolta,

ch'io non portassi rotto e capo e schene,

e che sciancata non restassi e storta,

se ben non vi potea rimaner morta:

 

102

perché; quei giorni che per terra il petto

traemo avvolte in serpentile scorza,

il ciel ch'in altri tempi è; a noi suggetto,

niega ubbidirci, e prive sià;n di forza.

In altri tempi ad un sol nostro detto

il sol si ferma e la sua luce ammorza;

l'immobil terra gira e muta loco;

s'infiamma il ghiaccio, e si congela il fuoco.

 

103

Ora io son qui per renderti mercede

del beneficio che mi festi allora.

Nessuna grazia indarno or mi si chiede

ch'io son del manto viperino fuora.

Tre volte più; che di tuo padre erede

non rimanesti, io ti fo ricco or ora:

né; vo' che mai più; povero diventi,

ma quanto spendi più;, che più; augumenti.

 

104

E perché; so che ne l'antiquo nodo,

in che già; Amor t'avinse, anco ti trovi,

voglioti dimostrar l'ordine e 'l modo

ch'a disbramar tuoi desideri giovi.

Io voglio, or che lontano il marito odo,

che senza indugio il mio consiglio provi;

vadi a trovar la donna che dimora

fuori alla villa, e sarò; teco io ancora. -

 

105

E seguitò; narrandogli in che guisa

alla sua donna vuol che s'appresenti;

dico come vestir, come precisa-

mente abbia a dir, come la prieghi e tenti;

e che forma essa vuol pigliar, devisa;

che, fuor che 'l giorno ch'erra tra serpenti,

in tutti gli altri si può; far, secondo

che più; le pare, in quante forme ha il mondo.

 

106

Messe in abito lui di peregrino

il qual per Dio di porta in porta accatti:

mutosse ella in un cane, il più; piccino

di quanti mai n'abbia Natura fatti,

di pel lungo, più; bianco ch'armellino,

di grato aspetto e di mirabili atti.

Così; trasfigurato, entraro in via

verso la casa de la bella Argia:

 

107

e dei lavoratori alle capanne

prima ch'altrove, il giovene fermosse;

e cominciò; a sonar certe sue canne,

al cui suono danzando il can rizzosse.

La voce e 'l grido alla padrona vanne,

e fece sì;, che per veder si mosse.

Fece il romeo chiamar ne la sua corte,

sì; come del dottor traea la sorte.

 

108

E quivi Adonio a comandare al cane

incominciò;, ed il cane a ubbidir lui,

e far danze nostral, farne d'estrane,

con passi e continenze e modi sui,

e finalmente con maniere umane

far ciò; che comandar sapea colui,

con tanta attenzion, che chi lo mira,

non batte gli occhi, e a pena il fiato spira.

 

109

Gran maraviglia, ed indi gran desire

venne alla donna di quel can gentile;

e ne fa per la balia proferire

al cauto peregrin prezzo non vile,

- S'avessi più; tesor, che mai sitire

potesse cupidigia feminile

(colui rispose), non saria mercede

di comprar degna del mio cane un piede. -

 

110

E per mostrar che veri i detti foro,

con la balia in un canto si ritrasse,

e disse al cane, ch'una marca d'oro

a quella donna in cortesia donasse.

Scossesi il cane, e videsi il tesoro.

Disse Adonio alla balia, che pigliasse,

soggiungendo: - Ti par che prezzo sia,

per cui sì; bello e util cane io dia?

 

111

Cosa, qual vogli sia, non gli domando,

di ch'io ne torni mai con le man vote;

e quando perle, e quando annella, e quando

leggiadra veste e di gran prezzo scuote.

Pur di' a madonna, che fia al suo comando;

per oro no, ch'oro pagar nol puote:

ma se vuol ch'una notte seco io giaccia,

abbiasi il cane, e 'l suo voler ne faccia. -

 

112

Così; dice: e una gemma allora nata

le dà;, ch'alla padrona l'appresenti.

Pare alla balia averne più; derata,

che di pagar dieci ducati o venti.

Torna alla donna, e le fa l'imbasciata;

e la conforta poi, che si contenti

d'acquistare il bel cane; ch'acquistarlo

per prezzo può;, che non si perde a darlo.

 

113

La bella Argia sta ritrosetta in prima;

parte, che la sua fé; romper non vuole,

parte, ch'esser possibile non stima

tutto ciò; che ne suonan le parole.

La balia le ricorda, e rode e lima,

che tanto ben di rado avvenir suole;

e fe' che l'agio un altro dì; si tolse,

che 'l can veder senza tanti occhi volse.

 

114

Quest'altro comparir ch'Adonio fece,

fu la ruina e del dottor la morte.

Facea nascer le doble a diece a diece,

filze di perle, e gemme d'ogni sorte:

sì; che il superbo cor mansuefece,

che tanto meno a contrastar fu forte,

quanto poi seppe che costui ch'inante

gli fa partito, è; 'l cavallier suo amante.

 

115

De la puttana sua balia i conforti,

i prieghi de l'amante e la presenza,

il veder che guadagno se l'apporti,

del misero dottor la lunga assenza,

lo sperar ch'alcun mai non lo rapporti,

fero ai casti pensier tal violenza,

ch'ella accettò; il bel cane, e per mercede

in braccio e in preda al suo amator si diede.

 

116

Adonio lungamente frutto colse

de la sua bella donna, a cui la fata

grande amor pose, e tanto le ne volse,

che sempre star con lei si fu ubligata.

Per tutti i segni il sol prima si volse,

ch'al giudice licenza fosse data:

al fin tornò;, ma pien di gran sospetto

per quel che già; l'astrologo avea detto.

 

117

Fa, giunto ne la patria, il primo volo

a casa de l'astrologo, e gli chiede,

se la sua donna fatto inganno e dolo,

o pur servato gli abbia amore e fede.

Il sito figurò; colui del polo,

ed a tutti i pianeti il luogo diede:

poi rispose che quel ch'avea temuto,

come predetto fu, gli era avvenuto;

 

118

che da doni grandissimi corrotta,

data ad altri s'avea la donna in preda.

Questa al dottor nel cor fu sì; gran botta,

che lancia e spiedo io vo' che ben le ceda.

Per esserne più; certo, ne va allotta

(ben che pur troppo allo indivino creda)

ov'è; la balia, e la tira da parte,

e per saperne il certo usa grande arte.

 

119

Con larghi giri circondando prova

or qua or là; di ritrovar la traccia;

e da principio nulla ne ritrova,

con ogni diligenza che ne faccia;

ch'ella, che non avea tal cosa nuova,

stava negando con immobil faccia;

e come bene istrutta, più; d'un mese

tra il dubbio e 'l certo il suo patron sospese.

 

120

Quanto dovea parergli il dubio buono,

se pensava il dolor ch'avria del certo!

Poi ch'indarno provò; con priego e dono,

che da la balia il ver gli fosse aperto,

né; toccò; tasto ove sentisse suono

altro che falso; come uom ben esperto,

aspettò; che discordia vi venisse;

ch'ove femine son, son liti e risse.

 

121

E come egli aspettò;, così; gli avvenne;

ch'al primo sdegno che tra loro nacque,

senza suo ricercar, la balia venne

il tutto a ricontargli, e nulla tacque.

Lungo a dir fôra ciò; che 'l cor sostenne,

come la mente costernata giacque

del giudice meschin, che fu sì; oppresso,

che stette per uscir fuor di se stesso:

 

122

e si dispose al fin, da l'ira vinto,

morir, ma prima uccider la sua moglie;

e che d'amendue i sangui un ferro tinto

levassi lei di biasmo, e sé; di doglie.

Ne la città; se ne ritorna, spinto

da così; furibonde e cieche voglie;

indi alla villa un suo fidato manda,

e quanto esequir debba, gli commanda.

 

123

Commanda al servo, ch'alla moglie Argia

torni alla villa, e in nome suo le dica

ch'egli è; da febbre oppresso così; ria,

che di trovarlo vivo avrà; fatica;

sì; che, senza aspettar più; compagnia,

venir debba con lui, s'ella gli è; amica

(verrà;: sa ben che non farà; parola);

e che tra via le seghi egli la gola.

 

124

A chiamar la patrona andò; il famiglio,

per far di lei quanto il signor commesse.

Dato prima al suo cane ella di piglio,

montò; a cavallo ed a camin si messe.

L'avea il cane avisata del periglio,

ma che d'andar per questo ella non stesse;

ch'avea ben disegnato e proveduto

onde nel gran bisogno avrebbe aiuto.

 

125

Levato il servo del camino s'era;

e per diverse e solitarie strade

a studio capitò; su una riviera

che d'Apennino in questo fiume cade;

ov'era bosco e selva oscura e nera,

lungi da villa e lungi da cittade.

Gli parve loco tacito e disposto

per l'effetto crudel che gli fu imposto.

 

126

Trasse la spada e alla padrona disse

quanto commesso il suo signor gli avea;

sì; che chiedesse, prima che morisse,

perdono a Dio d'ogni colpa rea.

Non ti so dir com'ella si coprisse:

quando il servo ferirla si credea,

più; non la vide, e molto d'ogn'intorno

l'andò; cercando, e al fin restò; con scorno.

 

127

Torna al patron con gran vergogna ed onta,

tutto attonito in faccia e sbigottito;

e l'insolito caso gli racconta,

ch'egli non sa come si sia seguito.

Ch'a' suoi servigi abbia la moglie pronta

la fata Manto, non sapea il marito;

che la balia onde il resto avea saputo,

questo, non so perché;, gli avea taciuto.

 

128

Non sa che far; che né; l'oltraggio grave

vendicato ha, né; le sue pene ha sceme.

Quel ch'era una festuca, ora è; una trave,

tanto gli pesa, tanto al cor gli preme.

L'error che sapean pochi, or sì; aperto have,

che senza indugio si palesi, teme.

Potea il primo celarsi; ma il secondo,

publico in breve fia per tutto il mondo.

 

129

Conosce ben che, poi che 'l cor fellone

avea scoperto il misero contra essa,

ch'ella, per non tornargli in suggezione,

d'alcun potente in man si sarà; messa;

il qual se la terrà; con irrisione

ed ignominia del marito espressa;

e forse anco verrà; d'alcuno in mano,

che ne fia insieme adultero e ruffiano.

 

130

Sì; che, per rimediarvi, in fretta manda

intorno messi e lettere a cercarne:

ch'in quel loco, ch'in questo ne domanda

per Lombardia, senza città; lasciarne.

Poi va in persona, e non si lascia banda

ove o non vada o mandivi a spiarne:

né; mai può; ritrovar capo né; via

di venire a notizia, che ne sia.

 

131

Al fin chiama quel servo a chi fu imposta

l'opra crudel che poi non ebbe effetto,

e fa che lo conduce ove nascosta

se gli era Argia, sì; come gli avea detto;

che forse in qualche macchia il dì; reposta,

la notte si ripara ad alcun tetto.

Lo guida il servo ove trovar si crede

la folta selva, e un gran palagio vede.

 

132

Fatto avea farsi alla sua fata intanto

la bella Argia con subito lavoro

d'alabastri un palagio per incanto,

dentro e di fuor tutto fregiato d'oro.

Né; lingua dir, né; cor pensar può; quanto

avea beltà; di fuor, dentro tesoro.

Quel che iersera sì; ti parve bello,

del mio signor, saria un tugurio a quello.

 

133

E di panni di razza, e di cortine

tessute riccamente e a varie fogge,

ornate eran le stalle e le cantine,

non sale pur, non pur camere e logge;

vasi d'oro e d'argento senza fine,

gemme cavate, azzurre e verdi e rogge,

e formate in gran piatti e in coppe e in nappi,

e senza fin d'oro e di seta drappi.

 

134

Il giudice, sì; come io vi dicea,

venne a questo palagio a dar di petto,

quando né; una capanna si credea

di ritrovar, ma solo il bosco schietto.

Per l'alta maraviglia che n'avea,

esser si credea uscito d'intelletto:

non sapea se fosse ebbro o se sognassi,

o pur se 'l cervel scemo a volo andassi.

 

135

Vede inanzi alla porta uno Etiopo

con naso e labri grossi; e ben gli è; avviso

che non vedesse mai, prima né; dopo,

un così; sozzo e dispiacevol viso;

poi di fattezze, qual si pinge Esopo,

d'attristar, se vi fosse, il paradiso;

bisunto e sporco, e d'abito mendico:

né; a mezzo ancor di sua bruttezza io dico.

 

136

Anselmo che non vede altro da cui

possa saper di chi la casa sia,

a lui s'accosta, e ne domanda a lui;

ed ei risponde: - Questa casa è; mia. -

Il giudice è; ben certo che colui

lo beffi e che gli dica la bugia:

ma con scongiuri il negro ad affermare

che sua è; la casa, e ch'altri non v'ha a fare;

 

137

e gli offerisce, se la vuol vedere,

che dentro vada, e cerchi come voglia;

e se v'ha cosa che gli sia in piacere

o per sé; o per gli amici, se la toglia.

Diede il cavallo al servo suo a tenere

Anselmo, e messe il piè; dentro alla soglia;

e per sale e per camere condutto,

da basso e d'alto andò; mirando il tutto.

 

138

La forma, il sito, il ricco e bel lavoro

va contemplando, e l'ornamento regio;

e spesso dice: - Non potria quant'oro

è; sotto il sol pagare il loco egregio. -

A questo gli risponde il brutto Moro,

e dice: - E questo ancor trova il suo pregio:

se non d'oro o d'argento, nondimeno

pagar lo può; quel che vi costa meno. -

 

139

E gli fa la medesima richiesta

ch'avea già; Adonio alla sua moglie fatta.

De la brutta domanda e disonesta,

persona lo stimò; bestiale e matta.

Per tre repulse e quattro egli non resta;

e tanti modi a persuaderlo adatta,

sempre offerendo in merito il palagio,

che fe' inchinarlo al suo voler malvagio.

 

140

La moglie Argia che stava appresso ascosa,

poi che lo vide nel suo error caduto,

saltò; fuora gridando: - Ah degna cosa

che io veggo di dottor saggio tenuto! -

Trovato in sì; mal'opra e viziosa,

pensa se rosso far si deve e muto.

O terra, acciò; ti si gettassi dentro,

perché; allor non t'apristi insino al centro?

 

141

La donna in suo discarco, ed in vergogna

d'Anselmo, il capo gl'intronò; di gridi,

dicendo: - Come te punir bisogna

di quel che far con sì; vil uom ti vidi,

se per seguir quel che natura agogna,

me, vinta a' prieghi del mio amante, uccidi?

ch'era bello e gentile; e un dono tale

mi fe', ch'a quel nulla il palagio vale.

 

142

S'io ti parvi esser degna d'una morte,

conosci che ne sei degno di cento:

e ben ch'in questo loco io sia sì; forte,

ch'io possa di te fare il mio talento;

pure io non vo' pigliar di peggior sorte

altra vendetta del tuo fallimento.

Di par l'avere e 'l dar, marito, poni;

fa, com'io a te, che tu a me ancor perdoni:

 

143

e sia la pace e sia l'accordo fatto,

ch'ogni passato error vada in oblio;

né; ch'in parole io possa mai né; in atto

ricordarti il tuo error, né; a me tu il mio. -

Il marito ne parve aver buon patto,

né; dimostrossi al perdonar restio.

Così; a pace e concordia ritornaro,

e sempre poi fu l'uno all'altro caro. -

 

144

Così; disse il nocchiero; e mosse a riso

Rinaldo al fin de la sua istoria un poco;

e diventar gli fece a un tratto il viso,

per l'onta del dottor, come di fuoco.

Rinaldo Argia molto lodò;, ch'avviso

ebbe d'alzare a quello augello un gioco

ch'alla medesma rete fe' cascallo,

in che cadde ella, ma con minor fallo.

 

145

Poi che più; in alto il sole il camin prese,

fe' il paladino apparecchiar la mensa,

ch'avea la notte il Mantuan cortese

provista con larghissima dispensa.

Fugge a sinistra intanto il bel paese,

ed a man destra la palude immensa:

viene e fuggesi Argenta e 'l suo girone

col lito ove Santerno il capo pone.

 

146

Allora la Bastia credo non v'era,

di che non troppo si vantar Spagnuoli

d'avervi su tenuta la bandiera;

ma più; da pianger n'hanno i Romagniuoli.

E quindi a filo alla dritta riviera

cacciano il legno, e fan parer che voli.

Lo volgon poi per una fossa morta,

ch'a mezzodì; presso a Ravenna il porta.

 

147

Ben che Rinaldo con pochi danari

fosse sovente, pur n'avea sì; alora,

che cortesia ne fece a' marinari,

prima che li lasciasse alla buon'ora.

Quindi mutando bestie e cavallari,

Arimino passò; la sera ancora;

né; in Montefiore aspetta il matutino,

e quasi a par col sol giunge in Urbino.

 

148

Quivi non era Federico allora,

né; l'Issabetta, né; 'l buon Guido v'era,

né; Francesco Maria, ne Leonora,

che con cortese forza e non altiera

avesse astretto a far seco dimora

sì; famoso guerrier più; d'una sera;

come fer già; molti anni, ed oggi fanno

a donne e a cavallier che di là; vanno.

 

149

Poi che quivi alla briglia alcun nol prende,

smonta Rinaldo a Cagli alla via dritta.

Pel monte che 'l Metauro o il Gauno fende,

passa Apennino e più; non l'ha a man ritta;

passa gli Ombri e gli Etrusci, e a Roma scende;

da Roma ad Ostia; e quindi si tragitta

per mare alla cittade a cui commise

il pietoso figliuol l'ossa d'Anchise.

 

150

Muta ivi legno, e verso l'isoletta

di Lipadusa fa ratto levarsi;

quella che fu dai combattenti eletta,

ed ove già; stati erano a trovarsi.

Insta Rinaldo, e gli nocchieri affretta,

ch'a vela e a remi fan ciò; che può; farsi;

ma i venti avversi e per lui mal gagliardi,

lo fecer, ma di poco, arrivar tardi.

 

151

Giunse ch'a punto il principe d'Anglante

fatta avea l'utile opra e gloriosa:

avea Gradasso ucciso ed Agramante,

ma con dura vittoria e sanguinosa.

Morto n'era il figliuol di Monodante;

e di grave percossa e perigliosa

stava Olivier languendo in su l'arena,

e del piè; guasto avea martì;re e pena.

 

152

Tener non poté; il conte asciutto il viso,

quando abbracciò; Rinaldo, e che narrolli

che gli era stato Brandimarte ucciso,

che tanta fede e tanto amor portolli.

Né; men Rinaldo, quando sì; diviso

vide il capo all'amico, ebbe occhi molli:

poi quindi ad abbracciar si fu condotto

Olivier che sedea col piede rotto.

 

153

La consolazion che seppe, tutta

diè; lor, ben che per sé; tor non la possa;

che giunto si vedea quivi alle frutta,

anzi poi che la mensa era rimossa.

Andaro i servi alla città; distrutta,

e di Gradasso e d'Agramante l'ossa

ne le ruine ascoser di Biserta,

e quivi divulgar la cosa certa.

 

154

De la vittoria ch'avea avuto Orlando,

s'allegrò; Astolfo e Sansonetto molto;

non sì; però;, come avrian fatto, quando

non fosse a Brandimarte il lume tolto.

Sentir lui morto il gaudio va scemando

sì;, che non ponno asserenare il volto.

Or chi sarà; di lor, ch'annunzio voglia

a Fiordiligi dar di sì; gran doglia?

 

155

La notte che precesse a questo giorno,

Fiordiligi sognò; che quella vesta

che, per mandarne Brandimarte adorno,

avea trapunta e di sua man contesta,

vedea per mezzo sparsa e d'ogn'intorno

di gocce rosse, a guisa di tempesta:

parea che di sua man così; l'avesse

riccamata ella, e poi se ne dogliessse.

 

156

E parea dir: - Pur hammi il signor mio

commesso ch'io la faccia tutta nera:

or perché; dunque riccamata holl'io

contra sua voglia in sì; strana maniera? -

Di questo sogno fe' giudicio rio;

poi la novella giunse quella sera:

ma tanto Astolfo ascosa le la tenne,

ch'a lei con Sansonetto se ne venne.

 

157

Tosto ch'entraro, e ch'ella loro il viso

vide di gaudio in tal vittoria privo;

senz'altro annunzio sa, senz'altro avviso,

che Brandimarte suo non è; più; vivo.

Di ciò; le resta il cor così; conquiso,

e così; gli occhi hanno la luce a schivo,

e così; ogn'altro senso se le serra,

che come morta andar si lascia in terra.

 

158

Al tornar de lo spirto, ella alle chiome

caccia le mani; ed alle belle gote,

indarno ripetendo il caro nome,

fa danno ed onta più; che far lor puote:

straccia i capelli e sparge; e grida, come

donna talor che 'l demon rio percuote,

o come s'ode che già; a suon di corno

Menade corse, ed aggirossi intorno.

 

159

Or questo or quel pregando va, che porto

le sia un coltel, sì; che nel cor si fera:

or correr vuol là; dove il legno in porto

dei duo signor defunti arrivato era,

e de l'uno e de l'altro così; morto

far crudo strazio e vendetta acra e fiera:

or vuol passare il mare, e cercar tanto,

che possa al suo signor morire a canto.

 

160

- Deh perché;, Brandimarte, ti lasciai

senza me andare a tanta impresa? (disse).

Vedendoti partir, non fu più; mai

che Fiordiligi tua non ti seguisse.

T'avrei giovato, s'io veniva, assai,

ch'avrei tenute in te le luci fisse;

e se Gradasso avessi dietro avuto,

con un sol grido io t'avrei dato aiuto;

 

161

o forse esser potrei stata sì; presta,

ch'entrando in mezzo, il colpo t'avrei tolto:

fatto scudo t'avrei con la mia testa;

che morendo io, non era il danno molto.

Ogni modo io morrò;; né; fia di questa

dolente morte alcun profitto colto,

che, quando io fossi morta in tua difesa,

non potrei meglio aver la vita spesa.

 

162

Se pur ad aiutarti i duri fati

avessi avuti e tutto il cielo avverso,

gli ultimi baci almeno io t'avrei dati,

almen t'avrei di pianto il viso asperso;

e prima che con gli angeli beati

fosse lo spirto al suo Fattor converso,

detto gli avrei: Va in pace, e là; m'aspetta;

ch'ovunque sei, son per seguirti in fretta.

 

163

è; questo, Brandimarte, è; questo il regno

di che pigliar lo scettro ora dovevi?

Or così; teco a Dammogire io vegno?

così; nel real seggio mi ricevi?

Ah Fortuna crudel, quanto disegno

mi rompi! oh che speranze oggi mi levi!

Deh, che cesso io, poi c'ho perduto questo

tanto mio ben, ch'io non perdo anco il resto? -

 

164

Questo ed altro dicendo, in lei risorse

il furor con tanto impeto e la rabbia,

ch'a stracciare il bel crin di nuovo corse,

come il bel crin tutta la colpa n'abbia.

Le mani insieme si percosse e morse,

nel sen si cacciò; l'ugne e ne le labbia.

Ma torno a Orlando ed a' compagni, intanto

ch'ella si strugge e si consuma in pianto.

 

165

Orlando, col cognato che non poco

bisogno avea di medico e di cura,

ed altretanto, perché; in degno loco

avesse Brandimarte sepultura,

verso il monte ne va che fa col fuoco

chiara la notte, e il dì; di fumo oscura.

Hanno propizio il vento, e a destra mano

non e quel lito lor molto lontano.

 

166

Con fresco vento ch'in favor veniva,

sciolser la fune al declinar del giorno,

mostrando lor la taciturna diva

la dritta via col luminoso corno;

e sorser l'altro dì; sopra la riva

ch'amena giace ad Agringento intorno.

Quivi Orlando ordinò; per l'altra sera

ciò; ch'a funeral pompa bisogno era.

 

167

Poi che l'ordine suo vide essequito,

essendo omai del sole il lume spento,

fra molta nobiltà; ch'era allo 'nvito

de' luoghi intorno corsa in Agringento,

d'accesi torchi tutto ardendo 'l lito,

e di grida sonando e di lamento,

tornò; Orlando ove il corpo fu lasciato,

che vivo e morto avea con fede amato.

 

168

Quivi Bardin di soma d'anni grave

stava piangendo alla bara funè;bre,

che pel gran pianto ch'avea fatto in nave,

dovrì;a gli occhi aver pianti e le palpè;bre.

Chiamando il ciel crudel, le stelle prave,

ruggia come un leon ch'abbia la febre.

Le mani erano intanto empie e ribelle

ai crin canuti e alla rugosa pelle.

 

169

Levossi, al ritornar del paladino,

maggiore il grido, e raddoppiossi il pianto.

Orlando, fatto al corpo più; vicino,

senza parlar stette a mirarlo alquanto,

pallido come colto al matutino

è; da sera il ligustro o il molle acanto;

e dopo un gran sospir, tenendo fisse

sempre le luci in lui, così; gli disse:

 

170

- O forte, o caro, o mio fedel compagno,

che qui sei morto, e so che vivi in cielo,

e d'una vita v'hai fatto guadagno,

che non ti può; mai tor caldo né; gielo,

perdonami, se ben vedi ch'io piagno;

perché; d'esser rimaso mi querelo,

e ch'a tanta letizia io non son teco;

non già; perché; qua giù; tu non sia meco.

 

171

Solo senza te son; né; cosa in terra

senza te posso aver più;, che mi piaccia.

Se teco era in tempesta e teco in guerra,

perché; non anco in ozio ed in bonaccia?

Ben grande e 'l mio fallir, poi che mi serra

di questo fango uscir per la tua traccia.

Se negli affanni teco fui, perch'ora

non sono a parte del guadagno ancora?

 

172

Tu guadagnato, e perdita ho fatto io:

sol tu all'acquisto, io non son solo al danno.

Partecipe fatto e del dolor mio

l'Italia, il regno franco e l'alemanno.

Oh quanto, quanto il mio signore e zio,

oh quanto i paladin da doler s'hanno!

quanto l'Imperio e la cristiana Chiesa,

che perduto han la sua maggior difesa!

 

173

Oh quanto si torrà; per la tua morte

di terrore a' nimici e di spavento!

Oh quanto Pagania sarà; più; forte!

quanto animo n'avrà;, quanto ardimento!

Oh come star ne dee la tua consorte!

Sin qui ne veggo il pianto, e 'l grido sento.

So che m'accusa, e forse odio mi porta,

che per me teco ogni sua speme è; morta.

 

174

Ma, Fiordiligi, almen resti un conforto

a noi che sià;n di Brandimarte privi;

ch'invidiar lui con tanta gloria morto

denno tutti i guerrier ch'oggi son vivi.

Quei Deci, e quel nel roman foro absorto,

quel sì; lodato Codro dagli Argivi,

non con più; altrui profitto e più; suo onore

a morte si donar, del tuo signore. -

 

175

Queste parole ed altre dicea Orlando.

Intanto i bigi, i bianchi, i neri frati,

e tutti gli altri chierci, seguitando

andavan con lungo ordine accoppiati,

per l'alma del defunto Dio pregando,

che gli donasse requie tra' beati.

Lumi inanzi e per mezzo e d'ogn'intorno,

mutata aver parean la notte in giorno.

 

176

Levan la bara, ed a portarla foro

messi a vicenda conti e cavallieri.

Purpurea seta la copria, che d'oro

e di gran perle avea compassi altieri:

di non men bello e signoril lavoro

avean gemmati e splendidi origlieri;

e giacea quivi il cavallier con vesta

di color pare, e d'un lavor contesta.

 

177

Trecento agli altri eran passati inanti,

de' più; poveri tolti de la terra,

parimente vestiti tutti quanti

di panni negri e lunghi sin a terra.

Cento paggi seguian sopra altretanti

grossi cavalli e tutti buoni a guerra;

e i cavalli coi paggi ivano il suolo

radendo col lor abito di duolo.

 

178

Molte bandiere inanzi e molte dietro,

che di diverse insegne eran dipinte,

spiegate accompagnavano il ferè;tro;

le quai già; tolte a mille schiere vinte,

e guadagnate a Cesare ed a Pietro

avean le forze ch'or giaceano estinte.

Scudi v'erano molti, che di degni

guerrieri, a chi fur tolti, aveano i segni.

 

179

Venian cento e cent'altri a diversi usi

de l'esequie ordinati; ed avean questi,

come anco il resto, accesi torchi; e chiusi,

più; che vestiti, eran di nere vesti.

Poi seguia Orlando, e ad or ad or suffusi

di lacrime avea gli occhi e rossi e mesti;

né; più; lieto di lui Rinaldo venne:

il piè; Olivier, che rotto avea, ritenne.

 

180

Lungo sarà; s'io vi vo' dire in versi

le cerimonie, e raccontarvi tutti

i dispensati manti oscuri e persi,

gli accesi torchi che vi furon strutti.

Quindi alla chiesa catedral conversi,

dovunque andar, non lasciaro occhi asciutti:

sì; bel, sì; buon, sì; giovene a pietade

mosse ogni sesso, ogni ordine, ogni etade.

 

181

Fu posto in chiesa; e poi che da le donne

di lacrime e di pianti inutil opra,

e che dai sacerdoti ebbe eleisonne

e gli altri santi detti avuto sopra,

in una arca il serbar su due colonne:

e quella vuole Orlando che si cuopra

di ricco drappo d'or, sin che reposto

in un sepulcro sia di maggior costo.

 

182

Orlando di Sicilia non si parte,

che manda a trovar porfidi e alabastri.

Fece fare il disegno, e di quell'arte

inarrar con gran premio i miglior mastri.

Fe' le lastre, venendo in questa parte,

poi drizzar Fiordiligi, e i gran pilastri;

che quivi (essendo Orlando già; partito)

si fe' portar da l'africano lito.

 

183

E vedendo le lacrime indefesse,

ed ostinati a uscir sempre i sospiri,

né; per far sempre dire uffici e messe,

mai satisfar potendo a' suoi disiri;

di non partirsi quindi in cor si messe,

fin che del corpo l'anima non spiri:

e nel sepolcro fe' fare una cella,

e vi si chiuse, e fe' sua vita in quella.

 

184

Oltre che messi e lettere le mande,

vi va in persona Orlando per levarla.

Se viene in Francia, con pension ben grande

compagna vuol di Galerana farla:

quando tornare al padre anco domande,

sin alla Lizza vuole accompagnarla:

edificar le vuole un monastero,

quando servire a Dio faccia pensiero.

 

185

Stava ella nel sepulcro; e quivi attrita

da penitenza, orando giorno e notte,

non durò; lunga età;, che di sua vita

da la Parca le fur le fila rotte.

Già; fatto avea da l'isola partita,

ove i Ciclopi avean l'antique grotte,

i tre guerrier di Francia, afflitti e mesti

che 'l quarto lor compagno a dietro resti.

 

186

Non volean senza medico levarsi,

che d'Olivier s'avesse a pigliar cura;

la qual, perché; a principio mal pigliarsi

poté;, fatt'era faticosa e dura:

e quello udiano in modo lamentarsi,

che del suo caso avean tutti paura.

Tra lor di ciò; parlando, al nocchier nacque

un pensiero, e lo disse; e a tutti piacque.

 

187

Disse ch'era di là; poco lontano

in un solingo scoglio uno eremita,

a cui ricorso mai non s'era invano,

o fosse per consiglio o per aita;

e facea alcuno effetto soprumano,

dar lume a ciechi, e tornar morti a vita,

fermare il vento ad un segno di croce,

e far tranquillo il mar quando è; più; atroce:

 

188

e che non denno dubitare, andando

a ritrovar quel uomo a Dio sì; caro,

che lor non renda Olivier sano, quando

fatto ha di sua virtù; segno più; chiaro.

Questo consiglio sì; piacque ad Orlando,

che verso il santo loco si drizzaro;

né; mai piegando dal camin la prora,

vider lo scoglio al sorger de l'aurora.

 

189

Scorgendo il legno uomini in acqua dotti,

sicuramente s'accostaro a quello.

Quivi aiutando servi e galeotti,

declinano il marchese nel battello:

e per le spumose onde fur condotti

nel duro scoglio, ed indi al santo ostello;

al santo ostello, a quel vecchio medesmo,

per le cui mani ebbe Ruggier battesmo.

 

190

Il servo del Signor del paradiso

raccolse Orlando ed i compagni suoi,

e benedilli con giocondo viso,

e de' lor casi dimandolli poi;

ben che de lor venuta avuto avviso

avesse prima dai celesti eroi.

Orlando gli rispose esser venuto

per ritrovare al suo Oliviero aiuto;

 

191

ch'era, pugnando per la fé; di Cristo,

a periglioso termine ridutto.

Levò;gli il santo ogni sospetto tristo,

e gli promisse di sanarlo in tutto.

Né; d'unguento trovandosi provisto,

né; d'altra umana medicina istrutto,

andò; alla chiesa, ed orò; al Salvatore;

ed indi uscì; con gran baldanza fuore:

 

192

e in nome de le eterne tre Persone,

Padre e Figliuolo e Spirto Santo, diede

ad Olivier la sua benedizione.

Oh virtù; che dà; Cristo a chi gli crede!

Cacciò; dal cavalliero ogni passione,

e ritornolli a sanitade il piede,

più; fermo e più; espedito che mai fosse:

e presente Sobrino a ciò; trovosse.

 

193

Giunto Sobrin de le sue piaghe a tanto,

che star peggio ogni giorno se ne sente,

tosto che vede del monaco santo

il miracolo grande ed evidente,

si dispon di lasciar Macon da canto,

e Cristo confessar vivo e potente:

e domanda con cor di fede attrito,

d'iniciarsi al nostro sacro rito.

 

194

Così; l'uom giusto lo battezza, ed anco

gli rende, orando, ogni vigor primiero.

Orlando e gli altri cavallier non manco

di tal conversion letizia fero,

che di veder che liberato e franco

del periglioso mal fosse Oliviero.

Maggior gaudio degli altri Ruggier ebbe;

e molto in fede e in devozione accrebbe.

 

195

Era Ruggier dal dì; che giunse a nuoto

su questo scoglio, poi statovi ognora.

Fra quei guerrieri il vecchiarel devoto

sta dolcemente, e li conforta ed ora

a voler, schivi di pantano e loto,

mondi passar per questa morta gora

c'ha nome vita, che sì; piace a' sciocchi;

ed alla via del ciel sempre aver gli occhi.

 

196

Orlando un suo mandò; sul legno, e trarne

fece pane e buon vin, cacio e persutti;

e l'uom di Dio, ch'ogni sapor di starne

pose in oblio, poi ch'avvezzossi a' frutti,

per carità; mangiar fecero carne,

e ber del vino, e far quel che fer tutti.

Poi ch'alla mensa consolati foro,

di molte cose ragionar tra loro.

 

197

E come accade nel parlar sovente,

ch'una cosa vien l'altra dimostrando,

Ruggier riconosciuto finalmente

fu da Rinaldo, da Olivier, da Orlando,

per quel Ruggiero in arme sì; eccellente,

il cui valor s'accorda ognun lodando:

né; Rinaldo l'avea raffigurato

per quel che provò; già; ne lo steccato.

 

198

Ben l'avea il re Sobrin riconosciuto,

tosto che 'l vide col vecchio apparire;

ma volse inanzi star tacito e muto,

che porsi in aventura di fallire.

Poi ch'a notizia agli altri fu venuto

che questo era Ruggier, di cui l'ardire,

la cortesia e 'l valore alto e profondo

si facea nominar per tutto il mondo;

 

199

e sapendosi già; ch'era cristiano,

tutti con lieta e con serena faccia

vengono a lui: chi gli tocca la mano,

e chi lo bacia, e chi lo stringe e abbraccia.

Sopra gli altri il signor di Montalbano

d'accarezzarlo e fargli onor procaccia.

Perch'esso più; degli altri, io 'l serbo a dire

ne l'altro canto, se 'l vorrete udire.

 

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CANTO QUARANTAQUATTRESIMO

 

 

1

Spesso in poveri alberghi e in picciol tetti,

ne le calamitadi e nei disagi,

meglio s'aggiungon d'amicizia i petti,

che fra ricchezze invidiose ed agi

de le piene d'insidie e di sospetti

corti regali e splendidi palagi,

ove la caritade è; in tutto estinta,

né; si vede amicizia, se non finta.

 

2

Quindi avvien che tra principi e signori

patti e convenzion son sì; frali.

Fan lega oggi re, papi e imperatori;

doman saran nimici capitali:

perché;, qual l'apparenze esteriori,

non hanno i cor, non han gli animi tali;

che non mirando al torto più; ch'al dritto,

attendon solamente al lor profitto.

 

3

Questi, quantunque d'amicizia poco

sieno capaci, perché; non sta quella

ove per cose gravi, ove per giuoco

mai senza finzion non si favella;

pur, se talor gli ha tratti in umil loco

insieme una fortuna acerba e fella,

in poco tempo vengono a notizia

(quel che in molto non fer) de l'amicizia.

 

4

Il santo vecchiarel ne la sua stanza

giunger gli ospiti suoi con nodo forte

ad amor vero meglio ebbe possanza,

ch'altri non avria fatto in real corte.

Fu questo poi di tal perseveranza,

che non si sciolse mai fin alla morte.

Il vecchio li trovò; tutti benigni,

candidi più; nel cor, che di fuor cigni.

 

5

Trovolli tutti amabili e cortesi,

non de la iniquità; ch'io v'ho dipinta

di quei che mai non escono palesi,

ma sempre van con apparenza finta.

Di quanto s'eran per adietro offesi

ogni memoria fu tra loro estinta;

e se d'un ventre fossero e d'un seme,

non si potriano amar più; tutti insieme.

 

6

Sopra gli altri il signor di Montalbano

accarezzava e riveria Ruggiero;

sì; perché; già; l'avea con l'arme in mano

provato quanto era animoso e fiero,

sì; per trovarlo affabile ed umano

più; che mai fosse al mondo cavalliero:

ma molto più;, che da diverse bande

si conoscea d'avergli obligo grande.

 

7

Sapea che di gravissimo periglio

egli avea liberato Ricciardetto,

quando il re ispano gli fe' dar di piglio

e con la figlia prendere nel letto;

e ch'avea tratto l'uno e l'altro figlio

del duca Buovo (com'io v'ho detto)

di man dei Saracini e dei malvagi

ch'eran col maganzese Bertolagi.

 

8

Questo debito a lui parea di sorte,

ch'ad amar lo stringeano e ad onorarlo;

e gli ne dolse e gli ne 'ncrebbe forte,

che prima non avea potuto farlo,

quando era l'un ne l'africana corte,

e l'altro agli servigi era di Carlo.

Or che fatto cristian quivi lo trova,

quel che non fece prima, or far gli giova.

 

9

Proferte senza fine, onore e festa

fece a Ruggiero il paladin cortese.

Il prudente eremita, come questa

benivolenza vide, adito prese.

Entrò; dicendo: - A fare altro non resta

(e lo spero ottener senza contese),

che come l'amicizia è; tra voi fatta,

tra voi sia ancora affinità; contratta;

 

10

acciò; che de le due progenie illustri

che non han par di nobiltade al mondo,

nasca un lignaggio che più; chiaro lustri,

che 'l chiaro sol, per quanto gira a tondo;

e come andran più; inanzi ed anni e lustri,

sarà; più; bello, e durerà; (secondo

che Dio m'ispira, acciò; ch'a voi nol celi)

fin che terran l'usato corso i cieli. -

 

11

E seguitando il suo parlar più; inante,

fa il santo vecchio sì;, che persuade

che Rinaldo a Ruggier dia Bradamante,

ben che pregar né; l'un né; l'altro accade.

Loda Olivier col principe d'Anglante,

che far si debba questa affinitade;

il che speran ch'approvi Amone e Carlo,

e debba tutta Francia commendarlo.

 

12

Così; dicean; ma non sapean ch'Amone,

con voluntà; del figlio di Pipino,

n'avea dato in quei giorni intenzione

all'imperator greco Costantino,

che gliele domandava per Leone

suo figlio e successor nel gran domì;no.

Se n'era, pel valor che n'avea inteso,

senza vederla, il giovinetto acceso.

 

13

Riposto gli avea Amon, che da sé; solo

non era per concludere altramente,

né; pria che ne parlasse col figliuolo

Rinaldo, da la corte allora assente;

il qual credea che vi verrebbe a volo,

e che di grazia avria sì; gran parente:

pur, per molto rispetto che gli avea,

risolver senza lui non si volea.

 

14

Or Rinaldo lontan dal padre, quella

pratica imperial tutta ignorando,

quivi a Ruggier promette la sorella

di suo parere, e di parer d'Orlando

e degli altri ch'avea seco alla cella,

ma sopra tutti l'eremita instando:

e crede veramente che piacere

debba ad Amon quel parentado avere.

 

15

Quel dì; e la notte, e del seguente giorno

steron gran parte col monaco saggio,

quasi obliando al legno far ritorno,

ben che il vento spirasse al lor viaggio.

Ma i lor nocchieri, a cui tanto soggiorno

increscea omai, mandar più; d'un messaggio,

che sì; li stimular de la partita,

ch'a forza li spiccar da l'eremita.

 

16

Ruggier che stato era in esilio tanto,

né; da lo scoglio avea mai mosso il piede,

tolse licenza da quel mastro santo

ch'insegnata gli avea la vera fede.

La spada Orlando gli rimesse a canto,

l'arme d'Ettorre, e il buon Frontin gli diede;

sì; per mostrar del suo amor segno espresso,

sì; per saper che dianzi erano d'esso.

 

17

E quantunque miglior ne l'incantata

spada ragione avesse il paladino,

che con pena e travaglio già; levata

l'avea dal formidabile giardino,

che non avea Ruggiero a cui donata

dal ladro fu, che gli diè; ancor Frontino;

pur volentier gliele donò; col resto

de l'arme, tosto che ne fu richiesto.

 

18

Fur benedetti dal vecchio devoto,

e sul navilio al fin si ritornaro.

I remi all'acqua, e dier le vele al Noto;

e fu lor sì; sereno il tempo e chiaro,

che non vi bisognò; priego né; voto,

fin che nel porto di Marsilia entraro.

Ma quivi stiano tanto, ch'io conduca

insieme Astolfo, il glorioso duca.

 

19

Poi che de la vittoria Astolfo intese,

che sanguinosa e poco lieta s'ebbe;

vedendo che sicura da l'offese

d'Africa oggimai Francia esser potrebbe,

pensò; che 'l re de' Nubi in suo paese

con l'esercito suo rimanderebbe

per la strada medesima che tenne

quando contra Biserta se ne venne.

 

20

L'armata che i pagan roppe ne l'onde,

già; rimandata avea il figliuol d'Ugiero;

di cui, nuovo miracolo, le sponde

(tosto che ne fu uscito il popul nero)

e le poppe e le prore mutò; in fronde,

e ritornolle al suo stato primiero:

poi venne il vento, e come cosa lieve

levolle in aria, e fe' sparire in breve.

 

21

Chi a piedi e chi in arcion tutte partita

d'Africa fer le nubiane schiere.

Ma prima Astolfo si chiamò; infinita

grazia al Senapo ed immortale avere;

che gli venne in persona a dare aita

con ogni sforzo ed ogni suo potere.

Astolfo lor ne l'uterino claustro

a portar diede il fiero e turbido austro.

 

22

Negli utri, dico, il vento diè; lor chiuso,

ch'uscir di mezzodì; suol con tal rabbia,

che muove a guisa d'onde, e leva in suso,

e ruota fin in ciel l'arrida sabbia;

acciò; se lo portassero a lor uso,

che per camino a far danno non abbia;

e che poi, giunti ne la lor regione,

avessero a lassar fuor di prigione.

 

23

Scrive Turpino, come furo ai passi

de l'alto Atlante, che i cavalli loro

tutti in un tempo diventaron sassi;

sì; che, come venir, se ne tornoro.

Ma tempo è; omai ch'Astolfo in Francia passi;

e così;, poi che del paese moro

ebbe provisto ai luoghi principali,

all'ippogrifo suo fe' spiegar l'ali.

 

24

Volò; in Sardigna in un batter di penne,

e di Sardigna andò; nel lito corso;

e quindi sopra il mar la strada tenne,

torcendo alquanto a man sinistra il morso.

Ne le maremme all'ultimo ritenne

de la ricca Provenza il leggier corso;

dove seguì; de l'ippogrifo quanto

gli disse già; l'evangelista santo.

 

25

Hagli commesso il santo evangelista,

che più;, giunto in Provenza, non lo sproni;

e ch'all'impeto fier più; non resista

con sella e fren, ma libertà; gli doni.

Già; avea il più; basso ciel che sempre acquista

del perder nostro, al corno tolti i suoni;

che muto era restato, non che roco,

tosto ch'entrò; 'l guerrier nel divin loco.

 

26

Venne Astolfo a Marsilia, e venne a punto

il dì; che v'era Orlando ed Oliviero

e quel da Montalbano insieme giunto

col buon Sobrino e col meglior Ruggiero.

La memoria del sozio lor defunto

vietò; che i paladini non potero

insieme così; a punto rallegrarsi,

come in tanta vittoria dovea farsi.

 

27

Carlo avea di Sicilia avuto avviso

dei duo re morti e di Sobrino preso,

e ch'era stato Brandimarte ucciso;

poi di Ruggiero avea non meno inteso:

e ne stava col lor lieto e col viso

d'aver gittato intolerabil peso,

che gli fu sopra gli omeri sì; greve,

che starà; un pezzo pria che si rileve.

 

28

Per onorar costor ch'eran sostegno

del santo Imperio e la maggior colonna,

Carlo mandò; la nobiltà; del regno

ad incontrarli fin sopra la Sonna.

Egli uscì; poi col suo drappel più; degno

di re e di duci, e con la propria donna,

fuor de le mura, in compagnia di belle

e ben ornate e nobili donzelle.

 

29

L'imperator con chiara e lieta fronte,

i paladini e gli amici e i parenti,

la nobiltà;, la plebe fanno al conte

ed agli altri d'amor segni evidenti:

gridar s'ode Mongrana e Chiaramonte.

Sì; tosto non finir gli abbracciamenti,

Rinaldo e Orlando insieme ed Oliviero

al signor loro appresentar Ruggiero;

 

30

e gli narrar che di Ruggier di Risa

era figliuol, di virtù; uguale al padre:

se sia animoso e forte, ed a che guisa

sappia ferir, san dir le nostre squadre.

Con Bradamante in questo vien Marfisa,

le due compagne nobili e leggiadre:

ad abbracciar Ruggier vien la sorella;

con più; rispetto sta l'altra donzella.

 

31

L'imperator Ruggier fa risalire,

ch'era per riverenza sceso a piede,

e lo fa a par a par seco venire,

e di ciò; ch'a onorarlo si richiede,

un punto sol non lassa preterire.

Ben sapea che tornato era alla fede;

che tosto che i guerrier furo all'asciutto,

certificato avean Carlo del tutto.

 

32

Con pompa trionfal, con festa grande

tornaro insieme dentro alla cittade,

che di frondi verdeggia e di ghirlande:

coperte a panni son tutte le strade:

nembo d'erbe e di fior d'alto si spande,

e sopra e intorno ai vincitori cade,

che da verroni e da finestre amene

donne e donzelle gittano a man piene.

 

33

Al volgersi dei canti in vari lochi

trovano archi e trofei subito fatti,

che di Biserta le ruine e i fochi

mostran dipinti, ed altri degni fatti;

altrove palchi con diversi giuochi

e spettacoli e mimmi e scenici atti:

ed è; per tutti i canti il titol vero

scritto: - Ai liberatori de l'Impero. -

 

34

Fra il suon d'argute trombe e di canore

pifare e d'ogni musica armonia,

fra riso e plauso, iubilo e favore

del populo ch'a pena vi capia,

smontò; al palazzo il magno imperatore,

ove più; giorni quella compagnia

con torniamenti, personaggi e farse,

danze e conviti attese a dilettarse.

 

35

Rinaldo un giorno al padre fe' sapere

che la sorella a Ruggier dar volea;

ch'in presenza d'Orlando per mogliere,

e d'Olivier, promessa glie l'avea;

li quali erano seco d'un parere,

che parentado far non si potea

per nobiltà; di sangue e per valore,

che fosse a questo par, non che migliore.

 

36

Ode Amone il figliuol con qualche sdegno,

che, senza conferirlo seco, gli osa

la figlia maritar, ch'esso ha disegno

che del figliuol di Costantin sia sposa,

non di Ruggier, il qual non ch'abbi regno,

ma non può; al mondo dir: questa è; mia cosa;

né; sa che nobiltà; poco si prezza,

e men virtù;, se non v'è; ancor ricchezza.

 

37

Ma più; d'Amon la moglie Beatrice

biasma il figliuolo e chiamalo arrogante;

e in segreto e in palese contradice

che di Ruggier sia moglie Bradamante:

a tutta sua possanza imperatrice

ha disegnato farla di Levante.

Sta Rinaldo ostinato che non vuole

che manchi un iota de le sue parole.

 

38

La madre, ch'aver crede alle sue voglie

la magnanima figlia, la conforta

che dica che, più; tosto ch'esser moglie

d'un pover cavallier, vuole esser morta;

né; mai più; per figliuola la raccoglie,

se questa ingiuria dal fratel sopporta:

nieghi pur con audacia, e tenga saldo;

che per sforzar non la sarà; Rinaldo.

 

39

Sta Bradamante tacita, né; al detto

de la madre s'arrisca a contradire;

che l'ha in tal riverenza e in tal rispetto,

che non potria pensar non l'ubbidire.

Da l'altra parte terria gran difetto,

se quel che non vuol far, volesse dire.

Non vuol, perché; non può;; che 'l poco e 'l molto

poter di sé; disporre Amor le ha tolto.

 

40

Né; negar, né; mostrarsene contenta

s'ardisce; e sol sospira, e non risponde:

poi quando è; in luogo ch'altri non la senta,

versan lacrime gli occhi a guisa d'onde;

e parte del dolor che la tormenta,

sentir fa al petto ed alle chiome bionde,

che l'un percuote, e l'altro straccia e frange;

e così; parla, e così; seco piange:

 

41

- Ahimè; ! vorrò; quel che non vuol chi deve

poter del voler mio più; che poss'io?

Il voler di mia madre avrò; in sì; lieve

stima, ch'io lo posponga al voler mio?

Deh! qual peccato puote esser sì; grieve

a una donzella, qual biasmo sì; rio,

come questo sarà;, se, non volendo

chi sempre ho da ubbidir, marito prendo?

 

42

Avrà;, misera me! dunque possanza

la materna pietà;, ch'io t'abandoni,

o mio Ruggiero, e ch'a nuova speranza,

a desir nuovo, a nuovo amor mi doni?

O pur la riverenza e l'osservanza

ch'ai buoni padri denno i figli buoni,

porrò; da parte, e solo avrò; rispetto

al mio bene, al mio gaudio, al mio diletto?

 

43

So quanto, ahi lassa! debbo far, so quanto

di buona figlia al debito conviensi;

io 'l so: ma che mi val, se non può; tanto

la ragion, che non possino più; i sensi?

s'Amor la caccia e la far star da canto,

né; lassa ch'io disponga, né; ch'io pensi

di me dispor, se non quanto a lui piaccia,

e sol, quanto egli detti, io dica e faccia?

 

44

Figlia d'Amone e di Beatrice sono,

e son, misera me! serva d'Amore.

Dai genitori miei trovar perdono

spero e pietà;, s'io caderò; in errore:

ma s'io offenderò; Amor, chi sarà; buono

a schivarmi con prieghi il suo furore,

che sol voglia una di mie scuse udire,

e non mi faccia subito morire?

 

45

Ohimè;! con lunga ed ostinata prova

ho cercato Ruggier trarre alla fede;

ed hollo tratto al fin: ma che mi giova,

se 'l mio ben fare in util d'altri cede?

Così;, ma non per sé;, l'ape rinuova

il mele ogni anno, e mai non lo possiede.

Ma vo' prima morir, che mai sia vero,

ch'io pigli altro marito, che Ruggiero.

 

46

S'io non sarò; al mio padre ubbidiente,

né; alla mia madre, io sarò; al mio fratello,

che molto e molto è; più; di lor prudente,

né; gli ha la troppa età; tolto il cervello.

E a questo che Rinaldo vuol, consente

Orlando ancora; e per me ho questo e quello:

li quali duo più; onora il mondo e teme,

che l'altra nostra gente tutta insieme.

 

47

Se questi il fior, se questi ognuno stima

la gloria e lo splendor di Chiaramonte;

se sopra gli altri ognun gli alza e sublima

più; che non è; del piede alta la fronte;

perché; debbo voler che di me prima

Amon disponga, che Rinaldo e 'l conte?

Voler nol debbo, tanto men, che messa

in dubbio al Greco, e a Ruggier fui promessa.