-

 

86

Così; dicendo, le guerriere mosse

prima a pietade, e poscia a tanto sdegno,

che se, come era notte, giorno fosse,

sarian corse al castel senza ritegno.

La bella compagnia quivi pososse;

e tosto che l'Aurora fece segno

che dar dovesse al Sol loco ogni stella,

ripigliò; l'arme e si rimesse in sella.

 

87

Già; sendo in atto di partir, s'udiro

le strade risonar dietro le spalle

d'un lungo calpestio, che gli occhi in giro

fece a tutti voltar giù; ne la valle.

E lungi quanto esser potrebbe un tiro

di mano, andar per uno istretto calle

vider da forse venti armati in schiera,

di che parte in arcion, parte a pied'era;

 

88

e che traean con lor sopra un cavallo

donna ch'al viso aver parea molt'anni,

a guisa che si mena un che per fallo

a fuoco o a ceppo o a laccio si condanni:

la qual fu, non ostante l'intervallo,

tosto riconosciuta al viso e ai panni.

La riconobber queste de la villa

esser la cameriera di Drusilla:

 

89

la cameriera che con lei fu presa

dal rapace Tanacro, come ho detto,

ed a chi fu dipoi data l'impresa

di quel venen che fe' 'l crudele effetto.

Non era entrata ella con l'altre in chiesa;

che di quel che seguì; stava in sospetto:

anzi in quel tempo, de la villa uscita,

ove esser sperò; salva, era fugita.

 

90

Avuto Marganor poi di lei spia,

la qual s'era ridotta in Ostericche,

non ha cessato mai di cercar via

come in man l'abbia, acciò; l'abruci o impicche:

e finalmente l'Avarizia ria,

mossa da doni e da proferte ricche,

ha fatto ch'un baron, ch'assicurata

l'avea in sua terra, a Marganor l'ha data:

 

91

e mandata glie l'ha fin a Costanza

sopra un somier, come la merce s'usa,

legata e stretta, e toltole possanza

di far parole, e in una cassa chiusa:

onde poi questa gente l'ha ad istanza

de l'uom ch'ogni pietade ha da sé; esclusa,

quivi condotta con disegno ch'abbia

l'empio a sfogar sopra di lei sua rabbia.

 

92

Come il gran fiume che di Vesulo esce,

quanto più; inanzi e verso il mar discende,

e che con lui Lambra e Ticin si mesce,

ed Ada e gli altri onde tributo prende,

tanto più; altiero e impetuoso cresce;

così; Ruggier, quante più; colpe intende

di Marganor, così; le due guerriere

se gli fan contra più; sdegnose e fiere.

 

93

Elle fur d'odio, elle fur d'ira tanta

contra il crudel, per tante colpe, accese,

che di punirlo, mal grado di quanta

gente egli avea, conclusion si prese.

Ma dargli presta morte troppo santa

pena lor parve e indegna a tante offese;

ed era meglio fargliela sentire,

fra strazio prolungandola e martì;re.

 

94

Ma prima liberar la donna è; onesto,

che sia condotta da quei birri a morte.

Lentar di briglia col calcagno presto

fece a' presti destrier far le vie corte.

Non ebbon gli assaliti mai di questo

uno incontro più; acerbo né; più; forte;

sì; che han di grazia di lasciar gli scudi

e la donna e l'arnese, e fuggir nudi:

 

95

sì; come il lupo che di preda vada

carco alla tana, e quando più; si crede

d'esser sicur, dal cacciator la strada

e da' suoi cani attraversar si vede,

getta la soma, e dove appar men rada

la scura macchia inanzi, affretta il piede.

Già; men presti non fur quelli a fuggire,

che li fusson quest'altri ad assalire.

 

96

Non pur la donna e l'arme vi lasciaro,

ma de' cavalli ancor lasciaron molti,

e da rive e da grotte si lanciaro,

parendo lor così; d'esser più; sciolti.

Il che alle donne ed a Ruggier fu caro;

che tre di quei cavalli ebbono tolti

per portar quelle tre che 'l giorno d'ieri

feron sudar le groppe ai tre destrieri.

 

97

Quindi espediti segueno la strada

verso l'infame e dispietata villa.

Voglion che seco quella vecchia vada,

per veder la vendetta di Drusilla.

Ella che teme che non ben le accada,

lo niega indarno, e piange e grida e strilla;

ma per forza Ruggier la leva in groppa

del buon Frontino, e via con lei galoppa.

 

98

Giunseno in somma onde vedeano al basso

di molte case un ricco borgo e grosso,

che non serrava d'alcun lato il passo,

perché; né; muro intorno avea né; fosso.

Avea nel mezzo un rilevato sasso

ch'un'alta rocca sostenea sul dosso.

A quella si drizzar con gran baldanza,

ch'esser sapean di Marganor la stanza.

 

99

Tosto che son nel borgo, alcuni fanti

che v'erano alla guardia de l'entrata,

dietro chiudon la sbarra, e già; davanti

veggion che l'altra uscita era serrata:

ed ecco Marganorre, e seco alquanti

a piè; e a cavallo, e tutta gente armata;

che con brevi parole, ma orgogliose,

la ria costuma di sua terra espose.

 

100

Marfisa, la qual prima avea composta

con Bradamante e con Ruggier la cosa,

gli spronò; incontro in cambio di risposta;

e com'era possente e valorosa,

senza ch'abbassi lancia, o che sia posta

in opra quella spada sì; famosa,

col pugno in guisa l'elmo gli martella,

che lo fa tramortir sopra la sella.

 

101

Con Marfisa la giovane di Francia

spinge a un tempo il destrier, né; Ruggier resta

ma con tanto valor corre la lancia,

che sei, senza levarsela di resta,

n'uccide, uno ferito ne la pancia,

duo nel petto, un nel collo, un ne la testa:

nel sesto che fuggia l'asta si roppe,

ch'entrò; alle schene e riuscì; alle poppe.

 

102

La figliuola d'Amon quanti ne tocca

con la sua lancia d'or, tanti n'atterra:

fulmine par, che 'l cielo ardendo scocca,

che ciò; ch'incontra, spezza e getta a terra.

Il popul sgombra, chi verso la rocca,

chi verso il piano; altri si chiude e serra,

chi ne le chiese e chi ne le sue case;

né;, fuor che morti, in piazza uomo rimase.

 

103

Marfisa Marganorre avea legato

intanto con le man dietro alle rene,

ed alla vecchia di Drusilla dato,

ch'appagata e contenta se ne tiene.

D'arder quel borgo poi fu ragionato,

s'a penitenza del suo error non viene:

levi la legge ria di Marganorre,

e questa accetti, ch'essa vi vuol porre.

 

104

Non fu già; d'ottener questo fatica;

con quella gente, oltre al timor ch'avea

che più; faccia Marfisa che non dica,

ch'uccider tutti ed abbruciar volea,

di Marganorre affatto era nimica

e de la legge sua crudele e rea.

Ma 'l populo facea come i più; fanno,

ch'ubbidiscon più; a quei che più; in odio hanno.

 

105

Però; che l'un de l'altro non si fida,

e non ardisce conferir sua voglia,

lo lascian ch'un bandisca, un altro uccida,

a quel l'avere, a questo l'onor toglia.

Ma il cor che tace qui, su nel ciel grida,

fin che Dio e santi alla vendetta invoglia;

la qual, se ben tarda a venir, compensa

l'indugio poi con punizione immensa.

 

106

Or quella turba d'ira e d'odio pregna

con fatti e con mal dir cerca vendetta:

com'è; in proverbio, ognun corre a far legna

all'arbore che 'l vento in terra getta.

Sia Marganorre esempio di chi regna;

che chi mal opra, male al fine aspetta.

Di vederlo punir de' suoi nefandi

peccati, avean piacer piccioli e grandi.

 

107

Molti a chi fur le mogli o le sorelle

o le figlie o le madri da lui morte,

non più; celando l'animo ribelle,

correan per dargli di lor man la morte:

e con fatica lo difeser quelle

magnanime guerriere e Ruggier forte;

che disegnato avean farlo morire

d'affanno, di disagio e di martire.

 

108

A quella vecchia che l'odiava quanto

femina odiare alcun nimico possa,

nudo in mano lo dier, legato tanto,

che non si scioglierà; per una scossa;

ed ella, per vendetta del suo pianto,

gli andò; facendo la persona rossa

con un stimulo aguzzo ch'un villano,

che quivi si trovò;, le pose in mano.

 

109

La messaggera e le sue giovani anco,

che quell'onta non son mai per scordarsi,

non s'hanno più; a tener le mani al fianco,

né; meno che la vecchia, a vendicarsi;

ma sì; è; il desir d'offenderlo, che manco

viene il potere, e pur vorrian sfogarsi:

chi con sassi il percuote, chi con l'unge;

altra lo morde, altra cogli aghi il punge.

 

110

Come torrente che superbo faccia

lunga pioggia talvolta o nievi sciolte,

va ruinoso, e giù; da' monti caccia

gli arbori e i sassi e i campi e le ricolte;

vien tempo poi, che l'orgogliosa faccia

gli cade, e sì; le forze gli son tolte,

ch'un fanciullo, una femina per tutto

passar lo puote, e spesso a piede asciutto:

 

111

così; già; fu che Marganorre intorno

fece tremar, dovunque udiasi il nome;

or venuto è; chi gli ha spezzato il corno

di tanto orgoglio, e sì; le forze dome,

che gli puon far sin a' bambini scorno,

chi pelargli la barba e chi le chiome.

Quindi Ruggiero e le donzelle il passo

alla rocca voltar, ch'era sul sasso.

 

112

La diè; senza contrasto in poter loro

chi v'era dentro, e così; i ricchi arnesi,

ch'in parte messi a sacco, in parte foro

dati ad Ullania ed a' compagni offesi.

Ricovrato vi fu lo scudo d'oro,

e quei tre re ch'avea il tiranno presi,

li quai venendo quivi, come parmi

d'avervi detto, erano a piè; senz'armi;

 

113

perché; dal dì; che fur tolti di sella

da Bradamante, a piè; sempre eran iti

senz'arme, in compagnia de la donzella

la qual venì;a da sì; lontani liti.

Non so se meglio o peggio fu di quella,

che di lor armi non fusson guerniti.

Era ben meglio esser da lor difesa;

ma peggio assai, se ne perdean l'impresa:

 

114

perché; stata saria, com'eran tutte

quelle ch'armate avean seco le scorte,

al cimitero misere condutte

dei due fratelli, e in sacrificio morte.

Gli è; pur men che morir, mostrar le brutte

e disoneste parti, duro e forte;

e sempre questo e ogn'altro obbrobrio amorza

il poter dir che le sia fatto a forza.

 

115

Prima ch'indi si partan le guerriere,

fan venir gli abitanti a giuramento,

che daranno i mariti alle mogliere

de la terra e del tutto il reggimento;

e castigato con pene severe

sarà; chi contrastare abbia ardimento.

In somma quel ch'altrove è; del marito,

che sia qui de la moglie è; statuito.

 

116

Poi si feccion promettere ch'a quanti

mai verrian quivi, non darian ricetto,

o fosson cavallieri, o fosson fanti,

né; 'ntrar li lascerian pur sotto un tetto,

se per Dio non giurassino e per santi,

o s'altro giuramento v'è; più; stretto,

che sarian sempre de le donne amici,

e dei nimici lor sempre nimici;

 

117

e s'avranno in quel tempo, e se saranno,

tardi o più; tosto, mai per aver moglie,

che sempre a quelle sudditi saranno,

e ubbidienti a tutte le lor voglie.

Tornar Marfisa, prima ch'esca l'anno,

disse, e che perdan gli arbori le foglie;

e se la legge in uso non trovasse,

fuoco e ruina il borgo s'aspettasse.

 

118

Né; quindi si partir, che de l'immondo

luogo dov'era, fer Drusilla torre,

e col marito in uno avel, secondo

ch'ivi potean più; riccamente porre.

La vecchia facea intanto rubicondo

con lo stimulo il dosso a Marganorre:

sol si dolea di non aver tal lena,

che potesse non dar triegua alla pena.

 

119

L'animose guerriere a lato un tempio

videno quivi una colonna in piazza,

ne la qual fatt'avea quel tiranno empio

scriver la legge sua crudele e pazza.

Elle, imitando d'un trofeo l'esempio,

lo scudo v'attaccaro e la corazza

di Marganorre e l'elmo; e scriver fenno

la legge appresso, ch'esse al loco denno.

 

120

Quivi s'indugiar tanto, che Marfisa

fe' por la legge sua ne la colonna,

contraria a quella che già; v'era incisa

a morte ed ignominia d'ogni donna.

Da questa compagnia restò; divisa

quella d'Islanda, per rifar la gonna;

che comparire in corte obbrobrio stima,

se non si veste ed orna come prima.

 

121

Quivi rimase Ullania; e Marganorre

di lei restò; in potere: ed essa poi,

perché; non s'abbia in qualche modo a sciorre,

e le donzelle un'altra volta annoi,

lo fe' un giorno saltar giù; d'una torre,

che non fe' il maggior salto a' giorni suoi.

Non più; di lei, né; più; dei suoi si parli,

ma de la compagnia che va verso Arli.

 

122

Tutto quel giorno, e l'altro fin appresso

l'ora di terza andaro; e poi che furo

giunti dove in due strade è; il camin fesso

(l'una va al campo, e l'altra d'Arli al muro),

tornar gli amanti ad abbracciarsi, e spesso

a tor commiato, e sempre acerbo e duro.

Al fin le donne in campo, e in Arli è; gito

Ruggiero; ed io il mio canto ho qui finito.

 

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CANTO TRENTOTTESIMO

 

 

1

Cortesi donne, che benigna udienza

date a' miei versi, io vi veggo al sembiante,

che quest'altra sì; subita partenza

che fa Ruggier da la sua fida amante,

vi dà; gran noia, e avete displicenza

poco minor ch'avesse Bradamante;

e fate anco argumento ch'esser poco

in lui dovesse l'amoroso fuoco.

 

2

Per ogni altra cagion ch'allontanato

contra la voglia d'essa se ne fusse,

ancor ch'avesse più; tesor sperato

che Creso o Crasso insieme non ridusse,

io crederia con voi, che penetrato

non fosse al cor lo stral che lo percusse;

ch'un almo gaudio, un così; gran contento

non potrebbe comprare oro né; argento.

 

3

Pur, per salvar l'onor, non solamente

d'escusa, ma di laude è; degno ancora;

per salvar, dico, in caso ch'altrimente

facendo, biasmo ed ignominia fôra:

e se la donna fosse renitente

ed ostinata in fargli far dimora,

darebbe di sé; indizio e chiaro segno

o d'amar poco o d'aver poco ingegno.

 

4

Che se l'amante de l'amato deve

la vita amar più; de la propria, o tanto

(io parlo d'uno amante a cui non lieve

colpo d'Amor passò; più; là; del manto);

al piacer tanto più;, ch'esso riceve,

l'onor di quello antepor deve, quanto

l'onore è; di più; pregio che la vita,

ch'a tutti altri piaceri è; preferita.

 

5

Fece Ruggiero il debito a seguire

il suo signor, che non se ne potea,

se non con ignominia, dipartire;

che ragion di lasciarlo non avea.

E s'Almonte gli fe' il padre morire,

tal colpa in Agramante non cadea;

ch'in molti effetti avea con Ruggier poi

emendato ogni error dei maggior suoi.

 

6

Farà; Ruggiero il debito a tornare

al suo signore; ed ella ancor lo fece,

che sforzar non lo volse di restare,

come potea, con iterata prece.

Ruggier potrà; alla donna satisfare

a un altro tempo, s'or non satisfece:

ma all'onor, chi gli manca d'un momento,

non può; in cento anni satisfar né; in cento.

 

7

Torna Ruggiero in Arli, ove ha ritratta

Agramante la gente che gli avanza.

Bradamante e Marfisa, che contratta

col parentado avean grande amistanza,

andaro insieme ove re Carlo fatta

la maggior prova avea di sua possanza,

sperando, o per battaglia o per assedio,

levar di Francia così; lungo tedio.

 

8

Di Bradamante, poi che conosciuta

in campo fu, si fe' letizia e festa:

ognun la riverisce e la saluta;

ed ella a questo e a quel china la testa.

Rinaldo, come udì; la sua venuta,

le venne incontra; né; Ricciardo resta

né; Ricciardetto od altri di sua gente,

e la raccoglion tutti allegramente.

 

9

Come s'intese poi che la compagna

era Marfisa, in arme sì; famosa,

che dal Cataio ai termini di Spagna

di mille chiare palme iva pomposa;

non è; povero o ricco che rimagna

nel padiglion: la turba disiosa

vien quinci e quindi, e s'urta, storpia e preme

sol per veder sì; bella coppia insieme.

 

10

A Carlo riverenti appresentarsi.

Questo fu il primo dì; (scrive Turpino)

che fu vista Marfisa inginocchiarsi;

che sol le parve il figlio di Pipino

degno, a cui tanto onor dovesse farsi,

tra quanti, o mai nel popul saracino

o nel cristiano, imperatori e regi

per virtù; vide o per ricchezza egregi.

 

11

Carlo benignamente la raccolse,

e le uscì; incontra fuor dei padiglioni;

e che sedesse a lato suo poi volse

sopra tutti re, principi e baroni.

Si diè; licenza a chi non se la tolse;

sì; che tosto restaro in pochi e buoni:

restaro i paladini e i gran signori;

la vilipesa plebe andò; di fuori.

 

12

Marfisa cominciò; con grata voce:

- Eccelso, invitto e glorioso Augusto,

che dal mar Indo alla Tirinzia foce,

dal bianco Scita all'Etiope adusto

riverir fai la tua candida croce,

né; di te regna il più; saggio o 'l più; giusto;

tua fama, ch'alcun termine non serra,

qui tratto m'ha fin da l'estrema terra.

 

13

E, per narrarti il ver, sola mi mosse

invidia, e sol per farti guerra io venni,

acciò; che sì; possente un re non fosse,

che non tenesse la legge ch'io tenni.

Per questo ho fatto le campagne rosse

del cristian sangue; ed altri fieri cenni

era per farti da crudel nimica,

se non cadea chi mi t'ha fatto amica.

 

14

Quando nuocer pensai più; alle tue squadre,

io trovo (e come sia dirò; più; adagio)

che 'l bon Ruggier di Risa fu mio padre,

tradito a torto dal fratel malvagio.

Portommi in corpo mia misera madre

di là; dal mare, e nacqui in gran disagio.

Nutrimmi un mago infin al settimo anno,

a cui gli Arabi poi rubata m'hanno.

 

15

E mi vendero in Persia per ischiava

a un re che poi cresciuta io posi a morte;

che mia virginità; tor mi cercava.

Uccisi lui con tutta la sua corte;

tutta cacciai la sua progenie prava,

e presi il regno; e tal fu la mia sorte,

che diciotto anni d'uno o di due mesi

io non passai, che sette regni presi.

 

16

E di tua fama invidiosa, come

io t'ho già; detto, avea fermo nel core

la grande altezza abbatter del tuo nome:

forse il faceva, o forse era in errore.

Ma ora avvien che questa voglia dome,

e faccia cader l'ale al mio furore,

l'aver inteso, poi che qui son giunta,

come io ti son d'affinità; congiunta.

 

17

E come il padre mio parente e servo

ti fu, ti son parente e serva anch'io:

e quella invidia e quell'odio protervo

il qual io t'ebbi un tempo, or tutto oblio;

anzi contra Agramante io lo riservo,

e contra ogn'altro che sia al padre o al zio

di lui stato parente, che fur rei

di porre a morte i genitori miei. -

 

18

E seguitò;, voler cristiana farsi,

e dopo ch'avrà; estinto il re Agramante,

voler piacendo a Carlo, ritornarsi

a battezzare il suo regno in Levante;

ed indi contra tutto il mondo armarsi,

ove Macon s'adori e Trivigante;

e con promission, ch'ogni suo acquisto

sia de l'Impero e de la fé; di Cristo.

 

19

L'imperator, che non meno eloquente

era, che fosse valoroso e saggio,

molto esaltando la donna eccellente,

e molto il padre e molto il suo lignaggio,

rispose ad ogni parte umanamente,

e mostrò; in fronte aperto il suo coraggio;

e conchiuse ne l'ultima parola,

per parente accettarla e per figliuola.

 

20

E qui si leva, e di nuovo l'abbraccia,

e, come figlia, bacia ne la fronte.

vengono tutti con allegra faccia

quei di Mongrana e quei di Chiaramonte.

Lungo a dir fôra, quanto onor le faccia

Rinaldo, che di lei le prove conte

vedute avea più; volte al paragone,

quando Albracca assediar col suo girone.

 

21

Lungo a dir fôra, quanto il giovinetto

Guidon s'allegri di veder costei,

Aquilante e Grifone e Sansonetto

ch'alla città; crudel furon con lei;

Malagigi e Viviano e Ricciardetto,

ch'all'occision de' Maganzesi rei

e di quei venditori empi di Spagna

l'aveano avuta sì; fedel compagna.

 

22

Apparecchiar per lo seguente giorno,

ed ebbe cura Carlo egli medesmo,

che fosse un luogo riccamente adorno,

ove prendesse Marfisa battesmo.

I vescovi e gran chierici d'intorno,

che le leggi sapean del cristianesmo,

fece raccorre, acciò; da lor in tutta

la santa fé; fosse Marfisa istrutta.

 

23

Venne in pontificale abito sacro

l'arcivesco Turpino, e battizzolla:

Carlo dal salutifero lavacro

con cerimonie debite levolla.

Ma tempo è; ormai ch'al capo voto e macro

di senno si soccorra con l'ampolla,

con che dal ciel più; basso ne venì;a

il duca Astolfo sul carro d'Elia.

 

24

Sceso era Astolfo dal giro lucente

alla maggiore altezza de la terra,

con la felice ampolla che la mente

dovea sanare al gram mastro di guerra.

Un'erba quivi di virtù; eccellente

mostra Giovanni al duca d'Inghilterra:

con essa vuol ch'al suo ritorno tocchi

al re di Nubia e gli risani gli occhi;

 

25

acciò; per questi e per li primi merti

gente gli dia con che Biserta assaglia.

E come poi quei populi inesperti

armi ed acconci ad uso di battaglia,

e senza danno passi pei deserti

ove l'arena gli uomini abbarbaglia,

a punto a punto l'ordine che tegna,

tutto il vecchio santissimo gl'insegna.

 

26

Poi lo fe' rimontar su quello alato

che di Ruggiero, e fu prima d'Atlante.

Il paladin lasciò;, licenziato

da San Giovanni, le contrade sante;

e secondando il Nilo a lato a lato,

tosto i Nubi apparir si vide inante;

e ne la terra che del regno è; capo

scese da l'aria, e ritrovò; il Senapo.

 

27

Molto fu il gaudio e molta fu la gioia

che portò; a quel signor nel suo ritorno;

che ben si raccordava de la noia

che gli avea tolta, de l'arpie, d'intorno.

Ma poi che la grossezza gli discuoia

di quello umor che già; gli tolse il giorno,

e che gli rende la vista di prima,

l'adora e cole, e come un Dio sublima:

 

28

sì; che non pur la gente che gli chiede

per muover guerra al regno di Biserta,

ma centomila sopra gli ne diede,

e gli fe' ancor di sua persona offerta.

La gente a pena, ch'era tutta a piede,

potea capir ne la campagna aperta;

che di cavalli ha quel paese inopia,

ma d'elefanti e de camelli copia.

 

29

La notte inanzi il dì; che a suo camino

l'esercito di Nubia dovea porse,

montò; su l'ippogrifo il paladino,

e verso mezzodì; con fretta corse,

tanto che giunse al monte che l'austrino

vento produce e spira contra l'Orse.

Trovò; la cava, onde per stretta bocca,

quando si desta, il furioso scocca.

 

30

E come raccordò;gli il suo maestro,

avea seco arrecato un utre voto,

il qual, mentre ne l'antro oscuro e alpestro,

affaticato dorme il fiero Noto,

allo spiraglio pon tacito e destro:

ed è; l'aguato in modo al vento ignoto,

che, credendosi uscir fuor la dimane,

preso e legato in quello utre rimane.

 

31

Di tanta preda il paladino allegro,

ritorna in Nubia, e la medesma luce

si pone a caminar col popul negro,

e vettovaglia dietro si conduce.

A salvamento con lo stuolo integro

verso l'Atlante il glorioso duce

pel mezzo vien de la minuta sabbia,

senza temer che 'l vento a nuocer gli abbia.

 

32

E giunto poi di qua dal giogo, in parte

onde il pian si discuopre e la marina,

Astolfo elegge la più; nobil parte

del campo, e la meglio atta a disciplina;

e qua e là; per ordine la parte

a piè; d'un colle, ove nel pian confina.

Quivi la lascia, e su la cima ascende

in vista d'uom ch'a gran pensieri intende.

 

33

Poi che, inchinando le ginocchia, fece

al santo suo maestro orazione,

sicuro che sia udita la sua prece,

copia di sassi a far cader si pone.

Oh quanto a chi ben crede in Cristo, lece!

I sassi, fuor di natural ragione

crescendo, si vedean venire in giuso,

e formar ventre e gambe e collo e muso:

 

34

e con chiari anitrir giù; per quei calli

venian saltando, e giunti poi nel piano

scuotean le groppe, e fatti eran cavalli,

chi baio e chi leardo e chi rovano.

La turba ch'aspettando ne le valli

stava alla posta, lor dava di mano:

sì; che in poche ore fur tutti montati;

che con sella e con freno erano nati.

 

35

Ottantamila cento e dua in un giorno

fe', di pedoni, Astolfo cavallieri.

Con questi tutta scorse Africa intorno,

facendo prede, incendi e prigionieri.

Posto Agramante avea fin al ritorno

il re di Fersa e 'l re degli Algazeri,

col re Branzardo a guardia del paese:

e questi si fer contra al duca inglese;

 

36

prima avendo spacciato un suttil legno,

ch'a vele e a remi andò; battendo l'ali,

ad Agramante aviso, come il regno

patia dal re de' Nubi oltraggi e mali.

Giorno e notte andò; quel senza ritegno,

tanto che giunse ai liti provenzali;

e trovò; in Arli il suo re mezzo oppresso,

che 'l campo avea di Carlo un miglio appresso.

 

37

Sentendo il re Agramante a che periglio,

per guadagnare il regno di Pipino,

lasciava il suo, chiamar fece a consiglio

principi e re del popul saracino.

E poi ch'una o due volte girò; il ciglio

quinci a Marsilio e quindi al re Sobrino,

i quai d'ogni altro fur, che vi venisse,

i duo più; antiqui e saggi, così; disse:

 

38

- Quantunque io sappia come mal convegna

a un capitano dir: non mel pensai,

pur lo dirò;; che quando un danno vegna

da ogni discorso uman lontano assai,

a quel fallir par che sia escusa degna:

e qui si versa il caso mio; ch'errai

a lasciar d'arme l'Africa sfornita,

se da li Nubi esser dovea assalita.

 

39

Ma chi pensato avria, fuor che Dio solo,

a cui non è; cosa futura ignota,

che dovesse venir con sì; gran stuolo

a farne danno gente sì; remota?

tra i quali e noi giace l'instabil suolo

di quella arena ognor da' venti mota.

Pur è; venuta ad assediar Biserta,

ed ha in gran parte l'Africa deserta.

 

40

Or sopra ciò; vostro consiglio chieggio:

se partirmi di qui senza far frutto,

o pur seguir tanto l'impresa deggio,

che prigion Carlo meco abbi condutto;

o come insieme io salvi il nostro seggio,

e questo imperial lasci distrutto.

S'alcun di voi sa dir, priego nol taccia,

acciò; si trovi il meglio, e quel si faccia. -

 

41

Così; disse Agramante; e volse gli occhi

al re di Spagna, che gli sedea appresso,

come mostrando di voler che tocchi

di quel c'ha detto, la risposta ad esso.

E quel, poi che surgendo ebbe i ginocchi

per riverenza, e così; il capo flesso,

nel suo onorato seggio si raccolse;

indi la lingua a tai parole sciolse:

 

42

- O bene o mal che la Fama ci apporti,

signor, di sempre accrescere ha in usanza.

Perciò; non sarà; mai ch'io mi sconforti,

o mai più; del dover pigli baldanza

per casi o buoni o rei, che sieno sorti:

ma sempre avrò; di par tema e speranza

ch'esser debban minori, e non del modo

ch'a noi per tante lingue venir odo.

 

43

E tanto men prestar gli debbo fede,

quanto più; al verisimile s'oppone.

Or se gli è; verisimile si vede,

ch'abbia con tanto numer di persone

posto ne la pugnace Africa il piede

un re di sì; lontana regione,

traversando l'arene a cui Cambise

con male augurio il popul suo commise.

 

44

Crederò; ben, che sian gli Arabi scesi

da le montagne, ed abbian dato il guasto,

e saccheggiato, e morti uomini e presi,

ove trovato avran poco contrasto;

e che Branzardo che di quei paesi

luogotenente e viceré; è; rimasto,

per le decine scriva le migliaia,

acciò; la scusa sua più; degna paia.

 

45

Vo' concedergli ancor che sieno i Nubi

per miracol dal ciel forse piovuti:

o forse ascosi venner ne le nubi;

poi che non fur mai per camin veduti.

Temi tu che tal gente Africa rubi,

se ben di più; soccorso non l'aiuti?

Il tuo presidio avria ben trista pelle,

quando temesse un populo sì; imbelle.

 

46

Ma se tu mandi ancor che poche navi,

pur che si veggan gli stendardi tuoi,

non scioglieran di qua sì; tosto i cavi,

che fuggiranno nei confini suoi

questi, o sien Nubi o sieno Arabi ignavi,

ai quali il ritrovarti qui con noi,

separato pel mar da la tua terra,

ha dato ardir di romperti la guerra.

 

47

Or piglia il tempo che, per esser senza

il suo nipote Carlo, hai di vendetta:

poi ch'Orlando non c'è;, far resistenza

non ti può; alcun de la nimica setta.

Se per non veder lasci, o negligenza,

l'onorata vittoria che t'aspetta,

volterà; il calvo, ove ora il crin ne mostra,

con molto danno e lunga infamia nostra. -

 

48

Con questo ed altri detti accortamente

l'Ispano persuader vuol nel concilio

che non esca di Francia questa gente,

fin che Carlo non sia spinto in esilio.

Ma il re Sobrin, che vide apertamente

il camino a che andava il re Marsilio,

che più; per l'util proprio queste cose,

che pel commun dicea, così; rispose:

 

49

- Quando io ti confortava a stare in pace,

fosse io stato, signor, falso indovino;

o tu, se io dovea pure esser verace,

creduto avessi al tuo fedel Sobrino,

e non più; tosto a Rodomonte audace,

a Marbalusto, a Alzirdo e a Martasino,

li quali ora vorrei qui avere a fronte:

ma vorrei più; degli altri Rodomonte,

 

50

per rinfacciargli che volea di Francia

far quel che si faria d'un fragil vetro,

e in cielo e ne lo 'nferno la tua lancia

seguire, anzi lasciarsela di dietro;

poi nel bisogno si gratta la pancia

ne l'ozio immerso abominoso e tetro:

ed io, che per predirti il vero allora

codardo detto fui, son teco ancora;

 

51

e sarò; sempremai, fin ch'io finisca

questa vita ch'ancor che d'anni grave,

porsi incontra ogni dì; per te s'arrisca

a qualunque di Francia più; nome have.

Né; sarà; alcun, sia chi si vuol, ch'ardisca

di dir che l'opre mie mai fosser prave:

e non han più; di me fatto, né; tanto,

molti che si donar di me più; vanto.

 

52

Dico così;, per dimostrar che quello

ch'io dissi allora, e che ti voglio or dire,

né; da viltade vien né; da cor fello,

ma d'amor vero e da fedel servire.

Io ti conforto ch'al paterno ostello,

più; tosto che tu pò;i, vogli redire;

che poco saggio si può; dir colui

che perde il suo per acquistar l'altrui.

 

53

S'acquisto c'è;, tu 'l sai. Trentadui fummo

re tuoi vassalli a uscir teco del porto:

or, se di nuovo il conto ne rassummo,

c'è; a pena il terzo, e tutto 'l resto è; morto.

Che non ne cadan più;, piaccia a Dio summo:

ma se tu vuoi seguir, temo di corto,

che non ne rimarrà; quarto né; quinto;

e 'l miser popul tuo fia tutto estinto.

 

54

Ch'Orlando non ci sia, ne aiuta; ch'ove

sià;n pochi, forse alcun non ci saria.

Ma per questo il periglio non rimuove,

se ben prolunga nostra sorte ria.

Ecci Rinaldo, che per molte prove

mostra che non minor d'Orlando sia:

c'è; il suo lignaggio e tutti i paladini,

timore eterno a' nostri Saracini.

 

55

Ed hanno appresso quel secondo Marte

(ben che i nimici al mio dispetto lodo),

io dico il valoroso Brandimarte,

non men d'Orlando ad ogni prova sodo;

del qual provata ho la virtude in parte,

parte ne veggo all'altrui spese ed odo.

Poi son più; dì; che non c'è; Orlando stato;

e più; perduto abbià;n che guadagnato.

 

56

Se per adietro abbià;n perduto, io temo

che da qui inanzi perderen più; in grosso.

Del nostro campo Mandricardo è; scemo:

Gradasso il suo soccorso n'ha rimosso:

Marfisa n'ha lasciata al punto estremo,

e così; il re d' Algier, di cui dir posso

che, se fosse fedel come gagliardo,

poco uopo era Gradasso o Mandricardo.

 

57

Ove sono a noi tolti questi aiuti,

e tante mila son dei nostri morti;

e quei ch'a venir han, son già; venuti,

né; s'aspetta altro legno che n'apporti:

quattro son giunti a Carlo, non tenuti

manco d'Orlando o di Rinaldo forti;

e con ragion; che da qui sino a Battro

potresti mal trovar tali altri quattro.

 

58

Non so se sai chi sia Guidon Selvaggio

e Sansonetto e i figli d'Oliviero.

Di questi fo più; stima e più; tema aggio,

che d'ogni altro lor duca e cavalliero

che di Lamagna o d'altro stran linguaggio

sia contra noi per aiutar l'Impero:

ben ch'importa anco assai la gente nuova

ch' a' nostri danni in campo si ritrova.

 

59

Quante volte uscirai alla campagna,

tanto avrai la peggiore, o sarai rotto.

Se spesso perdé; il campo Africa e Spagna,

quando sià;n stati sedici per otto,

che sarà; poi ch'Italia e che Lamagna

con Francia è; unita, e 'l populo anglo e scotto,

e che sei contra dodici saranno?

Ch'altro si può; sperar, che biasmo e danno?

 

60

La gente qui, là; perdi a un tempo il regno,

s'in questa impresa più; duri ostinato;

ove, s'al ritornar muti disegno,

l'avanzo di noi servi con lo stato.

Lasciar Marsilio è; di te caso indegno,

ch'ognun te ne terrebbe molto ingrato:

ma c'è; rimedio, far con Carlo pace;

ch'a lui deve piacer, se a te pur piace.

 

61

Pur se ti par che non ci sia il tuo onore,

se tu, che prima offeso sei, la chiedi;

e la battaglia più; ti sta nel core,

che, come sia fin qui successa, vedi;

studia almen di restarne vincitore:

il che forse averrà;, se tu mi credi;

se d'ogni tua querela a un cavalliero

darai l'assunto, e se quel fia Ruggiero.

 

62

Io 'l so, e tu 'l sai che Ruggier nostro è; tale,

che già; da solo a sol con l'arme in mano

non men d'Orlando o di Rinaldo vale,

né; d'alcun altro cavallier cristiano.

Ma se tu vuoi far guerra universale,

ancor che 'l valor suo sia sopraumano,

egli però; non sarà; più; ch'un solo,

ed avrà; di par suoi contra uno stuolo.

 

63

A me par, s'a te par, ch'a dir si mandi

al re cristian, che per finir le liti,

e perché; cessi il sangue che tu spandi

ognor de' suoi, egli de' tuo' infiniti;

che contra un tuo guerrier tu gli domandi

che metta in campo uno dei suoi più; arditi;

e faccian questi duo tutta la guerra,

fin che l'un vinca, e l'altro resti in terra:

 

64

con patto, che qual d'essi perde, faccia

che 'l suo re all'altro re tributo dia.

Questa condizion non credo spiaccia

a Carlo, ancor che sul vantaggio sia.

Mi fido sì; ne le robuste braccia

poi di Ruggier, che vincitor ne fia;

e ragion tanta è; da la nostra parte,

che vincerà;, s'avesse incontra Marte. -

 

65

Con questi ed altri più; efficaci detti

fece Sobrin sì; che 'l partito ottenne;

e gl'interpreti fur quel giorno eletti,

e quel dì; a Carlo l'imbasciata venne.

Carlo ch'avea tanti guerrier perfetti,

vinta per sé; quella battaglia tenne,

di cui l'impresa al buon Rinaldo diede,

in ch'avea, dopo Orlando, maggior fede.

 

66

Di questo accordo lieto parimente

l'uno esercito e l'altro si godea;

che 'l travaglio del corpo e de la mente

tutti avea stanchi e a tutti rincrescea.

Ognun di riposare il rimanente

de la sua vita disegnato avea;

ognun maledicea l'ire e i furori

ch'a risse e a gare avean lor desti i cori.

 

67

Rinaldo che esaltar molto si vede,

che Carlo in lui di quel che tanto pesa,

via più; ch'in tutti gli altri, ha avuto fede,

lieto si mette all'onorata impresa.

Ruggier non stima; e veramente crede

che contra sé; non potrà; far difesa:

che suo pari esser possa non gli è; aviso,

se ben in campo ha Mandricardo ucciso.

 

68

Ruggier da l'altra parte, ancor che molto

onor gli sia che 'l suo re l'abbia eletto,

e pel miglior di tutti i buoni tolto,

a cui commetta un sì; importante effetto;

pur mostra affanno e gran mestizia in volto,

non per paura che gli turbi il petto;

che non ch'un sol Rinaldo, ma non teme

se fosse con Rinaldo Orlando insieme:

 

69

ma perché; vede esser di lui sorella

la sua cara e fidissima consorte

ch'ognor scriver do stimula e martella,

come colei ch'è; ingiuriata forte.

Or s'alle vecchie offese aggiunge quella

d'entrare in campo a porle il frate a morte,

se la farà;, d'amante, così; odiosa,

ch'a placarla mai più; fia dura cosa.

 

70

Se tacito Ruggier s'affligge ed ange

de la battaglia che mal grado prende,

la sua cara moglier lacrima e piange,

come la nuova indi a poche ore intende.

Batte il bel petto, e l'auree chiome frange,

e le guance innocenti irriga e offende;

e chiama con ramarichi e querele

Ruggiero ingrato, e il suo destin crudele.

 

71

D'ogni fin che sortisca la contesa,

a lei non può; venir altro che doglia.

Ch'abbia a morir Ruggiero in questa impresa,

pensar non vuol; che par che 'l cor le toglia.

Quando anco, per punir più; d'una offesa,

la ruina di Francia Cristo voglia,

oltre che sarà; morto il suo fratello,

seguirà; un danno a lei più; acerbo e fello:

 

72

che non potrà;, se non con biasmo e scorno,

e nimicizia di tutta sua gente,

fare al marito suo mai più; ritorno,

sì; che lo sappia ognun publicamente,

come s'avea, pensando notte e giorno,

più; volte disegnato ne la mente:

e tra lor era la promessa tale,

che 'l ritrarsi e il pentir più; poco vale.

 

73

Ma quella usata ne le cose avverse

di non mancarle di soccorsi fidi,

dico Melissa maga, non sofferse

udirne il pianto e i dolorosi gridi;

e venne a consolarla, e le proferse,

quando ne fosse il tempo, alti sussidi,

e disturbar quella pugna futura

di ch'ella piange e si pon tanta cura.

 

74

Rinaldo intanto e l'inclito Ruggiero

apparechiavan l'arme alla tenzone,

di cui dovea l'eletta al cavalliero

che del romano Imperio era campione:

e come quel, che poi che 'l buon destriero

perdé; Baiardo, andò; sempre pedone,

si elesse a piè;, coperto a piastra e a maglia,

con l'azza e col pugnal far la battaglia.

 

75

O fosse caso, o fosse pur ricordo

di Malagigi suo provido e saggio,

che sapea quanto Balisarda ingordo

il taglio avea di fare all'arme oltraggio;

combatter senza spada fur d'accordo

l'uno e l'altro guerrier, come detto aggio.

Del luogo s'accordar presso alle mura

de l'antiquo Arli, in una gran pianura.

 

76

A pena avea la vigilante Aurora

da l'ostel di Titon fuor messo il capo,

per dare al giorno terminato, e all'ora

ch'era prefissa alla battaglia, capo;

quando di qua e di là; vennero fuora

i deputati; e questi in ciascun capo

degli steccati i padiglion tiraro,

appresso ai quali ambi un altar fermaro.

 

77

Non molto dopo, istrutto a schiera a schiera,

si vide uscir l'esercito pagano.

In mezzo armato e suntuoso v'era

di barbarica pompa il re africano;

e s'un baio corsier di chioma nera,

di fronte bianca, e di duo piè; balzano,

a par a par con lui venì;a Ruggiero,

a cui servir non è; Marsilio altiero.

 

78

L'elmo, che dianzi con travaglio tanto

trasse di testa al re di Tartaria,

l'elmo, che celebrato in maggior canto

portò; il troiano Ettò;r mill'anni pria,

gli porta il re Marsilio a canto a canto:

altri principi ed altra baronia

s'hanno partite l'altr'arme fra loro,

ricche di gioie e ben fregiate d'oro.

 

79

Da l'altra parte fuor dei gran ripari

re Carlo uscì; con la sua gente d'arme,

con gli ordini medesmi e modi pari

che terria se venisse al fatto d'arme.

Cingonlo intorno i suoi famosi pari;

e Rinaldo è; con lui con tutte l'arme,

fuor che l'elmo che fu del re Mambrino,

che porta Ugier Danese paladino.

 

80

E di due azze ha il duca Namo l'una,

e l'altra Salamon re di Bretagna.

Carlo da un lato i suoi tutti raguna;

da l'altro son quei d'Africa e di Spagna.

Nel mezzo non appar persona alcuna:

voto riman gran spazio di campagna,

che per bando commune a chi vi sale,

eccetto ai duo guerrieri, è; capitale.

 

81

Poi che de l'arme la seconda eletta

si diè; al campion del populo pagano,

duo sacerdoti, l'un de l'una setta,

l'altro de l'altra, uscir coi libri in mano.

In quel del nostro è; la vita perfetta

scritta di Cristo; e l'altro è; l'Alcorano.

Con quel de l'Evangelio si fe' inante

l'imperator, con l'altro il re Agramante.

 

82

Giunto Carlo all'altar che statuito

i suoi gli aveano, al ciel levò; le palme,

e disse: - O Dio, c'hai di morir patito

per redimer da morte le nostr'alme;

o Donna, il cui valor fu sì; gradito,

che Dio prese da te l'umane salme,

e nove mesi fu nel tuo santo alvo,

sempre serbando il fior virgineo salvo:

 

83

siatemi testimoni, ch'io prometto

per me e per ogni mia successione

al re Agramante, ed a chi dopo eletto

sarà; al governo di sua regione,

dar venti some ogni anno d'oro schietto,

s'oggi qui riman vinto il mio campione;

e ch'io prometto subito la triegua

incominciar, che poi perpetua segua:

 

84

e se 'n ciò; manco, subito s'accenda

la formidabil ira d'ambidui,

la qual me solo e i miei figliuoli offenda,

non alcun altro che sia qui con nui;

sì; che in brevissima ora si comprenda

che sia il mancar de la promessa a vui. -

Così; dicendo, Carlo sul Vangelo

tenea la mano, e gli occhi fissi al cielo.

 

85

Si levan quindi, e poi vanno all'altare

che riccamente avean pagani adorno;

ove giurò; Agramante, ch'oltre al mare

con l'esercito suo faria ritorno,

ed a Carlo daria tributo pare,

se restasse Ruggier vinto quel giorno;

e perpetua tra lor triegua saria,

coi patti ch'avea Carlo detti pria.

 

86

E similmente con parlar non basso,

chiamando in testimonio il gran Maumette,

sul libro ch'in man tiene il suo papasso,

ciò; che detto ha, tutto osservar promette.

Poi del campo si partono a gran passo,

e tra i suoi l'uno e l'altro si rimette:

poi quel par di campioni a giurar venne;

e 'l giuramento lor questo contenne:

 

87

Ruggier promette, se de la tenzone

il suo re viene o manda a disturbarlo,

che né; suo guerrier più;, né; suo barone

esser mai vuol, ma darsi tutto a Carlo.

Giura Rinaldo ancor, che se cagione

sarà; del suo signor quindi levarlo,

fin che non resti vinto egli o Ruggiero,

si farà; d'Agramante cavalliero.

 

88

Poi che le cerimonie finite hanno,

si ritorna ciascun da la sua parte;

né; v'indugiano molto, che lor danno

le chiare trombe segno al fiero marte.

Or gli animosi a ritrovar si vanno,

con senno i passi dispensando ed arte.

Ecco si vede incominciar l'assalto,

sonar il ferro, or girar basso, or alto.

 

89

Or inanzi col calce, or col martello

accennan quando al capo e quando al piede,

con tal destrezza e con modo sì; snello,

ch'ogni credenza il raccontarlo eccede.

Ruggier che combattea contro il fratello

di chi la misera alma gli possiede,

a ferir lo venì;a con tal riguardo,

che stimato ne fu manco gagliardo.

 

90

Era a parar, più; ch'a ferire, intento,

e non sapea egli stesso il suo desire:

spegner Rinaldo saria malcontento,

né; vorria volentieri egli morire.

Ma ecco giunto al termine mi sento,

ove convien l'istoria diferire.

Ne l'altro canto il resto intenderete,

s'udir ne l'altro canto mi vorrete.

 

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CANTO TRENTANOVESIMO

 

 

1

L'affanno di Ruggier ben veramente

è; sopra ogn'altro duro, acerbo e forte,

di cui travaglia il corpo, e più; la mente,

poi che di due fuggir non può; una morte;

o da Rinaldo, se di lui possente

fia meno, o se fia più;, da la consorte:

che se 'l fratel le uccide, sa ch'incorre

ne l'odio suo, che più; che morte aborre.

 

2

Rinaldo, che non ha simil pensiero,

in tutti i modi alla vittoria aspira:

mena de l'azza dispettoso e fiero;

quando alle braccia e quando al capo mira.

Volteggiando con l'asta il buon Ruggiero

ribatte il colpo, e quinci e quindi gì;ra;

e se percuote pur, disegna loco

ove possa a Rinaldo nuocer poco.

 

3

Alla più; parte dei signor pagani

troppo par disegual esser la zuffa:

troppo è; Ruggier pigro a menar le mani,

troppo Rinaldo il giovine ribuffa.

Smarrito in faccia il re degli Africani

mira l'assalto, e ne sospira e sbuffa:

ed accusa Sobrin, da cui procede

tutto l'error, che 'l mal consiglio diede.

 

4

Melissa in questo tempo, ch'era fonte

di quanto sappia incantatore o mago,

avea cangiata la feminil fronte,

e del gran re d'Algier presa l'imago:

sembrava al viso, ai gesti Rodomonte,

e parea armata di pelle di drago;

e tal lo scudo e tal la spada al fianco

avea, quale usava egli, e nulla manco.

 

5

Spinse il demonio inanzi al mesto figlio

del re Troiano, in forma di cavallo;

e con gran voce e con turbato ciglio

disse: - Signor, questo è; pur troppo fallo,

ch'un giovene inesperto a far periglio,

contra un sì; forte e sì; famoso Gallo

abbiate eletto in cosa di tal sorte,

che 'l regno e l'onor d'Africa n'importe.

 

6

Non si lassi seguir questa battaglia,

che ne sarebbe in troppo detrimento.

Su Rodomonte sia, né; ve ne caglia,

l'avere il patto rotto e 'l giuramento.

Dimostri ognun come sua spada taglia:

poi ch'io ci sono, ognun di voi val cento. -

Poté; questo parlar sì; in Agramante,

che senza più; pensar si cacciò; inante.

 

7

Il creder d'aver seco il re d'Algieri

fece che si curò; poco del patto;

e non avria di mille cavallieri

giunti in suo aiuto sì; gran stima fatto.

Perciò; lance abbassar, spronar destrieri

di qua di là; veduto fu in un tratto.

Melissa, poi che con sue finte larve

la battaglia attaccò;, subito sparve.

 

8

I duo campion che vedeno turbarsi

contra ogni accordo, contra ogni promessa,

senza più; l'un con l'altro travagliarsi,

anzi ogni ingiuria avendosi rimessa,

fede si dà;n né; qua né; là; impacciarsi,

fin che la cosa non sia meglio espressa,

chi stato sia che i patti ha rotto inante,

o 'l vecchio Carlo, o 'l giovene Agramante.

 

9

E replican con nuovi giuramenti

d'esser nimici a chi mancò; di fede.

Sozzopra se ne van tutte le genti:

chi porta inanzi e chi ritorna il piede.

Chi sia fra i vili, e chi tra i più; valenti

in un atto medesimo si vede:

son tutti parimente al correr presti;

ma quei corrono inanzi, e indietro questi.

 

10

Come levrier che la fugace fera

correre intorno ed aggirarsi mira,

né; può; con gli altri cani andare in schiera,

che 'l cacciator lo tien, si strugge d'ira,

si tormenta, s'affligge e si dispera,

schiattisce indarno, e si dibatte e tira;

così; sdegnosa infin allora stata

Marfisa era quel dì; con la cognata.

 

11

Fin a quell'ora avean quel dì; vedute

sì; ricche prede in spazioso piano;

e che fosser dal patto ritenute

di non poter seguirle e porvi mano,

ramaricate s'erano e dolute,

e n'avean molto sospirato invano.

Or che i patti e le triegue vider rotte,

liete saltar ne l'africane frotte.

 

12

Marfisa cacciò; l'asta per lo petto

al primo che scontrò;, due braccia dietro:

poi trasse il brando, e in men che non l'ho detto,

spezzò; quattro elmi, che sembrar di vetro.

Bradamante non fe' minore effetto;

ma l'asta d'or tenne diverso metro:

tutti quei che toccò;, per terra mise;

duo tanti fur, né; però; alcuno uccise.

 

13

Questo sì; presso l'una all'altra fero,

che testimonie se ne fur tra loro;

poi si scostaro, ed a ferir si diero,

ove le trasse l'ira, il popul Moro.

Chi potrà; conto aver d'ogni guerriero

ch'a terra mandi quella lancia d'oro?

o d'ogni testa che tronca o divisa

sia da la orribil spada di Marfisa?

 

14

Come al soffiar de' più; benigni venti,

quando Apennin scuopre l'erbose spalle,

muovonsi a par duo turbidi torrenti

che nel cader fan poi diverso calle;

svellono i sassi e gli arbori eminenti

da l'alte ripe, e portan ne la valle

le biade e i campi; e quasi a gara fanno

a chi far può; nel suo camin più; danno:

 

15

così; le due magnanime guerriere,

scorrendo il campo per diversa strada,

gran strage fan ne l'africane schiere,

l'una con l'asta, e l'altra con la spada.

Tiene Agramante a pena alle bandiere

la gente sua, ch'in fuga non ne vada.

Invan domanda, invan volge la fronte;

né; può; saper che sia di Rodomonte.

 

16

A conforto di lui rotto avea il patto

(così; credea) che fu solennemente,

i dei chiamando in testimonio, fatto;

poi s'era dileguato sì; repente.

Né; Sobrin vede ancor: Sobrin ritratto

in Arli s'era, e dettosi innocente;

perché; di quel pergiuro aspra vendetta

sopra Agramante il dì; medesmo aspetta.

 

17

Marsilio anco è; fuggito ne la terra:

sì; la religion gli preme il core.

Perciò; male Agramante il passo serra

a quei che mena Carlo imperatore,

d'Italia, di Lamagna e d'Inghilterra,

che tutte gente son d'alto valore;

ed hanno i paladin sparsi tra loro,

come le gemme in un riccamo d'oro:

 

18

e presso ai paladini alcun perfetto

quanto esser possa al mondo cavalliero,

Guidon Selvaggio, l'intrepido petto,

e i duo famosi figli d'Oliviero.

Io non voglio ridir, ch'io l'ho già; detto,

di quel par di donzelle ardito e fiero.

Questi uccidean di genti saracine

tanto, che non v'è; numero né; fine.

 

19

Ma differendo questa pugna alquanto,

io vo' passar senza navilio il mare.

Non ho con quei di Francia da far tanto,

ch'io non m'abbia d'Astolfo a ricordare.

La grazia che gli diè; l'apostol santo

io v'ho già; detto, e detto aver mi pare,

che 'l re Branzardo e il re de l'Algazera

per girli incontra armasse ogni sua schiera.

 

20

Furon di quei ch'aver poteano in fretta,

le schiere di tutta Africa raccolte,

non men d'inferma età; che di perfetta;

quasi ch'ancor le femine fur tolte.

Agramante ostinato alla vendetta

avea già; vota l'Africa due volte.

Poche genti rimase erano, e quelle

esercito facean timido e imbelle.

 

21

Ben lo mostrar; che gli nimici a pena

vider lontan, che se n'andaron rotti.

Astolfo, come pecore, li mena

dinanzi ai suoi di guerreggiar più; dotti,

e fa restarne la campagna piena:

pochi a Biserta se ne son ridotti.

Prigion rimase Bucifar gagliardo;

salvossi ne la terra il re Branzardo,

 

22

via più; dolente sol di Bucifaro,

che se tutto perduto avesse il resto.

Biserta è; grande, e farle gran riparo

bisogna, e senza lui mal può; far questo:

poterlo riscattar molto avria caro.

Mentre vi pensa e ne sta afflitto e mesto,

gli viene in mente come tien prigione

già; molti mesi il paladin Dudone.

 

23

Lo prese sotto a Monaco in riviera

il re di Sarza nel primo passaggio.

Da indi in qua prigion sempre stato era

Dudon che del Danese fu lignaggio.

Mutar costui col re de l'Algazera

pensò; Branzardo, e ne mandò; messaggio

al capitan de' Nubi, perché; intese

per vera spia, ch'egli era Astolfo inglese.

 

24

Essendo Astolfo paladin, comprende

che dee aver caro un paladino sciorre.

Il gentil duca, come il caso intende,

col re Branzardo in un voler concorre.

Liberato Dudon, grazie ne rende

al duca, e seco si mette a disporre

le cose che appertengono alla guerra,

così; quelle da mar, come da terra.

 

25

Avendo Astolfo esercito infinito

da non gli far sette Afriche difesa;

e rammentando come fu ammonito

dal santo vecchio che gli diè; l'impresa

di tor Provenza e d'Acquamorta il lito

di man di Saracin che l'avean presa;

d'una gran turba fece nuova eletta,

quella ch'al mar gli parve manco inetta.

 

26

Ed avendosi piene ambe le palme,

quanto potean capir, di varie fronde

a lauri, a cedri tolte, a olive, a palme,

venne sul mare, e le gittò; ne l'onde.

Oh felici, e dal ciel ben dilette alme!

Grazia che Dio raro a' mortali infonde!

Oh stupendo miracolo che nacque

di quelle frondi, come fur ne l'acque!

 

27

Crebbero in quantità; fuor d'ogni stima;

si feron curve e grosse e lunghe e gravi;

le vene ch'attraverso aveano prima,

mutaro in dure spranghe e in grosse travi:

e rimanendo acute inver la cima,

tutte in un tratto diventaro navi

di differenti qualitadi, e tante,

quante raccolte fur da varie piante.

 

28

Miracol fu veder le fronde sparte

produr fuste, galee, navi da gabbia.

Fu mirabile ancor, che vele e sarte

e remi avean, quanto alcun legno n'abbia.

Non mancò; al duca poi chi avesse l'arte

di governarsi alla ventosa rabbia;

che di Sardi e di Corsi non remoti,

nocchier, padron, pennesi ebbe e piloti.

 

29

Quelli che entraro in mar, contati foro

ventiseimila, e gente d'ogni sorte.

Dudon andò; per capitano loro,

cavallier saggio, e in terra e in acqua forte.

Stava l'armata ancora al lito moro,

miglior vento aspettando, che la porte,

quando un navilio giunse a quella riva,

che di presi guerrier carco veniva.

 

30

Portava quei ch'al periglioso ponte,

ove alla giostre il campo era sì; stretto,

pigliato avea l'audace Rodomonte,

come più; volte io v'ho di sopra detto.

Il cognato tra questi era del conte,

e 'l fedel Brandimarte e Sansonetto,

ed altri ancor, che dir non mi bisogna,

d'Alemagna, d'Italia e di Guascogna.

 

31

Quivi il nocchier, ch'ancor non s'era accorto

degli inimici, entrò; con la galea,

lasciando molte miglia a dietro il porto

d'Algieri, ove calar prima volea,

per un vento gagliardo ch'era sorto,

e spinto oltre il dover la poppa avea.

Venir tra i suoi credette e in loco fido,

come vien Progne al suo loquace nido.

 

32

Ma come poi l'imperiale augello,

i gigli d'oro e i pardi vide appresso,

restò; pallido in faccia, come quello

che 'l piede incauto d'improviso ha messo

sopra il serpente venenoso e fello,

dal pigro sonno in mezzo l'erbe oppresso;

che spaventato e smorto si ritira,

fuggendo quel, ch'è; pien di tosco e d'ira.

 

33

Già; non poté; fuggir quindi il nocchiero,

né; tener seppe i prigion suoi di piatto.

Con Brandimarte fu, con Oliviero,

con Sansonetto e con molti altri tratto

ove dal duca e dal figliuol d'Uggiero

fu lieto viso agli suo' amici fatto;

e per mercede lui che li condusse,

volson che condannato al remo fusse.

 

34

Come io vi dico, dal figliuol d'Otone

i cavallier cristian furon ben visti,

e di mensa onorati al padiglione,

d'arme e di ciò; che bisognò; provisti.

Per amor d'essi differì; Dudone

l'andata sua; che non minori acquisti

di ragionar con tai baroni estima,

che d'esser gito uno o duo giorni prima.

 

35

In che stato, in che termine si trove

e Francia e Carlo, istruzion vera ebbe;

e dove più; sicuramente, e dove,

per far miglior effetto, calar debbe.

Mentre da lor venì;a intendendo nuove,

s'udì; un rumor che tuttavia più; crebbe;

e un dar all'arme ne seguì; sì; fiero,

che fece a tutti far più; d'un pensiero.

 

36

Il duca Astolfo e la compagnia bella,

che ragionando insieme si trovaro,

in un momento armati furo e in sella,

e verso il maggior grido in fretta andaro,

di qua di là; cercando pur novella

di quel romore; e in loco capitaro,

ove videro un uom tanto feroce,

che nudo e solo a tutto 'l campo nuoce.

 

37

Menava un suo baston di legno in volta,

che era sì; duro e sì; grave e sì; fermo,

che declinando quel, facea ogni volta

cader in terra un uom peggio ch'infermo.

Già; a più; di cento avea la vita tolta;

né; più; se gli facea riparo o schermo,

se non tirando di lontan saette:

d'appresso non è; alcun già; che l'aspette.

 

38

Dudone, Astolfo, Brandimarte, essendo

corsi in fretta al romore, ed Oliviero,

de la gran forza e del valor stupendo

stavan maravigliosi di quel fiero;

quando venir s'un palafren correndo

videro una donzella in vestir nero,

che corse a Brandimarte e salutollo,

e gli alzò; a un tempo ambe le braccia al collo.

 

39

Questa era Fiordiligi, che sì; acceso

avea d'amor per Brandimarte il core,

che quando al ponte stretto il lasciò; preso,

vicina ad impazzar fu di dolore.

Di là; dal mare era passata, inteso

avendo dal pagan che ne fu autore,

che mandato con molti cavallieri

era prigion ne la città; d'Algieri.

 

40

Quando fu per passare, avea trovato

a Marsilia una nave di Levante,

ch'un vecchio cavalliero avea portato

de la famiglia del re Monodante;

il qual molte province avea cercato,

quando per mar, quando per terra errante,

per trovar Brandimarte; che nuova ebbe

tra via di lui, ch'in Francia il troverebbe.

 

41

Ed ella, conosciuto che Bardino

era costui, Bardino che rapito

al padre Brandimarte piccolino,

ed a Rocca Silvana avea notrito,

e la cagione intesa del camino,

seco fatto l'avea scioglier dal lito,

avendogli narrato in che maniera

Brandimarte passato in Africa era.

 

42

Tosto che furo a terra, udir le nuove,

ch'assediata d'Astolfo era Biserta:

che seco Brandimarte si ritrove

udito avean, ma non per cosa certa.

Or Fiordiligi in tal fretta si muove,

come lo vede, che ben mostra aperta

quella allegrezza ch'i precessi guai

le fero la maggior ch'avesse mai.

 

43

Il gentil cavallier, non men giocondo

di veder la diletta e fida moglie

ch'amava più; che cosa altra del mondo,

l'abraccia e stringe e dolcemente accoglie:

né; per saziare al primo né; al secondo

né; al terzo bacio era l'accese voglie;

se non ch'alzando gli occhi ebbe veduto

Bardin che con la donna era venuto.

 

44

Stese le mani, ed abbracciar lo volle,

e insieme domandar perché; venì;a;

ma di poterlo far tempo gli tolle

il campo ch'in disordine fuggia

dinanzi a quel baston che 'l nudo folle

menava intorno, e gli facea dar via.

Fiordiligi mirò; quel nudo in fronte,

e gridò; a Brandimarte: - Eccovi il conte! -

 

45

Astolfo tutto a un tempo, ch'era quivi,

che questo Orlando fosse, ebbe palese

per alcun segno che dai vecchi divi

su nel terrestre paradiso intese.

Altrimente restavan tutti privi

di cognizion di quel signor cortese;

che per lungo sprezzarsi, come stolto,

avea di fera, più; che d'uomo, il volto.

 

46

Astolfo per pietà; che gli traffisse

il petto e il cor, si volse lacrimando;

ed a Dudon (che gli era appresso) disse,

ed indi ad Oliviero: - Eccovi Orlando! -

Quei gli occhi alquanto e le palpè;bre fisse

tenendo in lui, l'andar raffigurando;

e 'l ritrovarlo in tal calamitade,

gli empì; di meraviglie e di pietade.

 

47

Piangeano quei signor per la più; parte:

sì; lor ne dolse, e lor ne 'ncrebbe tanto.

- Tempo è; (lor disse Astolfo) trovar arte

di risanarlo, e non di fargli il pianto. -

E saltò; a piedi, e così; Brandimarte,

Sansonetto, Oliviero e Dudon santo;

e s'aventaro al nipote di Carlo

tutti in un tempo; che volean pigliarlo.

 

48

Orlando che si vide fare il cerchio,

menò; il baston da disperato e folle;

ed a Dudon che si facea coperchio

al capo de lo scudo ed entrar volle,

fe' sentir ch'era grave di soperchio:

e se non che Olivier col brando tolle

parte del colpo, avria il bastone ingiusto

rotto lo scudo, l'elmo, il capo e il busto.

 

49

Lo scudo roppe solo, e su l'elmetto

tempestò; sì;, che Dudon cadde in terra.

Menò; la spada a un tempo Sansonetto;

e del baston più; di duo braccia afferra

con valor tal, che tutto il taglia netto.

Brandimarte ch'addosso se gli serra,

gli cinge i fianchi, quanto può;, con ambe

le braccia, e Astolfo il piglia ne le gambe.

 

50

Scuotesi Orlando, e lungi dieci passi

da sé; l'Inglese fe' cader riverso:

non fa però; che Brandimarte il lassi,

che con più; forza l'ha preso a traverso.

Ad Olivier che troppo inanzi fassi,

menò; un pugno sì; duro e sì; perverso,

che lo fe' cader pallido ed esangue,

e dal naso e dagli occhi uscirgli il sangue.

 

51

E se non era l'elmo più; che buono,

ch'avea Olivier, l'avria quel pugno ucciso:

cadde però;, come se fatto dono

avesse de lo spirto al paradiso.

Dudone e Astolfo che levati sono,

ben che Dudone abbia gonfiato il viso,

e Sansonetto che 'l bel colpo ha fatto,

adosso a Orlando son tutti in un tratto.

 

52

Dudon con gran vigor dietro l'abbraccia,

pur tentando col piè; farlo cadere:

Astolfo e gli altri gli han prese le braccia,

né; lo puon tutti insieme anco tenere.

C'ha visto toro a cui si dia la caccia,

e ch'alle orecchie abbia le zanne fiere,

correr mugliando, e trarre ovunque corre

i cani seco, e non potersi sciorre;

 

53

imagini ch'Orlando fosse tale,

che tutti quei guerrier seco traea.

In quel tempo Olivier di terra sale,

là; dove steso il gran pugno l'avea;

e visto che così; si potea male

far di lui quel ch'Astolfo far volea,

si pensò; un modo, ed ad effetto il messe,

di far cader Orlando, e gli successe.

 

54

Si fe' quivi arrecar più; d'una fune,

e con nodi correnti adattò; presto;

ed alle gambe ed alle braccia alcune

fe' porre al conte, ed a traverso il resto.

Di quelle i capi poi partì; in commune,

e li diede a tenere a quello e a questo.

Per quella via che maniscalco atterra

cavallo o bue, fu tratto Orlando in terra.

 

55

Come egli è; in terra, gli son tutti adosso,

e gli legan più; forte e piedi e mani.

Assai di qua di là; s'è; Orlando scosso,

ma sono i suoi risforzi tutti vani.

Commanda Astolfo che sia quindi mosso,

che dice voler far che si risani.

Dudon ch'è; grande, il leva in su le schene,

e porta al mar sopra l'estreme arene.

 

56

Lo fa lavar Astolfo sette volte;

e sette volte sotto acqua l'attuffa;

sì; che dal viso e da le membra stolte

leva la brutta rugine e la muffa:

poi con certe erbe, a questo effetto colte,

la bocca chiuder fa, che soffia e buffa;

che non volea ch'avesse altro meato

onde spirar, che per lo naso, il fiato.

 

57

Aveasi Astolfo apparecchiato il vaso

in che il senno d'Orlando era rinchiuso;

e quello in modo appropinquogli al naso,

che nel tirar che fece il fiato in suso,

tutto il votò;: maraviglioso caso!

che ritornò; la mente al primier uso;

e ne' suoi bei discorsi l'intelletto

rivenne, più; che mai lucido e netto.

 

58

Come chi da noioso e grave sonno,

ove o vedere abominevol forme

di mostri che non son, né; ch'esser ponno,

o gli par cosa far strana ed enorme,

ancor si maraviglia, poi che donno

è; fatto de' suoi sensi, e che non dorme;

così;, poi che fu Orlando d'error tratto,

restò; maraviglioso e stupefatto.

 

59

E Brandimarte, e il fratel d'Aldabella,

e quel che 'l senno in capo gli ridusse,

pur pensando riguarda, e non favella,

come egli quivi e quando si condusse.

Girava gli occhi in questa parte e in quella,

né; sapea imaginar dove si fusse.

Si maraviglia che nudo si vede,

e tante funi ha da le spalle al piede.

 

60

Poi disse, come già; disse Sileno

a quei che lo legar nel cavo speco:

<EM>Solvite me,</EM> con viso sì; sereno,

con guardo sì; men de l'usato bieco,

che fu slegato; e de' panni ch'avieno

fatti arrecar participaron seco,

consolandolo tutti del dolore,

che lo premea, di quel passato errore.

 

61

Poi che fu all'esser primo ritornato

Orlando più; che mai saggio e virile,

d'amor si trovò; insieme liberato;

sì; che colei, che sì; bella e gentile

gli parve dianzi, e ch'avea tanto amato,

non stima più; se non per cosa vile.

Ogni suo studio, ogni disio rivolse

a racquistar quanto già; amor gli tolse.

 

62

Narrò; Bardino intanto a Brandimarte,

che morto era il suo padre Monodante;

e che a chiamarlo al regno egli da parte

veniva prima del fratel Gigliante,

poi de le genti ch'abitan le sparte

isole in mare, e l'ultime in Levante;

di che non era un altro regno al mondo

sì; ricco, populoso, o sì; giocondo.

 

63

Disse, tra più; ragion che dovea farlo,

che dolce cosa era la patria; e quando

si disponesse di voler gustarlo,

avria poi sempre in odio andare errando.

Brandimarte rispose voler Carlo

servir per tutta questa guerra e Orlando;

e se potea vederne il fin, che poi

penseria meglio sopra i casi suoi.

 

64

Il dì; seguente la sua armata spinse

verso Provenza il figlio del Danese.

Indi Orlando col duca si ristrinse,

ed in che stato era la guerra, intese:

tutta Biserta poi d'assedio cinse,

dando però; l'onore al duca inglese

d'ogni vittoria; ma quel duca il tutto

facea, come dal conte venì;a istrutto.

 

65

Ch'ordine abbian tra lor, come s'assaglia

la gran Biserta, e da che lato e quando,

come fu presa alla prima battaglia,

chi ne l'onor parte ebbe con Orlando,

s'io non vi sé;guito ora, non vi caglia;

ch'io non me ne vo molto dilungando.

In questo mezzo di saper vi piaccia,

come dai Franchi i Mori hanno la caccia.

 

66

Fu quasi il re Agramante abbandonato

nel pericol maggior di quella guerra;

che con molti pagani era tornato

Marsilio e 'l re Sobrin dentro alla terra,

poi su l'armata è; questo e quel montato,

che dubbio avean di non salvarsi in terra;

e duci e cavallier del popul Moro

molti seguito avean l'esempio loro.

 

67

Pure Agramante la pugna sostiene;

e quando finalmente più; non puote,

volta le spalle, e la via dritta tiene

alle porte non troppo indi remote.

Rabican dietro in gran fretta gli viene,

che Bradamante stimola e percuote:

d'ucciderlo era disiosa molto;

che tante volte il suo Ruggier le ha tolto.

 

68

Il medesmo desir Marfisa avea,

per far del padre suo tarda vendetta;

e con gli sproni, quanto più; potea,

facea il destrier sentir ch'ella avea fretta.

Ma né; l'una né; l'altra vi giungea

sì; a tempo, che la via fosse intercetta

al re d'entrar ne la città; serrata,

ed indi poi salvarsi in su l'armata.

 

69

Come due belle e generose parde

che fuor del lascio sien di pari uscite,

poscia ch'i cervi o le capre gagliarde

indarno aver si veggano seguite,

vergognandosi quasi, che fur tarde,

sdegnose se ne tornano e pentite;

così; tornar le due donzelle, quando

videro il pagan salvo, sospirando.

 

70

Non però; si fermar; ma ne la frotta

degli altri che fuggivano, cacciarsi,

di qua di là; facendo ad ogni botta

molti cader senza mai più; levarsi.

A mal partito era la gente rotta,

che per fuggir non potea ancor salvarsi;

ch'Agramante avea fatto per suo scampo

chiuder la porta ch'uscia verso il campo,

 

71

e fatto sopra il Rodano tagliare

i ponti tutti. Ah sfortunata plebe,

che dove del tiranno utile appare,

sempre è; in conto di pecore e di zebe!

Chi s'affoga nel fiume e chi nel mare,

chi sanguinose fa di sé; le glebe.

Molti perir, pochi restar prigioni;

che pochi a farsi taglia erano buoni.

 

72

De la gran moltitudine ch'uccisa

fu da ogni parte in questa ultima guerra

(ben che la cosa non fu ugual divisa;

ch'assai più; andar dei Saracin sotterra

per man di Bradamante e di Marfisa),

se ne vede ancor segno in quella terra;

che presso ad Arli, ove il Rodano stagna,

piena di sepolture è; la campagna.

 

73

Fatto avea intanto il re Agramante sciorre

e ritirar in alto i legni gravi,

lasciando alcuni, e i più; leggieri, a torre

quei che volean salvarsi in su le navi.

Vi ste' duo dì; per chi fuggia raccorre,

e perché; venti eran contrari e pravi.

Fece lor dar le vele il terzo giorno;

ch'in Africa credea di far ritorno.

 

74

Il re Marsilio che sta in gran paura

ch'alla sua Spagna il fio pagar non tocche,

e la tempesta orribilmente oscura

sopra suoi campi all'ultimo non scocche;

si fe' porre a Valenza, e con gran cura

cominciò; a riparar castella e rocche,

e preparar la guerra che fu poi

la sua ruina e degli amici suoi.

 

75

Verso Africa Agramante alzò; le vele

de' legni male armati, e voti quasi;

d'uomini voti, e pieni di querele,

perch'in Francia i tre quarti eran rimasi.

Chi chiama il re superbo, chi crudele,

chi stolto; e come avviene in simil casi,

tutti gli voglion mal ne' lor secreti;

ma timor n'hanno, e stan per forza cheti.

 

76

Pur duo talora o tre schiudon le labbia,

ch'amici sono, e che tra lor s'han fede,

e sfogano la colera e la rabbia;

e 'l misero Agramante ancor si crede

ch'ognun gli porti amore, e pietà; gli abbia:

e questo gl'intervien, perché; non vede

mai visi se non finti, e mai non ode

se non adulazion, menzogne e frode.

 

77

Erasi consigliato il re africano

di non smontar nel porto di Biserta,

però; ch'avea del popul nubiano,

che quel lito tenea, novella certa;

ma tenersi di sopra sì; lontano,

che non fosse acre la discesa ed erta;

mettersi in terra, e ritornare al dritto

a dar soccorso al suo populo afflitto.

 

78

Ma il suo fiero destin che non risponde

a quella intenzion provida e saggia,

vuol che l'armata che nacque di fronde

miracolosamente ne la spiaggia,

e vien solcando inverso Francia l'onde,

con questa ad incontrar di notte s'aggia,

a nubiloso tempo, oscuro e tristo,

perché; sia in più; disordine sprovisto.

 

79

Non ha avuto Agramante ancora spia,

ch'Astolfo mandi una armata sì; grossa;

né; creduto anco a chi 'l dicesse, avria,

che cento navi un ramuscel far possa:

e vien senza temer ch'intorno sia

che contra lui s'ardisca di far mossa;

né; pone guardie né; veletta in gabbia,

che di ciò; che si scuopre avisar abbia.

 

80

Sì; che i navili che d'Astolfo avuti

avea Dudon, di buona gente armati,

e che la sera avean questi veduti,

ed alla volta lor s'eran drizzati,

assalir gli nimici sproveduti,

gittaro i ferri, e sonsi incatenati,

poi ch'al parlar certificati foro,

ch'erano Mori e gli nimici loro.

 

81

Ne l'arrivar i gran navili fenno

(spirando il vento a' lor desir secondo),

nei Saracin con tale impeto denno,

che molti legni ne cacciaro al fondo.

Poi cominciaro oprar le mani e il senno,

e ferro e fuoco e sassi di gran pondo

tirar con tanta e sì; fiera tempesta,

che mai non ebbe il mar simile a questa.

 

82

Quei di Dudone, a cui possanza e ardire

più; del solito è; lor dato di sopra

(che venuto era il tempo di punire

i Saracin di più; d'una mal'opra),

sanno appresso e lontan sì; ben ferire,

che non trova Agramante ove si cuopra.

Gli cade sopra un nembo di saette;

da lato ha spade e graffi e picche e accette.

 

83

D'alto cader sente gran sassi e gravi

da machine cacciati e da tormenti;

e prore e poppe fraccassar de navi,

ed aprire usci al mar larghi e patenti;

e 'l maggior danno è; de l'incendi pravi,

a nascer presti, ad ammorzarsi lenti.

La sfortunata ciurma si vuol torre

del gran periglio, e via più; ognor vi corre.

 

84

Altri che 'l ferro e l'inimico caccia,

nel mar si getta, e vi s'affoga e resta:

altri che muove a tempo piedi e braccia,

va per salvarsi o in quella barca o in questa;

ma quella, grave oltre il dover, lo scaccia,

e la man, per salir troppo molesta,

fa restare attaccata ne la sponda:

ritorna il resto a far sanguigna l'onda.

 

85

Altri che spera in mar salvar la vita,

o perderlavi almen con minor pena,

poi che notando non ritrova aita,

e mancar sente l'animo e la lena,

alla vorace fiamma c'ha fuggita,

la tema di annegarsi anco rimena:

s'abbraccia a un legno ch'arde, e per timore

c'ha di due morte, in ambe se ne muore.

 

86

Altri per tema di spiedo o d'accetta

che vede appresso, al mar ricorre invano,

perché; dietro gli vien pietra o saetta

che non lo lascia andar troppo lontano.

Ma saria forse, mentre che diletta

il mio cantar, consiglio utile e sano

di finirlo, più; tosto che seguire

tanto, che v'annoiasse il troppo dire.

 

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CANTO QUARANTESIMO

 

 

1

Lungo sarebbe, se i diversi casi

volessi dir di quel naval conflitto;

e raccontarlo a voi mi parria quasi,

magnanimo figliuol d'Ercole invitto,

portar, come si dice, a Samo vasi,

nottole Atene, e crocodili a Egitto;

che quanto per udita io ve ne parlo,

Signor, miraste, e feste altrui mirarlo.

 

2

Ebbe lungo spettacolo il fedele

vostro popul la notte e 'l dì; che stette,

come in teatro, l'inimiche vele

mirando in Po tra ferro e fuoco astrette.

Che gridi udir si possano e querele,

ch'onde veder di sangue umano infette,

per quanti modi in tal pugna si muora,

vedeste, e a molti il dimostraste allora.

 

3

Nol vide io già;, ch'era sei giorni inanti,

mutando ogn'ora altre vetture, corso

con molta fretta e molta ai piedi santi

del gran Pastore a domandar soccorso:

poi né; cavalli bisognar né; fanti;

ch'intanto al Leon d'or l'artiglio e 'l morso

fu da voi rotto sì;, che più; molesto

non l'ho sentito da quel giorno a questo.

 

4

Ma Alfonsin Trotto il qual si trovò; in fatto,

Annibal e Pier Moro e Afranio e Alberto,

e tre Ariosti, e il Bagno e il Zerbinatto

tanto me ne contar, ch'io ne fui certo:

me ne chiarir poi le bandiere affatto,

vistone al tempio il gran numero offerto,

e quindice galee ch'a queste rive

con mille legni star vidi captive.

 

5

Chi vide quelli incendi e quei naufragi,

le tante uccisioni e sì; diverse,

che, vendicando i nostri arsi palagi,

fin che fu preso ogni navilio, ferse;

potrà;, veder le morti anco e i disagi

che 'l miser popul d'Africa sofferse

col re Agramante in mezzo l'onde salse,

la scura notte che Dudon l'assalse.

 

6

Era la notte, e non si vedea lume,

quando s'incominciar l'aspre contese:

ma poi che 'l zolfo e la pece e 'l bitume

sparso in gran copia, ha prore e sponde accese,

e la vorace fiamma arde e consume

le navi e le galee poco difese;

sì; chiaramente ognun si vedea intorno,

che la notte parea mutata in giorno.

 

7

Onde Agramante che per l'aer scuro,

non avea l'inimico in sì; gran stima,

né; aver contrasto si credea sì; duro,

che, resistendo, al fin non lo reprima;

poi che rimosse le tenè;bre furo,

e vide quel che non credeva in prima,

che le navi nimiche eran duo tante,

fece pensier diverso a quel d'avante.

 

8

Smonta con pochi, ove in più; lieve barca

ha Brigliadoro e l'altre cose care.

Tra legno e legno taciturno varca,

fin che si trova in più; sicuro mare

da' suoi lontan, che Dudon preme e carca,

e mena a condizioni acri ed amare.

Gli arde il foco, il mar sorbe, il ferro strugge:

egli che n'è; cagion, via se ne fugge.

 

9

Fugge Agramante ed ha con lui Sobrino,

con cui si duol di non gli aver creduto,

quando previde con occhio divino,

e 'l mal gli annunziò;, ch'or gli è; avvenuto.

Ma torniamo ad Orlando paladino,

che, prima che Biserta abbia altro aiuto,

consiglia Astolfo che la getti in terra,

sì; che a Francia mai più; non faccia guerra.

 

10

E così; fu publicamente detto

che 'l campo in arme al terzo dì; sia istrutto.

Molti navili Astolfo a questo effetto

tenuti avea, né; Dudon n'ebbe il tutto;

di quai diede il governo a Sansonetto,

sì; buon guerrier al mar come all'asciutto:

e quel si pose, in su l'ancore sorto,

contra a Biserta, un miglio appresso al porto.

 

11

Come veri cristiani Astolfo e Orlando,

che senza Dio non vanno a rischio alcuno,

ne l'esercito fan publico bando,

che sieno orazion fatte e digiuno;

e che si trovi il terzo giorno, quando

si darà; il segno, apparecchiato ognuno

per espugnar Biserta, che data hanno,

vinta che s'abbia, a fuoco e a saccomanno.

 

12

E così;, poi che le astinenze e i voti

devotamente celebrati foro,

parenti, amici, e gli altri insieme noti

si cominciaro a convitar tra loro.

Dato restauro a' corpi esausti e voti,

abbracciandosi insieme lacrimoro,

tra loro usando i modi e le parole

che tra i più; cari al dipartir si suole.

 

13

Dentro a Biserta i sacerdoti santi

supplicando col populo dolente,

battonsi il petto, e con dirotti pianti

chiamano il lor Macon che nulla sente.

Quante vigilie, quante offerte, quanti

doni promessi son privatamente!

quanto in publico templi, statue, altari,

memoria eterna de' lor casi amari!

 

14

E poi che dal Cadì; fu benedetto,

prese il populo l'arme, e tornò; al muro.

Ancor giacea col suo Titon nel letto

la bella Aurora, ed era il cielo oscuro,

quando Astolfo da un canto, e Sansonetto

da un altro, armati agli ordini lor furo:

e poi che 'l segno che diè; il conte udiro,

Biserta con grande impeto assaliro.

 

15

Avea Biserta da duo canti il mare,

sedea dagli altri duo nel lito asciutto.

Con fabrica eccellente e singulare

fu antiquamente il suo muro costrutto.

Poco altro ha che l'aiuti o la ripare;

che poi che 'l re Branzardo fu ridutto

dentro da quella, pochi mastri, e poco

poté; aver tempo a riparare il loco.

 

16

Astolfo dà; l'assunto al re de' Neri,

che faccia a' merli tanto nocumento

con falariche, fonde e con arcieri,

che levi d'affacciarsi ogni ardimento;

sì; che passin pedoni e cavallieri

fin sotto la muraglia a salvamento,

che vengon, chi di pietre e chi di travi,

chi d'asce e chi d'altra materia gravi.

 

17

Chi questa cosa e chi quell'altra getta

dentro alla fossa, e vien di mano in mano;

di cui l'acqua il dì; inanzi fu intercetta,

sì; che in più; parti si scopria il pantano.

Ella fu piena ed atturata in fretta,

e fatto uguale insin al muro il piano.

Astolfo, Orlando ed Olivier procura

di far salir i fanti in su le mura.

 

18

I Nubi d'ogni indugio impazienti,

da la speranza del guadagno tratti,

non mirando a' pericoli imminenti,

coperti da testuggini e da gatti,

con arieti e loro altri istrumenti

a forar torri, e porte rompere atti,

tosto si fero alla città; vicini;

né; trovaro sprovisti i Saracini:

 

19

che ferro e fuoco e merli e tetti gravi

cader facendo a guisa di tempeste,

per forza aprian le tavole e le travi

de le machine in lor danno conteste.

Ne l'aria oscura e nei principi pravi

molto patir le battezzate teste;

ma poi che 'l sole uscì; del ricco albergo,

voltò; Fortuna ai Saracini il tergo.

 

20

Da tutti i canti risforzar l'assalto

fe' il conte Orlando e da mare e da terra.

Sansonetto ch'avea l'armata in alto,

entrò; nel porto e s'accostò; alla terra;

e con frombe e con archi facea d'alto,

e con vari tormenti estrema guerra;

e facea insieme espedir lance e scale,

ogni apparecchio e munizion navale.

 

21

Facea Oliviero, Orlando e Brandimarte,

e quel che fu sì; dianzi in aria ardito,

aspra e fiera battaglia da la parte

che lungi al mare era più; dentro al lito.

Ciascun d'essi venì;a con una parte

de l'oste che s'avean quadripartito.

Quale a mur, quale a porte, e quale altrove,

tutti davan di sé; lucide prove.

 

22

Il valor di ciascun meglio si puote

veder così;, che se fosser confusi:

chi sia degno di premio e chi di note,

appare inanzi a mill'occhi non chiusi.

Torri di legno trannosi con ruote,

e gli elefanti altre ne portano usi,

che su lor dossi così; in alto vanno,

che i merli sotto a molto spazio stanno.

 

23

Vien Brandimarte, e pon la scala a' muri,

e sale, e di salir altri conforta:

lo seguon molti intrepidi e sicuri;

che non può; dubitar chi l'ha in sua scorta.

Non è; chi miri, o chi mirar si curi,

se quella scala il gran peso comporta.

Sol Brandimarte agli nimici attende;

pugnando sale, e al fine un merlo prende.

 

24

E con mano e con piè; quivi s'attacca,

salta sui merli, e mena il brando in volta,

urta, riversa e fende e fora e ammacca,

e di sé; mostra esperienza molta.

Ma tutto a un tempo la scala si fiacca,

che troppa soma e di soperchio ha tolta:

e for che Brandimarte, giù; nel fosso

vanno sozzopra, e l'uno all'altro adosso.

 

25

Per ciò; non perde il cavallier l'ardire,

né; pensa riportare a dietro il piede;

ben che de' suoi non vede alcun seguire,

ben che berzaglio alla città; si vede.

Pregavan molti (e non volse egli udire)

che ritornasse; ma dentro si diede:

dico che giù; ne la città; d'un salto

dal muro entrò;, che trenta braccia era alto.

 

26

Come trovato avesse o piume o paglia,

presse il duro terren senza alcun danno;

e quei c'ha intorno affrappa e fora e taglia,

come s'affrappa e taglia e fora il panno.

Or contra questi or contra quei si scaglia;

e quelli e questi in fuga se ne vanno.

Pensano quei di fuor, che l'han veduto

dentro saltar, che tardo fia ogni aiuto.

 

27

Per tutto 'l campo alto rumor si spande

di voce in voce, e 'l mormorio e 'l bisbiglio.

La vaga Fama intorno si fa grande,

e narra, ed accrescendo va il periglio.

Ove era Orlando (perché; da più; bande

si dava assalto), ove d'Otone il figlio,

ove Olivier, quella volando venne,

senza posar mai le veloci penne.

 

28

Questi guerrier, e più; di tutti Orlando,

ch'amano Brandimarte e l'hanno in pregio,

udendo che se van troppo indugiando,

perderanno un compagno così; egregio,

piglian le scale, e qua e là; montando,

mostrano a gara animo altiero e regio,

con sì; audace sembiante e sì; gagliardo,

che i nimici tremar fan con lo sguardo.

 

29

Come nel mar che per tempesta freme,

assaglion l'acque il temerario legno,

ch'or da la prora, or da le parti estreme

cercano entrar con rabbia e con isdegno;

il pallido nocchier sospira e geme,

ch'aiutar deve, e non ha cor né; ingegno;

una onda viene al fin, ch'occupa il tutto,

e dove quella entrò;, segue ogni flutto:

 

30

così; dipoi ch'ebbono presi i muri

questi tre primi, fu sì; largo il passo,

che gli altri ormai seguir ponno sicuri,

che mille scale hanno fermate al basso.

Aveano intanto gli arieti duri

rotto in più; lochi, e con sì; gran fraccasso,

che si poteva in più; che in una parte

soccorrer l'animoso Brandimarte.

 

31

Con quel furor che 'l re de' fiumi altiero,

quando rompe talvolta argini e sponde,

e che nei campi Ocnei s'apre il sentiero,

e i grassi solchi e le biade feconde,

e con le sue capanne il gregge intero,

e coi cani i pastor porta ne l'onde;

guizzano i pesci agli olmi in su la cima,

ove solean volar gli augelli in prima:

 

32

con quel furor l'impetuosa gente,

là; dove avea in più; parti il muro rotto,

entrò; col ferro e con la face ardente

a distruggere il popul mal condotto.

Omicidio, rapina e man violente

nel sangue e ne l'aver, trasse di botto

la ricca e trionfal città; a ruina,

che fu di tutta l'Africa regina.

 

33

D'uomini morti pieno era per tutto;

e de le innumerabili ferite

fatto era un stagno più; scuro e più; brutto

di quel che cinge la città; di Dite.

Di casa in casa un lungo incendio indutto

ardea palagi, portici e meschite.

Di pianti e d'urli e di battuti petti

suonano i voti e depredati tetti.

 

34

I vincitori uscir de le funeste

porte vedeansi di gran preda onusti,

chi con bei vasi e chi con ricche veste,

chi con rapiti argenti a' dei vetusti:

chi traea i figli, e chi le madri meste:

fur fatti stupri e mille altri atti ingiusti,

dei quali Orlando una gran parte intese,

né; lo poté; vietar, né; 'l duca inglese.

 

35

Fu Bucifar de l'Algazera morto

con esso un colpo da Olivier gagliardo.

Perduta ogni speranza, ogni conforto,

s'uccise di sua mano il re Branzardo,

con tre ferite, onde morì; di corto,

fu preso Folvo dal duca dal Pardo.

Questi eran tre ch'al suo partir lasciato

avea Agramante a guardia de lo stato.

 

36

Agramante ch'intanto avea deserta

l'armata, e con Sobrin n'era fuggito,

pianse da lungi e sospirò; Biserta,

veduto sì; gran fiamma arder sul lito.

Poi più; d'appresso ebbe novella certa

come de la sua terra il caso era ito:

e d'uccider se stesso in pensier venne,

e lo facea; ma il re Sobrin lo tenne.

 

37

Dicea Sobrin: - Che più; vittoria lieta,

signor, potrebbe il tuo inimico avere,

che la tua morte udire, onde quieta

si speraria poi l'Africa godere?

Questo contento il viver tuo gli vieta:

quindi avrà; cagion sempre di temere.

Sa ben che lungamente Africa sua

esser non può;, se non per morte tua.

 

38

Tutti i sudditi tuoi, morendo, privi

de la speranza, un ben che sol ne resta.

Spero che n'abbi a liberar, se vivi,

e trar d'affanno e ritornarne in festa.

So che, se muori, sià;n sempre captivi,

Africa sempre tributaria e mesta.

Dunque, s'in util tuo viver non vuoi,

vivi, signor, per non far danno ai tuoi.

 

39

Dal soldano d'Egitto, tuo vicino,

certo esser puoi d'aver danari e gente:

malvolentieri il figlio di Pipino

in Africa vedrà; tanto potente.

Verrà; con ogni sforzo Norandino

per ritornarti in regno, il tuo parente:

Armeni, Turchi, Persi, Arabi e Medi,

tutti in soccorso avrai, se tu li chiedi. -

 

40

Con tali e simil detti il vecchio accorto

studia tornare il suo signore in speme

di racquistarsi l'Africa di corto;

ma nel suo cor forse il contrario teme:

sa ben quanto è; a mal termine e a mal porto,

e come spesso invan sospira e geme

chiunque il regno suo si lascia torre,

e per soccorso a' barbari ricorre.

 

41

Annibal e Iugurta di ciò; foro

buon testimoni, ed altri al tempo antico:

al tempo nostro Ludovico il Moro,

dato in poter d'un altro Ludovico.

Vostro fratello Alfonso da costoro

ben ebbe esempio (a voi, Signor mio, dico),

che sempre ha riputato pazzo espresso

chi più; si fida in altri ch'in se stesso.

 

42

E però; ne la guerra che gli mnosse

del pontifice irato un duro sdegno,

ancor che ne le deboli sue posse

non potessi egli far molto disegno,

e chi lo difendea, d'Italia fosse

spinto, e n'avesse il suo nimico il regno;

né; per minacce mai né; per promesse

s'indusse che lo stato altrui cedesse.

 

43

Il re Agramante all'oriente avea

volta la prora, e s'era spinto in alto,

quando da terra una tempesta rea

mosse da banda impetuoso assalto.

Il nocchier ch'al governo vi sedea:

- Io veggo (disse alzando gli occhi ad alto)

una procella apparecchiar sì; grave,

che contrastar non le potrà; la nave.

 

44

S'attendete, signori, al mio consiglio,

qui da man manca ha un'isola vicina,

a cui mi par ch'abbiamo a dar di piglio,

fin che passi il furor de la marina. -

Consentì; il re Agramante; e di periglio

uscì;, pigliando la spiaggia mancina,

che per salute de' nocchier giace

tra gli Afri e di Vulcan l'alta fornace.

 

45

D'abitazioni è; l'isoletta vota,

piena d'umil mortelle e di ginepri,

ioconda solitudine e remota

a cervi, a daini, a capriuoli, a lepri;

e fuor ch'a piscatori, è; poco nota,

ove sovente a rimondati vepri

sospendon, per seccar, l'umide reti:

dormeno intanto i pesci in mar quieti.

 

46

Quivi trovar che s'era un altro legno,

cacciato da fortuna, già; ridutto:

il gran guerrier ch'in Sericana ha regno,

levato d'Arli, avea quivi condutto.

Con modo riverente e di sé; degno

l'un re con l'altro s'abbracciò; all'asciutto;

ch'erano amici, e poco inanzi furo

compagni d'arme al parigino muro.

 

47

Con molto dispiacer Gradasso intese

del re Agramante le fortune avverse:

poi confortollo, e come re cortese,

con la propria persona se gli offerse:

ma che egli andasse all'infedel paese

d'Egitto, per aiuto, non sofferse.

- Che vi sia (disse) periglioso gire,

dovria Pompeio i profugi ammonire.

 

48

E perché; detto m'hai che con l'aiuto

degli Etiopi, sudditi al Senapo,

Astolfo a torti l'Africa è; venuto,

e ch'arsa ha la città; che n'era capo;

e ch'Orlando è; con lui, che diminuto

poco inanzi di senno aveva il capo;

mi pare al tutto un ottimo rimedio

aver pensato a farti uscir di tedio.

 

49

Io piglierò; per amor tuo l'impresa

d'entrar col conte a singular certame.

Contra me so che non avrà; difesa,

se tutto fosse di ferro o di rame.

Morto lui, stimo la cristiana Chiesa,

quel che l'agnelle il lupo ch'abbia fame.

Ho poi pensato (e mi fia cosa lieve)

di fare i Nubi uscir d'Africa in breve.

 

50

Farò; che gli altri Nubi che da loro

il Nilo parte e la diversa legge,

e gli Arabi e i Macrobi, questi d'oro

ricchi e di gente, e quei d'equino gregge,

Persi e Caldei (perché; tutti costoro

con altri molti il mio scettro corregge);

farò; ch'in Nubia lor faran tal guerra,

che non si fermeran ne la tua terra. -

 

51

Al re Agramante assai parve oportuna

del re Gradasso la seconda offerta;

e si chiamò; obligato alla Fortuna,

che l'avea tratto all'isola deserta:

ma non vuol torre a condizione alcuna,

se racquistar credesse indi Biserta,

che battaglia per lui Gradasso prenda;

che 'n ciò; gli par che l'onor troppo offenda.

 

52

- S'a disfidar s'ha Orlando, son quell'io

(rispose) a cui la pugna più; conviene:

e pronto vi sarò;; poi faccia Dio

di me, come gli pare, o male o bene. -

- Faccià;n (disse Gradasso) al modo mio,

a un nuovo modo ch'in pensier mi viene:

questa battaglia pigliamo ambedui

incontra Orlando, e un altro sia con lui. -

 

53

- Pur ch'io non resti fuor, non me ne lagno

(disse Agramante), o sia primo o secondo:

ben so ch'in arme ritrovar compagno

di te miglior non si può; in tutto 'l mondo. -

- Ed io (disse Sobrin) dove rimagno?

E se vecchio vi paio, vi rispondo

ch'io debbo esser più; esperto, e nel periglio

presso alla forza è; buono aver consiglio. -

 

54

D'una vecchiezza valida e robusta

era Sobrino, e di famosa prova;

e dice ch'in vigor l'età; vetusta

si sente pari alla già; verde e nuova.

Stimata fu la sua domanda giusta;

e senza indugio un messo si ritrova,

il qual si mandi agli africani lidi,

e da lor parte il conte Orlando sfidi;

 

55

che s'abbia a ritrovar con numer pare

di cavallieri armati in Lipadusa.

Una isoletta è; questa, che dal mare

medesmo che li cinge, è; circonfusa.

Non cessa il messo a vela e a remi andare,

come quel che prestezza al bisogno usa,

che fu a Biserta; e trovò; Orlando quivi,

ch'a suoi le spoglie dividea e i captivi.

 

56

Lo 'nvito di Gradasso e d'Agramante

e di Sobrino in publico fu espresso,

tanto giocondo al principe d'Anglante,

che d'ampli doni onorar fece il messo.

Avea dai suoi compagni udito inante,

che Durindana al fianco s'avea messo

il re Gradasso: onde egli, per desire

di racquistarla, in India volea gire,

 

57

stimando non aver Gradasso altrove,

poi ch'udì; che di Francia era partito.

Or più; vicin gli è; offerto luogo, dove

spera che 'l suo gli fia restituito.

Il bel corno d'Almonte anco lo muove

ad accettar sì; volentier lo 'nvito,

e Brigliador non men; che sapea in mano

esser venuti al figlio di Troiano.

 

58

Per compagno s'elegge alla battaglia

il fedel Brandimarte e 'l suo cognato.

Provato ha quanto l'uno e l'altro vaglia;

sa che da trambi è; sommamente amato.

Buon destrier, buona piastra e buona maglia,

e spade cerca e lance in ogni lato

a sé; e a' compagni: che sappiate parme,

che nessun d'essi avea le solite arme.

 

59

Orlando (come io v'ho detto più; volte)

de le sue sparse per furor la terra:

agli altri ha Rodomonte le lor tolte,

ch'or alta torre in ripa un fiume serra.

Non se ne può; per Africa aver molte;

sì; perché; in Francia avea tratto alla guerra

il re Agramante ciò; ch'era di buono,

sì; perché; poche in Africa ne sono.

 

60

Ciò; che di ruginoso e di brunito

aver si può;, fa ragunare Orlando;

e coi compagni intanto va pel lito

de la futura pugna ragionando.

Gli avvien ch'essendo fuor del campo uscito

più; di tre miglia, e gli occhi al mare alzando,

vide calar con le vele alte un legno

verso il lito african senza ritegno.

 

61

Senza nocchieri e senza naviganti,

sol come il vento e sua fortuna il mena,

venì;a con le vele alte il legno avanti,

tanto che se ritenne in su l'arena.

Ma prima che di questo più; vi canti,

l'amor ch'a Ruggier porto mi rimena

alla sua istoria, e vuol ch'io vi racconte

di lui e del guerrier di Chiaramonte.

 

62

Di questi duo guerrier dissi che tratti

s'erano fuor del marziale agone,

viste convenzion rompere e patti,

e turbarsi ogni squadra e legione.

Chi prima i giuramenti abbia disfatti,

e stato sia di tanto mal cagione,

o l'imperator Carlo, o il re Agramante,

studian saper da chi lor passa avante.

 

63

Un servitor intanto di Ruggiero,

ch'era fedele e pratico ed astuto,

né; pel conflitto dei duo campi fiero

avea di vista il patron mai perduto,

venne a trovarlo, e la spada e 'l destriero

gli diede, perché; a' suoi fosse in aiuto.

Montò; Ruggiero e la sua spada tolse,

ma ne la zuffa entrar non però; volse.

 

64

Quindi si parte; ma prima rinuova

la convenzion che con Rinaldo avea;

che se pergiuro il suo Agramante trova,

lo lascierà; con la sua setta rea.

Per quel giorno Ruggier fare altra prova

d'arme non volse; ma solo attendea

a fermar questo e quello, e a domandarlo

chi prima roppe, o 'l re Agramante, o Carlo.

 

65

Ode da tutto 'l mondo, che la parte

del re Agramante fu, che roppe prima.

Ruggiero ama Agramante, e se si parte

da lui per questo, error non lieve stima.

Fur le gente africane e rotte e sparte

(questo ho già; detto inanzi), e da la cima

de la volubil ruota tratte al fondo,

come piacque a colei ch'aggira il mondo.

 

66

Tra sé; volve Ruggiero e fa discorso,

se restar deve, o il suo signor seguire.

Gli pon l'amor de la sua donna un morso

per non lasciarlo in Africa più; gire:

lo volta e gira, ed a contrario corso

lo sprona, e lo minaccia di punire,

se l' patto e 'l giuramento non tien saldo,

che fatto avea col paladin Rinaldo.

 

67

Non men da l'altra parte sferza e sprona

la vigilante e stimulosa cura,

che s'Agramante in quel caso abbandona,

a viltà; gli sia ascritto ed a paura.

Se del restar la causa parrà; buona

a molti, a molti ad accettar fia dura.

Molti diran che non si de' osservare

quel ch'era ingiusto e illicito a giurare.

 

68

Tutto quel giorno e la notte seguente

stette solingo, e così; l'altro giorno,

pur travagliando la dubbiosa mente,

se partir deve o far quivi soggiorno.

Pel signor suo conclude finalmente

di fargli dietro in Africa ritorno.

Potea in lui molto il coniugale amore,

ma vi potea più; il debito e l'onore.

 

69

Torna verso Arli; che trovarvi spera

l'armata ancor, ch'in Africa il trasporti:

né; legno in mar né; dentro alla rivera,

né; Saracini vede, se non morti.

Seco al partire ogni legno che v'era

trasse Agramante, e 'l resto arse nei porti.

Fallitogli il pensier, prese il camino

verso Marsilia pel lito marino.

 

70

A qualche legno pensa dar di piglio,

ch'a prieghi o forza il porti all'altra riva.

Già; v'era giunto del Danese il figlio

con l'armata de' barbari captiva.

Non si avrebbe potuto un gran di miglio

gittar ne l'acqua: tanto la copriva

la spessa moltitudine de navi,

di vincitori e di prigioni, gravi.

 

71

Le navi de' pagani, ch'avanzaro

dal fuoco e dal naufragio quella notte,

eccetto poche ch'in fuga n'andaro,

tutte a Marsilia avea Dudon condotte.

Sette di quei ch'in Africa regnaro,

che, poi che le lor genti vider rotte,

con sette legni lor s'eran renduti,

stavan dolenti, lacrimosi e muti.

 

72

Era Dudon sopra la spiaggia uscito,

ch'a trovar Carlo andar volea quel giorno;

e de' captivi e de lor spoglie ordito

con lunga pompa avea un trionfo adorno.

Eran tutti i prigion stesi nel lito,

e i Nubi vincitori allegri intorno,

che faceano del nome di Dudone

intorno risonar la regione.

 

73

Venne in speranza di lontan Ruggiero,

che questa fosse armata d'Agramante;

e, per saperne il vero, urtò; il destriero:

ma riconobbe, come fu più; inante,

il re de Nasamona prigionero,

Bambirago, Agricalte e Farurante,

Manilardo e Balastro e Rimedonte,

che piangendo tenean bassa la fronte.

 

74

Ruggier che gli ama, sofferir non puote

che stian ne la miseria in che li trova.

Quivi sa ch'a venir con le man vote,

senza usar forza, il pregar poco giova.

La lancia abbassa, e chi li tien percuote;

e fa del suo valor l'usata prova;

stringe la spada, e in un piccol momento

ne fa cadere intorno più; di cento.

 

75

Dudone ode il rumor, la strage vede

che fa Ruggier, ma chi sia non conosce.

Vede i suoi c'hanno in fuga volto il piede

con gran timor, con pianto e con angosce.

Presto il destrier, lo scudo e l'elmo chiede;

che già; avea armato e petto e braccia e cosce:

salta a cavallo e si fa dar la lancia,

e non oblia ch'è; paladin di Francia.

 

76

Grida che si ritiri ognun da canto,

spinge il cavallo e fa sentir gli sproni.

Ruggier cent'altri n'avea uccisi intanto,

e gran speranza dato a quei prigioni:

e come venir vide Dudon santo

solo a cavallo, e gli altri esser pedoni,

stimò; che capo e che signor lor fosse;

e contra lui con gran desir si mosse.

 

77

Già; mosso prima era Dudon; ma quando

senza lancia Ruggier vide venire,

lunge da sé; la sua gittò;, sdegnando

con tal vantaggio il cavallier ferire.

Ruggiero, al cortese atto riguardando,

disse fra sé;: - Costui non può; mentire,

ch'uno non sia di quei guerrier perfetti

che paladin di Francia sono detti.

 

78

S'impetrar lo potrò;, vo' che 'l suo nome,

inanzi che segua altro, mi palese; -

e così; domandollo: e seppe come

era Dudon figliuol d'Uggier danese.

Dudon gravò; Ruggier poi d'ugual some,

e parimente lo trovò; cortese.

Poi che i nomi tra lor s'ebbono detti,

si disfidaro, e vennero agli effetti.

 

79

Avea Dudon quella ferrata mazza

ch'in mille imprese gli diè; eterno onore:

con essa mostra ben ch'egli è; di razza

di quel Danese pien d'alto valore.

La spada ch'apre ogni elmo, ogni corazza,

di che non era al mondo la migliore,

trasse Ruggiero, e fece paragone

di sua virtude al paladin Dudone.

 

80

Ma perché; in mente ognora avea di meno

offender la sua donna, che potea;

ed era certo, se spargea il terreno

del sangue di costui, che la offendea

(de le case di Francia istrutto a pieno,

la madre di Dudone esser sapea

Armelina sorella di Beatrice,

ch'era di Bradamante genitrice):

 

81

per questo mai di punta non gli trasse,

e di taglio rarissimo ferì;a.

Schermiasi, ovunque la mazza calasse,

or ribattendo, or dandole la via.

Crede Turpin che per Ruggier restasse,

che Dudon morto in pochi colpi avria:

né; mai, qualunque volta si scoperse,

ferir, se non di piatto, lo sofferse.

 

82

Di piatto usar potea, come di taglio,

Ruggier la spada sua ch'avea gran schena;

e quivi a strano giuoco di sonaglio

sopra Dudon con tanta forza mena,

che spesso agli occhi gli pon tal barbaglio,

che si ritien di non cadere a pena.

Ma per esser più; grato a chi mi ascolta,

io differisco il canto a un'altra volta.

 

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CANTO QUARANTUNESIMO

 

 

1

L'odor ch'è; sparso in ben notrita e bella

o chioma o barba o delicata vesta

di giovene leggiadro o di donzella,

ch'Amor sovente lacrimando desta,

se spira e fa sentir di sé; novella,

e dopo molti giorni ancora resta;

mostra con chiaro ed evidente effetto,

come a principio buono era e perfetto.

 

2

L'almo liquor che ai meditori suoi

fece Icaro gustar con suo gran danno,

e che si dice che già; Celte e Boi

fe' passar l'Alpe e non sentir l'affanno;

mostra che dolce era a principio, poi

che si serva ancor dolce al fin de l'anno.

L'arbor ch'al tempo rio foglia non perde,

mostra ch'a primavera era ancor verde.

 

3

L'inclita stirpe che per tanti lustri

mostrò; di cortesia sempre gran lume,

e par ch'ognor più; ne risplenda e lustri,

fa che con chiaro indizio si presume,

che chi progenerò; gli Estensi illustri,

dovea d'ogni laudabile costume

che sublimar al ciel gli uomini suole,

splender non men che fra le stelle il sole.

 

4

Ruggier, come in ciascun suo degno gesto,

d'alto valor, di cortesia solea

dimostrar chiaro segno e manifesto,

e sempre più; magnanimo apparea;

così; verso Dudon lo mostrò; in questo,

col qual (come di sopra io vi dicea)

dissimulato avea quanto era forte,

per pietà; che gli avea di porlo a morte.

 

5

Avea Dudon ben conosciuto certo,

ch'ucciderlo Ruggier non l'ha voluto;

perch'or s'ha ritrovato allo scoperto,

or stanco sì;, che più; non ha potuto.

Poi che chiaro comprende, e vede aperto

che gli ha rispetto, e che va ritenuto;

quando di forza e di vigor val meno,

di cortesia non vuol cedergli almeno.

 

6

- Per Dio (dice), signor, pace facciamo;

ch'esser non può; più; la vittoria mia:

esser non può; più; mia; che già; mi chiamo

vinto e prigion de la tua cortesia. -

Ruggier rispose: - Ed io la pace bramo

non men di te; ma che con patto sia,

che questi sette re c'hai qui legati,

lasci ch'in libertà; mi sieno dati. -

 

7

E gli mostrò; quei sette re ch'io dissi

che stavano legati a capo chino;

e gli soggiunse che non gli impedissi

pigliar con essi in Africa il camino.

E così; furo in libertà; remissi

quei re; che gliel concesse il paladino;

e gli concesse ancor ch'un legno tolse,

quel ch'a lui parve, e verso Africa sciolse.

 

8

Il legno sciolse, e fe' scioglier la vela,

e se diè; al vento perfido in possanza,

che da principio la gonfiata tela

drizzò; a camino, e diè; al nocchier baldanza.

Il lito fugge, e in tal modo si cela,

che par che ne sia il mar rimaso sanza.

Ne l'oscurar del giorno fece il vento

chiara la sua perfidia e 'l tradimento.

 

9

Mutossi da la poppa ne le sponde,

indi alla prora, e qui non rimase anco:

ruota la nave, ed i nocchier confonde;

ch'or di dietro or dinanzi or loro è; al fianco.

Surgono altiere e minacciose l'onde:

mugliando sopra il mar va il gregge bianco.

Di tante morti in dubbio e in pena stanno,

quanto son l'acque ch'a ferir li vanno.

 

10

Or da fronte or da tergo il vento spira;

e questo inanzi, e quello a dietro caccia:

un altro da traverso il legno aggira;

e ciascun pur naufragio gli minaccia.

Quel che siede al governo, alto sospira

pallido e sbigottito ne la faccia;

e grida invano, e invan con mano accenna

or di voltare, or di calar l'antenna.

 

11

Ma poco il cenno, e 'l gridar poco vale:

tolto è; 'l veder da la piovosa notte.

La voce, senza udirsi, in aria sale,

in aria che ferì;a con maggior botte

de' naviganti il grido universale,

e 'l fremito de l'onde insieme rotte:

e in prora e in poppa e in amendue le bande

non si può; cosa udir, che si commande.

 

12

Da la rabbia del vento che si fende

ne le ritorte, escono orribil suoni:

di spessi lampi l'aria si raccende,

risuona 'l ciel di spaventosi tuoni.

V'è; chi corre al timon, chi i remi prende;

van per uso agli uffici a che son buoni:

chi s'affatica a sciorre e chi a legare;

vota altri l'acqua, e torna il mar nel mare.

 

13

Ecco stridendo l'orribil procella

che 'l repentin furor di borea spinge,

la vela contra l'arbore flagella:

il mar si leva, e quasi il cielo attinge.

Frangonsi i remi; e di fortuna fella

tanto la rabbia impetuosa stringe,

che la prora si volta, e verso l'onda

fa rimaner la disarmata sponda.

 

14

Tutta sotto acqua va la destra banda,

e sta per riversar di sopra il fondo.

Ognun, gridando, a Dio si raccomanda;

che più; che certi son gire al profondo.

D'uno in un altro mal fortuna manda:

il primo scorre, e vien dietro il secondo.

Il legno vinto in più; parti si lassa,

e dentro l'inimica onda vi passa.

 

15

Muove crudele e spaventoso assalto

da tutti i lati il tempestoso verno.

Veggon talvolta il mar venir tant'alto,

che par ch'arrivi insin al ciel superno.

Talor fan sopra l'onde in su tal salto,

ch'a mirar giù; par lor veder lo 'nferno.

O nulla o poca speme è; che conforte;

e sta presente inevitabil morte.

 

16

Tutta la notte per diverso mare

scorsero errando ove cacciolli il vento;

il fiero vento che dovea cessare

nascendo il giorno, e ripigliò; augumento.

Ecco dinanzi un nudo scoglio appare:

voglion schivarlo, e non v'hanno argumento.

Li porta, lor mal grado, a quella via

il crudo vento e la tempesta ria.

 

17

Tre volte e quattro il pallido nocchiero

mette vigor perché; 'l timon sia volto

e trovi più; sicuro altro sentiero;

ma quel si rompe, e poi dal mar gli è; tolto.

Ha sì; la vela piena il vento fiero,

che non si può; calar poco né; molto:

né; tempo han di riparo o di consiglio;

che troppo appresso è; quel mortal periglio.

 

18

Poi che senza rimedio si comprende

la irreparabil rotta de la nave,

ciascuno al suo privato utile attende,

ciascun salvar la vita sua cura have.

Chi può; più; presto al palischermo scende;

ma quello è; fatto subito sì; grave

per tanta gente che sopra v'abbonda,

che poco avanza a gir sotto la sponda.

 

19

Ruggier che vide il comite e 'l padrone

e gli altri abbandonar con fretta il legno,

come senz'arme si trovò; in giubbone,

campar su quel battel fece disegno:

ma lo trovò; sì; carco di persone,

e tante venner poi, che l'acque il segno

passaro in guisa, che per troppo pondo

con tutto il carco andò; il legnetto al fondo:

 

20

del mare al fondo: e seco trasse quanti

lasciaro a sua speranza il maggior legno.

Allor s'udì; con dolorosi pianti

chiamar soccorso dal celeste regno:

ma quelle voci andaro poco inanti,

che venne il mar pien d'ira e di disdegno,

e subito occupò; tutta la via

onde il lamento e il flebil grido uscia.

 

21

Altri là; giù;, senza apparir più;, resta;

altri risorge e sopra l'onde sbalza;

chi vien nuotando e mostra fuor la testa,

chi mostra un braccio, e chi una gamba scalza.

Ruggier che 'l minacciar de la tempesta

temer non vuol, dal fondo al sommo s'alza,

e vede il nudo scoglio non lontano,

ch'egli e i compagni avean fuggito invano.

 

22

Spera, per forza di piedi e di braccia

nuotando, di salir sul lito asciutto.

Soffiando viene, e lungi da la faccia

l'onda respinge e l'importuno flutto.

Il vento intanto e la tempesta caccia

il legno voto, e abbandonato in tutto

da quelli che per lor pessima sorte

il disio di campar trasse alla morte.

 

23

Oh fallace degli uomini credenza!

campò; la nave che dovea perire;

quando il padrone e i galleotti senza

governo alcun l'avean lasciata gire.

Parve che si mutasse di sentenza

il vento, poi che ogni uom vide fuggire:

fece che 'l legno a miglior via si torse,

né; toccò; terra, e in sicura onda corse.

 

24

E dove col nocchier tenne via incerta,

poi che non l'ebbe, andò; in Africa al dritto,

e venne a capitar presso a Biserta

tre miglia o due, dal lato verso Egitto;

e ne l'arena sterile e deserta

restò;, mancando il vento e l'acqua, fitto.

Or quivi sopravenne, a spasso andando,

come di sopra io vi narrava, Orlando.

 

25

E disioso di saper se fusse

la nave sola, e fusse o vota o carca,

con Brandimarte a quella si condusse

e col cognato, in su una lieve barca.

Poi che sotto coverta s'introdusse,

tutta la ritrovò; d'uomini scarca:

vi trovò; sol Frontino il buon destriero,

l'armatura e la spada di Ruggiero;

 

26

di cui fu per campar tanto la fretta,

ch'a tor la spada non ebbe pur tempo.

Conobbe quella il paladin, che detta

fu Balisarda, e che già; sua fu un tempo.

So che tutta l'istoria avete letta,

come la tolse a Falerina, al tempo

che le distrusse anco il giardin sì; bello,

e come a lui poi la rubò; Brunello;

 

27

e come sotto il monte di Carena

Brunel ne fe' a Ruggier libero dono.

Di che taglio ella fosse e di che schena,

n'avea già; fatto esperimento buono;

io dico Orlando: e però; n'ebbe piena

letizia, e ringrazionne il sommo Trono;

e si credette (e spesso il disse dopo),

che Dio gliele mandasse a sì; grande uopo:

 

28

a sì; grande uopo, come era, dovendo

condursi col signor di Sericana;

ch'oltre che di valor fosse tremendo,

sapea ch'avea Baiardo e Durindana.

L'altra armatura, non la conoscendo,

non apprezzò; per cosa sì; soprana,

come chi ne fe' prova apprezzò; quella,

per buona sì;, ma per più; ricca e bella.

 

29

E perché; gli facean poco mestiero

l'arme (ch'era inviolabile e affatato),

contento fu che l'avesse Oliviero;

il brando no, che sel pose egli a lato:

a Brandimarte consegnò; il destriero.

Così; diviso ed ugualmente dato

volse che fosse a ciaschedun compagno

ch'insieme si trovar, di quel guadagno.

 

30

Pel dì; de la battaglia ogni guerriero

studia aver ricco e nuovo abito indosso.

Orlando riccamar fa nel quartiero

l'alto Babel dal fulmine percosso.

Un can d'argento aver vuole Oliviero,

che giaccia, e che la lassa abbia sul dosso,

con un motto che dica: Fin che vegna:

e vuol d'oro la vesta e di sé; degna.

 

31

Fece disegno Brandimarte, il giorno

de la battaglia, per amor del padre,

e per suo onor, di non andare adorno

se non di sopraveste oscure ed adre.

Fiordiligi le fe' con fregio intorno,

quanto più; seppe far, belle e leggiadre.

Di ricche gemme il fregio era contesto;

d'un schietto drappo e tutto nero il resto.

 

32

Fece la donna di sua man le sopra-

vesti a cui l'arme converrian più; fine,

de' quai l'osbergo il cavallier si cuopra,

e la groppa al cavallo e 'l petto e 'l crine.

Ma da quel dì; che cominciò; quest'opra,

continuando a quel che le diè; fine,

e dopo ancora, mai segno di riso

far non poté;, né; d'allegrezza in viso.

 

33

Sempre ha timor nel cor, sempre tormento

che Brandimarte suo non le sia tolto.

Già; l'ha veduto in cento lochi e cento

in gran battaglie e perigliose avvolto;

né; mai, come ora, simile spavento

le agghiacciò; il sangue e impallidille il volto:

e questa novità; d'aver timore

le fa tremar di doppia tema il core.

 

34

Poi che son d'arme e d'ogni arnese in punto,

alzano al vento i cavallier le vele.

Astolfo e Sansonetto con l'assunto

riman del grande esercito fedele.

Fiordiligi col cor di timor punto,

empiendo il ciel di voti e di querele,

quanto con vista seguitar le puote,

segue le vele in alto mar remote.

 

35

Astolfo a gran fatica e Sansonetto

poté; levarla dal mirar ne l'onda

e ritrarla al palagio, ove sul letto

la lasciaro affannata e tremebonda.

Portava intanto il bel numero eletto

dei tre buon cavallier l'aura seconda.

Andò; il legno a trovar l'isola al dritto,

ove far si dovea tanto conflitto.

 

36

Sceso nel lito il cavallier d'Anglante,

il cognato Oliviero e Brandimarte,

col padiglione il lato di levante

primi occupar; né; forse il fer senz'arte.

Giunse quel dì; medesimo Agramante,

e s'accampò; da la contraria parte;

ma perché; molto era inchinata l'ora,

differir la battaglia ne l'aurora.

 

37

Di qua e di là; sin alla nuova luce

stanno alla guardia i servitori armati.

La sera Brandimarte si conduce

là; dove i Saracin sono alloggiati,

e parla, con licenza del suo duce,

al re african; ch'amici erano stati:

e Brandimarte già; con la bandiera

del re Agramante in Francia passato era.

 

38

Dopo i saluti e 'l giunger mano a mano,

molte ragion, sì; come amico, disse

il fedel cavalliero al re pagano,

perché; a questa battaglia non venisse:

e di riporgli ogni cittade in mano,

che sia tra 'l Nilo e 'l segno ch'Ercol fisse,

con volontà; d'Orlando gli offeria,

se creder volea al Figlio di Maria.

 

39

- Perché; sempre v'ho amato ed amo molto,

questo consiglio (gli dicea) vi dono;

e quando già;, signor, per me l'ho tolto,

creder potete ch'io l'estimo buono.

Cristo conobbi Dio, Maumette stolto;

e bramo voi por ne la via in ch'io sono:

ne la via di salute, signor, bramo

che siate meco, e tutti gli altri ch'amo.

 

40

Qui consiste il ben vostro; né; consiglio

altro potete prender, che vi vaglia;

e men di tutti gli altri, se col figlio

di Milon vi mettete alla battaglia;

che 'l guadagno del vincere al periglio

de la perdita grande non si agguaglia.

Vincendo voi, poco acquistar potete;

ma non perder già; poco, se perdete.

 

41

Quando uccidiate Orlando, e noi venuti

qui per morire o vincere con lui,

io non veggo per questo che i perduti

domini a racquistar s'abbian per vui.

Né; dovete sperar che sì; si muti

lo stato de le cose, morti nui,

ch'uomini a Carlo manchino da porre

quivi a guardar fin all'estrema torre. -

 

42

Così; parlava Brandimarte, ed era

per suggiungere ancor molte altre cose;

ma fu con voce irata e faccia altiera

dal pagano interrotto, che rispose:

- Temerità; per certo e pazzia vera

è; la tua, e di qualunque che si pose

a consigliar mai cosa o buona o ria,

ove chiamato a consigliar non sia.

 

43

E che 'l consiglio che mi dai, proceda

da ben che m'hai voluto e vuommi ancora,

io non so, a dire il ver, come io tel creda,

quando qui con Orlando ti veggo ora.

Crederò; ben, tu che ti vedi in preda

di quel dragon che l'anime devora,

che brami teco nel dolore eterno

tutto 'l mondo poter trarre all'inferno.

 

44

Ch'io vinca o perda, o debba nel mio regno

tornare antiquo, o sempre starne in bando,

in mente sua n'ha Dio fatto disegno,

il qual né; io, né; tu, né; vede Orlando.

Sia quel che vuol, non potrà; ad atto indegno

di re inchinarmi mai timor nefando.

S'io fossi certo di morir, vo' morto

prima restar, ch'al sangue mio far torto.

 

45

Or ti puoi ritornar; che se migliore

non sei dimani in questo campo armato,

che tu mi sia paruto oggi oratore,

mal troverassi Orlando accompagnato. -

Queste ultime parole usciron fuore

del petto acceso d'Agramante irato.

Ritornò; l'uno e l'altro, e ripososse,

fin che del mare il giorno uscito fosse.

 

46

Nel biancheggiar de la nuova alba armati,

e in un momento fur tutti a cavallo.

Pochi sermon si son tra loro usati:

non vi fu indugio, non vi fu intervallo,

che i ferri de le lance hanno abbassati.

Ma mi parria, Signor, far troppo fallo,

se, per voler di costor dir, lasciassi

tanto Ruggier nel mar, che v'affogassi.

 

47

Il giovinetto con piedi e con braccia

percotendo venì;a l'orribil onde.

Il vento e la tempesta gli minaccia;

ma più; la coscienza lo confonde.

Teme che Cristo ora vendetta faccia;

che, poi che battezzar ne l'acque monde,

quando ebbe tempo, sì; poco gli calse,

or si battezzi in queste amare e salse.

 

48

Gli ritornano a mente le promesse

che tante volte alla sua donna fece;

quel che giurato avea quando si messe

contra Rinaldo, e nulla satisfece.

A Dio, ch'ivi punir non lo volesse,

pentito disse quattro volte e diece;

e fece voto di core e di fede

d'esser cristian, se ponea in terra il piede:

 

49

e mai più; non pigliar spada né; lancia

contra ai fedeli in aiuto de' Mori;

ma che ritorneria subito in Francia,

e a Carlo renderia debiti onori;

né; Bradamante più; terrebbe a ciancia,

e verria a fine onesto dei suo' amori.

Miracol fu, che sentì; al fin del voto

crescersi forza e agevolarsi il nuoto.

 

50

Cresce la forza e l'animo indefesso:

Ruggier percuote l'onde e le respinge,

l'onde che seguon l'una all'altra presso,

di che una il leva, un'altra lo sospinge.

Così; montando e discendendo spesso

con gran travaglio, al fin l'arena attinge;

e da la parte onde s'inchina il colle

più; verso il mar, esce bagnato e molle.

 

51

Fur tutti gli altri che nel mar si diero,

vinti da l'onde, e al fin restar ne l'acque.

Nel solitario scoglio uscì; Ruggiero,

come all'alta Bontà; divina piacque.

Poi che fu sopra il monte inculto e fiero

sicur dal mar, nuovo timor gli nacque

d'avere esilio in sì; strette confine,

e di morirvi di disagio al fine.

 

52

Ma pur col core indomito, e costante

di patir quanto è; in ciel di lui prescritto,

pei duri sassi l'intrepide piante

mosse, poggiando invêr la cima al dritto.

Non era cento passi andato inante,

che vide d'anni e d'astinenze afflitto

uom ch'avea d'eremita abito e segno,

di molta riverenza e d'onor degno;

 

53

che, come gli fu presso: - Saulo, Saulo,

(gridò;), perché; persegui la mia fede?

(come allor il Signor disse a san Paulo,

che 'l colpo salutifero gli diede).

Passar credesti il mar, né; pagar naulo,

e defraudare altrui de la mercede.

Vedi che Dio, c'ha lunga man, ti giunge

quando tu gli pensasti esser più; lunge. -

 

54

E seguitò; il santissimo eremita,

il qual la notte inanzi avuto avea

in vision da Dio, che con sua aita

allo scoglio Ruggier giunger dovea:

e di lui tutta la passata vita,

e la futura, e ancor la morte rea,

figli e nipoti ed ogni discendente

gli avea Dio rivelato interamente.

 

55

Seguitò; l'eremita riprendendo

prima Ruggiero; e al fin poi confortollo.

Lo riprendea ch'era ito differendo

sotto il soave giogo a porre il collo;

e quel che dovea far, libero essendo,

mentre Cristo pregando a sé; chiamollo,

fatto avea poi con poca grazia, quando

venir con sferza il vide minacciando.

 

56

Poi confortollo che non niega il cielo

tardi o per tempo Cristo a chi gliel chiede;

e di quelli operarii del Vangelo

narrò;, che tutti ebbono ugual mercede.

Con caritade e con devoto zelo

lo venne ammaestrando ne la fede,

verso la cella sua con lento passo,

ch'era cavata a mezzo il duro sasso.

 

57

Di sopra siede alla devota cella

una piccola chiesa che risponde

all'oriente, assai commoda e bella:

di sotto un bosco scende sin all'onde,

di lauri e di ginepri e di mortella,

e di palme fruttifere e feconde;

che riga sempre una liquida fonte,

che mormorando cade giù; dal monte.

 

58

Eran degli anni ormai presso a quaranta

che su lo scoglio il fraticel si messe;

ch'a menar vita solitaria e santa

luogo oportuno il Salvator gli elesse.

Di frutte colte or d'una or d'altra pianta,

e d'acqua pura la sua vita resse,

che valida e robusta e senza affanno

era venuta all'ottantesimo anno.

 

59

Dentro la cella il vecchio accese il fuoco,

e la mensa ingombrò; di vari frutti,

ove si ricreò; Ruggiero un poco,

poscia ch'i panni e i capelli ebbe asciutti.

Imparò; poi più; ad agio in questo loco

de nostra fede i gran misteri tutti;

ed alla pura fonte ebbe battesmo

il dì; seguente dal vecchio medesmo.

 

60

Secondo il luogo, assai contento stava

quivi Ruggier; che 'l buon servo di Dio

fra pochi giorni intenzion gli dava

di rimandarlo ove più; avea disio.

Di molte cose intanto ragionava

con lui sovente, or al regno di Dio,

or agli propri casi appertinenti,

or del suo sangue alle future genti.

 

61

Avea il Signor, che 'l tutto intende e vede,

rivelato al santissimo eremita,

che Ruggier da quel dì; ch'ebbe la fede,

dovea sette anni, e non più;, stare in vita;

che per la morte che sua donna diede

a Pinabel, ch'a lui fia attribuita,

saria, e per quella ancor di Bertolagi,

morto dai Maganzesi empi e malvagi.

 

62

E che quel tradimento andrà; sì; occulto,

che non se n'udirà; di fuor novella;

perché; nel proprio loco fia sepulto

ove anco ucciso da la gente fella:

per questo tardi vendicato ed ulto

fia da la moglie e da la sua sorella.

E che col ventre pien per lunga via

da la moglie fedel cercato fia.

 

63

Fra l'Adice e la Brenta a piè; de' colli

ch'al troiano Antenò;r piacqueno tanto,

con le sulfuree vene e rivi molli,

con lieti solchi e prati ameni a canto,

che con l'alta Ida volentier mutolli,

col sospirato Ascanio e caro Xanto,

a parturir verrà; ne le foreste

che son poco lontane al frigio Ateste.

 

64

E ch'in bellezza ed in valor cresciuto

il parto suo, che pur Ruggier fia detto,

e del sangue troian riconosciuto

da quei Troiani, in lor signor fia elletto;

e poi da Carlo, a cui sarà; in aiuto

incontra i Longobardi giovinetto,

dominio giusto avrà; del bel paese,

e titolo onorato di marchese.

 

65

E perché; dirà; Carlo in latino: - <EM>Este</EM>

signori qui, - quando faragli il dono,

nel secolo futur nominato Este

sarà; il bel luogo con augurio buono;

e così; lascierà; il nome d'Ateste

de le due prime note il vecchio suono.

Avea Dio ancora al servo suo predetta

di Ruggier la futura aspra vendetta:

 

66

ch'in visione alla fedel consorte

apparirà; dinanzi al giorno un poco;

e le dirà; chi l'avrà; messo a morte,

e, dove giacerà;, mostrerà; il loco:

onde ella poi con la cognata forte

distruggerà; Pontieri a ferro e a fuoco;

né; farà; a' Maganzesi minor danni

il figlio suo Ruggiero, ov'abbia gli anni.

 

67

D'Azzi, d'Alberti, d'Obici discorso

fatto gli aveva, e di lor stirpe bella,

insino a Nicolò;, Leonello, Borso,

Ercole, Alfonso, Ippolito e Issabella.

Ma il santo vecchio, ch'alla lingua ha il morso,

non di quanto egli sa però; favella:

narra a Ruggier quel che narrar conviensi;

e quel ch'in sé; de' ritener, ritiensi.

 

68

In questo tempo Orlando e Brandimarte

e 'l marchese Olivier col ferro basso

vanno a trovare il saracino Marte

(che così; nominar si può; Gradasso)

e gli altri duo che da contraria parte

han mosso i buon destrier più; che di passo;

io dico il re Agramante e 'l re Sobrino:

rimbomba al corso il lito e 'l mar vicino.

 

69

Quando allo scontro vengono a trovarsi,

e in tronchi vola al ciel rotta ogni lancia,

del gran rumor fu visto il mar gonfiarsi,

del gran rumor che s'udì; sino in Francia.

Venne Orlando e Gradasso a riscontrarsi;

e potea stare ugual questa bilancia,

se non era il vantaggio di Baiardo,

che fe' parer Gradasso più; gagliardo.

 

70

Percosse egli il destrier di minor forza,

ch'Orlando avea, d'un urto così; strano,

che lo fece piegare a poggia e ad orza,

e poi cader, quanto era lungo, al piano.

Orlando di levarlo si risforza

tre volte e quattro, e con sproni e con mano;

e quando al fin nol può; levar, ne scende,

lo scudo imbraccia, e Balisarda prende.

 

71

Scontrossi col re d'Africa Oliviero;

e fur di quello incontro a paro a paro.

Brandimarte restar senza destriero

fece Sobrin: ma non si seppe chiaro

se v'ebbe il destrier colpa o il cavalliero;

ch'avezzo era cader Sobrin di raro.

O del destriero o suo pur fosse il fallo,

Sobrin si ritrovò; giù; del cavallo.

 

72

Or Brandimarte che vide per terra

il re Sobrin, non l'assalì; altrimente,

ma contra il re Gradasso si disserra,

ch'avea abbattuto Orlando parimente.

Tra il marchese e Agramante andò; la guerra

come fu cominciata primamente:

poi che si roppon l'aste negli scudi,

s'eran tornati incontra a stocchi ignudi.

 

73

Orlando, che Gradasso in atto vede,

che par ch'a lui tornar poco gli caglia;

né; tornar Brandimarte gli concede,

tanto lo stringe e tanto lo travaglia;

si volge intorno, e similmente a piede

vede Sobrin che sta senza battaglia.

Vêr lui s'aventa; e al muover de le piante

fa il ciel tremar del suo fiero sembiante.

 

74

Sobrin che di tanto uom vede l'assalto,

stretto ne l'arme s'apparecchia tutto:

come nocchiero a cui vegna a gran salto

muggendo incontra il minaccioso flutto,

drizza la prora; e quando il mar tant'alto

vede salire, esser vorria all'asciutto.

Sobrin lo scudo oppone alla ruina

che da la spada vien di Falerina.

 

75

Di tal finezza è; quella Balisarda,

che l'arme le puon far poco riparo;

in man poi di persona sì; gagliarda,

in man d'Orlando, unico al mondo o raro,

taglia lo scudo; e nulla la ritarda,

perché; cerchiato sia tutto d'acciaro:

taglia lo scudo e sino al fondo fende,

e sotto a quello in su la spalla scende.

 

76

Scende alla spalla; e perché; la ritrovi

di doppia lama e di maglia coperta,

non vuol però; che molto ella le giovi,

che di gran piaga non la lasci aperta.

Mena Sobrin; ma indarno è; che si provi

ferire Orlando, a cui per grazia certa

diede il Motor del cielo e de le stelle,

che mai forar non se gli può; la pelle.

 

77

Radoppia il colpo il valoroso conte,

e pensa da le spalle il capo torgli.

Sobrin che sa il valor di Chiaramonte,

e che poco gli val lo scudo opporgli,

s'arretra, ma non tanto, che la fronte

non venisse anco Balisarda a corgli.

Di piatto fu, ma il colpo tanto fello,

ch'amaccò; l'elmo, e gl'intronò; il cervello.

 

78

Cadde Sobrin del fiero colpo in terra,

onde a gran pezzo poi non è; risorto.

Crede finita aver con lui la guerra

il paladino, e che si giaccia morto;

e verso il re Gradasso si disserra,

che Brandimarte non meni a mal porto:

che 'l pagan d'arme e di spada l'avanza

e di destriero, e forse di possanza.

 

79

L'ardito Brandimarte in su Frontino,

quel buon destrier che di Ruggier fu dianzi,

si porta così; ben col Saracino,

che non par già; che quel troppo l'avanzi:

e s'egli avesse osbergo così; fino

come il pagan, gli staria meglio inanzi;

ma gli convien (che mal si sente armato)

spesso dar luogo or d'uno or d'altro lato.

 

80

Altro destrier non è; che meglio intenda

di quel Frontino il cavalliero a cenno:

par che dovunque Durindana scenda,

or quinci or quindi abbia a schivarla senno.

Agramante e Olivier battaglia orrenda

altrove fanno, e giudicar si denno

per duo guerrier di pari in arme accorti,

e pochi differenti in esser forti.

 

81

Avea lasciato, come io dissi, Orlando

Sobrino in terra; e contra il re Gradasso,

soccorrer Brandimarte disiando,

come si trovò; a piè;, venì;a a gran passo.

Era vicin per assalirlo, quando

vide in mezzo del campo andare a spasso

il buon cavallo onde Sobrin fu spinto;

e per averlo, presto si fu accinto.

 

82

Ebbe il destrier, che non trovò; contesa,

e levò; un salto, ed entrò; ne la sella.

Ne l'una man la spada tien sospesa,

mette l'altra alla briglia ricca e bella.

Gradasso vede Orlando, e non gli pesa,

ch'a lui ne viene, e per nome l'appella.

Ad esso e a Brandimarte e all'altro spera

far parer notte, e che non sia ancor sera.

 

83

Voltasi al conte, e Brandimarte lassa,

e d'una punta lo trova al camaglio:

fuor che la carne, ogni altra cosa passa:

per forar quella è; vano ogni travaglio.

Orlando a un tempo Balisarda abbassa:

non vale incanto ov'ella mette il taglio.

L'elmo, lo scudo, l'osbergo e l'arnese,

venne fendendo in giù; ciò; ch'ella prese;

 

84

e nel volto e nel petto e ne la coscia

lasciò; ferito il re di Sericana,

di cui non fu mai tratto sangue, poscia

ch'ebbe quell'arme: or gli par cosa strana

che quella spada (e n'ha dispetto e angoscia)

le tagli or sì;; né; pur è; Durindana.

E se più; lungo il colpo era o più; appresso,

l'avria dal capo insino al ventre fesso.

 

85

Non bisogna più; aver ne l'arme fede,

come avea dianzi; che la prova è; fatta.

Con più; riguardo e più; ragion procede,

che non solea; meglio al parar si adatta.

Brandimarte ch'Orlando entrato vede,

che gli ha di man quella battaglia tratta,

si pone in mezzo all'una e all'altra pugna,

perché; in aiuto, ove è; bisogno, giugna.

 

86

Essendo la battaglia in tale istato,

Sobrin, ch'era giaciuto in terra molto,

si levò;, poi ch'in sé; fu ritornato;

e molto gli dolea la spalla e 'l volto:

alzò; la vista e mirò; in ogni lato;

poi dove vide il suo signor, rivolto,

per dargli aiuto i lunghi passi torse

tacito sì;, ch'alcun non se n'accorse.

 

87

Vien dietro ad Olivier che tenea gli occhi

al re Agramante e poco altro attendea;

e gli ferì; nei deretan ginocchi

il destrier di percossa in modo rea,

che senza indugio è; forza che trabocchi.

Cade Olivier, né; 'l piede aver potea,

il manco piè;, ch'al non pensato caso

sotto il cavallo in staffa era rimaso.

 

88

Sobrin radoppia il colpo, e di riverso

gli mena, e se gli crede il capo torre;

ma lo vieta l'acciar lucido e terso,

che temprò; già; Vulcan, portò; già; Ettorre.

Vede il periglio Brandimarte, e verso

il re Sobrino a tutta briglia corre;

e lo fere in sul capo, e gli dà; d'urto;

ma il fiero vecchio è; tosto in piè; risurto;

 

89

e torna ad Olivier per dargli spaccio,

sì; ch'espedito all'altra vita vada;

o non lasciare almen ch'esca d'impaccio,

ma che si stia sotto 'l cavallo a bada.

Olivier c'ha di sopra il miglior braccio,

sì; che si può; difender con la spada,

di qua di là; tanto percuote e punge,

che, quanta è; lunga, fa Sobrin star lunge.

 

90

Spera, s'alquanto il tien da sé; rispinto,

in poco spazio uscir di quella pena.

Tutto di sangue il vede molle e tinto,

e che ne versa tanto in su l'arena,

che gli par ch'abbia tosto a restar vinto:

debole è; sì;, che si sostiene a pena.

Fa per levarsi Olivier molte prove,

né; da dosso il destrier però; si muove.

 

91

Trovato ha Brandimarte il re Agramante,

e cominciato a tempestargli intorno:

or con Frontin gli è; al fianco, or gli è; davante,

con quel Frontin che gira come un torno.

Buon cavallo ha il figliuol di Monodante:

non l'ha peggiore il re di Mezzogiorno;

ha Brigliador che gli donò; Ruggiero

poi che lo tolse a Mandricardo altiero.

 

92

Vantaggio ha bene assai de l'armatura;

a tutta prova l'ha buona e perfetta.

Brandimarte la sua tolse a ventura,

qual poté; avere a tal bisogno in fretta:

ma sua animosità; sì; l'assicura,

ch'in miglior tosto di cangiarla aspetta;

come che 'l re african d'aspra percossa

la spalla destra gli avea fatta rossa;

 

93

e serbi da Gradasso anco nel fianco

piaga da non pigliar però; da giuoco.

Tanto l'attese al varco il guerrier franco,

che di cacciar la spada trovò; loco.

Spezzò; lo scudo, e ferì; il braccio manco,

e poi ne la man destra il toccò; un poco.

Ma questo un scherzo si può; dire e un spasso

verso quel che fa Orlando e 'l re Gradasso.

 

94

Gradasso ha mezzo Orlando disarmato;

l'elmo gli ha in cima e da dui lati rotto,

e fattogli cader lo scudo al prato,

osbergo e maglia apertagli di sotto:

non l'ha ferito già;, ch'era affatato.

Ma il paladino ha lui peggio condotto:

in faccia, ne la gola, in mezzo il petto

l'ha ferito, oltre a quel che già; v'ho detto.

 

95

Gradasso disperato, che si vede

del proprio sangue tutto molle e brutto,

e ch'Orlando del suo dal capo al piede

sta dopo tanti colpi ancora asciutto;

leva il brando a due mani, e ben si crede

partirgli il capo, il petto, il ventre e 'l tutto:

e a punto, come vuol, sopra la fronte

percuote a mezza spada il fiero conte.

 

96

E s'era altro ch'Orlando, l'avria fatto,

l'avria sparato fin sopra la sella:

ma, come colto l'avesse di piatto,

la spada ritornò; lucida e bella.

De la percossa Orlando stupefatto,

vide, mirando in terra, alcuna stella:

lasciò; la briglia, e 'l brando avria lasciato;

ma di catena al braccio era legato.

 

97

Del suon del colpo fu tanto smarrito

il corridor ch'Orlando avea sul dorso,

che discorrendo il polveroso lito,

mostrando gì;a quanto era buono al corso.

De la percossa il conte tramortito,

non ha valor di ritenergli il morso.

Segue Gradasso, e l'avria tosto giunto,

poco più; che Baiardo avesse punto.

 

98

Ma nel voltar degli occhi, il re Agramante

vide condotto all'ultimo periglio:

che ne l'elmo il figliuol di Monodante

col braccio manco gli ha dato di piglio;

e glie l'ha dislacciato già; davante,

e tenta col pugnal nuovo consiglio:

né; gli può; far quel re difesa molta,

perché; di man gli ha ancor la spada tolta.

 

99

Volta Gradasso, e più; non segue Orlando,

ma, dove vede il re Agramante, accorre.

L'incauto Brandimarte, non pensando

ch'Orlando costui lasci da sé; torre,

non gli ha né; gli occhi né; 'l pensiero, instando

il coltel ne la gola al pagan porre.

Giunge Gradasso, e a tutto suo potere

con la spada a due man l'elmo gli fere.

 

100

Padre del ciel, dà; fra gli eletti tuoi

spiriti luogo al martir tuo fedele,

che giunto al fin de' tempestosi suoi

viaggi, in porto ormai lega le vele.

Ah Durindana, dunque esser tu puoi

al tuo signore Orlando sì; crudele,

che la più; grata compagnia e più; fida

ch'egli abbia al mondo, inanzi tu gli uccida?

 

101

Di ferro un cerchio grosso era duo dita

intorno all'elmo, e fu tagliato e rotto

dal gravissimo colpo, e fu partita

la cuffia de l'acciar ch'era di sotto.

Brandimarte con faccia sbigottita

giù; del destrier si riversciò; di botto;

e fuor del capo fe' con larga vena

correr di sangue un fiume in su l'arena.

 

102

Il conte si risente, e gli occhi gira,

ed ha il suo Brandimarte in terra scorto;

e sopra in atto il Serican gli mira,

che ben conoscer può; che glie l'ha morto.

Non so se in lui poté; più; il duolo o l'ira;

ma da piangere il tempo avea sì; corto,

che restò; il duolo, e l'ira uscì; più; in fretta.

Ma tempo è; ormai che fine al canto io metta.

 

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CANTO QUARANTADUESIMO

 

 

1

Qual duro freno o qual ferrigno nodo,

qual, s'esser può;, catena di diamante

farà; che l'ira servi ordine e modo,

che non trascorra oltre al prescritto inante,

quando persona che con saldo chiodo

t'abbia già; fissa Amor nel cor costante,

tu vegga o per violenza o per inganno

patire o disonore o mortal danno?

 

2

E s'a crudel, s'ad inumano effetto

quell'impeto talor l'animo svia,

merita escusa, perché; allor del petto

non ha ragione imperio né; balì;a.

Achille, poi che sotto il falso elmetto

vide Patrò;clo insanguinar la via,

d'uccider chi l'uccise non fu sazio,

se nol traea, se non ne facea strazio.

 

3

Invitto Alfonso, simile ira accese

la vostra gente il dì; che vi percosse

la fronte il grave sasso, e sì; v'offese,

ch'ognun pensò; che l'alma gita fosse:

l'accese in tal furor, che non difese

vostri inimici argini o mura o fosse,

che non fossino insieme tutti morti,

senza lasciar chi la novella porti.

 

4

Il vedervi cader causò; il dolore

che i vostri a furor mosse e a crudeltade.

S'eravate in piè; voi, forse minore

licenza avriano avute le lor spade.

Eravi assai, che la Bastia in manche ore

v'aveste ritornata in potestade,

che tolta in giorni a voi non era stata

da gente cordovese e di Granata.

 

5

Forse fu da Dio vindice permesso

che vi trovaste a quel caso impedito,

acciò; che 'l crudo e scelerato eccesso

che dianzi fatto avean, fosse punito:

che, poi ch'in lor man vinto si fu messo

il miser Vestidel, lasso e ferito,

senz'arme fu tra cento spade ucciso

dal popul la più; parte circonciso.

 

6

Ma perch'io vo' concludere, vi dico

che nessun'altra quell'ira pareggia,

quando signor, parente, o sozio antico

dinanzi agli occhi ingiuriar ti veggia.

Dunque è; ben dritto per sì; caro amico,

che subit'ira il cor d'Orlando feggia;

che de l'orribil colpo che gli diede

il re Gradasso, morto in terra il vede.

 

7

Quel nomade pastor che vedut'abbia

fuggir strisciando l'orrido serpente

che il figliuol che giocava ne la sabbia,

ucciso gli ha col venenoso dente,

stringe il baston con colera e con rabbia;

tal la spada d'ogni altra più; tagliente

stringe con ira il cavallier d'Anglante:

il primo che trovò;, fu 'l re Agramante;

 

8

che sanguinoso e de la spada privo,

con mezzo scudo e con l'elmo disciolto,

e ferito in più; parti ch'io non scrivo,

s'era di man di Brandimarte tolto,

come di piè; all'astor sparvier mal vivo,

a cui lasciò; alla coda invido o stolto.

Orlando giunse, e messe il colpo giusto

ove il capo si termina col busto.

 

9

Sciolto era l'elmo e disarmato il collo,

sì; che lo tagliò; netto come un giunco.

Cadde, e diè; nel sabbion l'ultimo crollo

del regnator di Libia il grave trunco.

Corse lo spirto all'acque, onde tirollo

Caron nel legno suo col graffio adunco.

Orlando sopra lui non si ritarda,

ma trova il Serican con Balisarda.

 

10

Come vide Gradasso d'Agramante

cadere il busto dal capo diviso;

quel ch'accaduto mai non gli era inante,

tremò; nel core e si smarrì; nel viso;

e all'arrivar del cavallier d'Anglante,

presago del suo mal, parve conquiso.

Per schermo suo partito alcun non prese,

quando il colpo mortal sopra gli scese.

 

11

Orlando lo ferì; nel destro fianco

sotto l'ultima costa; e il ferro, immerso

nel ventre, un palmo uscì; dal lato manco,

di sangue sin all'elsa tutto asperso.

Mostrò; ben che di man fu del più; franco

e del meglior guerrier de l'universo

il colpo ch'un signor condusse a morte,

di cui non era in Pagania il più; forte.

 

12

Di tal vittoria non troppo gioioso,

presto di sella il paladin si getta;

e col viso turbato e lacrimoso

a Brandimarte suo corre a gran fretta.

Gli vede intorno il campo sanguinoso:

l'elmo che par ch'aperto abbia una accetta,

se fosse stato fral più; che di scorza,

difeso non l'avria con minor forza.

 

13

Orlando l'elmo gli levò; dal viso,

e ritrovò; che 'l capo sino al naso

fra l'uno e l'altro ciglio era diviso:

ma pur gli è; tanto spirto anco rimaso,

che de' suoi falli al Re del paradiso

può; domandar perdono anzi l'occaso;

e confortare il conte, che le gote

sparge di pianto, a pazienza puote;

 

14

e dirgli: - Orlando, fa che ti raccordi

di me ne l'orazion tue grate a Dio;

né; men ti raccomando la mia Fiordi... -

ma dir non poté;: - ... ligi -, e qui finio.

E voci e suoni d'angeli concordi

tosto in aria s'udir, che l'alma uscì;o;

la qual disciolta dal corporeo velo

fra dolce melodia salì; nel cielo.

 

15

Orlando, ancor che far dovea allegrezza

di sì; devoto fine, e sapea certo

che Brandimarte alla suprema altezza

salito era (che 'l ciel gli vide aperto);

pur da la umana volontade, avezza

coi fragil sensi, male era sofferto

ch'un tal più; che fratel gli fosse tolto,

e non aver di pianto umido il volto.

 

16

Sobrin che molto sangue avea perduto,

che gli piovea sul fianco e su le gote,

riverso già; gran pezzo era caduto,

e aver ne dovea ormai le vene vote.

Ancor giacea Olivier, né; riavuto

il piede avea, né; riaver lo puote

se non ismosso, e de lo star che tanto

gli fece il destrier sopra, mezzo infranto:

 

17

e se 'l cognato non venì;a ad aitarlo

(sì; come lacrimoso era e dolente),

per sé; medesmo non potea ritrarlo;

e tanta doglia e tal martì;r ne sente,

che ritratto che l'ebbe, né; a mutarlo

né; a fermarvisi sopra era possente;

e n'ha insieme la gamba sì; stordita,

che muover non si può;, se non si aita.

 

18

De la vittoria poco rallegrosse

Orlando; e troppo gli era acerbo e duro

veder che morto Brandimarte fosse,

né; del cognato molto esser sicuro.

Sobrin, che vivea ancora, ritrovosse,

ma poco chiaro avea con molto oscuro;

che la sua vita per l'uscito sangue

era vicina a rimanere esangue.

 

19

Lo fece tor, che tutto era sanguigno,

il conte, e medicar discretamente;

e confortollo con parlar benigno,

come se stato gli fosse parente;

che dopo il fatto nulla di maligno

in sé; tenea, ma tutto era clemente.

Fece dei morti arme e cavalli torre;

del resto a' servi lor lasciò; disporre.

 

20

Qui de la istoria mia, che non sia vera,

Federigo Fulgoso è; in dubbio alquanto;

che con l'armata avendo la riviera

di Barberia trascorsa in ogni canto,

capitò; quivi, e l'isola sì; fiera,

montuosa e inegual ritrovò; tanto,

che non è;, dice, in tutto il luogo strano,

ove un sol piè; si possa metter piano:

 

21

né; verisimil tien che ne l'alpestre

scoglio sei cavallieri, il fior del mondo,

potesson far quella battaglia equestre.

Alla quale obiezion così; rispondo:

ch'a quel tempo una piazza de le destre,

che sieno a questo, avea lo scoglio al fondo;

ma poi, ch'un sasso che 'l tremuoto aperse,

le cadde sopra, e tutta la coperse.

 

22

Sì; che, o chiaro fulgor de la Fulgosa

stirpe, o serena, o sempre viva luce,

se mai mi riprendeste in questa cosa,

e forse inanti a quello invitto duce

per cui la vostra patria or si riposa,

lascia ogni odio, e in amor tutta s'induce;

vi priego che non siate a dirgli tardo,

ch'esser può; che né; in questo io sia bugiardo.

 

23

In questo tempo, alzando gli occhi al mare,

vide Orlando venire a vela in fretta

un navilio leggier, che di calare

facea sembiante sopra l'isoletta.

Di chi si fosse, io non voglio or contare,

perc'ho più; d'uno altrove che m'aspetta.

Veggiamo in Francia, poi che spinto n'hanno

i Saracin, se mesti o lieti stanno.

 

24

Veggià;n che fa quella fedele amante

che vede il suo contento ir sì; lontano;

dico la travagliata Bradamante,

poi che ritrova il giuramento vano,

ch'avea fatto Ruggier pochi dì; inante,

udendo il nostro e l'altro stuol pagano.

Poi ch'in questo ancor manca, non le avanza

in ch'ella debba più; metter speranza.

 

25

E ripetendo i pianti e le querele

che pur troppo domestiche le furo,

tornò; a sua usanza a nominar crudele

Ruggiero, e 'l suo destin spietato e duro.

Indi sciogliendo al gran dolor le vele,

il ciel, che consentia tanto pergiuro,

né; fatto n'avea ancor segno evidente,

ingiusto chiama, debole e impotente.

 

26

Ad accusar Melissa si converse,

e maledir l'oracol de la grotta;

ch'a lor mendace suasion s'immerse

nel mar d'amore, ov'è; a morir condotta.

Poi con Marfisa ritornò; a dolerse

del suo fratel che le ha la fede rotta:

con lei grida e si sfoga, e le domanda,

piangendo, aiuto, e se le raccomanda.

 

27

Marfisa si ristringe ne le spalle,

e, quel sol che pò; far, le dà; conforto;

né; crede che Ruggier mai così; falle,

ch'a lei non debba ritornar di corto.

E se non torna pur, sua fede dalle,

ch'ella non patirà; sì; grave torto;

o che battaglia piglierà; con esso,

o gli farà; osservar ciò; c'ha promesso.

 

28

Così; fa ch'ella un poco il duol raffrena;

ch'avendo ove sfogarlo, è; meno acerbo.

Or ch'abbiam vista Bradamante in pena,

chiamar Ruggier pergiuro, empio e superbo;

veggiamo ancor, se miglior vita mena

il fratel suo che non ha polso o nerbo,

osso o medolla che non senta caldo

de le fiamme d'amor; dico Rinaldo.

 

29

dico Rinaldo, il qual, come sapete,

Angelica la bella amava tanto;

né; l'avea tratto all'amorosa rete

sì; la beltà; di lei, come l'incanto.

Aveano gli altri paladin quiete,

essendo ai Mori ogni vigore affranto:

tra i vincitori era rimaso solo

egli captivo in amoroso duolo.

 

30

Cento messi a cercar che di lei fusse

avea mandato, e cerconne egli stesso.

Al fine a Malagigi si ridusse,

che nei bisogni suoi l'aiutò; spesso.

A narrar il suo amor se gli condusse

col viso rosso e col ciglio demesso;

indi lo priega che gli insegni dove

la desiata Angelica si trove.

 

31

Gran maraviglia di sì; strano caso

va rivolgendo a Malagigi il petto.

Sa che sol per Rinaldo era rimaso

d'averla cento volte e più; nel letto:

ed egli stesso, acciò; che persuaso

fosse di questo, avea assai fatto e detto

con prieghi e con minacce per piegarlo;

né; mai avuto avea poter di farlo:

 

32

e tanto più;, ch'allor Rinaldo avrebbe

tratto fuor Malagigi di prigione.

Fare or spontaneamente lo vorrebbe,

che nulla giova, e n'ha minor cagione.

Poi priega lui che ricordar si debbe

pur quanto ha offeso in questo oltr'a ragione;

che per negargli già;, vi mancò; poco

di non farlo morire in scuro loco.

 

33

Ma quanto a Malagigi le domande

di Rinaldo importune più; pareano,

tanto, che l'amor suo fosse più; grande,

indizio manifesto gli faceano.

I prieghi che con lui vani non spande,

fan che subito immerge ne l'oceano

ogni memoria de la ingiuria vecchia,

e che a dargli soccorso s'apparecchia.

 

34

Termine tolse alla risposta, e spene

gli diè;, che favorevol gli saria,

e che gli saprà; dir la via che tiene

Angelica, o sia in Francia o dove sia.

E quindi Malagigi al luogo viene

ove i demoni scongiurar solia,

ch'era fra monti inaccessibil grotta:

apre il libro, e li spirti chiama in frotta.

 

35

Poi ne sceglie un che de' casi d'amore

avea notizia, e da lui saper volle,

come sia che Rinaldo ch'avea il core

dianzi sì; duro, or l'abbia tanto molle:

e di quelle due fonti ode il tenore,

di che l'una dà; il fuoco, e l'altra il tolle;

e al mal che l'una fa, nulla soccorre,

se non l'altra acqua che contraria corre.

 

36

Ed ode come avendo già; di quella

che l'amor caccia, beuto Rinaldo,

ai lunghi prieghi d'Angelica bella

si dimostrò; così; ostinato e saldo;

e che poi giunto per sua iniqua stella

a ber ne l'altra l'amoroso caldo,

tornò; ad amar, per forza di quelle acque,

lei che pur dianzi oltr'al dover gli spiacque.

 

37

Da iniqua stella e fier destin fu giunto

a ber la fiamma in quel ghiacciato rivo;

perché; Angelica venne quasi a un punto

a ber ne l'altro di dolcezza privo,

che d'ogni amor le lasciò; il cor sì; emunto,

ch'indi ebbe lui più; che le serpi a schivo:

egli amò; lei, e l'amor giunse al segno

in ch'era già; di lei l'odio e lo sdegno.

 

38

Del caso strano di Rinaldo a pieno

fu Malagigi dal demonio istrutto,

che gli narrò; d'Angelica non meno,

ch'a un giovine african si donò; in tutto;

e come poi lasciato avea il terreno

tutto d'Europa, e per l'instabil flutto

verso India sciolto avea dai liti ispani

su l'audaci galee de' Catallani.

 

39

Poi che venne il cugin per la risposta,

molto gli disuase Malagigi

di più; Angelica amar, che s'era posta

d'un vilissimo barbaro ai servigi;

ed ora sì; da Francia si discosta,

che mal seguir se ne potria i vestigi:

ch'era oggimai più; là; ch'a mezza strada,

per andar con Medoro in sua contrada.

 

40

La partita d'Angelica non molto

sarebbe grave all'animoso amante;

né; pur gli avria turbato il sonno, o tolto

il pensier di tornarsene in Levante:

ma sentendo ch'avea del suo amor colto

un Saracino le primizie inante,

tal passione e tal cordoglio sente,

che non fu in vita sua, mai, più; dolente.

 

41

Non ha poter d'una risposta sola;

triema il cor dentro, e trieman fuor le labbia;

non può; la lingua disnodar parola;

la bocca ha amara, e par che tosco v'abbia.

Da Malagigi subito s'invola;

e come il caccia la gelosa rabbia,

dopo gran pianto e gran ramaricarsi,

verso Levante fa pensier tornarsi.

 

42

Chiede licenza al figlio di Pipino:

e trova scusa che 'l destrier Baiardo,

che ne mena Gradasso saracino

contra il dover di cavallier gagliardo,

lo muove per suo onore a quel camino,

acciò; che vieti al Serican bugiardo

di mai vantarsi che con spada o lancia

l'abbia levato a un paladin di Francia.

 

43

Lasciollo andar con sua licenza Carlo,

ben che ne fu con tutta Francia mesto;

ma finalmente non seppe negarlo,

tanto gli parve il desiderio onesto.

Vuol Dudon, vuol Guidone accompagnarlo;

ma lo niega Rinaldo a quello e a questo.

Lascia Parigi, e se ne va via solo,

pien di sospiri e d'amoroso duolo.

 

44

Sempre ha in memoria, e mai non se gli tolle,

ch'averla mille volte avea potuto,

e mille volte avea ostinato e folle

di sì; rara beltà; fatto rifiuto;

e di tanto piacer ch'aver non volle,

sì; bello e sì; buon tempo era perduto:

ed ora eleggerebbe un giorno corto

averne solo, e rimaner poi morto.

 

45

Ha sempre in mente, e mai non se ne parte,

come esser puote ch'un povero fante

abbia del cor di lei spinto da parte

merito e amor d'ogni altro primo amante.

Con tal pensier che 'l cor gli straccia e parte,

Rinaldo se ne va verso Levante;

e dritto al Reno e a Basilea si tiene,

fin che d'Ardenna alla gran selva viene.

 

46

Poi che fu dentro a molte miglia andato

il paladin pel bosco aventuroso,

da ville e da castella allontanato,

ove aspro era più; il luogo e periglioso,

tutto in un tratto vide il ciel turbato,

sparito il sol tra nuvoli nascoso,

ed uscir fuor d'una caverna oscura

un strano mostro in feminil figura.

 

47

Mill'occhi in capo avea senza palpè;bre;

non può; serrarli, e non credo che dorma:

non men che gli occhi, avea l'orecchie crebre;

avea in loco de crin serpi a gran torma.

Fuor de le diaboliche tenè;bre

nel mondo uscì; la spaventevol forma.

Un fiero e maggior serpe ha per la coda,

che pel petto si gira e che l'annoda.

 

48

Quel ch'a Rinaldo in mille e mille imprese

più; non avvenne mai, quivi gli avviene;

che come vede il mostro ch'all'offese

se gli apparecchia, e ch'a trovar lo viene,

tanta paura, quanta mai non scese

in altri forse, gli entra ne le vene:

ma pur l'usato ardir simula e finge,

e con trepida man la spada stringe.

 

49

S'acconcia il mostro in guisa al fiero assalto,

che si può; dir che sia mastro di guerra:

vibra il serpente venenoso in alto,

e poi contra Rinaldo si disserra;

di qua di là; gli vien sopra a gran salto.

Rinaldo contra lui vaneggia ed erra:

colpi a dritto e a riverso tira assai,

ma non ne tira alcun che fera mai.

 

50

Il mostro al petto il serpe ora gli appicca,

che sotto l'arme e sin nel cor l'agghiaccia;

ora per la visiera gliele ficca,

e fa ch'erra pel collo e per la faccia.

Rinaldo da l'impresa si dispicca,

e quanto può; con sproni il destrier caccia:

ma la Furia infernal già; non par zoppa,

che spicca un salto, e gli è; subito in groppa.

 

51

Vada al traverso, al dritto, ove si voglia,

sempre ha con lui la maledetta peste;

né; sa modo trovar, che se ne scioglia,

ben che 'l destrier di calcitrar non reste.

Triema a Rinaldo il cor come una foglia:

non ch'altrimente il serpe lo moleste;

ma tanto orror ne sente e tanto schivo,

che stride e geme, e duolsi ch'egli è; vivo.

 

52

Nel più; tristo sentier, nel peggior calle

scorrendo va, nel più; intricato bosco,

ove ha più; asprezza il balzo, ove la valle

è; più; spinosa, ov'è; l'aer più; fosco,

così; sperando torsi da le spalle

quel brutto, abominoso, orrido tosco;

e ne saria mal capitato forse,

se tosto non giungea chi lo soccorse.

 

53

Ma lo soccorse a tempo un cavalliero

di bello armato e lucido metallo,

che porta un giogo rotto per cimiero,

di rosse fiamme ha pien lo scudo giallo;

così; trapunto il suo vestire altiero,

così; la sopravesta del cavallo:

la lancia ha in pugno, e la spada al suo loco,

e la mazza all'arcion, che getta foco.

 

54

Piena d'un foco eterno è; quella mazza,

che senza consumarsi ognora avampa:

né; per buon scudo o tempra di corazza

o per grossezza d'elmo se ne scampa.

Dunque si debbe il cavallier far piazza,

giri ove vuol l'inestinguibil lampa:

né; manco bisognava al guerrier nostro,

per levarlo di man del crudel mostro.

 

55

E come cavallier d'animo saldo,

ove ha udito il rumor, corre e galoppa,

tanto che vede il mostro che Rinaldo

col brutto serpe in mille nodi agroppa,

e sentir fagli a un tempo freddo e caldo;

che non ha via di torlosi di groppa.

Va il cavalliero, e fere il mostro al fianco,

e lo fa trabboccar dal lato manco.

 

56

Ma quello è; a pena in terra che si rizza,

e il lungo serpe intorno aggira e vibra.

Quest'altro più; con l'asta non l'attizza;

ma di farla col fuoco si delibra.

La mazza impugna, e dove il serpe guizza,

spessi come tempesta i colpi libra;

né; lascia tempo a quel brutto animale,

che possa farne un solo o bene o male:

 

57

e mentre a dietro il caccia o tiene a bada,

e lo percuote, e vendica mille onte,

consiglia il paladin che se ne vada

per quella via che s'alza verso il monte.

Quel s'appiglia al consiglio ed alla strada;

e senza dietro mai volger la fronte,

non cessa, che di vista se gli tolle,

ben che molto aspro era a salir quel colle.

 

58

Il cavallier, poi ch'alla scura buca

fece tornare il mostro da l'inferno,

ove rode se stesso e si manuca,

e da mille occhi versa il pianto eterno;

per esser di Rinaldo guida e duca

gli salì; dietro, e sul giogo superno

gli fu alle spalle, e si mise con lui

per trarlo fuor de' luoghi oscuri e bui.

 

59

Come Rinaldo il vide ritornato,

gli disse che gli avea grazia infinita,

e ch'era debitore in ogni lato

di porre a beneficio suo la vita.

Poi lo domanda come sia nomato,

acciò; dir sappia chi gli ha dato aita,

e tra guerrieri possa e inanzi a Carlo

de l'alta sua bontà; sempre esaltarlo.

 

60

Rispose il cavallier: - Non ti rincresca

se 'l nome mio scoprir non ti vogli'ora:

ben tel dirò; prima ch'un passo cresca

l'ombra; che ci sarà; poca dimora. -

Trovaro, andando insieme, un'acqua fresca

che col suo mormorio facea talora

pastori e viandanti al chiaro rio

venire, e berne l'amoroso oblio.

 

61

Signor, queste eran quelle gelide acque,

quelle che spengon l'amoroso caldo;

di cui bevendo, ad Angelica nacque

l'odio ch'ebbe di poi sempre a Rinaldo.

E s'ella un tempo a lui prima dispiacque,

e se ne l'odio il ritrovò; sì; saldo,

non derivò;, Signor, la causa altronde,

se non d'aver beuto di queste onde.

 

62

Il cavallier che con Rinaldo viene,

come si vede inanzi al chiaro rivo,

caldo per la fatica il destrier tiene,

e dice: - Il posar qui non fia nocivo. -

- Non fia (disse Rinaldo) se non bene;

ch'oltre che prema il mezzogiorno estivo,

m'ha così; il brutto mostro travagliato,

che 'l riposar mi fia commodo e grato. -

 

63

L'un e l'altro smontò; del suo cavallo,

e pascer lo lasciò; per la foresta;

e nel fiorito verde a rosso e a giallo

ambi si trasson l'elmo de la testa.

Corse Rinaldo al liquido cristallo,

spinto da caldo e da sete molesta,

e cacciò;, a un sorso del freddo liquore,

dal petto ardente e la sete e l'amore.

 

64

Quando lo vide l'altro cavalliero

la bocca sollevar de l'acqua molle,

e ritrarne pentito ogni pensiero

di quel desir ch'ebbe d'amor sì; folle;

si levò; ritto, e con sembiante altiero

gli disse quel che dianzi dir non volle:

- Sappi, Rinaldo, il nome mio è; lo Sdegno,

venuto sol per sciorti il giogo indegno. -

 

65

Così; dicendo, subito gli sparve,

e sparve insieme il suo destrier con lui.

Questo a Rinaldo un gran miracol parve;

s'aggirò; intorno, e disse: - Ove è; costui? -

Stimar non sa se sian magiche larve,

che Malagigi un de' ministri sui

gli abbia mandato a romper la catena

che lungamente l'ha tenuto in pena:

 

66

o pur che Dio da l'alta ierarchia

gli abbia per ineffabil sua bontade

mandato, come già; mandò; a Tobia,

un angelo a levar di cecitade.

Ma buono o rio demonio, o quel che sia,

che gli ha renduta la sua libertade,

ringrazia e loda; e da lui sol conosce

che sano ha il cor da l'amorose angosce.

 

67

Gli fu nel primier odio ritornata

Angelica; e gli parve troppo indegna

d'esser, non che sì; lungi seguitata,

ma che per lei pur mezza lega vegna.

Per Baiardo riaver tutta fiata

verso India in Sericana andar disegna,

sì; perché; l'onor suo lo stringe a farlo,

sì; per averne già; parlato a Carlo.

 

68

Giunse il giorno seguente a Basilea,

ove la nuova era venuta inante,

che 'l conte Orlando aver pugna dovea

contra Gradasso e contro il re Agramante.

Né; questo per aviso si sapea,

ch'avesse dato il cavallier d'Anglante;

ma di Sicilia in fretta venut'era

chi la novella v'apportò; per vera.

 

69

Rinaldo vuol trovarsi con Orlando

alla battaglia, e se ne vede lunge.

Di dieci in dieci miglia va mutando

cavalli e guide, e corre e sferza e punge.

Passa il Reno a Costanza, e in su volando,

traversa l'Alpe, ed in Italia giunge.

Verona a dietro, a dietro Mantua lassa;

sul Po si trova, e con gran fretta il passa.

 

70

Già; s'inchinava il sol molto alla sera,

e già; apparia nel ciel la prima stella,

quando Rinaldo in ripa alla riviera

stando in pensier s'avea da mutar sella,

o tanto soggiornar, che l'aria nera

fuggisse inanzi all'altra aurora bella,

venir si vede un cavalliero inanti

cortese ne l'aspetto e nei sembianti.

 

71

Costui, dopo il saluto, con bel modo

gli domandò; s'aggiunto a moglie fosse.

Disse Rinaldo: - Io son nel giugal nodo: -

ma di tal domandar maravigliosse.

Soggiunse quel: - Che sia così;, ne godo. -

Poi, per chiarir perché; tal detto mosse,

disse: - Io ti priego che tu sia contento

ch'io ti dia questa sera alloggiamento;

 

72

che ti farò; veder cosa che debbe

ben volentieri veder chi ha moglie a lato. -

Rinaldo, sì; perché; posar vorrebbe,

ormai di correr tanto affaticato;

sì; perché; di vedere e d'udire ebbe

sempre aventure un desiderio innato;

accettò; l'offerir del cavalliero,

e dietro gli pigliò; nuovo sentiero.

 

73

Un tratto d'arco fuor di strada usciro,

e inanzi un gran palazzo si trovaro,

onde scudieri in gran frotta veniro

con torchi accesi, e fero intorno chiaro.

Entrò; Rinaldo, e voltò; gli occhi in giro,

e vide loco il qual si vede raro,

di gran fabrica e bella e bene intesa;

né; a privato uom convenia tanta spesa.

 

74

Di serpentin, di porfido le dure

pietre fan de la porta il ricco volto.

Quel che chiude è; di bronzo, con figure

che sembrano spirar, muovere il volto.

Sotto un arco poi s'entra, ove misture

di bel musaico ingannan l'occhio molto.

Quindi si va in un quadro ch'ogni faccia

de le sue logge ha lunga cento braccia.

 

75

La sua porta ha per sé; ciascuna loggia,

e tra la porta e sé; ciascuna ha un arco:

d'ampiezza pari son, ma varia foggia

fe' d'ornamenti il mastro lor non parco.

Da ciascuno arco s'entra, ove si poggia

sì; facil, ch'un somier vi può; gir carco.

Un altro arco di su trova ogni scala;

e s'entra per ogni arco in una sala.

 

76

Gli archi di sopra escono fuor del segno

tanto, che fan coperchio alle gran porte;

e ciascun due colonne ha per sostegno,

altre di bronzo, altre di pietra forte.

Lungo sarà;, se tutti vi disegno

gli ornati alloggiamenti de la corte;

e oltr'a quel ch'appar, quanti agi sotto

la cava terra il mastro avea ridotto.

 

77

L'alte colonne e i capitelli d'oro,

da che i gemmati palchi eran suffulti,

i peregrini marmi che vi foro

da dotta mano in varie forme sculti,

pitture e getti, e tant'altro lavoro

(ben che la notte agli occhi il più; ne occulti),

mostran che non bastaro a tanta mole

di duo re insieme le ricchezze sole.

 

78

Sopra gli altri ornamenti ricchi e belli,

ch'erano assai ne la gioconda stanza,

v'era una fonte che per più; ruscelli

spargea freschissime acque in abondanza.

Poste le mense avean quivi i donzelli;

ch'era nel mezzo per ugual distanza:

vedeva, e parimente veduta era

da quattro porte de la casa altiera.

 

79

Fatta da mastro diligente e dotto

la fonte era con molta e suttil opra,

di loggia a guisa, o padiglion ch'in otto

facce distinto, intorno adombri e cuopra.

Un ciel d'oro, che tutto era di sotto

colorito di smalto, le sta sopra;

ed otto statue son di marmo bianco,

che sostengon quel ciel col braccio manco.

 

80

Ne la man destra il corno d'Amaltea

sculto aveva lor l'ingenioso mastro,

onde con grato murmure cadea

l'acqua di fuore in vaso d'alabastro;

ed a sembianza di gran donna avea

ridutto con grande arte ogni pilastro.

Son d'abito e di faccia differente,

ma grazia hanno e beltà; tutte ugualmente.

 

81

Fermava il piè; ciascuno di questi segni

sopra due belle imagini più; basse,

che con la bocca aperta facean segni

che 'l canto e l'armonia lor dilettasse;

e quell'atto in che son, par che disegni

che l'opra e studio lor tutto lodasse

le belle donne che sugli omeri hanno,

se fosser quei di cu' in sembianza stanno.

 

82

I simulacri inferiori in mano

avean lunghe ed amplissime scritture,

ove facean con molta laude piano

i nomi de le più; degne figure;

e mostravano ancor poco lontano

i propri loro in note non oscure.

Mirò; Rinaldo a lume di doppieri

le donne ad una ad una e i cavallieri.

 

83

La prima iscrizion ch'agli occhi occorre,

con lungo onor Lucrezia Borgia noma,

la cui bellezza ed onestà; preporre

debbe all'antiqua la sua patria Roma.

I duo che voluto han sopra sé; torre

tanto eccellente ed onorata soma,

noma lo scritto, Antonio Tebaldeo,

Ercole Strozza: un Lino ed uno Orfeo.

 

84

Non men gioconda statua né; men bella

si vede appresso, e la scrittura dice:

- Ecco la figlia d'Ercole, Issabella,

per cui Ferrara si terrà; felice

via più;, perché; in lei nata sarà; quella,

che d'altro ben che prospera e fautrice

e benigna Fortuna dar le deve,

volgendo gli anni nel suo corso lieve.