Luogotenente, diamine!
Signor Montano, su, signor Montano!
(Accorre gente)
Aiutatemi voi, signori! Aiuto!...
Che bel turno di guardia, questa notte!
(Rintocchi di campana)
La campana... Chi suona la campana?
Diablo, ohé! Sveglieranno la città!
Per l’amore di Dio, luogotenente,
fermo! Vi costerà vergogna eterna!
Entra OTELLO con seguito
OTELLO - Beh, che succede qui?
MONTANO - Sangue di Cristo!
Io perdo sangue, son ferito morte!
OTELLO - Via quelle spade, per le vostre vite!
JAGO - Fermi, fermi!... Suvvia, luogotenente!
Montano, signor mio... Evvia, signori!
Davvero avete perso ogni nozione
del luogo dove siete, del dovere?
Fermatevi! Vi parla il generale...
Smettetela di battervi, vergogna!
(I due cessano di affrontarsi)
OTELLO - Ebbene, da che cosa ha avuto origine
questa indegna gazzarra?
Siam forse diventati tutti turchi
per farci tra di noi l’uno con l’altro
quel che il ciel ha impedito agli Ottomani?
Per pudor di cristiani,
cessate questa barbara contesa!
Il primo che osa fare un solo passo
per dare sfogo al bestial suo furore
fa poco conto della propria anima,
perché appena si muove, è un uomo morto.
Zittite quell’orribile campana!
Mi sparge lo spavento in tutta l’isola.
Insomma, via, signori, che è successo?
Onesto Jago, tu che stai lì pallido
dall’angoscia che sembri un morto, parla:
chi l’ha iniziato questo tafferuglio?
Per l’amor tuo, te l’ordino.
JAGO - Non so.
Tutti amici fino a un momento fa,
e d’amore e d’accordo tutti e due,
da somigliar davvero a due sposini
che si spoglino per andare a letto,
quand’ecco, tutt’a un tratto,
come se qualche maligno pianeta
avesse tolto agli uomini il giudizio,
li vedo trar le spade
ed avventarsi l’uno contro l’altro,
ecco, in uno scontro sanguinoso.
Io non so dir com’abbia avuto inizio
questa querela stolta e dissennata,
però vorrei piuttosto aver perduto
in qualche più glorioso fatto d’arme
queste gambe che m’han portato qui
ad essere coinvolto in questa rissa.
OTELLO - (A Cassio)
Com’è stato, Michele,
che hai potuto dimenticar te stesso
a tal punto?
CASSIO - Signore, perdonatemi,
non sono in condizione di rispondervi.
OTELLO - Ed anche voi, valoroso Montano,
sempre così cortese e tollerante,
voi, di cui tutti conoscono a Cipro
la dignitosa calma ed il cui nome
è pur tenuto in grande estimazione
sulla bocca dei più gravi censori,
qual cagione ha potuto mai condurvi
a lasciare così all’altrui mercé
la vostra universale buona fama,
e a barattar il vostro ricco credito
con la nomea di cercator di risse
e notturni schiamazzi? Rispondete!
MONTANO - Nobile Otello, son ferito a morte...
Jago, il vostro ufficiale, può informarvi
- mi devo risparmiare le parole
perché il parlare mi potrebbe nuocere -
di tutto quel che potrei dirvi io...
Io so di non avere detto o fatto
nulla di male ad alcuno, stanotte:
a meno che non sia talvolta un vizio
la pietà che si sente per se stessi,
e sia colpa cercare di difendersi
quando l’altrui violenza ci aggredisce.
OTELLO - Ora davvero, per il cielo, il sangue
comincia a prendersi in me il sopravvento
anche sulle mie guide più sicure,
e la cieca passione,
obnubilando il mio miglior giudizio,
tenta essa stessa di farmi da guida:
sol ch’io mi muova, o alzi questo braccio,
i migliori tra voi son destinati
a sprofondare nella mia censura.
Voglio sapere come s’è creata
quest’indegna gazzarra, e chi l’ha accesa;
e chi d’un tal delitto è responsabile,
fosse pur egli mio fratel gemello,
venuto al mondo nello stesso parto,
mi perderà per sempre come tale!
E che! Nel cuore d’una città in guerra,
ancor tutta pervasa dall’orgasmo,
con la gente che ancora ha il cuore in gola
per la paura, voi, in piena notte,
scatenate una rissa e per di più
proprio all’interno del corpo di guardia
preposto alla comune sicurezza?
È mostruoso! Chi l’ha iniziata, Jago?
MONTANO - (A Jago)
Se per parziali nodi d’amicizia
o per spirito di cameratismo
tu dici un briciolo di più o di meno
di quella ch’è la pura verità,
tu non sei un soldato.
JAGO - (A Otello)
Non vogliate toccarmi sì da presso;
vorrei vedermi tagliata la lingua
piuttosto che sentirle dire cosa
che suoni offesa per Michele Cassio.
Ma son convinto di non fargli torto
a dir le cose come sono andate.
I fatti sono questi, generale:
Montano ed io stavamo discorrendo,
ed ecco che di corsa arriva un tale
gridando: “Aiuto! Aiuto!”; e dietro Cassio,
con la spada sguainata per ucciderlo.
(Accennando a Montano)
Questo signore sbarra il passo a Cassio,
cercando di fermarlo e di calmarlo,
mentr’io mi do ad inseguire quell’altro,
per evitare che a quelle sue grida
si spaventasse tutta la città,
come poi è successo.
Senonché, più veloce, quello là
mi sfugge. Torno allora suoi miei passi,
avendo udito un cozzare di spade
e la voce di Cassio che imprecava:
cosa che mai, prima
di questa notte, devo proprio dirlo,
m’era accaduto di udire da lui.
Ritornato sul posto, appena dopo,
- la mia assenza era stata assai breve -
ti trovo questi due che s’affrontavano
a corpo a corpo, con colpi e ferite,
come li avete sorpresi voi stesso,
quando testé veniste a separarli.
Ma gli uomini, si sa, son sempre uomini
e succede talvolta anche ai migliori
d’obliare se stessi; anche se Cassio
ha conciato Montano male assai:
ché gli uomini, se perdono le staffe,
stranamente si vanno ad accanire
su coloro che voglion loro bene.
Ma Cassio, credo, deve aver subìto,
sicuramente un qualche grave insulto
da quel tale che gli fuggiva innanzi,
per perdere a tal punto la pazienza.
OTELLO - Jago, capisco che la tua onestà
e l’affezione che nutri per Cassio
ti portino a cercar d’attenuare
la gravità d’un simile fattaccio,
per far sembrar più lieve la sua colpa.
(A Cassio)
Michele Cassio, io t’amo;
ma non sarai mai più un mio ufficiale.
Entra DESDEMONA con seguito
Guarda, perfino il mio gentile amore
s’è dovuto levare, a causa tua!
Farò di te un esempio.
DESDEMONA - Che è successo?
OTELLO - Ora tutto è tranquillo, amore mio.
Vieni, torniamo a letto.
(A Montano)
Quanto alle vostre ferite, signore,
mi farò io stesso vostro medico.
(A quelli del seguito)
Conducetelo dentro.
(Esce Montano, sorretto da alcuni)
Tu, Jago, va’ dattorno per le strade,
e tranquillizza diligentemente
quanti sono rimasti sconcertati
di questa indegna rissa.
(A Desdemona)
Vieni, cara:
appartiene alla vita di soldato
vedersi disturbato il proprio sonno
da simili baruffe. Vieni, andiamo.
(Escono tutti, tranne Jago e Cassio)
JAGO - Luogotenente, che! Siete ferito?
CASSIO - Sì, al di là d’ogni cura di chirurgo.
JAGO - Oh, che Dio non lo voglia!
CASSIO - L’onore, Jago, l’onore, l’onore!
Ah, ho perduto l’onore!
Tutto quello che avevo d’immortale!
Non mi resta che quel ch’è animalesco.
Il nome, Jago! La reputazione!
JAGO - Eh, vivaddio, parola d’onest’uomo,
ho creduto che aveste ricevuto
chi sa quale ferita al vostro corpo,
ché quella sì che la si sente addosso,
altro che la reputazione, diamine!
Reputazione! Un’idiota impostura,
falsa ed inutile quant’altre al mondo,
troppe volte acquistata senza merito,
troppe volte perduta senza colpa!
Voi non avrete perduto la vostra
finché a stimare d’averla perduta
non sarete voi stesso e nessun altro.
Coraggio! Ci sono tante buone vie
per ingraziarvi ancora il generale.
Siete incappato nel suo malumore,
nulla di più: ma è una punizione
dettata più dall’opportunità
che da vero rancore,
come di chi, sapendolo innocente,
bastonasse il suo cane al solo scopo
di far paura a un feroce leone.
Tornate ad implorarlo e sarà vostro.
CASSIO - Preferisco implorare il suo disprezzo
che ingannare un sì bravo comandante
rivelandomi come un ufficiale
così balordo, così ubriacone
e così scervellato... Ubriacarsi!...
E ciangottare come un pappagallo!
E attaccar briga! E rodomonteggiare!
E bestemmiare! E mettersi a discorrere
boriosamente con la propria ombra!
O invisibile spirito del vino!
Se non hai altro nome cui rispondere,
io te lo affibbio: chiamati “demonio”!
JAGO - Ma chi era colui
che inseguivate con la spada in pugno?
Che v’aveva fatto?
CASSIO - Proprio non lo so.
JAGO - Possibile, signore?
CASSIO - Mi ricordo una quantità di cose
ma nulla con chiarezza: una contesa,
una rissa, ma non per qual motivo..
Oh, Santo Dio, che debbano i mortali
cacciarsi loro stessi nella bocca
un nemico che ruba loro il senno,
e con gioia, piacere e gozzoviglio
si debban trasformare in tante bestie!
JAGO - Vedo, però che vi siete ripreso
piuttosto bene... Come avete fatto?
CASSIO - È che il diavolo dell’ubriachezza
s’è degnato di cedere il suo posto
al diavolo dell’ira: una magagna
ne fa venire su in palese un’altra
per meglio farmi disprezzar me stesso.
JAGO - Evvia, siete un severo moralista!
Certo, tenuto conto del momento,
del luogo e dello stato del paese,
avrei di tutto cuore preferito
che questo fatto non fosse accaduto.
Ma dal momento ch’è andata così,
cercate d’aggiustarla per il meglio.
CASSIO - Chiedergli di rimettermi al mio posto?
Mi dirà che non sono che un beone;
e avessi tante bocche quante l’Idra,([55])
questo le tapperebbe tutte insieme...
Ah, essere un cervello che ragiona,
e andare a poco a poco a istupidirsi,
e subito una bestia!... Strana cosa!
Ogni bicchiere in più è maledetto,
ci sta dentro il demonio.
JAGO - Evvia, evvia,
che il vino è stato sempre un buon parente,
se lo trattiamo come si conviene!
Finitela di fargli l’anatema!
E voglio credere, luogotenente,
che non abbiate dubbi sul mio affetto.
CASSIO - N’ho avute tante prove... Io ubriaco!...
JAGO - Voi, o qualsiasi altro dei mortali
può ben ubriacarsi, qualche volta.
Vi dirò io quel che dovete fare.
La signora del nostro generale
è lei, adesso, il vero generale:
posso dirlo parlando con rispetto,
perch’egli è dedicato, anima e corpo,
alla contemplazione - attento bene! -
delle sue grazie e della sua persona.([56])
Confidatevi a lei, a cuore aperto,
sollecitatene l’intercessione
per aiutarvi a riavere il posto.
Ella è d’indole aperta, generosa,
così benigna, così soccorrevole,
che tien per vizio della sua bontà
non far di più di quanto le si chieda.
Pregatela che voglia reingessare
questa frattura di articolazione
creatasi tra voi e suo marito.([57])
Scommetto tutto quello che posseggo
contro qualsiasi ragionevol posta
che la frattura di questa amicizia
sarà saldata più forte di prima.
CASSIO - Mi sembra un buon consiglio.
JAGO - E ve lo do con affetto da amico.
CASSIO - Lo credo. Domattina, di buon’ora
scongiurerò la virtuosa Desdemona
di voler intercedere per me.
Se la fortuna qui mi darà scacco,
per me è finita.
JAGO - Avete ben ragione.
Così, luogotenente, buona notte.
Debbo tornare al servizio di guardia.
CASSIO - Vado anch’io. Buona notte, onesto Jago.
(Esce)
JAGO - E adesso chi potrà venirmi a dire
che mi son comportato da ribaldo
con lui, quando il consiglio che gli ho dato
è così franco, aperto, illuminato
e tale da indicargli la via giusta
per riacquistare il favore del Moro?
Giacché non vedo nulla di più facile
che piegar l’indulgenza di Desdemona
ad ogni onesta richiesta: ella è fertile
come i puri elementi di natura;([58])
e riuscire a persuadere il Moro,
foss’anche a ripudiare il suo battesimo
e tutti i sacri simboli e suggelli
del peccato redento, a lei è facile:
sì stretta a lei è l’anima del Moro,
ch’ella può fare, e disfare, e rifare,
a suo talento, e la concupiscenza
ch’egli ha di lei ha il potere d’un dio
sul remissivo spirito di lui.
Dov’è dunque la mia furfanteria
nel consigliare a Cassio questa strada
che lo mena diritto al suo vantaggio?
Sacralità del potere infernale!
Se il diavolo ti vuole trascinare
a commettere i più neri peccati,
t’ammanta prima il suo suggerimento
di celesti apparenze: com’io ora.
Ché mentre questo onesto imbecillone
s’accingerà a convincere Desdemona,
a porre alcun riparo alle sue sorti
ed ella ad intercedere per lui
presso il Moro con tutto il suo fervore,
io verserò nell’orecchio del Moro
questa pestilenziale insinuazione:
ch’ella gli chiede il ritorno di Cassio
per secondare la propria libidine;
e quanto più d’ardore
porrà ad intercedere per lui
tanto più fortemente scrollerà
la propria stima nel cuore del Moro.
Avrò così mutato in nera pece
tutto il candore della sua virtù,
ed avrò fatto della sua bontà
la rete in cui avvilupparli tutti.
Entra RODERIGO
Oh, Roderigo, ebbene?
RODERIGO - Ebbene, c’è
ch’io sono al seguito qui nella caccia
non come un cane che insegue la preda
per catturarla, ma come un segugio
buono solo a far numero nel branco.
Il mio denaro è quasi tutto speso;
stanotte sono stato malmenato
in modo che di più non si poteva,
e tutto quello che potrà sortire
da tante mie fatiche, sarà solo
che n’avrò fatto un tanto d’esperienza,
sicché me ne ritornerò a Venezia
con la borsa ridotta al lumicino,
e con un grano d’esperienza in più.
JAGO - Ah, che grande jattura
gli uomini che non sanno aver pazienza!
Qual ferita fu mai rimarginata,
se non gradatamente? Tu sai bene
che stiamo lavorando d’intelletto
e non già con l’ausilio d’arti magiche,
e l’intelletto ha bisogno di tempo.
Forse che non va tutto pel suo verso?
Cassio t’ha sbatacchiato, questo è vero;
ma tu, col poco male che t’ha fatto
hai provocato il suo licenziamento.([59])
Molte cose maturano in bellezza
sotto il sole, ma primi a maturare
sono i frutti che fan le prime gemme.
Statti fermo e contento per un poco.
Siamo ancora al mattino, santo cielo!
Piacere e azione fan correre l’ore.
Rientra a casa. Vattene a dormire.
Via, dico; ne saprai di più di seguito.
Ma adesso va a dormire!
Esce RODERIGO
Ora due cose son da fare subito:
mia moglie deve andare da Desdemona
a dirle di intercedere per Cassio;
e io ve l’indurrò; io stesso poi
mi dovrò prendere in disparte il Moro
e menarlo ove possa coglier Cassio
nell’atto che sollecita sua moglie.
Sì, questa è la via giusta;
mai lasciar che l’intrigo intorpidisca
con la freddezza ed i tentennamenti.
(Esce)
ATTO TERZO
SCENA I
Cipro, davanti alla cittadella
Entra CASSIO con alcuni musicanti
CASSIO - Ecco, maestri, suonerete qui.
Vi pagherò il disturbo.
Una cosina breve ed augurale,
come a dire: “Buongiorno generale!”([60])
(Musica)
Entra il BUFFONE
BUFFONE - Ehi là, maestri, sono stati a Napoli
questi vostri strumenti,
per parlare col naso in questo modo?([61])
1° MUSICANTE - Come sarebbe a dire, signor mio?
BUFFONE - Sono strumenti a fiato, questi o no?
1° MUSICANTE - A fiato, sì, signore.
BUFFONE - Beh, lì presso ci penzola una coda.
1° MUSICANTE - Dov’è che penzola una coda, amico?
BUFFONE - Eh, sotto più d’uno strumento a fiato
ch’io so...([62]) Ma ecco per voi, del denaro,
maestri; perché al nostro generale
questo vostro suonare piace tanto,
che vi prego di non far più rumore.
1° MUSICANTE - Bene amico, non ne faremo più.
BUFFONE - Se poi per caso aveste qualche musica
che non si sente, potete suonarla;
ma il generale ad ascoltare musica,
dicono che non ci tenga poi gran che.
1° MUSICANTE - Di quella che voi dite non ne abbiamo.
BUFFONE - Pive nel sacco, allora e andate via,
perché anch’io me ne vado. Via, svanite!
(Escono i musicanti)
CASSIO - (Al buffone)
Mi puoi udire, onesto amico mio?
BUFFONE - No, io non l’odo il vostro onesto amico:
io odo solo voi.
CASSIO - Ti prego, amico,
i frizzi tienili per te. To’, prendi,
qui c’è una povera moneta d’oro:
se quella gentildonna ch’è al servizio
della moglie del nostro generale
è alzata e già in faccende per la casa,
dille che c’è qui fuori un certo Cassio
che le chiede di dirle due parole.
Lo vuoi fare?
BUFFONE - (Prendendosi la moneta)
In faccende, monsignore,
ell’è sicuramente e per la casa;
se vorrà affaccendarsi fino qui,
io m’affaccenderò a notificarglielo.
CASSIO - Fallo, mi raccomando, buon amico.
(Esce il buffone)
Entra JAGO
Oh, Jago, giungi proprio al punto giusto.
JAGO - Non siete dunque andato affatto a letto?
CASSIO - Eh, no, che vuoi: spuntava già il mattino
quando ci siam lasciati questa notte.
Mi son preso l’ardire, caro Jago,
di mandare qualcuno da tua moglie
a supplicarla di trovare il modo
di procurarmi un breve abboccamento
con la buona Desdemona.
JAGO - Va bene.
La spedisco da voi immediatamente
e farò di tener lontano il Moro
sì che possiate più liberamente
esporle il vostro caso.
CASSIO - Ti ringrazio.
(Esce Jago)
Non ho trovato mai un fiorentino
più cortese ed onesto di costui.([63])
Entra EMILIA
EMILIA - Buongiorno a voi, caro luogotenente.
Mi spiace assai della vostra disgrazia,
ma presto sarà tutto accomodato.
Ne parlavano appunto tra di loro
il generale con la sua signora;
e l’ho udita intercedere per voi
presso di lui con molta forza d’animo;
ma lui dice che l’uomo che feriste
gode di gran reputazione a Cipro,
e vanta un parentado assai potente;
e ch’egli, il Moro, per sana saggezza,
non poteva altro che destituirvi.
Ripete tuttavia che vi vuol bene
e che non ha bisogno d’altro supplice
oltre la sua simpatia personale
per afferrare la prima occasione
che possa reintegrarvi nell’ufficio.
CASSIO - Ad ogni modo sono qui a pregarvi,
sempre che lo crediate conveniente
e possibile, di trovare il modo
ch’io abbia un breve incontro con Desdemona,
ma da solo a quattr’occhi.
EMILIA - Va bene, entrate, vi condurrò io
dove potrete dirle in libertà
con tutto il tempo quel che avrete in cuore
CASSIO - Ve ne sono assai grato.
(Escono entrando nella cittadella)
SCENA II
Una stanza nel castello
Entrano OTELLO, JAGO e alcuni GENTILUOMINI
OTELLO - Jago, reca al nocchiero questa lettera,
e digli che presenti i miei omaggi
ai membri del senato, al suo ritorno;
io vado sui bastioni a passeggiare;
raggiungimi colà appena fatto.
JAGO - Va bene, mio signore.
OTELLO - (Ai gentiluomini)
Vogliamo andare, allora, miei signori
a ispezionare le nostre difese?
TUTTI - Siamo agli ordini vostri, generale.
(Escono)
SCENA III
Il giardino della cittadella
Entrano DESDEMONA, CASSIO ed EMILIA
DESDEMONA - Potete star sicuro, mio buon Cassio,
farò tutto il possibile per voi.
EMILIA - Fatelo, sì, signora: questa cosa
affligge mio marito, posso dirvelo,
come fosse un suo fatto personale.
DESDEMONA - Oh, quello è un’onest’uomo!
Cassio, non dubitate: riuscirò
ad ottener che voi e il mio signore
ridiventiate amici come prima.
CASSIO - Generosa signora, voi Michele Cassio,
qualunque cosa succeda di lui,
l’avrete sempre fedel vostro servo.
DESDEMONA - Lo so, e vi ringrazio. Al mio signore
voi siete da gran tempo affezionato:
lo conoscete, e potete star certo
che non vorrà tenervi a lui lontano
più di quanto lo possa comportare
l’esigenza della ragion politica.
CASSIO - Capisco. Tuttavia quest’esigenza
potrebbe o trascinarsi troppo a lungo
o nutrirsi magari d’una dieta
liquida e delicata,
o crescer tanto col passar del tempo,
che restandone io sempre lontano
e il mio posto occupato, il generale
finirà per non più pensare a me,
alla mia devozione, ai miei servigi.
DESDEMONA - Non temete; io qui, dinanzi a Emilia,
mi fo garante che riavrete il posto;
e se prendo un impegno d’amicizia
l’adempio, fino all’ultimo suo articolo.
Al mio signore non darò più tregua:
lo terrò desto fino a farlo cedere;
insisterò a parlargli della cosa
fino a rischiar che perda la pazienza;
Farò che il letto gli sembri una scuola,
e la sua tavola un confessionale.
Mescolerò la supplica di Cassio
ad ogni cosa che si trovi a fare.
Pertanto, Cassio, state di buon animo:
il vostro difensore morirà
prima d’abbandonar la vostra causa.
EMILIA - Ma eccolo che arriva, il generale.
Entrano OTELLO e JAGO, in distanza.
CASSIO - Con licenza, signora, m’allontano.
DESDEMONA - Ma no, restate pure,
e sentite anche voi come gli parlo.
CASSIO - No signora, mi trovo assai a disagio,
e poi sento che non mi gioverebbe.
DESDEMONA - Come volete...
(Esce Cassio)
JAGO - (Vedendo uscire Cassio)
Ah, questo non mi piace!...
OTELLO - Che cosa?
JAGO - Nulla, mio signore, nulla...
ammenoché... insomma, non saprei...
OTELLO - Non era Cassio quello che abbiam visto
or ora accomiatarsi da mia moglie?
JAGO - Cassio, signore? No, non posso crederlo!
Allontanarsi così, come un ladro,
quasi in colpa, vedendovi arrivare,
un uomo come lui? Non posso crederlo!
JAGO - Eppure credo fosse proprio lui.
DESDEMONA - (A Otello)
Oh, mio signore! Giusto poco fa
stavo parlando con un postulante,
uno ch’è in pena per il tuo disdegno.
OTELLO - Chi intendi?
DESDEMONA - Ebbene il tuo luogotenente,
Michele Cassio. Mio dolce signore,
se alcuna grazia ho io agli occhi tuoi
o potere al tuo cuore di commuoverti,
riconcìliati subito con lui;
perché se non è vero ch’egli t’ama
in tutta fedeltà e sincerità,
e che ha sbagliato sol per ignoranza
ma certamente non per malvolere,
io non so giudicar d’un volto onesto.
Te ne prego, richiamalo con te.
OTELLO - Era lui che poc’anzi se ne andava?
DESDEMONA - Ma sì, caro, e così mortificato,
da lasciar parte di sua pena in me,
sì ch’io soffro con lui.
Richiamalo con te, amore caro.
OTELLO - Non ora, mia Desdemona.
In un altro momento.
DESDEMONA - Presto?
OTELLO - Presto,
al più presto possibile, mia cara.
Per amor tuo.
DESDEMONA - Domani a pranzo allora?
OTELLO - No, no, domani pranzo fuori casa:
riunisco i capi della cittadella.
DESDEMONA - Domani sera, allora...
o martedì mattina... o pomeriggio...
o la sera... o mercoledì mattina...
ma che non sia più tardi di tre giorni.
T’assicuro, in coscienza, ch’è pentito;
e, dopotutto, la sua trasgressione,
se giudicata col comune metro
- sia pure che, come si dice, in guerra
spetti ai migliori dare il buon esempio -
è forse tale da non meritare
più di una grossa strigliata a quattr’occhi.
Quando potrà tornare? Otello, dimmelo.
Io mi vado chiedendo, entro di me,
se c’è qualcosa che potresti chiedermi
e ch’io potessi ricusar di fare,
o sol di far con qualche esitazione.
Ma come! Proprio quel Michele Cassio,
l’uomo che tante volte ti fu accanto
quando mi corteggiavi e tante volte
che a me veniva di parlar di te
prendeva con favore le tue parti!
Che ti debba costar tanta fatica
riabilitarlo? Ah, credimi, mio caro,
io saprei far per te molto di più!([64])
OTELLO - Basta, ti prego! Torni quando vuole!
Non vo’ negarti nulla!
DESDEMONA - Oh, santo cielo,
non è poi una grazia che ti chiedo!
È niente più che se t’avessi chiesto
che t’infilassi i guanti per il freddo,
o che mangiassi un po’ più sostanzioso,
o che facessi, insomma, un qualche cosa
di benefico per la tua salute;
ché quando vorrò chiederti davvero
qualcosa con cui mettere alla prova
l’amor tuo, sarà cosa assai importante,
e di peso, e terribile a concedersi.
OTELLO - Ed io non ti vorrò negare nulla.
Ma, ti prego, concedimi ora questo:
di lasciarmi per poco con me stesso.
DESDEMONA - Come potrei negartelo? Va bene.
Arrivederci, signore mio caro.
OTELLO - Arrivederci, Desdemona cara.
A tra poco.
DESDEMONA - Su, Emilia, andiamo, andiamo.
(A Otello)
Fa’ pure quel che ti senti di fare:
in ogni caso, io t’obbedirò.
(Escono Desdemona e Emilia)
OTELLO - O squisita creatura!
Che se ne vada pure in perdizione
l’anima mia, ma quanto, quanto l’amo!
E il giorno in cui non dovessi più amarti,
sarà tornato il caos!...
JAGO - Mio signore...
OTELLO - Che mi dicevi, Jago?
JAGO - Quando corteggiavate la signora,
Cassio sapeva del vostro rapporto?
OTELLO - Sì, dal primo momento, e sempre in seguito.
Ma perché me lo chiedi?
JAGO - Mah, così...
Inseguivo soltanto un mio pensiero.
Niente di male.
OTELLO - Che pensiero, Jago?
JAGO - Che non l’avesse conosciuta prima.
OTELLO - Oh, sì, certo! E faceva molto spesso
la spola tra noi due.
JAGO - Ah, veramente?
OTELLO - Veramente, sì, certo. Che ci vedi?
Forse che Cassio non è un uomo onesto?
JAGO - Onesto, mio signore?...
OTELLO - Onesto! Onesto!
JAGO - Per quello ch’io ne so...
OTELLO - Perché? Che pensi?
JAGO - Pensare, mio signore...
OTELLO - “Pensare, mio signore...” E dài, perdio,
che mi fa l’eco, come avesse in corpo
chi lo sa quale mostro,
troppo orrendo per essere sputato...
Tu hai qualcosa in testa...
Poc’anzi t’ho sentito cincischiare
in mezzo ai denti: “Ah, questo non mi piace...”
nel momento che abbiamo scorto Cassio.
Che cosa ti faceva bofonchiare:
“Non mi piace”? Poi, quando t’ho risposto
ch’egli era nelle mie segrete cose
per tutto il tempo in cui l’ho corteggiata,
t’ho sentito esclamare: “Ah, veramente?”,
ed hai contratto e corrugato il viso
come se nascondessi nel cervello
chi sa quale terribile pensiero...
Se m’ami, svelami quel tuo pensiero.
JAGO - Signore, voi sapete quanto io v’ami.
OTELLO - Lo so, Jago. Ma proprio perché so
quanto onesto tu sei e affezionato,
e quanto bene pesi le parole
prima di darvi fiato, questi indugi
nel tuo parlare mi fanno paura.
In bocca a un falso e sleale briccone
certe cose son trucchi abituali,
ma in bocca a un uomo schietto come te
sono lontane esplosioni del cuore
che l’emozione non sa controllare.
JAGO - Quanto a Cassio, mi sento di giurare
di ritenerlo onesto.
OTELLO - Anch’io lo credo.
JAGO - L’uomo dovrebbe sempre essere dentro
quel che appare di fuori; e chi non l’è
così potesse non sembrar più uomo!
OTELLO - Hai ben ragione: gli uomini
dovrebbero esser sempre ciò che sembrano.
JAGO - Perciò reputo Cassio un uomo onesto.
OTELLO - Già, ma in quello che dici c’è dell’altro:
ed io ti prego, Jago, di parlarmi,
come a te stesso, con i tuoi pensieri
quando li vai rimuginando dentro
ed esprimi, parlando con te stesso,
i peggiori coi termini peggiori.
JAGO - Mio buon signore, vogliate scusarmi:
ancor ch’io sia tenuto al mio dovere
di prestarvi la più piena obbedienza,
non mi ritengo tuttavia tenuto
a far cosa da cui perfin gli schiavi
sono esentati... Dirvi i miei pensieri?
Poniamo ch’essi siano bassi e falsi:
qual è il palazzo dove qualche volta
non s’introducono creature turpi?
Qual petto è così puro
che non vi tenga udienza di giustizia
una qualche supposizione immonda
sedendo a fianco a fianco
con le meditazioni più legittime?
OTELLO - Jago, tu trami ai danni d’un amico
se, sapendo che ha ricevuto un torto,
fai il suo orecchio estraneo ai tuoi pensieri.
JAGO - No, no, vi supplico... Forse m’inganno
nei miei sospetti; ché, ve lo confesso,
è una peste di questo mio carattere
andar spiando le altrui malefatte;
e non di rado la mia gelosia
mi fa dar corpo a colpe inesistenti.
Che la vostra saggezza tuttavia
non voglia tener conto dei pensieri
d’uno che pensa sempre così male;
né vogliate crearvi alcun tormento
delle mie vaghe e strambe osservazioni.
Non gioverebbe né alla vostra quiete
né al vostro bene, né sarebbe onesto
e dignitoso e saggio da mia parte
farvi conoscere quello che penso.
OTELLO - Che intendi dire?
JAGO - Mio caro signore,
il buon nome nell’uomo e nella donna,
è il più prezioso gioiello nell’anima.
Chi mi ruba la borsa, ruba soldi;
è qualche cosa e nulla; erano miei,
ed ora son di chi me li ha rubati,
come furono prima d’altri mille.
Ma chi mi porta via il mio buon nome
mi ruba cosa che, senza arricchirlo,
fa di me veramente un miserabile.
OTELLO - Perdio, voglio sapere quel che pensi!
JAGO - Non ci riuscirete,
nemmeno a spremervi in mano il mio cuore;
né io lo voglio, finché è in mia custodia.
OTELLO - Ah!
JAGO - Guardatevi bene, mio signore
dal cader preda della gelosia:
è il mostro verde-occhiuto
che si beffa del cibo onde si pasce.([65])
Vive felice l’uomo che, cornuto
e consapevole del suo destino,
più non ama colei che lo tradisce;
ma che istanti d’inferno
deve contar colui che adora, e dubita
e sospetta, e si strugge pur d’amore!
OTELLO - Oh, miseria!
JAGO - Chi è povero e contento
del proprio stato è certo ricco assai;
ma quando la ricchezza è illimitata,
è triste e povera come l’inverno,
se chi ce l’ha vive continuamente
nel timore che quella gli finisca.
Buon Dio, preserva dalla gelosia
tutte l’anime della mia tribù!([66])
OTELLO - Che cos’è che ti fa parlar così?
Credi tu ch’io sarei disposto a vivere
tutta una vita nella gelosia
inseguendo un sospetto dopo l’altro,
come le fasi della luna? No!
Trovarsi a dubitare anche una volta,
è già aver deciso.
Il giorno che terrò occupata l’anima
con illazioni gonfie ed insufflate
come quelle che tu facevi dianzi
considerami pure un imbecille.([67])
Non può certo pensar d’ingelosirmi
chi venga a dirmi che mia moglie è bella,
che ama il cibo e la buona brigata,
che è sciolta nel parlare, e canta e suona,
e balla bene: là dov’è virtù
queste cose son tanto più virtuose;
né trarrò io dai miei deboli meriti
il minimo timore ed il sospetto
di poter essere da lei tradito:
perch’ella aveva occhi per vedere
quando m’ha scelto, eppure ha scelto me...
No, Jago, avanti di covar sospetti,
voglio vedere; e quando ho sospettato,
voglio la prova. E se la prova c’è,
allora non rimane altro che questo:
via d’un sol colpo amore e gelosia!
JAGO - Ne sono lieto; perché avrò ragione
di dimostrarvi, con più franco spirito,
i miei sensi d’amore e di rispetto;
visto perciò che voi me l’imponete,
sentite bene quello che vi dico.
Non parlo ancor di prove,
però tenete d’occhio vostra moglie:
osservatela quando sta con Cassio,
con occhio né geloso né sicuro...
Non vorrei che la schietta e generosa
vostra natura rimanga ingannata
per la sua stessa generosità.
Guardatevi: gli umori delle donne
del mio paese li conosco bene;
a Venezia esse lasciano spiare
dal cielo i lor capricci e ghiribizzi
che non osan mostrare ai loro mariti;
per esse la miglior moralità
non consiste nel fare qualche cosa,
ma nel farla e saper come nasconderla.
OTELLO - Dici davvero, Jago?
JAGO - Sposando voi ha ingannato suo padre;
e quando più pareva che tremasse
e che temesse le vostre sembianze,
tanto più n’era invece innamorata.
OTELLO - Così è stato, difatti.
JAGO - Ebbene, allora concludete voi:
una che così giovane com’è
ha saputo sì bene simulare
da chiuder così forte gli occhi al padre([68])
da fargli almanaccare di magia...
Ma faccio male a dirvi queste cose,
e vi domando umilmente perdono:
è il troppo amore che mi fa parlare.
OTELLO - Anzi, te ne sarò per sempre grato.
JAGO - M’accorgo tuttavia che v’ho recato
un certo turbamento.
OTELLO - Niente affatto.
JAGO - In coscienza, mi par proprio di sì.
Spero vogliate prender quel che ho detto
come dettato solo dall’affetto...
E tuttavia vi vedo un po’ sconvolto...
Vi prego, non forzate il mio discorso
fino a portarlo a più lascivi sbocchi,
e non gli attribuite maggior peso
d’un mero sospettare...
OTELLO - Come vuoi...
JAGO - Perché se lo faceste, il mio parlare
scadrebbe a sì meschino risultato
cui certo i miei pensieri non miravano.
Cassio è mio degno amico... Ma... signore,
io vi vedo sconvolto...
OTELLO - No... non tanto...
Io non posso pensare di Desdemona
ch’ella sia men che onesta.
JAGO - E tale viva e si conservi a lungo!
E voi a lungo in codesta certezza!
OTELLO - E tuttavia come può la natura
errare da se stessa...
JAGO - Oh, questo è il punto!
A parlar chiaro con vossignoria:
non curarsi di tutti i bei partiti
che le furono offerti:
tutti giovani del suo stesso clima,
del suo stesso colore e condizione:
affinità cui la natura inclina
come vediamo in ogni cosa... Puah!...
È facile fiutare in tutto questo
un istinto malsano, un qualche cosa
che lascia intendere turpe squilibrio,
pensieri e sentimenti innaturali...
Ma perdonatemi: dicendo questo
non intendevo punto riferirmi
in maniera particolare a lei
se pure mi sia lecito temere
che una come lei da un giorno all’altro
tornando a suo miglior discernimento
possa arrivare a confrontar la vostra
con altre forme del vostro paese,
e forse anche pentirsi.
OTELLO - Addio! Addio!
Se scoprirai di più, fammi sapere;
e metti sull’avviso anche tua moglie:
che la osservi da presso.
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