Paradisi Artificiali

DEL VINO E DELL’HASCISC

CONFRONTATI COME MEZZI DI MOLTIPLICAZIONE DELL’INDIVIDUALITÀ

 

(1851)

 

 

 

I · IL VINO

 

 

Un uomo molto famoso, e un grande imbecille al tempo stesso, cose che a quanto pare si accompagnano perfettamente, tanto che mi capiterà senz’altro più di una volta l’amaro piacere di dimostrarlo, in un libro sulla Tavola, redatto con il duplice criterio dell’igiene e del piacere, ha osato scrivere quanto segue alla voce VINO: «Il Patriarca Noè passa per essere l’inventore del vino; è un liquore che si fa col frutto della vigna».

E poi? Poi, nulla: tutto qui. Sfogliate pure il volume; rigiratelo in tutti i sensi, leggetelo a ritroso, a rovescio, da destra a sinistra e da sinistra a destra, non troverete null’altro sul vino nella Fisiologia del gusto dell’illustrissimo e colendissimo Brillat-Savarin se non: «Il patriarca Noè…» e «è un liquore…».

Suppongo che un abitante della luna o di qualche lontano pianeta, viaggiando sulla nostra terra e stanco della lunghezza del viaggio, pensi a rinfrescarsi il palato e a riscaldarsi lo stomaco. Ci tiene a conoscere i piaceri e le usanze del nostro mondo. Ha vagamente inteso parlare di liquori deliziosi con cui gli abitanti di questa palla si procurerebbero coraggio e allegria a volontà. Per essere più sicuro della propria scelta, l’abitante della luna apre l’oracolo del gusto, il celebre e infallibile Brillat-Savarin, e vi trova, alla voce VINO, questo prezioso ragguaglio: «Il patriarca Noè…» e «questo liquore si fa,…». Il che è essenzialmente digestivo. Il che è terribilmente esplicativo. È impossibile, dopo aver letto questa frase, non avere un’idea precisa e nitida di tutti i vini, delle loro diverse qualità, dei loro inconvenienti, della loro efficacia sullo stomaco e sul cervello.

Ah! Cari amici, non provatevi a leggere Brillat-Savarin. Dio preservi coloro che ama dalle lettere inutili; è la prima massima di un piccolo libro di Lavater, un filosofo che ha amato gli uomini più di tutti i magistrati del mondo antico e moderno. Nessun dolce è stato battezzato con il nome di Lavater; ma il ricordo di quest’uomo angelico vivrà ancora tra i cristiani, quando pure gli stessi bravi borghesi avranno dimenticato il Brillat-Savarin, specie di brioscia insipida il cui minor difetto è di servire da pretesto a una tiritera di massime scioccamente pedantesche attinte da un famoso capolavoro.

Se una nuova edizione di questa falsa opera d’arte osasse affrontare il buon senso dell’umanità moderna, bevitori melanconici, bevitori gai, voi tutti che cercate nel vino il ricordo o l’oblio, e che, non trovandolo mai abbastanza completo come lo vorreste, non guardate più il cielo che dal fondo della bottiglia,* bevitori dimenticati e misconosciuti, comprereste una copia e ricambiereste il bene per il male, il beneficio per l’indifferenza?

Apro la Kreisleriana del divino Hoffmann, e vi leggo una curiosa raccomandazione. Il musicista coscienzioso deve servirsi del vino di Champagne per comporre un’opera comica. Vi troverà la gaiezza spumeggiante e leggera che il genere richiede. La musica religiosa esige vino del Reno, o dello Jurançon. Come nell’abisso di idee profonde, vi è qui un’amarezza inebriante; ma la musica eroica non può fare a meno del vino di Borgogna. Possiede la foga austera e l’impeto del patriottismo. Qui andiamo meglio davvero, e oltre al sentimento appassionato di un bevitore, vi trovo un’imparzialità che onora grandemente un Tedesco.

Hoffmann aveva messo a punto un singolare barometro psicologico destinato a rappresentargli le diverse temperature e i fenomeni atmosferici della sua anima. Vi si trovavano suddivisioni come queste: Spirito leggermente ironico temperato di indulgenza; spirito di solitudine con profonda soddisfazione di me stesso; gaiezza musicale, divina esaltazione musicale, tempesta musicale, brio sarcastico insopportabile a me stesso, aspirazione a uscire dal mio io, oggettività eccessiva, fusione del mio essere con la natura. È sottinteso che i gradi del barometro morale di Hoffmann erano fissati secondo il loro ordine di generazione, come nei barometri ordinari. Mi sembra che ci sia tra questo barometro psichico e l’analisi delle qualità musicali dei vini un’evidente fraternità.

Hoffmann, quando la morte lo portò via, cominciava a guadagnare dei soldi. La fortuna gli sorrideva. Come il nostro caro e grande Balzac, fu soltanto verso la fine della vita che vide brillare l’aurora boreale delle sue più antiche speranze. A quell’epoca, gli editori, che si contendevano i suoi racconti per i loro almanacchi, erano soliti aggiungere al denaro inviato una cassa di vini di Francia, per entrare nelle sue grazie.

 

* Béroalde de Verville, Moyen de parvenir. C.B.

 

 

II

 

 

Profonde gioie del vino, chi non vi ha conosciute? Chiunque abbia avuto un rimorso da placare, un ricordo da evocare, un dolore da annegare, un castello in aria da innalzare, tutti, insomma, ti hanno invocato, dio misterioso nascosto nelle fibre della vigna. Grandi sono gli spettacoli del vino, illuminati dal sole interiore! Vera e ardente questa seconda giovinezza che l’uomo vi attinge! Ma anche, quanto temibili le sue folgoranti volontà e i suoi snervanti incantesimi. E tuttavia, dite, giudici, legislatori, uomini di mondo, voi tutti che la felicità rende miti, a cui la fortuna rende facili la virtù e la salute, dite, nel vostro animo, nella vostra coscienza, chi avrebbe il coraggio impietoso di condannare l’uomo che attinge del genio?

Tra l’altro, il vino non è sempre questo terribile lottatore sicuro della propria vittoria, e che ha giurato di non avere né pietà né mercé. Il vino è simile all’uomo: non si saprà mai fino a che punto si può stimarlo e disprezzarlo, amarlo e odiarlo, né di quante azioni sublimi o di mostruosi misfatti è capace. Non siamo dunque più crudeli verso di lui che verso noi stessi, e trattiamolo come nostro pari.

Talvolta mi sembra di intendere il vino che dice-Parla con la propria anima, con quella voce propria degli spiriti che è intesa solo dagli spiriti.-«Uomo, mio beneamato, voglio far giungere fino a te, a dispetto della mia prigione di vetro e dei miei chiavistelli di sughero, un canto pieno di fraternità un canto pieno di gioia, di luce e di speranza. Non sono affatto ingrato; so che ti devo la vita. So quanto ti è costato di fatica e di sole sulle spalle. Mi hai dato la vita, sarai ricompensato. Ti pagherò largamente il mio debito; perché provo una gioia straordinaria quando cado in fondo a una gola alterata dal lavoro.