Pel di carota
Jules Renard
Pel di Carota
(1894)
LA FAMIGLIA LEPIC
Ogni sera accadeva la stessa cosa. Felice ed Ernestina, i fratelli maggiori di Pel di Carota, appena ultimata la cena, uno a destra e l’altro a sinistra del tavolo di cucina, leggevano o fingevano di studiare, con le mani chiuse a pugno contro gli orecchi, per non udire alcun rumore che potesse distrarli.
E ogni sera, regolarmente, la mamma diceva:
— Vuoi vedere che Onorina s’è dimenticata di chiudere il pollaio?
Nessuno le rispondeva. Onorina, la serva, era già a letto e Felice Lepic, il maggiore dei tre figlioli della signora Lepic, impegnato com’era nella lettura e sordo ad ogni voce, non poteva rispondere all’appello della madre.
Ernestina non alzava neppure la testa dal libro: chiudere il pollaio non era cosa adatta ad una ragazzina quando c’erano in casa due fratelli maschi.
— Pel di Carota, mi hai udita?
E la signora Lepic pronunciava quel vezzeggiativo, con cui il più piccolo dei suoi figli era stato battezzato sin da quando era in fasce a causa di quel ciuffo ribelle di capelli rossi, con una sorta di tenerezza, assai rara nella sua voce, fino a che il piccolo Pel di Carota, intento a qualche gioco sotto la tavola, non lasciava vedere quei suo musetto lentigginoso per ripetere, come ogni sera:
— Mamma … ma io ho paura!
— Paura di che? Vorrai scherzare! Fila, fila, giovanotto, le galline non aspettano che te per dormire in pace …
Pel di Carota è un bambino a cui i complimenti e le buone parole fanno sempre un curioso effetto. Un po’ orgoglioso, per natura, ama sentirsi lodare e la sua timidezza si arma di audacia quando occorre dar prova di coraggio anche se, come spesso accade, quell’audacia è una virtù soltanto apparente poiché, nell’intimo. Pel di Carota resta un coniglietto tutto tremori e trepidazioni per cose da nulla.
— Dunque, Pel di Carota, ti decidi?
E scomparsa dalla voce della mamma quella piccola vena di dolcezza e il suo atteggiamento fa intuire che uno scappellotto sta per giungere a destino.
— Fatemi almeno lume — dichiara il piccolo ometto che si attarda a stringere la cinghia dei pantaloncini, con un gesto di sicurezza, come se stesse agganciandosi al fianco una spada.
Felice non si muove, la mamma ha le mani sui fianchi in attesa di mandare ad effetto una minaccia sottintesa nelle sue parole e soltanto Ernestina, più seccata che impietosita, si alza per prendere una candela e accompagnare il fratellino fino in fondo al lungo corridoio buio che porta sul retro della casa, al cortile oltre il quale il piccolo pollaio è costruito sulla fiancata del fienile. Ernestina precede il fratello ma, fatti pochi passi, una folata gelida spegne la candela.
Il buio si fa più profondo appena scompare la debole fiammella.
— Prosegui da solo — ordina Ernestina — io torno di là.
Pel di Carota sente i capelli rizzarsi sulla sua testa. La camicia gli si incolla addosso per un sudore improvviso, un tremore alle gambe lo inchioda al pavimento e gli par d’essere cieco in tutto quel nero così fondo.
Il corridoio è un buco senza fine, come un pozzo. Egli, che lo percorre, di giorno, centinaia di volte, non riconosce nessuna pietra, nessuna scabrosità.
Che fare? Non può restar lì l’intera notte: deve andare. Muove un piede, poi un nuovo passo lo porta avanti e, come se dentro di lui fosse scattato un congegno, si butta a casaccio verso il fondo del corridoio, come lo inseguisse una torma di lupi affamati. Afferra a caso il gancio della porta e quando la porta si spalanca, una ventata d’aria fredda lo avvolge come in un sudario. Il cielo è nero, ma qualche stella ammicca lassù e la traversata del cortile, col viso rivolto in alto, è meno paurosa di quanto credeva.

Il chiocciare delle galline è una voce amica. Quando compare sulla porta del pollaio, Pel di Carota avverte una certa agitazione, lungo la stanga su cui le galline stanno accoccolate calde di sonno e un fiato d’aria tiepida lo investe come una carezza. In un battibaleno l’uscio è sprangato e Pel di Carota torna verso casa, come se avesse le ali ai piedi. Ansante, giunge alla porta del corridoio, rimasta spalancata: quasi calmo l’accosta, la spranga e vi si appoggia contro. Una debole luce viene dalla cucina e Pel di Carota in quel breve tragitto si ritrova padrone di sé, orgoglioso di sé, vittorioso come chi esce da una cruenta battaglia e con un mezzo sorriso di compiacimento verso se stesso, quasi che uno stendardo sventolasse in suo onore e lo precedesse per osannarlo, entra in cucina. S’aspetta rallegramenti, parole di lode, ma lo accoglie un silenzio indifferente e immutabile, come ogni sera.
Felice legge, Ernestina non si volta nemmeno a guardarlo e la mamma riposa accanto al focolare.
Pel di Carota, ritto al centro della cucina, di cui sente il beneficio della luce e del calore che vi regna, aspetta una parola, un cenno, una occhiata.
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