Voglio mangiare e subito, magari solo erba, come una capra.
— Erba? Ottima idea! Io ci sto — esclama Pel di Carota che non avverte, nella proposta del fratello, lo scherzo che intende fargli.
— Erba, sicuro, erba. Si mangia l’insalata, no? Campano gli asini e le mucche, senza pane e senza carne? Perché non possiamo mangiare erba anche noi?
— Bene — dichiara Pel di Carota — andiamo, l’erba medica è tenera come l’insalata ed è buona anche senza olio e aceto.
— Vuoi scommettere — propone Felice — che io di erba medica ne mangio e che tu non sei capace di mangiarne?
— Perché tu sì e io no?
— Scherzi a parte — insiste Felice — scommetti?
— Ma perché non domandiamo ai vicini una fetta di pane, prima che torni la mamma?
— Ah! Ti tiri indietro, non vuoi scommettere, non vuoi mangiare come me l’erba medica?
— Andiamo.
Pel di Carota s’avvia verso il prato di erba medica che sfoggia sotto ai loro occhi un verde tenero e appetitoso. Entrano nel verde più folto, divertendosi a trascinare i piedi ed a schiacciare gli steli molli, tracciando sentieri al loro passaggio.
Si fermano in mezzo al campo e si lascian cadere bocconi in quella profumata frescura.
— Come si sta bene! — dichiara Felice lasciandosi solleticare la faccia dalle foglioline e disponendosi a nuotare in quell’erba come in uno stagno.
Pel di Carota imita il fratello e, con movimenti regolari delle braccia e delle gambe, sincronizzati come nel nuoto, procede in quel verde groviglio d’erba fresca, lieto di vedere, dietro di lui, un solco di steli piegati al suolo che, dopo il suo passaggio, non si rialzano più.
Si diverte a pensare alla faccia che farà il massaro, il giorno dopo, sco-prendo quell’interminabile incrocio di sentieri entro la compattezza del prato, chiedendosi che bestia di razza sconosciuta sia passata attraverso l’erba medica per lasciar solchi così profondi.
— Guarda — dice Pel di Carota al fratello — guarda come filo!
— Mi nasconde completamente, tanto è alta quest’erba! — grida Felice, una volta tanto con voce cordiale, divertito da quella ginnastica nuova e dalle sensazioni di frescura e di abbandono che si sono impadronite di lui.
Appoggiati sui gomiti seguono con gli occhi le gallerie leggere scavate dalle talpe che serpeggiano a fior di terra con diramazioni che si dipartono dalla galleria principale, come fanno le venature di una foglia e, di tanto in tanto, quasi a contatto del terreno, entro quel verde folto, occhieggiano fiorellini mai visti, di un tenero colore rosso viola e campanule bianche e azzurre, tanto piccole e tremule che pare quasi impossibile possano rimaner ritte sullo stelo tanto sottile.
In tutto quell’uniforme e compatto mareggiare di erba medica, i ragazzi scoprono qua e là piccole zone, completamente pelate, percorse da una barba di filamenti rossi allacciati fra loro.
È la cuscuta roditrice, la pianta parassita della buona erba medica, una pe-ste vegetale che divora le radici e le soffoca sul nascere. In quegli spazi rotondeggianti le talpe hanno scavato curiosi gruppetti di tane, come piccole tazze rovesciate, unite le une alle altre sì da sembrare minuscoli villaggi indiani.
Ogni scoperta genera nei due ragazzi motivi di commento e di osservazione che li rende loquaci; le domande e le risposte si intrecciano senza quell’acredine che normalmente spunta fuori quando i due fratelli si parlano.
Ad un tratto, Felice, che avverte quella cordialità verbale, così rara, quasi pentito di tanta confidenza, rammenta a Pel di Carota la scommessa e dichiara:
— Ora basta con le scorribande fra l’erba. Abbiamo deciso di far merenda con l’erba medica, ed io ne ho già assaggiato qualche boccone e l’ho trovato squisito.
Pel di Carota, che in tanta felicità aveva dimenticato l’appetito e la promessa di gareggiare con il fratello in quel pasto di eccezione, incomincia a masticare il primo ciuffetto di foglie tenere raccolte sulla cima di uno stelo intatto.
— Ti piace?
— È buona, un po’ amara, ma buona …
— Bada di non toccare la mia parte — e Felice fa un gesto circolare con il braccio quasi a delimitare il tratto d’erba che intende divorare.
Pel di Carota lo vede ingozzarsi di foglioline e masticarle con evidente soddisfazione e tenta di fare altrettanto.
Ma non vede che il fratello, appena la sua bocca è piena di erba medica, si affretta a sputarla, mentre Pel di Carota, ligio alla promessa, la mastica adagio, ne fa una pallottola, la succhia e la inghiotte con mille smorfie, poiché trova che ha un sapore, oltre che amaro, strano e disgustoso più di una medicina.
Ma bisogna imparare anche a nutrirsi di erba medica e poiché lo fa Felice, perché non può farlo anche lui?
Al primo boccone ne segue un secondo, un terzo, ed ogni volta par che lo stomaco si rifiuti di accogliere quel grumo nauseante, ma Pel di Carota sa di poter comandare al suo stomaco e mastica e inghiotte le cime dell’erba ogni volta che vede il fratello fare altrettanto.
S’è levata una brezza leggera che alita dolci soffi sulla faccia sudata di Pel di Carota, in preda ad uno sconvolgente malessere. Ad ogni folata di vento, le sottili foglie dell’erba medica vengono capovolte e lasciano vedere onde di grigio argento e tutto il campo è percorso da brividi, proprio come la superficie di uno stagno.
Felice strappa bracciate d’erba, se ne avvolge la testa, finge di rimpinzarsi ed imita il rumore delle mascelle di un vitellino inesperto ed ingordo. Pel di Carota lo giudica esperto della vita, padrone del suo essere fino a poter superare quello sconvolgimento mentre in lui il sapore dell’erba medica diventa sofferenza e ripugnanza.
I denti stridono, la saliva è scomparsa dalla sua bocca, anche il naso si fa partecipe di quella ripulsa e gocciola una specie di lacrime che gli occhi si son rifiutati di lasciar colare. Ma ormai si fa sera.
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