A far dimenticare a Pel di Carota questi tristi pensieri ci pensa una talpa: una talpa nera come uno spazzacamino che attraversa di corsa il sentiero.
Pel di Carota con mossa abile riesce a catturarla e a legarle una zampa.
Per qualche tempo ci giuoca, poi gli viene la cattiva idea di lanciarla in aria e poi riacchiapparla, ma la bestiola si dimena tanto in fretta che muta la direzione della sua caduta e resta al suolo, inerte, appiattita, come morta.
Ha una gamba spezzata. Pel di Carota inorridisce al vedere una piccola macchia di sangue sulla pietra bianca su cui la talpa si è abbattuta.
La raccatta, con le lacrime agli occhi, rosso e tremante come se avesse compiuto un delitto. Ora sa che deve avere il coraggio di ucciderla, per non farla soffrire. Mentalmente chiede scusa alla bestiola che sussulta contro il palmo della sua mano poi, coprendosi gli occhi con un braccio, la getta a terra, violentemente, sicuro di averla uccisa e di dar tregua al suo soffrire.
Quando apre gli occhi la talpa è ancora li, tutta fremente, e il ragazzo rab-brividisce mentre raccoglie un sasso per schiacciarle la testa, come ha visto fare dai contadini che distruggono quelle divoratrici insaziabili.
Ma ad ogni colpo di pietra il suo cuoricino sussulta e quando finalmente vede quel nero corpicciuolo immobile, sente un sudore freddo colargli lungo la schiena ed una nausea feroce sconvolgergli lo stomaco.
Come è brutta, la vita!
IL CAMPO D’ERBA MEDICA
Ma, in verità, non è poi sempre brutta.
Ci sono giornate radiose, giornate in cui tutto fila per il verso giusto, in cui nessuna talpa attraversa la strada e nemmeno una lumaca cade sotto le suole delle scarpe.
In quei giorni tutto va per il meglio e qualsiasi cosa si faccia riesce alla perfezione.
In una di quelle giornate felici, Pel di Carota e il fratello tornavano dai vesperi.
Si affrettavano di buon passo verso casa poiché era l’ora della merenda e già sentivano in bocca il gusto di una fetta di pane ben spalmata di burro e marmellata.
Veramente, Pel di Carota, in generale, fa merenda con una fetta di pane solo, perché vuol dimostrare che è un uomo che non ha bisogno di burro e marmellata come una donnicciola ma, quel giorno, sa che ci sarà anche per lui una tetta di pane larga più del suo palmo, abbondantemente guarnita.
La storia di voler mangiare pane solo, quando gli altri se lo condiscono senza lesinare, fa parte di quel curioso atteggiamento con cui Pel di Carota desidera che gli altri si accorgano di quanto egli sia più bravo e più economo, nonché privo di golosità. Ma gli altri, di fronte a queste sue stranezze, lo giudicano un bambino che vuol essere bizzarro ad ogni costo e non fanno caso a queste sue ostentazioni, che classificano come un difetto, e non certo come una virtù.
Il pane, con burro e marmellata, è morbido sotto i denti, mentre il pane so-lo è asciutto e s’ingroppa in bocca, e non vuole andar giù se non lo si annaffia con bicchieri d’acqua e Pel di Carota, a volte, pur di finirla con quel pezzo di pane che si è scelto con troppa crosta, si ingozza di bocconi così grossi che lo costringono a masticare con tali smorfie e contorcimenti delle mascelle che, specialmente la madre, guardandolo sbalordita, non può fare a meno di gridargli:
— Non sai neppure mangiare come un cristiano, alla tua età! E un peccato mortale mangiare il pane come fai tu! Offendi la grazia del buon Dio, con quel modo di azzannare il pane come un lupo famelico!
Sì, la mamma ha ragione. Oggi mangerà con garbo la sua bella fetta di pa-ne, burro e marmellata, come fanno Felice ed Ernestina, e al solo pensare alla merenda si sente lo stomaco vuoto come un pozzo senza fondo.
Ma la porta di casa è chiusa. Felice, irritato, inutilmente scuote la maniglia e tira calci. La casa è silenziosa.
— Dove sono andati?
— Non lo so.
— Ma quando torneranno?
— Non lo so.
— Non sai mai niente, tu. Origli a tutte le porte e non sai mai niente. Pel di Carota sbadiglia. Tutte le pietre del cortile, sotto al sole, gli sembrano enormi fette di pane luccicanti di burro fuso.
Felice ad un tratto dichiara:
— Io non voglio morir di fame.
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