Per la pace perpetua
Scritto nel 1795, questo progetto etico-giuridico di Kant recepisce tutte le sollecitazioni di uno scenario politico internazionale in radicale mutamento e le rielabora in una riflessione molto avanzata. Al centro di essa c’è l’ideale della pace e la ricerca delle sue condizioni di possibilità. La Rivoluzione americana, con il suo esito federalistico, e la Rivoluzione francese, con la Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino, aprono nuove prospettive sul terreno della moralità, del diritto e della storia. E all’ordinamento repubblicano dello Stato, al debole diritto delle genti, Kant avverte la necessità di affiancare nuovi, più elevati istituti giuridici in grado di unire i popoli e abolire la guerra.
Di Immanuel Kant (Königsberg 1724-1804) BUR ha pubblicato Critica della ragione pura, Critica della ragione pratica, Critica della capacità di giudizio, Fondazione della metafisica dei costumi, Osservazioni sul sentimento del bello e del sublime, I sogni di un visionario spiegati coi sogni della metafisica.
Laura Tundo Ferente insegna Storia della filosofia morale e Bioetica presso l’Università di Lecce. Tra le sue opere ricordiamo: L’utopia di Fourier. In cammino verso Armonia (Bari 1991), Kant. Utopia e senso della storia (Bari 1998).
Immanuel Kant
PER LA PACE PERPETUA
Un progetto filosofico di Immanuel Kant
A cura di Laura Tundo Ferente

CLASSICI DEL PENSIERO
Proprietà letteraria riservata
© 1968 Rizzoli Editore, Milano
© 2003 RCS Libri S.p.A., Milano ISBN 978-88-58-65071-4
Prima edizione digitale 2013
Titolo originale dell’opera:
Zum Ewigen Frieden
Ein Philosophischer Entwurf
von Immanuel Kant
In copertina: illustrazione © Beppe Giacobbe
Progetto grafico di Mucca Design
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INTRODUZIONE
1. Le premesse teoriche
Per comprendere pienamente la riflessione politica, o giuridico-politica, kantiana e i concetti/istituti in essa dispiegati di perfetta costituzione interna, di stato, di lega o federazione di popoli, di pace perpetua, di diritto cosmopolitico è necessario che questa riflessione sia legata, in una lettura unitaria, con l’ampia teorizzazione fondativa della moralità universale, con l’interpretazione progressuale, a un tempo razionalistica e finalistica, del cammino della storia umana, e infine con l’analisi antropologica.1 Né per quella comprensione si può trascurare il contesto storico-politico, gli eventi cruciali dell’ultimo quarto del Settecento: la Rivoluzione americana, con il suo esito federalistico e la Dichiarazione d’Indipendenza, la Rivoluzione francese, con i principi accolti nella Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino, costituirono infatti, per Kant, importanti punti di riferimento e stimoli all’approfondimento dei temi giuridico-politici.
Temi che irrompono piuttosto tardivamente nella riflessione kantiana, e conseguono, non solo dal punto di vista cronologico ma anche dal punto di vista teorico, anzitutto alla chiarificazione del quadro normativo. In effetti, entro l’ambito pratico della riflessione giuridico-politica, la moralità risolve il suo carattere formale (l’accusa rivolta già dai contemporanei alla morale kantiana di attestarsi sulla forma, il «tu devi»), e acquista, come nota H. Cohen, valenza di concretezza, contenuti precisamente indicati. La forma del dovere trova il suo oggetto entro la storia ed entro la politica, le quali diventano in tal modo campo di dispiegamento e applicazione dei principi morali, ma anche nuovo orizzonte trascendentale. A. Philonenko vede l’intero sistema kantiano della moralità sfociare in una filosofia del diritto o per il diritto, cioè in un sistema di principi per la prassi politica. 2
Non è, però, soltanto la teorizzazione morale che si configura come propedeutica alla riflessione giuridico-politica. Quest’ultima consegue del pari all’affrontamento delle questioni fondamentali della storia umana: dalla ricostruzione per congetture delle sue origini, all’analisi delle condizioni antropologiche, le disposizioni naturali, e del loro ruolo nella storia umana, al rapporto fra agire umano libero e piano della natura/provvidenza, alla ricerca di un filo conduttore che dia senso agli accadimenti, fino alla interpretazione dell’intero corso storico come di un progresso, un avanzamento della specie umana verso il meglio, seppure tormentato per l’individuo a causa della sua finitezza.
1.1 La storia, sintesi di natura e libertà
Negli scritti più significativi in cui Kant discute di storia, Idea di una storia universale dal punto di vista cosmopolitico (1784), Congetture sull’origine della storia (1786), Il conflitto delle facoltà (1798),3 il lettore coglie senza difficoltà una sostanziale differenza con la precedente teorizzazione morale. Una differenza riassumibile nella complessa interazione stabilita fra quelle che possiamo definire le premesse trascendentali della storia umana, che sono di tipo naturale/deterministico e antropologico, e le componenti razionale e morale dell’agire umano; l’interazione cioè fra natura e morale, fra finalismo e libertà. La storia è indagata da Kant attraverso la domanda sul suo senso, attraverso la ricerca di un filo conduttore capace di dar conto del significato unitario e globale degli eventi, che, certo, non può prescindere da un’analisi «empirica», la più ampia e aperta alle discipline ausiliarie, ma che è orientata teleologicamente, alla comprensione cioè del suo scopo finale.
Accogliendo l’ipotesi biologica del preformismo elaborata da Charles Bonnet, Kant (il quale, come emergerà chiaramente dall’Antropologia pragmatica,4 conosce le più aggiornate ricerche naturalistiche di Buffon, Linneo, Moscati, Camper) ritiene presenti in tutte le creature disposizioni naturali destinate a un completo sviluppo e corrispondenti alla finalità di ogni essere. Secondo questa ipotesi, la struttura biologica di ogni animale contiene dei «germi» (Keime), delle possibilità allo stato puramente incoativo, un virtuale programma di sviluppo, che nel caso dell’uomo, animal rationale, sembra lasciare sospeso e inspiegato il rapporto fra natura, libertà e moralità.
Il processo dello svilupparsi, fino al compimento, delle disposizioni naturali umane, corrisponde in realtà sia al percorso di graduale costruzione di sé dell’uomo, sia al percorso di costruzione della società-storia, nella quale il genere umano giunge a realizzare un progressivo avanzamento. Cosicché la storia e il progresso risultano in buona parte riconducibili a una matrice naturale da cui prende forma l’umanità dell’uomo. La natura prepara l’uomo a ciò che egli stesso deve fare, lo orienta e lo spinge, talvolta suo malgrado, verso le tappe progressive della sua socializzazione-civilizzazione e della sua moralizzazione; verso un perfezionamento che proviene dai mezzi offerti direttamente dalla natura, ma che comprende anche la Willkür, la volontà liberamente determinata.
La storia umana viene così interpretata da Kant come la realizzazione dell’intenzione, della finalità della natura e, insieme, come l’esplicazione della libertà dell’uomo. Ciò che appare subito connotato da intima e profonda aporeticità, ma che va compreso nel senso che la natura esige il completo realizzarsi delle disposizioni, spingendo in vario modo l’uomo in quella direzione. A un tempo, però, essa vuole che il motore del progresso e del perfezionamento sia l’attività libera degli individui, che hanno maturato il disciplinamento di sé e conquistato piena capacità razionale di agire, prescindendo dal dominio dell’istinto. Lo sviluppo della cultura, la capacità di porsi fini «arbitrari», scelti cioè a proprio arbitrio, nonché la capacità dell’uomo di «districarsi da solo» e di elevarsi dalla «massima rozzezza» alla «massima abilità» tecnico-strumentale, alla perfezione interiore e del pensiero, alla «razionale stima di sé», saranno i fattori fondamentali del perfezionamento del genere umano che, con duro lavoro e quasi senza goderne, gli individui preparano per le generazioni successive, alle quali trasmettono il proprio «grado di raggiunta luce».
Per Kant, dunque, non è l’individuo che può, nel breve corso della propria esistenza, giungere alla compiuta realizzazione del cammino di perfezionamento e alla felicità del suo godimento; solo il «genere umano», nella sua pur finita, approssimativa, immortalità, può ambire a un tale risultato. L’individuo, anzi, sembrerebbe qui non più di un anello nella catena delle finalità: l’incessante affaticamento delle generazioni precedenti a vantaggio di quelle successive sembrerebbe relegarlo a un ruolo strumentale nei confronti dei posteri e della specie in generale; tuttavia, si può dire che l’intento kantiano sia qui di far risaltare l’unità della storia e la sua continuità, che sono poi le premesse della visione progressuale, cui va a dare un importante contributo.
Resta da comprendere il veicolo che la natura adopera in ordine al raggiungimento del fine, cioè la stessa struttura antropologica dell’uomo. Anche Kant si trova così di fronte alla domanda, che già era stata centrale per tutta la filosofia moderna: qual è la natura dell’uomo. La risposta hobbesiana, che identificava nell’uomo il nemico, il lupo per il suo simile, appare a Kant semplicistica e insoddisfacente, così come considera inadeguata e parziale la risposta di Rousseau centrata sulla bontà originaria dell’uomo, che rende necessario il ricorso alla società/cultura per spiegare corruzione e degrado umani e per attribuirle la responsabilità di tutti i mali. In realtà anche Kant, con un’espressione molto vicina all’incipit dell’Émile, conviene che la «storia della natura» comincia col bene perché essa è opera di Dio, mentre la «storia della libertà» comincia col male perché essa è, invece, opera dell’uomo.
Nella natura umana convivono, per Kant, due fondamentali predisposizioni: alla socialità, alla convivenza e cooperazione (Geselligkeit), e all’insocievolezza, all’isolamento ed egoismo (Ungeselligkeit). Tendenze «buone» e tendenze «cattive», come le qualifica nella Religion, opposte, antagonistiche ma compresenti, ne caratterizzano la struttura antropologica, col risultato di un perenne conflitto individualismo/socialità nel quale si trova per Kant la molla di ogni progresso e della stessa moralità. Da un tale antagonismo si genera la resistenza di ciascuno nei confronti delle pretese egoistiche dell’altro, si liberano energie che innescano una dinamica di creatività, ambizione, emulazione. Lo sviluppo di «talenti», l’educazione del gusto, il desiderio di onore, potenza, ricchezza, sono così per Kant tutti esiti del conflitto.
Questa lettura antropologica kantiana, che coniuga, non diversamente da A.
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