Mi capitava, per esempio, di cogliere un suono che un cockney1 avrebbe indicato come zerr e un francese come seu, e allora gli scrivevo chiedendogli, con una certa insistenza, che diavolo significasse. E Sweet, con illimitato disprezzo per la mia stupidità, replicava che non solo significava, ma che ovviamente era la parola result (risultato), poiché non ve n’erano altre contenenti quel suono e che avessero un senso nel contesto, in nessun’altra lingua parlata al mondo. Che meno esperti mortali potessero pretendere più esaurienti spiegazioni, era cosa che andava al di là della pazienza di Sweet. Sicché, sebbene il succo della sua Stenografia Corrente consista nella sua possibilità di esprimere perfettamente ogni suono del linguaggio, sia vocali che consonanti, e che la mano non deve far altri movimenti che quelli, semplici e banali, con i quali si scrivono m, n, u, l, p, q, tracciandoli con l’angolazione che risulta più comoda, la sua infelice determinazione di far sì che questa notevole e facilmente leggibile grafia servisse anche come stenografia ne fece, nella prassi dello stesso Sweet, un insieme di imperscrutabili crittogrammi. Il suo vero obiettivo consisteva nel pervenire a un’esauriente, accurata e leggibile grafia dell’inglese; ma fu portato a trascenderlo dal suo disprezzo per il popolare metodo di stenografia Pitman, da lui definito «metodo Pitfall».2 Il successo del Pitman era frutto di un’abile organizzazione commerciale: c’era un settimanale che aveva, come unico compito, quello di convincere il lettore ad apprendere il Pitman; e c’erano manuali a basso costo, libri di esercizi e trascrizioni di dialoghi da copiare, e scuole dove esperti insegnanti addestravano adeguatamente gli allievi. Sweet non poteva certo organizzare un simile mercato, e tanto valeva, dunque, che fosse la sibilla che fa a pezzi le foglie che recano scritte le profezie alle quali nessuno presta comunque attenzione. Può darsi che il manuale da quattro sterline e sei pence, per lo più nella sua stenografia riprodotta litograficamente, che mai venne volgarmente reclamizzato, un giorno susciti l’interesse di un agente letterario e sia «pompato» come ha fatto il «Times» con l’Enciclopedia Britannica; ma, finché questo non accada, non prevarrà certo sul Pitman. In vita mia, ne ho acquistato tre copie, e so dagli editori che continua la sua appartata ma sana e vegeta esistenza. In realtà, ho appreso il metodo una prima e poi una seconda volta, eppure queste righe le sto scrivendo in Pitman. Il motivo va ricercato nel fatto che la mia segretaria non è in grado di trascrivere lo Sweet, avendo per forza di cose frequentato gli istituti in cui si insegna il Pitman. In America potrei servirmi del Gregg, che ha alla base un’organizzazione commerciale e che ha tratto più di uno spunto dallo Sweet, nel senso che ha reso le sue lettere scrivibili («correnti», le avrebbe definite Sweet) anziché riproducibili, come nel Pitman, mediante rigidi segni; tutti questi metodi, però, compreso lo Sweet, sono viziati dal fatto di servire solo a trascrizioni letterali, senza la possibilità di un’esatta ed esauriente ortografia e senza separazione di parole. Una precisa e completa scrittura fonetica non è né utile né indispensabile nell’uso normale; ma se ampliassimo il nostro alfabeto alle dimensioni di quello russo, e rendessimo la nostra ortografia fonetica quanto la spagnola, sarebbe certo un enorme progresso.

Pigmalione-Higgins non è un ritratto di Sweet, per il quale sarebbe stata impossibile l’avventura con Eliza Doolittle; pure, come si vedrà, nella commedia ci sono tracce sweetiane. Se avesse avuto l’aspetto fisico e il temperamento di Higgins, Sweet avrebbe letteralmente incendiato il Tamigi. Invece, si acquistò fama tale, nell’Europa continentale, che la sua relativa oscurità come persona e il fatto che Oxford non rendesse il debito omaggio alla sua eminenza fu un enigma per gli specialisti stranieri in materia. Non ce l’ho per questo con Oxford, poiché ritengo che si abbiano tutte le ragioni del mondo di pretendere una certa socievolezza da parte degli insegnanti (e non è poi una pretesa così eccessiva!), pur non ignorando quanto arduo sia, per un uomo di genio la cui materia sia tenuta in scarsa considerazione, mantenere rapporti sereni e cordiali con coloro che lo ignorano e che si accaparrano i posti migliori per l’insegnamento di materie meno importanti, cui si dedicano senza originalità e talvolta senza neppure molta capacità; comunque, se il primo fa oggetto i secondi di indignazione e disprezzo, non può certo aspettarsi di venir colmato di onori.

Ben poco so delle successive generazioni di studiosi di fonetica. Fa spicco tra essi Robert Bridges, al quale forse Higgins deve il suo amore per Milton, benché anche in questo caso mi veda costretto a negare qualsiasi riferimento esplicito. Ma se la commedia varrà a richiamare l’attenzione del pubblico sull’esistenza di personaggi come gli studiosi di fonetica, e a renderlo edotto che oggi costoro contano tra gli uomini di maggior momento del nostro paese, bene, sarà servita a qualcosa.

Mi sia lecito inorgoglirmi del fatto che Pigmalione ha avuto uno straordinario successo, sia in versione teatrale che cinematografica, in Inghilterra, in tutta l’Europa continentale e nel Nordamerica. È una commedia profondamente, deliberatamente didattica, e tratta di un argomento ritenuto così arido, che per me è un vero piacere gettarla in faccia ai sapientoni i quali ripetono pappagallescamente che l’arte non deve mai essere didattica. Pigmalione costituisce invece la riprova della mia convinzione che la vera arte non può non esserlo.

Infine, a incoraggiamento di quanti sono afflitti da un accento tale da precludere loro ogni impiego d’alto livello, aggiungerò che il cambiamento operato dal professor Higgins sulla fioraia non è né impossibile né raro. La figlia di una portinaia che attualmente realizza la sua ambizione interpretando la regina di Spagna nel Ruy Blas al Théâtre Français è solo una delle migliaia di persone d’ambo i sessi che si sono sbarazzate della natia favella e hanno fatto proprio un nuovo linguaggio. Tant’è che i commessi e i domestici del West End sono tutti bilingui. Ma è un risultato al quale si deve mirare in maniera scientifica, pena altrimenti che la situazione d’arrivo dell’aspirante si riveli peggiore di quella di partenza. Un onesto gergo da bassifondi è più sopportabile degli sforzi di imitare i ricchi e i potenti compiuti da individui foneticamente incolti. Le ambiziose fioraie che leggano questa commedia non credano però di potersi far passare per raffinate gentildonne grazie solo a un’autodidatta imitazione: devono reimparare l’alfabeto, e da cima a fondo, con l’aiuto di un esperto di fonetica. L’imitazione le renderà semplicemente ridicole.

1. Popolano londinese. [N.d.T.]

2. Pitman = minatore; pitfall = trappola. [N.d.T.]

Nota per i tecnici

Una rappresentazione completa della commedia quale appare in quest’edizione risulta tecnicamente possibile solo in versione cinematografica oppure su palcoscenici dotati di macchinari quanto mai complessi. Nelle normali rappresentazioni teatrali, le scene tra asterischi vanno eliminate.

Personaggi

Liza Doolittle, fioraia

Alfred Doolittle, suo padre

Higgins, professore di fonetica

Il colonnello Pickering

La signora Higgins

La signora Eynsford Hill

Clara, sua figlia

Freddy, suo figlio

La signora Pearce, governante di casa

La cameriera di casa Higgins

Atto primo

Londra, ore 23.15.