Poesie
LIBRO DE POEMAS (1921)
INDICE
Banderuola
Gli incontri di una lumaca avventurosa
Canzone d'autunno
Canzone primaverile
Canzone minore
Elegia a Donna Giovanna la pazza
Cicala!
Ballata triste
Mattino
L'ombra dell'anima mia
Pioggia
Se le mie mani potessero sfogliare
Il canto del miele
Elegia
Santiago
Il diamante
Madrigale d'estate
Nuovi canti
Alba
Il presentimento
Canzone per la Luna
Elegia del silenzio
Ballata di un giorno di Luglio
In memoriam
Sogno
Paesaggio
Novembre
Domande
La banderuola caduta
Cuore nuovo
Il tramonto del sole
Uccellino di carta
Madrigale
Una campana
Consulto
Sera
Ci sono anime che hanno…
Prologo
Ballata interiore
La lucertola vecchia
Patio
Ballata della piccola piazza
Crocevia
Ora stellata
La strada
Il concerto interrotto
Canzone orientale
Pioppo morto
Campagna
Ballata dell'acqua del mare
Alberi
La luna e la morte
Madrigale
Desiderio
I pioppi d'argento
Spighe
Meditazione sotto la pioggia
Fonte
Mare
Sogno
Altro sogno
Quercia
Invocazione all'alloro
Ritmo d'autunno
Notturno
Nido
Altra canzone
Il caprone
Ballatella dei tre fiumi
Poema della siguiriya gitana
Poema della soleà
Poema della saeta
Grafico della petenera
Due ragazze
Quadretti flamenchi
Tre città
Sei caprichos
Scena del tenente colonnello della guardia civile
Dialogo dell'amargo
Stagni
Quattro ballate gialle
Palinsesti
Teorie
Notturni della finestra
Canzoni per bambini
Andaluzas
Tre ritratti con ombra
Giochi
Canzoni di Luna
Eros con bastone
Trasmondo
Amore
Canzoni per concludere
Romanza della Luna, Luna
Bella e il vento
Mischia
Romanza sonnambula
La monaca gitana
La sposa infedele
Romanza della pera nera
San Michele
San Raffaele
San Gabriele
Cattura di Antonio El Camborio sulla strada di Siviglia
Morte di Antonio El Camborio
Morto d'amore
Romanza del convenuto
Romanza della guardia civile spagnola
Tre romanze storiche
Poesie della solitudine alla Columbia University
I negri
Strade e sogni
Poesie del lago Eden Mills
Nella capanna del Farmer
Introduzione alla morte
Ritorno in città
Due odi
Fuga da New York
Il poeta giunge all'Avana
Addenda a poeta a New York
Il cozzo e la morte
Il sangue versato
Corpo presente
Anima assente
Madrigale alla città di Santiago
Romanza della Madonna della barca
Canto del garzone di bottega
Notturno dell'adolescente morto
Ninna nanna per Rosalia Castro, morta
Danza della Luna a Santiago
Gazzelle
Caside
SUITES
Suites del ritorno
Il giardino delle brune
La suites degli specchi
Notte
Tre stampe del cielo
Tre storielle del vento
La selva degli orologi
Zampilli
Suite dell'acqua
Sonetti
Miserere
Voto
L'orto della petenera
Notte
Mezzanotte
Lei
Fuori
Campagna
Strofa
Lamento
Sibilla
Luna nera
Bordone
Cicogne musicali
La preghiera delle rose
Alle poesie complete di Antonio Machado
Granada
Che cos'ha l'acqua del fiume…?
Madrigale
Aria
Luce
Canzone bruna
Ogni canzone
Si è spezzato il sole
Rosa
Scuola
Canzone
Corrente lenta
Canzone del ragazzo dai sette cuori
Arco di lune
Il satiro bianco
Portico
A Catalina Barcena
Angolo eterno
Sera del giovedi santo, 1924
Mare latino
Abbandono
Canzone dell'Arbolé
Altra piccola stampa
Alba e campane!
Canzoncina del bambino non nato
Pioppo e torre
Estate
Canzone della disperazione
Canzone
Piccola stampa e giocattolo
Canzone
Miguel Pizarro
Erbari
La sirena e il doganiere
Appunti per un'ode
Ode a Salvator Dalì
Canzone
A Catalina Barcena
Solitudine incerta
Norme
Solitudine
Ode al santissimo sacramento dell'altare
Infanzia e morte
Parla la Madonna Santissima
Strofa cubana
Addio
Alla mia amica Teresa
Canzone
Canzone della morte piccola
Canto notturno dei marinai andalusi
Ninna nanna
Terra e Luna
Luna e panorama degli insetti
A Margarita (Xirgu)
Omega
Le tre foglie
I quattro mulattieri
Il "Caffè di Chinitas"
I pellegrini
"Sevillanas" del secolo XVIII
Le morettine di Jaén
Anda Jaleo
I ragazzi di Monleon
Ninna nanna di Siviglia
I re del mazzo
La tarara
Zorongo
La romanza di don Boyso
Ninna nanna
BANDERUOLA (torna all'indice)
Vento del sud,
bruno, ardente,
scendi sulla mia carne
e porti semi
di sguardi
brillanti col profumo
d'aranceti.
Fai arrossire la luna
e singhiozzare
i pioppi prigionieri, ma vieni
troppo tardi!
Ho già deposto la notte del mio racconto
nello scaffale.
Senza vento,
credimi,
gira, cuore;
gira, cuore.
Vento del nord,
orso bianco del vento!
Scendi sulla mia carne
tremante d'aurore
boreali
col tuo strascico di spettri
capitani
e ridendo
di Dante.
O pulitore di stelle!
Ma vieni
troppo tardi.
La casa dell'anima è coperta di muschio
e ho perso la chiave,
Senza vento,
credimi,
gira, cuore;
gira, cuore.
Brezze, gnomi e venti
di nessun luogo.
Zanzare della rosa
di petali a piramide.
Alisei filtrati
fra gli alberi rudi,
flauti nella burrasca
lasciatemi!
Il mio ricordo
trascina pesanti catene
e l'uccello è prigioniero
quando disegna di trilli
la sera.
Le cose che se ne vanno non tornano piú,
tutti lo sanno,
e fra l'illustre moltitudine dei venti
è inutile lamentarsi.
Non è vero, pioppo, maestro di brezza?
È inutile lamentarsi.
Senza vento,
credimi,
gira, cuore;
gira, cuore.
Fuente Vaqueros, Granada, luglio 1920
GLI INCONTRI DI UNA LUMACA AVVENTUROSA (torna all'indice)
A Ramón P. Roda
Che dolcezza infantile
nella mattina tranquilla.
Gli alberi tendono
le braccia verso la terra.
Un vapore tremulo
copre i seminati
e i ragni tendono
le loro strade di seta
- incrinature sul cristallo pulito
del vento -.
Sul viale,
una fonte recita
il suo canto fra l'erbe.
E la lumaca, pacifica
borghese del sentiero,
umile e ignorata
contempla il paesaggio.
La pace divina
della natura
l'ha rincuorata,
e dimenticando le pene
della casa, desiderò
vedere la fine del sentiero.
Camminando s'internò
in un bosco d'edere
e d'ortiche. In mezzo
c'erano due rane vecchie
a prendere il sole,
tristi e malate.
«Questi canti moderni
mormorava una di loro -
sono inutili». «Tutti,
cara - le risponde
la compagna che era
ferita e quasi cieca -.
Da giovane credevo
che se un giorno Dio sentisse
il nostro canto, ne avrebbe
pietà. La mia scienza
ho vissuto molto -
m'impedisce di crederlo.
E io non canto piú...»
Le due rane si lamentano
chiedendo l'elemosina
a una giovane ranocchia
che passa sdegnosa
scartando l'erba.
Davanti al bosco cupo
la lumaca si spaventa.
Vuol gridare. Non può.
Le rane le si avvicinano.
«È una farfalla?»
dice la cieca.
«Ha due piccole corna
- risponde l'altra rana -.
È la lumaca. Lumaca,
vieni da altri paesi?»
«Vengo da casa mia e voglio
tornarci subito.»
«È un verme vile
esclama la rana cieca -.
Non canti mai?». «Non canto»,
dice la lumaca. «E non preghi?»
«Neppure: non ho mai imparato.»
«Non credi alla vita eterna?»
«E che cos'è?»
«Mah, vivere sempre
nell'acqua trasparente
vicino a una terra fiorita
di ricchi pascoli.»
«Da bambina, un giorno
la mia povera nonna mi disse
che dopo morta sarei andata
sulle foglie piú tenere
degli alberi piú alti.»
«Tua nonna era un'eretica.
La verità te la diciamo noi.
Dovrai crederci!»
dicono le rane furiose.
«Perché ho voluto vedere il sentiero?
geme la lumaca - Sí, credo
per sempre alla vita eterna
che dite voi...»
Le rane
pensierose si allontanano
e la lumaca spaventata
si perde nella foresta.
Le due rane mendicanti
restano come sfingi.
Una alla fine chiede:
«Credi alla vita eterna?»
«Io no», dice tristemente
quella ferita e cieca.
«Allora perché abbiamo detto
di credere, alla lumaca?»
«Perché... Non lo so
dice la rana cieca -.
Mi emoziono
quando sento i miei figli
invocare Dio con fiducia
dal canale...»
La povera lumaca
torna indietro. Nel sentiero
un silenzio ondulato
sgorga dal viale.
S'incontra con un gruppo
di formiche rosse.
Sono tutte in tumulto
e trascinano a forza
un'altra formica
con le antenne spezzate.
La lumaca esclama:
«Pazienza, formiche.
Perché maltrattate così
la vostra compagna?
Ditemi quello che ha fatto.
Giudicherò io in coscienza.
Su, formica, racconta tu.»
La formica mezza morta
le risponde tristemente:
«Ho visto le stelle.»
«Che cosa sono le stelle?», dicono
le formiche inquiete.
E la lumaca pensierosa
domanda: «Stelle?»
«Sí - ripete la formica -.
ho visto le stelle,
son salita sull'albero piú alto
che abbia il viale
e ho visto migliaia d'occhi
nelle mie tenebre.»
La lumaca domanda:
«Ma che cosa sono le stelle?»
«Sono luci che portiamo
sulla nostra testa.»
«Noi non le vediamo»,
commenta
E la lumaca: «La mia vista
arriva fino all'erba.»
Le formiche esclamano,
muovendo le loro antenne:
«Ti uccideremo; sei
pigra e perversa.
La tua legge è il lavoro.»
«Sí, ho visto le stelle»,
dice la formica ferita.
La lumaca sentenzia:
«Lasciatela andare,
fate le vostre faccende.
Può darsi che muoia
presto, arresa.»
Nell'aria dolce
è passata un'ape.
La formica agonizzante
sente la sera immensa
e dice: «Viene a portarmi
su una stella.»
Le altre formiche fuggono
vedendola morta.
La lumaca sospira
e s'allontana stordita,
piena di confusione
per l'eternità. «Il sentiero
è finito - dice -.
Forse di qui
si arriva alle stelle.
Ma la mia grande lentezza
mi impedirà di arrivare.
Non pensiamoci piú.»
Tutto era soffuso
di sole pallido e nebbia.
Campane lontane
chiamavano in chiesa
e la lumaca, pacifica
borghese del sentiero,
intontita e inquieta,
contempla il paesaggio.
Granada, dicembre 1918
CANZONE D'AUTUNNO (torna all'indice)
Oggi sento nel cuore
un vago tremore di stelle,
ma il mio sentiero si perde
nell'anima della nebbia.
La luce mi spezza le ali
e il dolore della mia tristezza
bagna i ricordi
alla fonte dell'idea.
Tutte le rose sono bianche,
bianche come la mia pena,
e non sono le rose bianche,
perché ci ha nevicato sopra.
Prima ci fu l'arcobaleno.
Nevica anche sulla mia anima.
La neve dell'anima ha
fiocchi di baci e di scene
che sono affondate nell'ombra
o nella luce di chi le pensa.
La neve cade dalle rose,
ma quella dell'anima resta
e l'artiglio degli anni
ne fa un sudario.
Si scioglierà la neve
quando moriremo?
O ci sarà altra neve
e altre rose piú perfette?
Scenderà la pace su di noi
come c'insegna Cristo?
O non sarà mai possibile
la soluzione del problema?
E se l'amore c'inganna?
Chi animerà la nostra vita
se il crepuscolo ci sprofonda
nella vera scienza
del Bene che forse non esiste
e del Male che batte vicino?
Se la speranza si spegne
e ricomincia Babele
che torcia illuminerà
le strade della Terra?
Se l'azzurro è un sogno,
che ne sarà dell'innocenza?
Che ne sarà del cuore
se l'Amore non ha frecce?
Se la morte è la morte,
che ne sarà dei poeti
e delle cose addormentate
che piú nessuno ricorda?
O sole della speranza!
Acqua chiara! Luna nuova!
Cuori dei bambini!
Anime rudi delle pietre!
Oggi sento nel cuore
un vago tremore di stelle
e tutte le rose sono
bianche come la mia pena.
Granada, novembre 1918
CANZONE PRIMAVERILE (torna all'indice)
I
Escono allegri i bambini
dalla scuola,
lanciando nell'aria tiepida
d'aprile tenere canzoni.
Quanta allegria nel profondo
silenzio della stradina!
Un silenzio fatto a pezzi
da risa d'argento nuovo.
II
Vado pel cammino della sera,
tra i fiori dell'orto,
lasciando sulla strada
l'acqua della mia tristezza.
Sul monte solitario
un cimitero di paese
sembra un campo seminato
di semi di teschi.
E sono fioriti cipressi
come teste giganti
che con orbite vuote
e chiome verdognole
pensosi e dolenti
l'orizzonte contemplano.
Divino aprile, che vieni
carico di sole e di essenze,
colma di nidi d'oro
i teschi fioriti!
Granada, 28 marzo 1919
CANZONE MINORE (torna all'indice)
Le ali dell'usignolo
hanno gocce di rugiada,
gocce chiare della luna
bloccate dall'illusione.
Il marmo della fonte
ha il bacio dello zampillo,
sogno di stelle umili.
Le bambine dei giardini
mi dicono tutte addio
quando passo. Anche le campane
mi dicono addio.
E gli alberi si baciano
nel crepuscolo. Io
piango per la strada,
grottesco e senza soluzione,
con tristezza da Cyrano
e don Chisciotte, redentore
di impossibili infiniti
col ritmo dell'orologio.
E vedo appassire i gigli
al contatto della mia voce
macchiata di luce sanguinante
e nella mia lirica canzone
vesto abiti da pagliaccio
infarinato. L'amore
bello e pulito si è nascosto
sotto un ragno. Il sole
come un altro ragno mi nasconde
con le sue zampe d'oro.
Non sarò mai felice
perché sono come l'Amore
che ha le frecce di pianto
e la sua faretra è il cuore.
Darò tutto agli altri
e piangerò la mia passione
come un bambino abbandonato
in un racconto che s'è sbiadito.
Granada, dicembre 1918
ELEGIA A DONNA GIOVANNA LA PAZZA (torna all'indice)
A Melchor Fernández Almagro
Principessa innamorata senz'essere corrisposta.
Garofano rosso in una valle profonda e desolata.
La tomba che ti chiude trasuda la tua tristezza
attraverso gli occhi aperti sopra il marmo.
Eri una colomba dall'anima gigante
il cui nido fu sangue del suolo castigliano,
spargesti il tuo fuoco su un calice di neve
e per volerlo nutrire le tue ali si spezzarono.
Speravi in un amore come l'infante
che ti segue reggendoti il manto.
E invece di fiori, di versi e di collane di perle
la Morte ti diede rose appassite al ramo.
Portavi nel cuore la formidabile aurora
di Isabella di Segura. Melibea. Il tuo canto,
come allodola che vede spezzarsi l'orizzonte,
diventa all'improvviso monotono e amaro.
E il tuo grido fa fremere le fondamenta di Burgos.
E opprime la salmodia del coro certosino.
E si scontra con l'eco delle lente campane
perdendosi nell'ombra tremante e lacerato.
Avevi la passione che dà il cielo di Spagna.
La passione del pugnale, dell'occhiaia e del pianto.
O principessa divina dal crepuscolo rosso
con la rocca di ferro e il filo d'acciaio!
Non hai mai avuto il nido né il madrigale dolente
né il liuto che singhiozza lontano.
Il tuo trovatore fu un giovane dalle squame d'argento
e i suoi accenti d'amore l'eco della tromba.
E tuttavia eri fatta per l'amore,
fatta per il sospiro, l'abbandono e le carezze,
per piangere triste sul cuore amato
sfogliando una rosa profumata con le labbra.
Per guardare la luna ricamata sul fiume
e sentir la nostalgia che il gregge si trascina
e guardare gli eterni giardini dell'ombra,
o principessa bruna che dormi sotto il marmo!
Hai gli occhi neri aperti alla luce?
O ai tuoi seni esausti si aggrovigliano i serpenti...
Dove sono i tuoi baci buttati al vento?
Dove la tristezza del tuo amore infelice?
Nella cassa di piombo, dentro il tuo scheletro
hai il cuore rotto in mille pezzi.
E Granada ti conserva come santa reliquia,
o principessa bruna che dormi sotto il marmo!
Eloisa e Giulietta furono due margherite
ma tu sei stata un rosso garofano insanguinato,
che venne dalla terra dorata di Castiglia
a dormire fra neve e casti cipressi.
Granada era il tuo letto di morte, donna Giovanna,
i cipressi i tuoi ceri, la sierra il tuo altare.
Una pala di neve che placa le tue ansie,
con l'acqua che ti passa vicino. L'acqua del Dauro.
Granada era il tuo letto di morte, donna Giovanna,
con le sue vecchie torri e il giardino silenzioso,
con l'edera morta sopra i muri rossi,
con la nebbia azzurra e il romantico mirto.
Principessa innamorata e mal corrisposta.
Garofano rosso in una valle profonda e desolata.
La tomba che ti chiude trasuda la tua tristezza
attraverso gli occhi aperti sopra il marmo.
Granada, dicembre 1918
CICALA! (torna all'indice)
A Maria Luisa
Cicala!
Beata te,
che sopra il letto di terra
muori ubriaca di luce.
Tu sai delle campagne
il segreto di vita,
e il racconto della vecchia fata
che nascere sentiva l'erba
rimane nascosto in te.
Cicala!
Beata te,
che muori sotto il sangue
di un cuore azzurro.
La luce è Dio che scende,
e il sole
breccia per dove filtra.
Cicala!
Beata te,
che senti nell'agonia
tutto il peso dell'azzurro.
Tutto il vivo che passa
dalle porte della morte
va con la testa bassa
e un'aria bianca assonnata.
Con parola di pensiero.
Senza suoni... Tristemente,
coperto dal silenzio
ch'è il mantello della morte.
Ma tu cicala assorta,
piena di suoni, muori
e resti trasfigurata
in suono e luce celeste.
Cicala!
Beata te.
T'avvolge nel suo mantello
lo Spirito Santo stesso
ch'è luce.
Cicala!
Stella sonora
sopra i campi addormentati,,
vecchia amica delle rane
e dei grilli neri,
hai sepolcri d'oro
nei raggi vibranti
del sole che ti colpisce dolcemente
nel vigore dell'estate,
e il sole porta via la tua anima
per farla luce.
Il mio cuore diventi cicala
sopra i campi divini.
Muoia cantando lentamente
nel cielo azzurro ferito
e quando starà per spirare
la donna ch'io so
lo sparga con le sue mani
nella polvere.
E il mio sangue sopra la campagna
sia limo dolce e rosato
dove le zappe affondino
gli stanchi contadini.
Cicala!
Beata te!
che ti feriscono le invisibili spade
dell'azzurro.
Fuente Vaqueros, Granada, 3 agosto 1918
BALLATA TRISTE. (torna all'indice)
PICCOLA POESIA
Il mio cuore è una farfalla,
bambini buoni del prato!
che presa dal ragno grigio del tempo
ha il polline fatale della delusione.
Da piccolo cantai come voi,
bambini buoni del prato,
liberai il mio sparviere con le pericolose
quattro unghie da gatto.
Attraversai il giardino di Cartagena
invocando la verbena
e persi l'anello della mia felicità
su un ruscello immaginario.
Fui anche cavaliere
una sera fresca di maggio.
Allora ella era per me l'enigma,
stella azzurra sopra il mio cuore intatto.
Cavalcai lentamente verso i cieli.
Era una domenica di lupinello.
E vidi che invece di rose e garofani
ella spezzava gigli con le mani.
Sono sempre stato inquieto,
bambini buoni del prato,
il Lei del romance mi tuffava
in sogni di luce:
chi coglierà i garofani
e le rose di maggio?
E perché la vedranno solo i bambini
in groppa a Pegaso?
Sarà la stessa che nelle ballate
tristemente chiamiamo
stella, supplicandola di uscire
a ballare sui campi?...
Nell'aprile dell'infanzia cantavo,
bambini buoni del prato,
il Lei impenetrabile del romance
dove appare Pegaso.
Dicevo nelle notti la tristezza
dei mio amore ignorato
e la luna lunera, che sorriso
aveva tra le labbra.
Chi sarà a cogliere i garofani
e le rose di maggio?
E di quella piccolina così bella,
che sua madre ha sposato,
in quale angolo buio di cimitero
dormirà il suo dolore?
Io solo col mio amore sconosciuto
senza cuore, senza pianti,
verso il tetto impossibile dei cieli
appoggiato a un grande sole,
Come mi pesa tanta tristezza!
Bambini buoni del prato,
come il cuore ricorda dolcemente
i giorni lontani...
Chi sarà a cogliere i garofani
e le rose di maggio?
Granada, aprile 1918
MATTINO (torna all'indice)
A Fernando Marchesi
E la canzone dell'acqua
è una cosa eterna.
È la linfa profonda
che fa maturare i campi.
È sangue di poeti
che lasciarono smarrire
le loro anime nei sentieri
della Natura.
Che armonie spande
sgorgando dalla roccia!
Si abbandona agli uomini
con le sue dolci cadenze.
Il mattino è chiaro.
I focolari fumano
e i fumi sono braccia
che alzano la nebbia.
Ascoltate i romances
dell'acqua tra i pioppi.
Sono uccelli senz'ala
sperduti nell'erba!
Gli alberi che cantano
si spezzano e seccano.
E diventano pianure
le montagne serene.
Ma la canzone dell'acqua
è una cosa eterna.
Luce fatta canto
di illusioni romantiche.
Essa è dolce e sicura
piena di cielo e tranquilla.
È nebbia ed è rosa
dell'eterno mattino.
Miele di luna che cola
da stelle sepolte.
Che cos'è il santo battesimo
se non Dio fatto acqua
che ci unge la fronte
col suo sangue di grazia?
Non per nulla Gesucristo
si è confermato in essa.
Non per nulla le stelle
riposano sulle sue onde.
Non per nulla madre Venere
è nata nel suo seno,
e beviamo amore d'amore
quando beviamo acqua.
E l'amore che corre
pacifico e divino,
è la vita del mondo,
la storia della sua anima.
Essa porta segreti
delle bocche umane,
poiché tutti la baciamo
spegnendoci la sete.
È un'arca di baci
di bocche chiuse,
eterna prigioniera,
sorella del cuore.
Cristo ha detto:
«Confessatevi all'acqua,
di tutti i dolori
di tutte le infamie.
A chi meglio di lei, fratelli,
confidare le nostre ansie,
a lei che sale al cielo
in bianche fasce?»
Non c'è stato perfetto
come bere acqua,
ritorniamo bambini
e piú buoni: e passano
le nostre pene vestite
con ghirlande rosate.
E gli occhi si perdono
in regioni dorate.
O fortuna divina
da nessuno ignorata!
Acqua dolce in cui tanti
lo spirito lavano,
non c'è nulla di simile
alle tue sante sponde
se una tristezza profonda
ci ha dato le sue ali.
Fuente Vaqueros, Granada, 7 agosto 1918
L'OMBRA DELL'ANIMA MIA (torna all'indice)
L'ombra dell'anima mia
fugge in un tramonto di alfabeti,
nebbia di libri
e di parole.
L'ombra dell'anima mia!
Sono giunto alla linea dove cessa
la nostalgia,
e la goccia di pianto si trasforma
in alabastro di spirito.
(L'ombra dell'anima mia!)
Il fiocco del dolore
finisce,
ma resta la ragione e la sostanza
del mio vecchio mezzogiorno di labbra,
del mio vecchio mezzogiorno
di sguardi.
Un torbido labirinto
di stelle affumicate
imprigiona le mie illusioni
quasi appassite.
L'ombra dell'anima mia!
E un'allucinazione
munge gli sguardi.
Vedo la parola amore
sgretolarsi.
Mio usignolo!
Usignolo!
Canti ancora?
Madrid, dicembre 1919
PIOGGIA (torna all'indice)
La pioggia ha un vago segreto di tenerezza
una sonnolenza rassegnata e amabile,
una musica umile si sveglia con lei
e fa vibrare l'anima addormentata del paesaggio.
È un bacio azzurro che riceve la Terra,
il mito primitivo che si rinnova.
Il freddo contatto di cielo e terra vecchi
con una pace da lunghe sere.
È l'aurora del frutto. Quella che ci porta i fiori
e ci unge con lo spirito santo dei mari.
Quella che sparge la vita sui seminati
e nell'anima tristezza di ciò che non sappiamo.
La nostalgia terribile di una vita perduta,
il fatale sentimento di esser nati tardi,
o l'illusione inquieta di un domani impossibile
con l'inquietudine vicina del color della carne.
L'amore si sveglia nel grigio del suo ritmo,
il nostro cielo interiore ha un trionfo di sangue,
ma il nostro ottimismo si muta in tristezza
nel contemplare le gocce morte sui vetri.
E son le gocce: occhi d'infinito che guardano
il bianco infinito che le generò.
Ogni goccia di pioggia trema sul vetro sporco
e vi lascia divine ferite di diamante.
Sono poeti dell'acqua che hanno visto e meditano
ciò che la folla dei fiumi ignora.
O pioggia silenziosa; senza burrasca, senza vento,
pioggia tranquilla e serena di campani e di dolce luce,
pioggia buona e pacifica, vera pioggia,
quando amorosa e triste cadi sopra le cose!
O pioggia francescana che porti in ogni goccia
anime di fonti chiare e di umili sorgenti!
Quando scendi sui campi lentamente
le rose del mio petto apri con i tuoi suoni.
Il canto primitivo che dici al silenzio
e la storia sonora che racconti ai rami
il mio cuore deserto li commenta
in un nero e profondo pentagramma senza chiave.
La mia anima ha la tristezza della pioggia serena,
tristezza rassegnata di cosa irrealizzabile,
ho all'orizzonte una stella accesa
e il cuore mi impedisce di contemplarla.
O pioggia silenziosa che gli alberi amano
e sei al piano dolcezza emozionante:
da' all'anima le stesse nebbie e risonanze
che lasci nell'anima addormentata del paesaggio!
Granada, gennaio 1919
SE LE MIE MANI POTESSERO SFOGLIARE (torna all'indice)
Pronuncio il tuo nome
nelle notti buie,
quando gli astri vanno
a bere alla luna
e dormono gli alberi
delle foreste cupe.
Ed io mi sento vuoto
di passione e musica.
Orologio impazzito che canta
morte ore antiche.
Pronuncio il tuo nome
in questa notte buia,
e il tuo nome suona
piú lontano che mai.
Piú lontano delle stelle,
piú dolente della pioggia quieta.
Ti amerò ancora
come allora? Quale colpa
ha il mio cuore?
Se si alza nebbia
quale nuova passione m'attende?
Sarà tranquilla e pura?
Potessero le mie mani
sfogliare la luna!
Granada, 10 novembre 1919
IL CANTO DEL MIELE (torna all'indice)
Il miele è la parola di Cristo,
l'oro fuso del suo amore.
La perfezione del nettare,
la mummia della luce del paradiso.
L'arnia è una stella casta,
pozzo d'ambra che alimenta il ritmo
delle api. Seno delle campagne
vibranti d'aromi e di ronzii.
Il miele è l'epopea dell'amore,
la materialità dell'infinito.
Anima e sangue dolente dei fiori
condensata attraverso un altro spirito.
(Così il miele dell'uomo è la poesia
che sgorga dal suo cuore dolente,
da un favo con la cera del ricordo
formato dall'ape piú segreta.)
Il miele è la poesia lontana
del pastore, la zampogna e l'olivo,
fratello del latte e delle ghiande,
regine supreme del secolo d'oro.
Il miele è come il sole del mattino,
ha tutta la grazia dell'estate
e l'antica frescura dell'autunno.
È la foglia appassita ed è il frumento.
O divino liquore dell'umiltà,
sereno come un verso primitivo!
Tu sei l'armonia incarnata,
la geniale essenza del lirismo.
In te dorme la malinconia,
il segreto del bacio e del grido.
Dolcissima. Dolce. Questo è il tuo aggettivo.
Dolce come il ventre delle donne.
Dolce come gli occhi dei bambini.
Dolce come le ombre della notte.
Dolce come una voce.
O come un giglio.
Per colui che porta la pena e la lira
sei il sole che illumina la strada.
Equivali a tutte le bellezze,
al colore, alla luce, ai suoni.
O divino liquor della speranza,
dove la perfezione dell'equilibrio
raggiungono l'anima e la materia unite
come il corpo e la luce di Cristo nell'ostia.
E l'anima superiore è dei fiori.
O liquore che hai unito queste anime!
Chi ti gusta non sa di inghiottire
l'essenza dorata del lirismo.
Granada, novembre 1918
ELEGIA (torna all'indice)
Come un turibolo pieno di desideri,
passi nella sera luminosa e chiara
con la carne buia di nardo appassito
e il sesso potente sul tuo sguardo.
Porti in bocca la tua malinconia
di purezza morta e nella dionisiaca
coppa del tuo ventre il ragno che tesse
il velo infecondo che copre i visceri
mai fioriti colle vive rose
frutto dei baci.
Nelle tue mani bianche
porti la matassa delle tue illusioni,
morte per sempre e sopra la tua anima
la passione affamata di baci infuocati
e il tuo amore di madre che sogna lontane
visioni di culle in case tranquille,
filando tra le labbra l'azzurro della ninna-nanna.
Come Cerere daresti le tue spighe d'oro
se l'amore addormentato toccasse il tuo corpo,
e come la Vergine Maria potresti
sprizzare dai tuoi seni un'altra via lattea.
Ti appassirai come la magnolia.
Nessuno bacerà le tue cosce di bracia.
Né ai tuoi capelli arriveranno le dita
che li toccheranno come le corde dell'arpa.
O donna potente d'ebano e di nardo!
hai il respiro bianco come il finocchio.
Venere con la mantiglia di Manila che odora
di vino di Malaga e di chitarra.
O cigno bruno, il tuo lago
ha loto di frecce, onde di aranci
e spume di rossi garofani che profumano
i nidi secchi che stanno sotto le ali.
Nessuno ti feconda, Martire andalusa,
i tuoi baci sono rimasti sotto la pergola
pieni del silenzio della notte
e del ritmo torbido dell'acqua stagnante.
Ma le tue occhiaie si allargano
e i tuoi capelli neri diventano d'argento:
i tuoi seni profumati si allentano
e le tue splendide spalle si incurvano.
O donna agile, materna e ardente!
Vergine dolorosa che porta inchiodate
tutte le stelle del cielo profondo
nel suo cuore senza speranza.
Sei lo specchio di un'Andalusia
che soffre passioni enormi in silenzio,
passioni cullate da ventagli
e dalle mantiglie sopra le gole
che hanno tremori di sangue, di neve,
e graffi rossi fatti da sguardi.
Te ne vai nella nebbia d'autunno, vergine
come Ines, Cecilia e la dolce Clara,
mentre sei una baccante che avrebbe danzato
coronata di verdi pampini e vite.
L'immensa tristezza che vive nei tuoi occhi
ci dice la tua vita spezzata, fallita,
la monotonia del tuo povero ambiente,
e guardi la gente dalla tua finestra,
e ascolti la pioggia sulla amarezza
della vecchia strada provinciale,
mentre lontano risuonano i rintocchi
confusi e incerti delle campane.
Ma invano ascoltasti gli accenti del vento.
Non è mai giunta ai tuoi orecchi la dolce serenata.
Dietro i vetri guardi ancora e aspetti.
Che tristezza profonda devi avere
nell'anima, sentendo nel cuore stanco ed esausto
la passione di una ragazza appena innamorata!
Il tuo corpo scenderà nella tomba intatto d'emozioni.
Sull'oscura terra spunterà l'alba.
Dai tuoi occhi usciranno due garofani sanguinanti
e dai tuoi seni rose bianche come la neve.
Ma la tua grande tristezza se ne andrà con le stelle
come un'altra stella degna di ferirle ed eclissarle.
Granada, dicembre 1918
SANTIAGO (torna all'indice)
(BALLATA INGENUA)
I
Questa notte Santiago è passato
su una strada di luce nel cielo.
Ne parlano i bambini giuocando
con l'acqua di un tranquillo canale.
Dove va il pellegrino celeste
sul chiaro infinito sentiero?
Va verso l'aurora che brilla sul fondo
su un cavallo bianco come neve.
Bambini, cantate nel prato
forando il vento con le risa.
Dice un uomo che ha visto Santiago
in mezzo a duecento guerrieri,
eran tutti coperti di luce
con ghirlande di stelle verdi
e il cavallo di Santiago
era un astro di luce intensa.
Dice l'uomo che narra la storia
che nella notte calma si udirono
un fremito d'ali d'argento
che il silenzio portò via nelle onde.
Che cosa fece arrestare il fiume?
Erano angeli i cavalieri.
Bambini, cantate sul prato
forando il vento con le risa!
È la notte di luna calante.
Ascoltate! Che cosa c'è in cielo,
che i grilli rinforzano le corde
e i cani della pianura abbaiano?
Nonna, dov'è la strada,
nonna, io non la vedo?
Guarda bene e vedrai una striscia
di polvere come farina,
una macchia che sembra d'argento
o di madreperla. La vedi?
Sí, la vedo.
Nonna, Dov'è Santiago?
Lassú, cammina col suo corteo,
la testa piena di piume
e il corpo di perle molto fini,
con la luna sotto i suoi piedi
e il sole chiuso nel cuore.
Questa notte nel piano si sentono
i racconti brumosi della favola.
Bambini, cantate nel prato,
forando il vento con le risa!
II
Una vecchia che vive in miseria
nella parte piú alta del paese,
e possiede una rocca inservibile,
una vergine e due gatti neri,
mentre fa la calza
con le dita secche e tremanti,
circondata da buone comari
e da sporchi bambini vivaci,
nella pace della notte tranquilla
con le sierre perdute nel buio
racconta con lenti ritmi
la visione avuta ai suoi tempi.
Ella vide, una notte lontana
come questa, senza rumore e senza venti,
l'apostolo Santiago in persona
pellegrino sulla terra del cielo.
E, comare, com'era vestito?
le chiedono insieme due voci.
Con bordone di smeraldi e perle
e una tunica di velluto.
Quando oltrepassò la porta,
le mie colombe aprirono le ali
e il cane che dormiva
lo seguí leccando le sue orme.
Era dolce l'Apostolo divino
piú dolce della luna di gennaio.
Lasciò nel sentiero
un profumo di giglio e d'incenso.
E, comare, non le disse nulla?
le chiedono insieme due voci.
Passando mi guardò sorridente
e mi lasciò qui dentro una stella.
Dove nascondi questa stella? -
le chiese un bambino vivace.
Si è spenta - dissero altri -
come cosa d'incantamento.
No, figli miei, la stella risplende
e la porto chiusa nel cuore.
Come sono le stelle, qui?
Figlio mio, come in cielo.
Continui, continui la vecchia comare.
Dove andava il glorioso viaggiatore?
Scomparve per quelle montagne
con le mie bianche colombe e il cane.
Ma mi lasciò piena la casa
di rose e di gelsomini
e le uve verdi del pergolato
maturarono e il granaio pieno
trovai la mattina dopo.
Tutto per grazia dell'Apostolo.
Che fortuna per lei, nonna!
commentano insieme due voci.
I bambini sono addormentati
e la campagna in profondo silenzio.
Bambini, pensate a Santiago
sui confusi cammini del sogno!
Notte chiara, di fine di luglio!
In cielo è passato Santiago!
La tristezza che ha la mia anima
la lascio sulla bianca strada
per vedere se la trovano i bambini
e l'affondano nell'acqua,
per vedere se nella notte stellata
se la portano i venti, lontano.
Fuente Vaqueros. Granada. 25 luglio 1918
IL DIAMANTE (torna all'indice)
Il diamante d'una stella
ha segnato il fondo del cielo,
uccello di luce che vuole
fuggire dall'universo
e fugge dall'enorme nido
dov'era prigioniero
senza sapere che porta legata
una catena al collo.
Cacciatori extraumani
cacciano stelle,
cigni d'argento massiccio
nell'acqua del silenzio.
I giovani pioppi recitano
il sillabario: il maestro è
un pioppo antico che muove
tranquillo le sue braccia morte.
Adesso sul monte lontano
giuocheranno tutti i morti
a carte. È così triste
la vita nel cimitero!
Rana, comincia a cantare!
Grillo, esci dal tuo buco!
Fate un bosco sonoro
dei vostri flauti. Io volo
verso casa, senza pace.
S'agitano nel mio cervello
due colombe di campagna
e all'orizzonte, lontano!,
si sprofonda l'acquedotto del giorno.
Terribile noria dei tempo!
Granada, novembre 1920
MADRIGALE D'ESTATE (torna all'indice)
Unisci la rossa tua bocca alla mia,
o Estrella gitana!
Sotto l'ora solare del mezzogiorno
morderò la mela.
Fra i verdi ulivi della collina
c'è una torre moresca,
colore della tua carne campagnola
che sa di miele e d'aurora.
Mi offri nel tuo corpo ardente
il divino nutrimento
che dà fiori al ruscello quieto
e stelle al vento.
Come ti sei data a me, luce bruna?
perché mi desti pieni
d'amore il sesso di giglio
e i seni sonori?
Fu per la mia tristezza?
(Oh, miei goffi passi!)
Forse destò pietà in te
la mia vita spenta di canti?
Perché non hai preferito ai miei lamenti
le cosce sudate
di un San Cristoforo contadino
pesanti in amore e belle?
Danaide del piacere sei con me.
Femminile Silvano.
I tuoi baci odorano come il grano
secco dell'estate.
Oscurami la vista col tuo canto.
Sciogli la tua chioma
dispiegata e solenne come un manto
d'ombra sopra i prati.
Dipingimi con la bocca insanguinata
un cielo d'amore,
su un fondo di carne, la stella
violetta del dolore.
Prigioniero è il mio pegaso andaluso
dei tuoi occhi aperti,
e volerà desolato e assorto
quando li vedrà morti.
Anche se tu non m'amassi, t'amerei
per il tuo sguardo cupo
come l'allodola ama il giorno nuovo
per la rugiada.
Unisci la rossa tua bocca alla mia,
o Estrella gitana!
Lasciami sotto il giorno chiaro
consumare la mela.
Vega de Zujaira, agosto 1920
NUOVI CANTI (torna all'indice)
La sera dice: «Ho sete d'ombra!»
Dice la luna: «E io di stelle.»
La fonte cristallina chiede labbra
e sospira il vento.
Ho sete di aromi e di risa,
sete di canzoni nuove
senza luna né gigli
e senza amori morti.
Un canto mattutino che increspi
gli stagni tranquilli
dell'avvenire. E riempia di speranze
il suo fango e le onde.
Un canto disteso e luminoso
pieno di pensiero,
vergine di tristezze e di angosce
e vergine di sogni.
Un canto senza carne lirica che riempia
di risa il silenzio
(stormo di colombe cieche
lanciate al mistero).
Canto che tocchi il cuore delle cose
e l'anima dei venti
e che riposi infine nella gioia
del cuore eterno.
Vega de Zujaira, agosto 1920
ALBA (torna all'indice)
Il mio cuore oppresso
sente con l'alba
la pena d'amore
e il sogno della distanza.
La luce dell'aurora porta
un vivaio di nostalgie
e la tristezza senza occhi
del midollo dell'anima.
La gran tomba della notte
stende il suo nero velo
per nascondere di giorno
l'immensa cima stellata.
Che farò in questi campi,
cogliendo nidi e rami,
circondato dall'aurora
e pieno di notte il cuore!
Che farò se i tuoi occhi
sono morti alla luce
e la mia carne non può sentire
il calore dei tuoi sguardi!
Perché ti ho perduta per sempre
in quella chiara sera?
Oggi il mio cuore è arido
come una stella spenta.
Granada, aprile 1919
IL PRESENTIMENTO (torna all'indice)
Il presentimento
è la sonda dell'anima
nel mistero.
Naso dei cuore,
bastone di cieco
che esplora nella tenebra
del tempo.
Ieri è ciò che è appassito.
Il sentimento
e il cimitero
del ricordo.
Avant'ieri
è ciò che è morto.
Tana di idee moribonde
di pegasi senza freno.
Roveto di memorie
e deserti
perduti nella nebbia
dei sogni.
Nulla turba i
secoli passati.
Non possiamo
strappare un sospiro
dalle cose passate.
Il passato si mette
la sua corazza di ferro
e tappa le orecchie
con cotone di vento.
Non si potrà mai strappargli
un segreto.
I suoi muscoli di secoli
e il suo cervello
di idee appassite
in feto
non daranno il liquore che ci vuole
per un cuore assetato.
Ma il bambino futuro
ci dirà qualche segreto
quando giuocherà nel letto
di stelle.
È facile ingannarlo:
per questo
diamogli teneramente
il nostro seno.
La talpa silenziosa
del presentimento
ci porterà i suoi sonagli
quando dormirà.
Vega de Zujaira, agosto 1920
CANZONE PER LA LUNA (torna all'indice)
Bianca tartaruga,
luna addormentata,
come cammini
lentamente.
Chiudendo una palpebra
d'ombra, guardi
come un'archeologica
pupilla.
Forse sei...
(Satana è guercio)
una reliquia.
Viva lezione
per anarchici.
Geova usa
seminare il suo podere
con occhi morti
e le teste
delle milizie
nemiche.
Severo regge
la face divina
col suo turbante
di nebbia fredda,
mettendo dolci
astri senza vita
al biondo corvo
del giorno.
Per questo, luna,
luna addormentata,
protesti
priva di brezza,
per il grande abuso
la tirannia
di questo Geova
che vi incammina
su un sentiero
sempre lo stesso!,
mentre lui gode
in compagnia
di Donna Morte
che è la sua amata...
Bianca tartaruga,
luna addormentata,
casta Veronica
del sole che pulisci
al tramonto
il suo volto rosso.
Abbi speranza,
morta pupilla,
che il gran Lenin
della tua campagna
sarà l'Orsa
Maggiore, la selvaggia
fiera del cielo
che andrà calma
a dare l'abbraccio
di saluto
al vecchio enorme
dei sei giorni.
E allora luna
bianca,
verrà il puro regno
della cenere.
(Avrete capito
che sono nichilista.)
Agosto 1920
ELEGIA DEL SILENZIO (torna all'indice)
Silenzio, dove porti
il tuo vetro appannato
di sorrisi, di parole
e di pianti dell'albero?
Come pulisci, silenzio,
la rugiada del canto
e le macchie sonore
che i mari lontani
lasciano sul bianco
sereno del tuo velo?
Chi chiude le tue ferite
quando sopra i campi
qualche vecchia noria
pianta il suo lento dardo
sul tuo vetro immenso?
Dove vai se al tramonto
ti feriscono le campane
e spezzano il tuo riposo
gli sciami delle strofe
e il gran rumore dorato
che cade sopra i monti
azzurri singhiozzando?
L'aria dell'inverno
spezza il tuo azzurro
e taglia le tue foreste
il lamento muto
di qualche fonte fredda.
Dove posi le mani,
la spina del riso
o il bruciante fendente
della passione trovi.
Se vai agli astri
il solenne concerto
degli uccelli azzurri
rompe il grande equilibrio
del tuo segreto pensiero.
Fuggendo il suono
sei anche tu suono,
spettro d'armonia,
fumo di grido e di canto.
Vieni a dirci
la parola infinita
nelle notti oscure
senza alito, senza labbra.
Trafitto da stelle
e maturo di musica,
dove porti, silenzio,
il tuo dolore extraumano,
dolor di esser prigioniero
nella ragnatela melodica,
cieco per sempre
il tuo sacro fonte?
Oggi le tue onde trascinano
con torbidi pensieri
la cenere sonora
e il dolore del passato.
Gli echi dei gridi
che svanirono per sempre.
Il tuono remoto
del mare, mummificato.
Se Geova dorme
sali al trono splendente,
spezzagli in fronte
una stella spenta
e lascia davvero
la musica eterna,
l'armonia sonora
di luce, e intanto
torna alla tua fonte,
dove nella notte eterna,
prima di Dio e del tempo
sgorgavi in pace.
Luglio 1920
BALLATA DI UN GIORNO DI LUGLIO (torna all'indice)
Campani d'argento
portano i buoi.
Dove vai, bambina
di sole e di neve?
Vado per margherite
sul prato verde.
Il prato è molto lontano
e hai paura.
Né l'airone né l'ombra
teme il mio amore.
Teme il sole, bambina,
di sole e di neve.
Se ne andò dai miei capelli
ormai per sempre,
Chi sei, bianca bambina?
Di dove vieni?
Vengo dagli amori
e dalle fonti.
Campani d'argento
portano i buoi.
Che cos'hai in bocca
che prende fuoco?
La stella del mio amore
che vive e muore.
Che cosa porti nel cuore
così leggero e fine?
La spada del mio amore
che vive e muore.
Che cos'hai negli occhi,
nero e solenne?
I miei tristi pensieri
che mi feriscono.
Perché porti un mantello
nero di morte?
Ahi, sono la vedovella
triste e senza beni,
del conte dell'Alloro
degli Allori!
Chi cerchi qui,
se non ami nessuno?
Cerco il corpo del conte
degli Allori.
Tu cerchi l'amore,
vedovella perfida?
Tu cerchi un amore
che forse trovi.
Stelle del cielo
sono i miei desideri,
dove troverò il mio amante
che vive e muore?
È morto nell'acqua,
bambina di neve,
coperto di nostalgie
e di garofani.
Ah, cavaliere errante
dei cipressi,
una notte di luna
la mia anima t'offre.
Ah Isis sognatrice.
Bambina senza miele,
tu che in bocca di bambini
versi il racconto.
T'offro il mio cuore.
Cuore tenue,
ferito dagli occhi
delle donne.
Cavaliere galante,
resti con Dio.
Vado a cercare il conte
degli Allori.
Addio, signorina,
rosa dormiente
tu vai per amore
e io alla morte.
Campani d'argento
portano i buoi.
Il mio cuore sanguina
come una fonte.
Luglio 1919
IN MEMORIAM (torna all'indice)
Dolce pioppo,
dolce pioppo,
sei diventato
d'oro.
Ieri eri verde,
un verde folle
di uccelli
gloriosi.
Oggi sei abbattuto
sotto il cielo d'agosto
come me sotto il cielo
del mio spirito rosso.
La fragranza prigioniera
del tuo tronco
toccherà il mio cuore
pietoso.
Ruvido avo del prato!
Noi
siamo diventati
d'oro.
Agosto 1920
SOGNO (torna all'indice)
Il mio cuore riposa vicino alla fonte fredda.
(Riempila dei tuoi fili,
ragno dell'oblio.)
L'acqua della fonte gli diceva la sua canzone.
(Riempila dei tuoi fili,
ragno dell'oblio.)
Il mio cuore sveglio diceva i suoi amori.
(Ragno del silenzio,
tessi il tuo mistero.)
L'acqua della fonte lo ascoltava cupa.
(Ragno del silenzio,
tessi il tuo mistero.)
Il mio cuore scivola sulla fonte fredda.
(Mani bianche, lontane,
trattenete l'acqua.)
E l'acqua lo porta via cantando d'allegria.
(Mani bianche, lontane,
non resta nulla nell'acqua.)
Maggio 1919
PAESAGGIO (torna all'indice)
Le stelle spente
colmano di cenere il fiume
verde e freddo.
La fonte non ha trecce.
Ormai si sono bruciati i nidi
nascosti.
Le rane fanno dell'acqua
una siringa incantata,
scordata.
La luna spunta dal monte
con la sua faccia alla buona
di zitellona.
Una stella la prende in giro
dalla sua casa di zaffiro
infantile.
Il leggero color rosa
avvilisce l'orizzonte
del monte.
E osservo che l'alloro è
stanco d'esser poetico
e profetico.
Come l'abbiamo vista sempre
l'acqua s'addormenta,
sorridendo.
Tutto piange per abitudine,
tutta la campagna si lamenta
senz'accorgersene.
Io per non essere stonato
dico per educazione:
«Cuore mio!»
Ma una grande tristezza
tinge le mie labbra macchiate
di peccati.
M'allontano dal paesaggio.
C'è nel mio cuore una profondità
sepolcrale.
Un pipistrello mi avvisa
che il sole si nasconde dolente
a ponente.
Pater noster per il mio amore!
(Pianto dei pioppeti
e degli albereti.)
Nel carbone della sera
guardo i miei occhi lontani,
come nibbi.
E spettino la mia anima morta
con ragnatele di sguardi
dimenticati.
Ormai è notte e le stelle
piantano pugnali nel fiume
verde e freddo.
Giugno 1920
NOVEMBRE (torna all'indice)
Tutti gli occhi
erano aperti
di fronte alla solitudine
lavata dal pianto.
Tin
tan,
tin
tan.
I verdi cipressi
custodivano la loro anima
increspata dal vento,
e le parole come falci
mietevano anime di fiori.
Tin
tan,
tin
tan.
Il cielo era appassito.
O sera prigioniera delle nubi,
sfinge cieca!
Obelischi e ciminiere
facevano bolle di sapone.
Tin
tan,
tin
tan.
I ritmi si curvavano
e il vento si curvava,
guerrieri di nebbia
facevano degli alberi
catapulte.
Tin
tan,
tin
tan.
O sera,
sera degli altri miei baci!
Lontana ossessione della mia ombra,
senza raggio d'oro!
Vuoto sonaglio.
Sera diroccata
su pire di silenzio.
Tin
tan,
tin
tan.
Novembre 1920
DOMANDE (torna all'indice)
C'è un consiglio di cicale in campagna.
Che cosa dici, Marco Aurelio,
di queste vecchie filosofe del piano?
Com'è povero il tuo pensiero!
Scorre tranquilla l'acqua del fiume.
Socrate! Che cosa vedi
nell'acqua che va all'amara morte?
Come povera e triste è la tua fede!
Si sfogliano le rose nel fango.
O dolce Giovanni di Dio!
Che cosa vedi in questi petali gloriosi?
Com'è piccolo il tuo cuore!
Maggio 1918
LA BANDERUOLA CADUTA (torna all'indice)
Il duro cuore della banderuola
nel libro del tempo.
(Una pagina la terra
e l'altra il cielo.)
Cadde dolente sulle lettere
di vecchi tetti.
Lirico fiore di torre
e luna dei venti,
abbandona il filo della croce
e disperde i suoi petali,
per cadere sulle lastre fredde
mangiata dal bruco
degli echi.
Giaci sotto un'acacia.
Memento!
Non potevi battere
perché eri di ferro...
Ma avevi la forma
e doveva bastarti!
Nasconditi sotto il verde
limo,
a cercare la tua gloria
di fuoco,
mentre ti invocano
tristi le torri da lontano
e senti nelle banderuole
stridere i tuoi compagni.
Nasconditi sotto la coperta
verde del tuo letto.
Perché né la bianca monaca,
né il cane,
né la luna calante,
né la stella,
né il fosco sacrestano
del convento,
ricorderanno i tuoi gridi
d'inverno.
Nasconditi lentamente
perché se no
gli straccivendoli
ti prenderanno.
Potessi darti
per compagno
questo mio cuore
così incerto!
Madrid, dicembre 1920
CUORE NUOVO (torna all'indice)
Il mio cuore, come una serpe,
si è spogliato della sua pelle
e la tengo fra le mie dita
piena di ferite e di miele.
I pensieri annidati
nelle tue rughe, dove sono?
Dove le rose che profumavano
di Gesucristo e di Satana?
Povero involucro che opprimeva
la mia stella fantastica!
Grigia pergamena indolenzita
di ciò che volli e ora non amo piú.
Vedo in te embrioni di scienze,
mummie di versi e scheletri
di antiche mie innocenze
e di miei romantici segreti.
Ti appenderò ai muri
del mio museo sentimentale,
vicino ai gelidi e oscuri
gigli dormienti dei mio male?
O ti metterò sopra i pini
libro dolente del mio amore -
perché tu conosca i trilli
dell'usignolo all'alba?
Granada, giugno 1918
IL TRAMONTO DEL SOLE (torna all'indice)
Il sole è tramontato.
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