Gli alberi
meditano come statue.
Ormai il grano è falciato.
Che tristezza
le norie ferme!
Un cane campagnolo
vuole mangiarsi Venere, e le latra.
Splende sul suo campo di pre-bacio
come una grande mela.
Le zanzare - Pegasi della rugiada -
volano nell'aria calma.
La Penelope immensa della luce
tesse una notte chiara.
«Figlie mie, dormite, viene il lupo»,
le pecorelle belano.
«È arrivato l'autunno, compagne?»
dice un fiore avvizzito.
A momenti verranno i pastori coi loro nidi
dalla sierra lontana!
Giuocheranno le bambine sulla porta
della vecchia casa,
e ci saranno strofe d'amore
che già sanno
a memoria le case.
Agosto 1920
UCCELLINO DI CARTA (torna all'indice)
Oh uccellino di carta!
Aquila dei bambini.
Con le penne di giornale
senza compagna
e senza nido.
Le mani ancora bagnate di mistero
ti creano in un freddo
annottare d'autunno, quando muoiono
gli uccelli e il rumore
della pioggia ci fa amare la lampada,
il cuore e il libro.
Nasci per vivere pochi minuti
sul fragile castello
di carte che s'innalza tremante
come il gambo di un giglio.
E mediti lassú, cieco, senz'ali,
che avresti potuto essere
l'atleta grottesco che sorride
sospeso a un filo,
la nave silenziosa senza remi né vele,
il lirico
vascello fantasma dell'insetto pauroso
o il triste asinello
che i soffi dei bambini, trasformatolo in Pegaso,
irridono.
Ma nella tua meditazione
cadono gocce d'umorismo,
Fatto con la corteccia della scienza
ti burli del destino,
e gridi: «Biancofiore non muore,
né muore Luisito.
La mattina è eterna, eterna
la fonte della rugiada.»
Pur non credendo in nulla, gridi:
i bambini non vedano
che c'è un'ombra dietro gli astri,
e ombra nel tuo castello.
In mezzo alla tavola, nel crollo
della tua casa azzurra,
hai visto che il nibbio ti guarda:
«È nato da poco,
una bolla di spuma sull'acqua
del dolore vivo.»
Ma tu va alle labbra luminose
mentre ridono i bambini,
e tacciono i genitori, perché non si ridestino
i dolori vicini.
Così scompari uccello clown
per rinascere altrove.
Così, uccello sfinge, dài il tuo cuore
di fenice al limbo.
Luglio 1920
MADRIGALE (torna all'indice)
Il mio bacio era un melograno
profondo e aperto:
la tua bocca una rosa
di carta.
Lo sfondo un campo di neve.
Le mie mani erano ferri
per le incudini:
il tuo corpo il tramonto
d'uno scampanio.
Lo sfondo un campo di neve.
Nel trapanato
cranio azzurro
come stalattiti
i miei ti amo.
Lo sfondo un campo di neve.
Si arrugginirono
i miei sogni infantili,
e trafisse la luna
il mio dolor salomonico.
Lo sfondo un campo di neve.
Adesso maestro serio,
alla scuola severa,
per i miei amori e sogni
(puledri ciechi).
E lo sfondo è un campo di neve.
Madrid, ottobre 1920
UNA CAMPANA (torna all'indice)
Una campana serena
crocifissa nel suo ritmo
disegna la mattina
con parrucca di nebbia
e fiumi di lacrime.
Il mio vecchio pioppo
confuso d'usignoli
sperava
di metter tra l'erba
i suoi rami
prima che l'indorasse
l'autunno.
Ma i sostegni
delle mie occhiate
lo reggevano.
Vecchio pioppo, all'erta!
Non senti il legno
del mio amore spaccato?
Stenditi sul prato
quando scricchiola la mia anima,
che un uragano di baci
e di parole
ha lasciato spossata,
lacerata.
Ottobre 1920
CONSULTO (torna all'indice)
Passiflora azzurra!
Incudine di farfalle.
Vivi bene nel limo
delle ore?
(O Poeta infantile,
rompi il tuo orologio!)
Chiara stella azzurra,
ombelico dell'aurora.
Vivi bene nella schiuma
dell'ombra?
(O poeta infantile,
rompi il tuo orologio!)
Cuore azzurro,
lampada della mia alcova.
Batti bene senza il mio sangue
filarmonico?
(O poeta infantile,
rompi il tuo orologio!)
Vi capisco e lascio
nel comodino
l'insetto del tempo.
Le sue gocciole metalliche
non si sentiranno
nella calma dell'alcova.
Dormirò tranquillo
come dormite voi,
passiflora e stelle,
alla fine la farfalla
volerà nella corrente
delle ore
mentre nasce sul mio tronco
la rosa.
Agosto 1920
SERA (torna all'indice)
Sera piovosa in grigio stanco.
Tutto è così.
Gli alberi secchi.
La mia stanza, solitaria.
E i ritratti vecchi
e il libro intonso...
Trasuda la tristezza dai mobili
e dall'anima.
Forse
la Natura ha per me
il cuore di cristallo.
E mi duole la carne del cuore
e la carne dell'anima.
E parlando
le mie parole restano nell'aria
come sugheri sull'acqua.
Solo per i tuoi occhi
soffro questo male;
tristezze del passato
tristezze che verranno.
Sera piovosa in grigio stanco.
E va la vita.
Novembre 1919
CI SONO ANIME CHE HANNO... (torna all'indice)
Ci sono anime che hanno
stelle azzurre,
mattini secchi
tra le foglie del tempo
e angoli casti
che conservano un vecchio
rumore di nostalgia
e di sogni.
Altre anime hanno
dolenti spettri
di passioni. Frutta
con vermi. Echi
di una voce bruciata
che viene da lontano
come una corrente
d'ombre. Ricordi
vuoti di pianto
e briciole di baci.
La mia anima è matura
da molto tempo
e si sgretola
piena di mistero.
Pietre giovanili
rose dal sogno
cadono sull'acqua
dei miei pensieri.
Ogni pietra dice:
«Dio è molto lontano!»
8 febbraio 1920
PROLOGO (torna all'indice)
Ecco il mio cuore,
Dio mio,
trapassalo coi tuo scettro, Signore.
È una cotogna
troppo autunnale
ed è marcio.
Strappa gli scheletri
dei lirici sparvieri
che tanto l'hanno ferito
e se hai un becco
togligli la sua scorza
di noia.
Ma se non lo vuoi fare,
non importa,
tienti il tuo cielo azzurro
che è tanto noioso,
il trescone degli astri.
E il tuo Infinito
perché chiederò in prestito
il cuore d'un amico.
Un cuore con ruscelli
e pini,
e un usignolo di ferro
che sopporti
il martello
dei secoli.
E poi Satana mi vuol molto bene,
è stato mio compagno
a un esame
di lussuria e il furbo
cercherà Margherita
me l'ha offerto -.
Margherita bruna,
su uno sfondo di vecchi olivi,
con due trecce di notte
d'estate,
perché io laceri
le sue cosce bianche.
E allora, Signore!
sarò ricco
come o piú di te
perché il vuoto
non può paragonarsi
al vino
con cui Satana saluta
i suoi buoni amici.
Liquore fatto di pianto.
Che importa!
È lo stesso
del tuo liquore composto
di trilli,
Dimmi, Signore,
Dio mio!
Ci sprofondi nell'ombra
dell'abisso?
Siamo uccelli ciechi
senza nidi?
La luce si spegne.
E l'olio divino?
Le onde agonizzano.
Ti piaceva
giuocare come se fossimo
soldatini?
Dimmi, Signore,
Dio mio!
Non giunge il nostro dolore
alle tue orecchie?
Le nostre bestemmie non hanno fatto
babeli senza mattoni
per ferirti, o ti piacciono
i gridi?
Sei sordo? Sei cieco?
O sei guercio
di spirito
e vedi l'anima umana
con toni invertiti?
O Signore sonnolento!
Guarda il mio cuore
freddo
come un cotogno
troppo autunnale
che è marcito!
Se verrà la tua luce
apri gli occhi vivi:
ma se continui
a dormire,
vieni, Satana errante,
peregrino sanguinante,
portami Margherita
bruna tra gli olivi
con le trecce di notte
d'estate,
io saprò accenderle
gli occhi pensierosi
con i baci macchiati
di gigli.
E udrò una sera cieca
il mio Enrique! Enrique!
lirico,
mentre tutti i miei sogni
si riempiono di rugiada.
Qui, Signore, ti lascio
il mio cuore antico,
vado a chiederne un altro
nuovo a un amico.
Cuore con ruscelli
e pini,
cuore senza serpi
e gigli.
Robusto, con la grazia
di un giovane contadino
che attraversa il fiume
con un salto.
Vega de Zujaira, 24 luglio 1920
BALLATA INTERIORE (torna all'indice)
A Gabriel
Il cuore
che avevo a scuola
dov'era dipinto
l'alfabeto,
sta in te,
notte nera?
(Freddo, freddo,
come l'acqua
del fiume.)
Il primo bacio
che sapesse di bacio e fu
per le mie labbra bambine
come la pioggia fresca,
sta in te,
notte nera?
(Freddo, freddo,
come l'acqua
del fiume.)
Il mio primo verso.
La bambina con le trecce
che guardava di fronte,
sta in te,
notte nera?
(Freddo, freddo,
come l'acqua
del fiume.)
Ma il mio cuore
roso da serpenti,
quello ch'era appeso
all'albero della scienza,
sta in te,
notte nera?
(Caldo, caldo
come l'acqua
della fonte.)
Il mio amore errante,
castello cadente,
di ombre arrugginite,
sta in te,
notte nera?
(Caldo, caldo
come l'acqua
della fonte.)
O grande dolore!
Nella tua grotta
accetti solo l'ombra.
Non è vero,
notte nera?
(Caldo, caldo
come l'acqua
della fonte.)
O cuore smarrito!
Requiem aeternam.
Vega de Zujaira, 16 luglio 1920
LA LUCERTOLA VECCHIA (torna all'indice)
Sul sentiero bruciato
ho visto il buon lucertolone
(goccia di coccodrillo)
meditare.
Con la sua verde sottana
di abate del diavolo,
il colletto inamidato
e il portamento corretto,
ha un'aria molto triste
da vecchio professore.
Quegli occhi rinsecchiti
di artista fallito,
come guardano la sera
morente!
È questa la sua passeggiata
crepuscolare, amico?
Usate il bastone, ormai siete
troppo vecchio, don Lucertolone,
e i bambini del paese
vi possono spaventare.
Che cosa cercate sul sentiero,
filosofo orbo,
se il fantasma indeciso
della notte d'agosto
ha rotto l'orizzonte?
Cercate l'azzurra elemosina
del cielo moribondo?
Un centesimo di stella?
O forse
studiate un libro
di Lamartine e vi piaccion
i trilli argentini
degli uccelli?
(Guardi il sole calante,
e i tuoi occhi brillano,
o drago delle rane!
con un fulgore umano
Le gondole senza remi
delle idee passano
l'acqua tenebrosa
delle tue iridi bruciate.)
Forse vieni a cercare
la bella lucertola,
verde come le messi
di maggio,
come le chiome
delle fonti addormentate,
che ti ha disprezzato
e ha lasciato il tuo campo?
O dolce idillio spezzato
sui freschi giunchi!
Ma vivere! che diavolo!
mi siete simpatico.
La frase: «Mi oppongo
al serpente» trionfa
nel vostro gran mento
di arcivescovo cristiano.
Già è svanito il sole
sulla cima del monte
e le greggi
ingombrano la strada.
È ora di andarsene,
lasciate l'angusto sentiero
e non seguitate
a meditare.
Avrete tutto il tempo
di guardare le stelle
quando tranquillamente i vermi
vi mangeranno.
Tornate a casa vostra
sotto il paese dei grilli!
Buonanotte,
caro don Lucertolone.
La campagna è deserta,
i monti sono spenti
ed è vuota la strada:
solo di quando in quando
un cuculo canta
nell'ombra dei pioppi.
Vega de Zujaira, 26 luglio 1920
PATIO (torna all'indice)
I ragni
correvano sui lauri.
Il caso
ridiventa neve,
e gli anni addormentati
oramai osano
inchiodare i telai
dell'eterno.
La Quiete fatta sfinge
si burla della Morte
che canta malinconica
in un gruppo
di cipressi lontani.
L'edera delle gocce
tappezza le pareti
gonfie di arcaici
miserere.
Oh vecchia torre! Piangi
le tue lagrime moresche
in questo patio scuro
senza fontana.
I ragni
correvano sui lauri.
1920
BALLATA DELLA PICCOLA PIAZZA (torna all'indice)
Cantano i bambini
nella notte quieta;
ruscello chiaro,
fonte serena!
I BAMBINI
Che cosa c'è nel tuo divino
cuore in festa?
IO
Un rintocco di campane
perdute nella nebbia.
I BAMBINI
Ecco ci lascia cantare
nella piccola piazza.
Ruscello chiaro,
fonte serena!
Che cosa hai nelle tue mani
di primavera?
IO
Una rosa di sangue
e un giglio.
I BAMBINI
Bagnali nell'acqua
della canzone antica.
Ruscello chiaro,
fonte serena!
Che cosa c'è nella tua bocca
rossa e assetata?
IO
Il sapore delle ossa
del mio teschio.
I BAMBINI
Bevi l'acqua queta
della canzone antica.
Ruscello chiaro,
fonte serena!
Perché ti allontani
dalla piccola piazza?
IO
Vado in cerca di maghi
e di principesse.
I BAMBINI
Chi ti ha mostrato il cammino
dei poeti?
IO
La fonte e il ruscello
della canzone antica.
I BAMBINI
Te ne vai lontano, molto lontano
dal mare e dalla terra?
IO
Si è riempito di luci
il mio cuore di seta,
di campane sperdute,
di gigli e di api,
ed io andrò molto lontano,
oltre quei monti,
oltre i mari,
vicino alle stelle,
per chiedere a Cristo
Signore che mi ridia
il mio cuore antico di bambino,
maturo di leggende,
con il berretto di piume
e la sciabola di legno.
I BAMBINI
Ecco lasciaci cantare
nella piccola piazza,
ruscello chiaro,
fonte serena!
Le pupille enormi
delle fronde secche
ferite dal vento,
piangono le foglie morte.
1919
CROCEVIA (torna all'indice)
O che dolore tenere
versi nella lontananza
della passione e il cervello
tutto macchiato d'inchiostro!
O che dolore non avere
la fantastica camicia
dell'uomo felice: la pelle
tappeto di sole - abbronzata!
(Intorno ai miei occhi
sciami di lettere girano.)
O che dolore il dolore
antico della poesia,
questo dolore colloso
così diverso dall'acqua pulita!
O dolore di lamentarsi
per bere la vena lirica!
O dolore di fonte cieca
e di mulino senza farina!
O che dolore non avere.
dolore e passare la vita
sopra l'erba incolore
del sentiero confuso!
O profondo dolore,
il dolore dell'allegria,
vomero che ci apre i solchi
dove fruttifica il pianto!
(Da una montagna di carta
spunta la luna fredda.)
O dolore della verità!
O dolore della bugia!
Luglio 1920
ORA STELLATA (torna all'indice)
Il rotondo silenzio della notte
sul pentagramma
dell'infinito.
Esco nudo per la strada,
gonfio di versi
perduti.
Il nero, forato
dal canto del grillo,
ha questo fuoco fatuo,
morto,
del suono.
Questa luce musicale
che percepisce
lo spirito.
Gli scheletri di mille farfalle
dormono nel mio recinto.
C'è una giovinezza di brezze impazzite
sopra il fiume.
1920
LA STRADA (torna all'indice)
La tua lancia
non potrà mai
ferire l'orizzonte.
La montagna
è lo scudo
che lo difende.
Non pensare al sangue della luna
e riposa.
Ma lascia, strada,
che i miei piedi
conoscano la carezza
della rugiada.
Enorme chiromante!
Conoscerai le anime
dal debole tatuaggio
che dimenticano sulla tua schiena?
Se sei il Flammarion
delle orme,
come devi amare
gli asini che passano
accarezzando con umile tenerezza
la tua carne ferita!
Soltanto essi meditano dove può
giungere la tua grande lancia.
Soltanto essi, che sono
i Budda della fauna,
quando vecchi e feriti decifrano
il tuo libro senza parole.
Quanta malinconia
hai tra le case
del villaggio!
Quanto coraggio!
Tu porti
quattro carri sonnolenti,
due acacie
e un pozzo d'altri tempi,
che non ha piú acqua.
Girando il mondo
non troverai albergo.
Non avrai camposanto
né sudario,
né l'aria dell'amore rinfrescherà
la tua natura.
Ma esci dai campi
e nella nera distanza
dell'eterno, se pulisci
l'ombra con la lima
bianca, o strada!
passerai sul ponte
di Santa Chiara,
IL CONCERTO INTERROTTO (torna all'indice)
A Adolfo Salazar
Ha rotto l'armonia
della notte profonda
la corona gelata e sonnolenta
della mezzaluna.
I canali sordi protestano
rivestiti di giunchi
e le rane, muezzin dell'ombra,
hanno taciuto.
Nella vecchia taverna del paese
è finita la triste musica
e la stella più antica
ha messo la sordina al suo organetto.
li vento si è seduto sulle doline
della montagna buia
e un pioppo solitario - il Pitagora
della casta pianura -
vuole dare con la sua mano centenaria
un cazzotto alla luna.
1920
CANZONE ORIENTALE (torna all'indice)
È la melagrana profumata
un cielo cristallizzato.
(Ogni grana è una stella
ogni velo è un tramonto.)
Cielo secco e compresso
dalle unghie del tempo.
La melagrana è come un seno
vecchio di pergamena,
e il capezzolo si è fatto stella
per illuminare il campo.
È un'arnia minuscola
col favo insanguinato,
e le api l'hanno formata
con bocche di donne.
Per questo scoppiando ride
con porpore di mille labbra...
La melagrana è un cuore
che batte sul seminato,
un cuore sdegnoso
dove non beccano gli uccelli,
un cuore che fuori
è duro come il cuore umano
ma dà a chi lo trafigge
odore e sangue di maggio.
La melagrana è il tesoro
del vecchio gnomo del prato,
quello che parlò con la piccola Rosa,
nel bosco solitario.
Quello con la barba bianca
e il vestito rosso.
È il tesoro che ancora conservano
le verdi foglie dell'albero.
Arca di pietre preziose
in visceri di oro vago.
La spiga è il pane. È Cristo
in vita e morte rappreso.
L'olivo è la costanza
della forza e del lavoro.
La mela è il frutto carnale,
sfinge del peccato,
goccia di secoli che tiene
i contatti con Satana.
L'arancio è la tristezza
delle corolle profanate,
così diventa fuoco e oro
ciò che prima era puro e bianco.
Le viti sono la lussuria
che si coagula nell'estate,
e da esse la chiesa ricava,
benedetto, il santo liquore.
Le castagne sono la pace
del focolare. Cose d'altri tempi.
Crepitare di vecchi legni,
pellegrini smarriti.
La ghianda è la serena
poesia del passato,
e il cotogno d'oro debole
la pulizia della salute.
Ma la melagrana è il sangue,
sangue sacro del cielo,
sangue di terra ferita
dall'ago del torrente.
Sangue del vento che viene
dal rude monte graffiato.
Sangue del mare tranquillo,
sangue del lago dormiente.
La melagrana è la preistoria
dei sangue che portiamo,
l'idea di sangue, chiuso
in globuli duri e acidi,
che ha una vaga forma
di cuore e di cranio.
O melagrana aperta, tu sei
una fiamma sopra l'albero,
sorella carnale di Venere,
riso dell'orto ventoso.
Ti circondano le farfalle
credendoti un sole fermo
e per paura di bruciarsi
ti sfuggono i vermi.
Perché sei la luce della vita,
femmina dei frutti. Chiara
stella della foresta
del ruscello innamorato.
Potessi essere come sei tu, frutto,
passione sulla campagna!
1920
PIOPPO MORTO (torna all'indice)
Vecchio pioppo!
Sei caduto
nello specchio
dello stagno addormentato,
piegando la fronte
al tramonto.
Non è stato il roco uragano
a spezzare il tuo tronco
né la pesante ascia
del boscaiolo, che sa
che tu devi
rinascere.
È stato il tuo spirito forte
a chiamare la morte
vedendosi senza nidi, dimenticato
dai pioppi bambini del prato.
Gli è che tu avevi
sete di pensiero,
e che la tua enorme testa centenaria,
solitaria,
ascoltava i canti
lontani dei tuoi fratelli.
Nel tuo corpo conservavi
la lava
della passione
e nel tuo cuore,
il seme senza futuro di Pegaso.
Il terribile seme
di un amore innocente
per il sole del tramonto.
Che profonda amarezza
nel paesaggio,
l'eroe dei boschi
senza rami!
Non sarai piú la culla
della luna,
né il magico riso
della brezza
né il bastone di una stella
a cavallo.
Non tornerà la primavera
della tua vita,
né vedrai fiorire
i seminati.
Sarai nido di rane
e di formiche.
Avrai per verdi capelli
le ortiche
e un giorno la corrente
sorridente
porterà via la tua corteccia
tristemente.
Vecchio pioppo!
Sei caduto
nello specchio
dello stagno addormentato.
Ti ho visto cadere
al crepuscolo
e scrivo la tua elegia
che è anche la mia.
1920
CAMPAGNA (torna all'indice)
Il cielo è di cenere.
Gli alberi sono bianchi,
e son carboni neri
le stoppie bruciate.
Ha sangue asciutto
la ferita dell'Occaso,
e la carta incolore
del monte è raggrinzita.
La polvere della strada
si nasconde nei burroni,
sono torbide le fonti
e quieti gli stagni.
Suona in un grigio rossiccio
il campano del gregge,
e la noria materna
terminò il suo rosario.
Il cielo è di cenere.
Gli alberi sono bianchi.
1920
BALLATA DELL'ACQUA DEL MARE (torna all'indice)
A Emilio Prados
(cacciatore di nubi)
Il mare
sorride in lontananza.
Denti di spuma,
labbra di cielo.
Che cosa vendi, fosca fanciulla,
con i seni al vento?
Vendo, signore, l'acqua
dei mari.
Che cos'hai, giovane negro,
mescolato al sangue?
Porto, signore,
l'acqua dei mari.
Queste lagrime salmastre,
da dove vengono, madre?
Piango, signore,
l'acqua dei mari.
Cuore, e questa amarezza
profonda, da dove nasce?
Quanto è amara l'acqua
dei mari!
Il mare
sorride in lontananza.
Denti di spuma,
labbra di cielo.
1919
ALBERI (torna all'indice)
Alberi,
foste frecce
dall'azzurro cadute?
Quali crudeli guerrieri vi scagliarono?
Furono le stelle?
Le vostre musiche vengono dall'anima degli uccelli,
dagli occhi di Dio,
dalla passione perfetta.
Alberi!
Riconosceranno le vostre radici
il mio cuore in terra?
1919
LA LUNA E LA MORTE (torna all'indice)
La luna ha denti d'avorio.
Come è vecchia e triste!
I fiumi sono secchi,
la campagna senza verde
e gli alberi appassiti
senza nidi e senza foglie.
Donna Morte, piena di rughe,
passa tra i salici
col suo assurdo corteo
di remote illusioni.
Vende colori
di cera e di burrasca
come una fata leggendaria
cattiva e ingannatrice.
La luna ha comperato
quadri alla Morte.
In questa notte buia
la luna è pazza!
Nel mio cuore cupo
apro
una fiera senza musica
con le baracche d'ombra.
1919
MADRIGALE (torna all'indice)
Ti ho guardato negli occhi
quand'ero bambino e buono.
Le tue mani m'hanno sfiorato
e mi hai dato un bacio.
(Gli orologi hanno la stessa cadenza
e le notti le stesse stelle.)
Il mio cuore si è aperto
come un fiore sotto il cielo,
i petali di lussuria
e gli stami di sogno.
(Gli orologi hanno la stessa cadenza
e le notti le stesse stelle.)
Piangevo nella mia stanza
come il principe della favola
per l'Estrellita d'oro
che aveva lasciato il ballo.
(Gli orologi hanno la stessa cadenza
e le notti le stesse stelle.)
Mi sono allontanato da te
amandoti in segreto.
Non so come sono i tuoi occhi.
le mani e i capelli.
Solo mi resta sulla fronte
la farfalla del bacio.
(Gli orologi hanno la stessa cadenza
e le notti le stesse stelle.)
1919
DESIDERIO (torna all'indice)
Soltanto il tuo cuore caldo
e null'altro.
Il mio paradiso un campo
senza usignolo
né lira,
con un fiume breve
e una piccola fonte.
Senza la spinta del vento
sulla fronda,
senza la stella che vuole
essere foglia.
Una grande luce
che fosse
lucciola
di un'altra,
in un campo di
sguardi perduti.
Una limpida pace
dove i nostri baci,
nèi sonori
dell'eco,
si aprirebbero lontano.
E il tuo cuore acceso,
null'altro.
1920
I PIOPPI D'ARGENTO (torna all'indice)
I pioppi d'argento si piegano sull'acqua:
sanno tutto, ma non lo diranno.
Il giglio della fonte non urla la sua tristezza.
Tutto è piú degno che l'umanità!
La scienza del silenzio di fronte al cielo stellato
l'hanno soltanto il fiore e l'insetto.
La scienza del canto per il canto l'hanno
i boschi mormoranti e le acque del mare.
Il profondo silenzio della vita sulla terra
ce lo insegna la rosa aperta sul roseto.
Bisogna diffondere il profumo chiuso nelle nostre anime
Bisogna essere canto, luce e bontà.
Bisogna aprirsi per intero di fronte alla notte nera,
perché ci riempiamo di rugiada immortale!
Bisogna coricare il corpo nell'anima inquieta!
Bisogna accecarsi gli occhi con la luce dell'aldilà.
Dobbiamo affacciarci sull'ombra dei cuori,
e strappare le stelle che ci ha messo Satana.
Bisogna essere come l'albero che è sempre in preghiera,
come l'acqua del fiume fissa all'eternità!
Bisogna lacerarsi l'anima con artigli di tristezza
perché c'entrino le fiamme dell'orizzonte astrale!
Allora nell'ombra del cuore tarlato
nascerebbe una sorgente d'aurora tranquilla e materna.
Sparirebbero città al vento.
E vedremmo passare in una nuvola Dio.
Maggio 1919
SPIGHE (torna all'indice)
Nel grano è entrata la morte.
Già le falci tagliano le spighe.
Dondolano i pioppi parlando
con l'anima sottile della brezza.
Solo il grano vuole silenzio.
Si è rappreso col sole e sospira
nell'ampio elemento dove stanno
i sogni svegli.
Il giorno
maturo di luce e di suono
declina sui monti azzurri.
Che misterioso pensiero
commuove le spighe?
Che ritmo di tristezza sognatrice
agita le messi?
Le spighe sembrano vecchi uccelli
che non possono volare!
Sono piccole teste
col cervello di puro oro
e hanno tranquilla espressione.
Tutte pensano alla stessa cosa,
tutte hanno
un profondo segreto da meditare.
Strappano alla terra il suo oro vivo
e come dolci api del sole libano
il raggio infuocato di cui si vestono
per formare l'anima della farina.
O che allegra tristezza mi date,
dolcissime spighe!
Venite dalle piú profonde età,
cantavate già nella Bibbia,
e date, quando vi sfiorano i silenzi,
un concerto di lire.
Voi sgorgate per nutrire gli uomini.
Ma guardate le bianche margherite
e i gigli che nascono perché si!
Mummie d'oro sulla campagna!
Il fiore selvatico nasce per il sogno
e voi per la vita!
Giugno 1919
MEDITAZIONE SOTTO LA PIOGGIA (torna all'indice)
(FRAMMENTO)
A José Mora
La pioggia ha baciato il giardino provinciale
con profonde cadenze sulle foglie
L'aroma sereno della terra bagnata
inonda il cuore di tristezza remota.
Si lacerano nubi grigie nel muto orizzonte.
Sull'acqua addormentata della fonte, le gocce
cadono, sollevando chiare perle di spuma.
Fuochi fatui che spegne il tremolio delle onde.
La pena della sera raggela la mia pena.
Il giardino si è riempito di monotona tenerezza.
Devo perdere tutta la mia sofferenza, mio Dio,
come si perde il dolce suono delle fronde?
Tutta l'eco di stelle che c'è nella mia anima
mi aiuterà a lottare con la mia forma?
E l'anima vera si sveglia nella morte?
E ciò che ora pensiamo lo inghiottirà l'ombra?
O com'è tranquillo il giardino sotto la pioggia!
Il mio cuore è trasformato dal casto paesaggio,
in un rumore di idee umili e tristi
che dà nel mio petto un battito di colombe.
Nasce il sole.
Il giardino sanguina giallo.
C'è intorno una pena che soffoca,
sento la nostalgia della mia infanzia inquieta,
il desiderio d'essere grande in amore, le ore
passate come questa a contemplare la pioggia
con ingenua tristezza.
Cappuccetto rosso
andava per il sentiero...
Addio mie favole, oggi medito, confuso,
davanti alla fonte torbida che dall'amore mi nasce
Dovrò perdere tutte le mie sofferenze, mio Dio,
come si perde il dolce rumore delle fronde?
Riprende a piovere.
Il vento riporta le ombre.
3 gennaio 1919
FONTE (torna all'indice)
(FRAMMENTO)
L'ombra dorme sul prato.
Le fonti cantano.
Di fronte all'ampio crepuscolo invernale
il mio cuore sognava.
Chi potrebbe capire le fonti,
il segreto dell'acqua
appena nata, questo canto occulto
a tutti gli sguardi
dello spirito, dolce melodia
al di là delle anime... ?
Lottando sotto il peso dell'ombra,
cantava una fonte.
Mi accostai per sentire il suo canto
ma il mio cuore non sente nulla.
Era uno sgorgare di stelle invisibili
sopra l'erba casta,
nascita del Verbo della terra
da un sesso immacolato.
Il mio pioppo centenario del piano
agitava le foglie
ed erano foglie tremule di tramonto
come stelle d'argento,
Riassunto di un cielo d'estate
era il grande pioppo.
Tranquille
e piene di Penombra sentivo
le canzoni dell'acqua.
Che alfabeto d'aurore ha composto
le sue oscure parole?
Quali labbra le pronunciano? E che cosa dicono
alla stella lontana?
Il mio cuore è cattivo, Signore! Sento nella carne
l'implacabile brace
del peccato. I miei mari interiori
sono rimasti senza spiagge.
Il tuo faro s'è spento! Già li illumina
di fiamme il mio cuore!
Ma il nero segreto della notte
e il segreto dell'acqua
sono misteri solo per l'occhio
della coscienza umana?
La nebbia del mistero non agita
l'albero, l'insetto e la montagna?
Il terrore dell'ombra non lo sentono
le pietre e le piante?
È un suono così solitario la mia voce?
E la casta fonte non dice nulla?
Ma io sento nell'acqua
qualcosa che mi commuove.... come un'aria
che agita i rami della mia anima.
Sii albero!
(Disse una voce lontana.)
E ci fu un torrente di stelle
sul cielo senza macchia.
M'incastrai nel pioppo centenario
con tristezza e con ansia.
Come una Dafne maschia che fugge timorosa
di un Apollo d'ombra e di nostalgia.
Il mio spirito si è fuso con le foglie
e il mio sangue diventò linfa.
In resina untuosa si mutò
la fonte delle mie lacrime.
Il cuore scese nelle radici
e la passione umana,
ferendomi la rude carne,
mi abbandonava.
Di fronte all'ampio crepuscolo d'inverno
torcevo i rami
godendo i ritmi sconosciuti
tra la brezza gelata.
Sentii sulle braccia dolci nidi,
carezze d'ali,
e sentii mille api campagnole
che ronzavano tra le mie dita.
Avevo un'arnia d'oro
nei vecchi visceri!
Il paesaggio e la terra si cancellarono,
restava solo il cielo,
e ascoltai il debole rumore degli astri
e il respiro delle montagne.
Non potranno capire le mie dolci foglie
il segreto dell'acqua?
Le mie radici toccheranno il regno
dove nasce e si fissa?
Piegai i miei rami verso il cielo
che l'onda ripeteva,
bagnai le foglie nel diamante
cristallino azzurro che canta,
e sentii mormorare le fonti
come io umano lo sento.
Era lo stesso fluire pieno di musica
e di scienza ignorata.
Sollevando le mie braccia gigantesche
di fronte all'azzurro, ero
pieno di spessa nebbia, di rugiada
e di luce appassita.
Ebbi la grande tristezza vegetale,
il desiderio delle ali.
Per potermi gettare nel vento
fino alle stelle bianche.
Ma il mio cuore nelle radici
triste mi mormorava:
«Se non capisci le fonti,
muori e spezza i tuoi rami!»
Signore, strappami dal suolo! Ascoltami
perché capiscano le acque!
Dammi una voce che per amore strappi
il suo segreto alle onde incantate,
per accendere il suo faro chiedo solo
olio di parole.
«Sii usignolo!» dice una voce perduta
nella morta distanza,
e un torrente di stelle infuocate
sgorgò dal seno della notte.
....................................
....................................
1919
MARE (torna all'indice)
Il mare
è il Lucifero dell'azzurro.
Il cielo caduto
per voler essere la luce.
Povero mare condannato
a eterno movimento,
dopo aver conosciuto
la calma del firmamento!
Ma della tua amarezza
ti redense l'amore.
Partoristi Venere pura
e la tua profondità
restò vergine, senza dolore.
Le tue tristezze sono belle,
mare di spasimi gloriosi.
Ma oggi invece di stelle
hai verdi polipi.
Sopporta il tuo dolore,
formidabile Satana,
Cristo ha camminato sulle tue onde,
ma anche Pan.
La stella Venere è
l'armonia del mondo.
Taccia l'Ecclesiaste!
Venere è il profondo
dell'anima...
... E l'uomo miserabile
è un angelo caduto.
La terra è il probabile
Paradiso perduto.
Aprile 1919
SOGNO (torna all'indice)
Me ne andavo
in groppa ad un caprone.
Il nonno mi parlò
e mi disse:
Quello è il tuo cammino.
«Quello!» gridò la mia ombra
mascherata da mendicante.
«È quello d'oro», dissero
i miei vestiti.
Un grande cigno mi fece cenno
dicendomi: «Vieni con me!»
E una serpe mordeva
il mio saio di pellegrino.
Guardando il cielo, pensavo:
«Io non ho strada,
Le rose della fine saranno
come quelle del principio.
In nebbia si trasforma
la carne e la rugiada.
Il mio cavallo fantastico mi porta
sopra un campo rossastro.»
«Lasciami!», invocò piangendo
il mio cuore meditabondo.
L'abbandonai per terra
gonfio di tristezza.
Venne
la notte piena di rughe
e d'ombre.
Illuminano la strada
gli occhi accesi e azzurri
del mio caprone.
Maggio 1919
ALTRO SOGNO (torna all'indice)
Una rondine vola
molto lontano!...
Ci sono fioriture di rugiada
sul mio sogno,
e il mio cuore gira
pieno di noia,
come una giostra su cui la Morte
porta i suoi bambini.
Vorrei a questi alberi
legare il tempo
con una corda di notte nera
e tingere poi
del mio sangue le rive
pallide dei ricordi!
Quanti figli ha la Morte?
Li ho tutti nel cuore!
Una rondine viene
da molto lontano!
1919
QUERCIA (torna all'indice)
Alla tua casta ombra, quercia vecchia,
voglio scandagliare la fonte della mia vita
e togliere dal fango della mia ombra
i lirici smeraldi.
Butto le reti nell'acqua torbida
e le ritiro vuote.
In fondo al fango tenebroso
stanno le mie gemme!
Nascondi nel mio cuore i tuoi rami santi!
o solitaria quercia,
e lascia nella mia sotto-anima
i tuoi segreti e la tua calma passione!
Questa tristezza giovanile passa,
lo so! L'allegria
un'altra volta lascerà le sue ghirlande
sulla mia fronte ferita,
anche se le mie reti non pescheranno mai
l'occulta gemma
di tristezza incosciente che risplende
in fondo alla mia vita.
Ma il mio grande dolore trascendentale
è il tuo dolore, quercia.
È lo stesso dolore delle stelle
e del fiore appassito.
Le lagrime scivolano a terra
e, come le tue resine,
corrono sull'acqua del fiume
che scende nella notte fredda.
E anche noi cadremo,
io con le mie gioie,
e tu pieni i rami di invisibili
ghiande metafisiche.
Non m'abbandonare mai nelle mie tristezze,
scheletrica amica.
Cantami con la tua bocca vecchia e casta
un'antica canzone,
con parole di terra intrecciate
all'azzurra melodia.
Getto ancora una volta la rete
nella fonte della mia vita,
rete fatta di fili di speranza,
nodi di poesia,
e prendo pietre false fra un fango
di passioni addormentate.
Col sole autunnale tutta l'acqua
della mia fontana vibra,
e noto che senza piú radici
la quercia mi sfugge.
1919
INVOCAZIONE ALL'ALLORO (torna all'indice)
A Pepe Cienfuegos
Sull'orizzonte confuso e dolente
scendeva la notte pregna di stelle.
Io, come il barbuto mago delle favole,
conoscevo il linguaggio dei fiori e delle pietre.
Conobbi segreti di malinconia,
detti dai cipressi, da ortiche e edere;
conobbi i sogni dalla bocca del nardo,
cantai con i gigli canzoni serene.
Nell'antico bosco, pieno di tenebre,
tutti mi mostravano le loro anime:
il pino, ebbro di aroma e di suono;
i vecchi olivi, carichi di scienza;
i pioppi morti, nidi di formiche;
il muschio, nevicato di bianche viole.
Tutto parlava dolce al mio cuore
tremando nei fili di seta sonora
con cui l'acqua avvolge le cose ferme
come ragnatela d'armonia eterna.
Le rose sognavano la lira,
le querce tessevano oro di leggende,
e fra la virile tristezza di roveri
raccontano i ginepri paure di paese.
Comprendo tutta la passione del bosco:
ritmo della foglia, ritmo della stella.
Ma ditemi, cedri, se il mio cuore
dormirà nelle braccia della luce perfetta.
Conosco la lira che tu presenti, rosa:
feci della mia vita morta le sue corde.
Dimmi in quale stagno potrò abbandonarla
come si abbandonano le passioni vecchie!
Conosco il mistero che canti, cipresso:
sono tuo fratello nella notte e nella pena:
abbiamo i visceri pieni di nidi
tu d'usignoli e io di tristezza!
Conosco il tuo incanto senza fine, padre olivo,
nel darci il sangue che estrai dalla Terra,
come te, io estraggo col mio sentimento
l'olio benedetto dell'idea!
Mi rattristate tutti con le vostre canzoni:
io solo vi chiedo la mia incerta;
nessuno di voi vorrà soffocare le ansie
di questo casto fuoco che mi brucia il petto.
O alloro divino, d'anima inaccessibile,
sempre silenzioso, pieno di nobiltà!
Versa nelle mie orecchie la tua storia divina,
la tua saggezza profonda e sincera!
Albero che dài frutti di silenzio,
maestro di baci e mago d'orchestre,
formato col corpo roseo di Dafne
con la linfa potente d'Apollo nelle tue vene!
O grande sacerdote del sapere antico!
O muto solenne chiuso ai sospiri!
Tutti i tuoi fratelli del bosco mi parlano,
solo tu, severo, disprezzi la mia canzone!
Forse, o maestro del ritmo, mediti
la vanità del triste pianto del poeta.
Forse le tue foglie, macchiate di luna,
perderanno l'illusione della primavera.
La dolcezza tenue del tramonto
come una rugiada nera, tappezzò il sentiero,
alzando un immenso baldacchino alla notte
che avanzava grave, pregna di stelle.
1919
RITMO D'AUTUNNO (torna all'indice)
A Manuel Angeles
Amarezza dorata del paesaggio.
Il cuore ascolta.
Nella tristezza umida
il vento disse:
Son fatto di stelle fuse,
sangue dell'infinito.
Con l'attrito scopro i colori
dei fondi addormentati.
Sono ferito di mistiche occhiate,
porto i sospiri
in bolle di sangue invisibili
verso il sereno trionfo
dell'amore immortale pieno di Notte.
Mi conoscono i bambini
e io resto triste.
Nelle favole di regine e di castelli
sono una coppa di luce. Turibolo
di canti fusi
che caddero avvolti in azzurre
trasparenze di ritmo.
Nella mia anima si sono perdute
carne e anima di Cristo
e ripeto la tristezza della sera
malinconico e freddo.
Sono la eterna armonia della terra.
Il bosco innumerevole.
Porto le caravelle dei sogni
verso l'ignoto.
E ho l'amarezza solitaria
di non saper la mia fine né il mio destino -.
Le parole del vento erano dolci
con profondità di gigli.
Il mio cuore si addormentò
nella tristezza del crepuscolo.
Sulla grigia terra della steppa
i vermi raccontarono i loro deliri:
Sopportiamo tristezze
sul bordo della strada.
Conosciamo i fiori dei boschi,
il canto monocorde dei grilli,
la lira senza corde che tocchiamo,
l'occulto sentiero che seguiamo.
Il nostro ideale non giunge alle stelle,
è sereno, semplice;
vorremmo fare del miele come api
o avere una dolce voce o il grido forte
o camminare leggeri sull'erba
o avere seni per nutrire i nostri figli.
Felice chi nasce farfalla
o porta luce lunare nei vestiti.
Felice chi recide la rosa
e raccoglie il grano!
Felice chi dubita della morte,
padrone del Paradiso,
e il vento che va dove vuole
sicuro dell'infinito!
Felici i gloriosi e i forti,
quelli che non sono mai stati compatiti,
quelli che benedisse sorridendo
il fratello Francesco.
Patiamo molte pene
sui nostri cammini.
Vorremmo sapere ciò che ci dicono
i pioppi del fiume -.
E nella muta tristezza della sera
gli rispose la polvere della strada:
Felici, o vermi, che avete
giusta coscienza di voi stessi,
e forme e passioni
e focolari accesi.
Io mi dissolvo al sole
seguendo il pellegrino,
e quando penso di restare nella luce
cado a terra addormentata -.
I vermi piansero e gli alberi,
movendo le loro teste pensierose,
dissero: - L'azzurro è impossibile.
Credevamo di toccarlo quando eravamo bambini,
e vorremmo essere come le aquile
adesso che la folgore ci ha colpito.
L'azzurro è delle aquile -.
E l'aquila da lontano:
No, non è mio!
Perché l'azzurro l'hanno le stelle
nei loro splendori -.
Le stelle: - Neppure noi l'abbiamo:
è nascosto fra di noi -.
E la nera distanza: - L'azzurro
l'ha la speranza nel suo recinto -.
E la speranza dice dolcemente
dal cupo regno:
M'avete inventato voi, cuori -.
E il cuore:
Dio mio! -
L'autunno ha lasciato senza foglie
i pioppi del fiume.
L'acqua ha addormentato d'argento vecchio
la polvere della strada.
I vermi si calano sonnolenti
nei loro freddi focolari.
L'aquila si perde tra la montagna;
il vento dice: - Sono eterno ritmo -.
sentono le ninne nanne sulle culle povere,
e il pianto del gregge nella stalla.
L'umida tristezza dell'orizzonte
mostra come un giglio
le rughe severe che lasciarono
gli occhi pensierosi dei secoli.
E mentre riposano le stelle
sull'azzurro addormentato,
il mio cuore vede il suo ideale lontano
e chiede:
Dio mio!
Ma Dio mio a chi?
Chi è Dio mio?
Perché la nostra speranza s'addormenta
e proviamo lo scacco lirico
e gli occhi si chiudono abbracciando
tutto l'azzurro? -
Sul vecchio paesaggio e il fumante focolare
voglio lanciare il mio grido,
singhiozzando di me come il verme
depreca il suo destino.
Chiedendo quello dell'uomo, Amore immenso
e azzurro come i pioppi del fiume.
Azzurro di cuori e di forza,
l'azzurro di me stesso
che mi metta in mano la grande chiave
che forzi l'infinito.
Senza terrore e senza paura davanti alla morte,
brinato d'amore e di lirismo,
benché mi ferisca il fulmine come l'albero
e mi lasci senza foglie e senza grido.
Adesso ho sulla fronte rose bianche
e la coppa colma di vino.
1920
NOTTURNO (torna all'indice)
Ho tanta paura
delle foglie morte,
paura dei prati
gonfi di rugiada.
Vado a dormire;
se non mi sveglierai
lascerò al tuo fianco
il mio freddo cuore.
Che cosa suona
così lontano?
Amore. Il vento sulle vetrate,
amor mio!
Ti cinsi collane
con gemme d'aurora.
Perché mi abbandoni
su questo cammino?
Se vai tanto lontana
il mio uccello piange
e la vigna verde
non darà vino.
Che cosa suona
così lontano?
Amore. Il vento sulle vetrate,
amor mio!
Non saprai mai
o mia sfinge di neve,
quanto
t'avrei amata
quei mattini
quando a lungo piove
e sul ramo secco
si disfa il nido.
Che cosa suona
così lontano?
Amore. Il vento sulle vetrate,
amore mio!
1919
NIDO (torna all'indice)
Che cosa custodisco in questi
momenti di tristezza?
Ah! chi taglia i miei boschi
dorati e fioriti!
Che cosa leggo nello specchio
d'argento fremente
che l'aurora m'offre
sull'acqua del fiume?
Quale grande olmo di idea
si è spezzato nel mio bosco?
Che pioggia di silenzio
mi lascia fremente?
Se ho lasciato morto il mio amore
sulla triste riva,
che roveto mi nasconde
qualcosa appena nato?
1919
ALTRA CANZONE (torna all'indice)
Il sogno è svanito per sempre!
Nella sera piovosa
il mio cuore impara
la tragedia autunnale
che cade dagli alberi.
Nella dolce tristezza
del paesaggio che muore
le mie voci si spezzarono.
Il sogno è svanito per sempre.
Per sempre! Dio mio!
Cade la neve
sulla campagna deserta
della mia vita
e teme
l'illusione, che va lontano,
di perdersi o di gelare.
Mi dice l'acqua
che il sogno è svanito per sempre!
Il sogno è infinito?
La nebbia lo sostiene,
e la nebbia è solo
stanchezza della neve.
Il mio ritmo racconta
che il sogno è svanito per sempre!
E nella sera nebbiosa
il mio cuore conosce
la tragedia autunnale
che cade dagli alberi.
Autunno 1919
IL CAPRONE (torna all'indice)
Il gregge di capre è passato
vicino all'acqua del fiume.
Nella sera di rosa e zaffiro,
piena di pace romantica,
guardo
il caprone.
Salve, muto demonio!
Sei l'animale
piú intenso.
Mistico eterno
dell'Inferno
carnale...
Quanti incanti
nella tua barba,
nell'ampia fronte,
rude don Giovanni!
Che accento quello del tuo sguardo
mefistofelico
e passionale!
Vai per i campi
con il tuo gregge,
da eunuco
mentre sei un sultano!
La tua sete di sesso
che non si spegne mai;
bene imparasti
dal padre Pan!
La capra
lenta ti segue
innamorata con umiltà;
ma le tue passioni sono insaziabili;
la vecchia Grecia
ti capirà.
O essere di profonde leggende sante
di magri asceti e di Satana
con pietre nere e croci rozze
con fiere domate e profonde grotte,
dove ti videro nell'ombra
soffiar la fiamma
del sesso!
Caproni cornuti
con barbe forti!
Nero compendio di medioevo!
Sei nato vicino a Filomede
nella schiuma casta del mare
e le vostre bocche
l'accarezzarono
allo stupore del mondo astrale.
Venite dai boschi pieni di rose
dove la luce è uragano;
venite dai prati di Anacreonte
pieno di sangue dell'immortale.
Caproni!
Siete la metamorfosi
di vecchi satiri
ormai perduti.
Voi spargete lussuria vergine
come non può altro animale.
Illuminati del Mezzogiorno!
Fermarsi
per ascoltare
quel che dal fondo della campagna
vi dice il gallo:
Salve!
1919
POEMA DEL CANTE JONDO (1921)
BALLATELLA DEI TRE FIUMI (torna all'indice)
A Salvador Quintero
Il fiume Guadalquivir
scorre tra aranci e olivi.
I due fiumi di Granada
scendono dalla neve al grano.
Ah, amore
che se n'andò senza tornare!
Il fiume Guadalquivir
ha la barba granata.
I due fiumi di Granada,
uno pianto e l'altro sangue.
Ah, amore
che se n'andò nell'aria!
Per le barche a vela
Siviglia ha una strada.
Sull'acque di Granada
solo remano i sospiri.
Ah, amore
che se n'andò senza tornare!
Guadalquivir, alta torre
e vento negli aranceti.
Dauro e Genil, torricini
morti sopra gli stagni.
Ah, amore
che se n'andò nell'aria!
Chi dirà che l'acqua porta
un fuoco fatuo di gridi?
Ah, amore
che se n'andò senza tornare!
Porta fiori d'arancio, porta olive,
Andalusia, ai tuoi mari.
Ah, amore
che se n'andò nell'aria!
POEMA DELLA SIGUIRIYA GITANA (torna all'indice)
A Carlos Morta Vicuña
PAESAGGIO
Il campo
di ulivi
s'apre e si chiude
come un ventaglio.
Sull'oliveto
c'è un cielo sommerso
e una pioggia scura
di freddi astri.
Tremano giunco e penombra
sulla riva del fiume.
S'increspa il vento grigio.
Gli ulivi
sono carichi
di gridi.
Uno stormo
d'uccelli prigionieri
che agitano lunghissime
code nel buio.
LA CHITARRA
Incomincia il pianto
della chitarra.
Si rompono le coppe
dell'alba.
Incomincia il pianto
della chitarra.
È inutile
farla tacere.
È impossibile
farla tacere.
Piange monotona
come piange l'acqua,
come piange il vento
sulla neve.
È impossibile
farla tacere.
Piange per cose
lontane.
Arena del caldo meridione
che chiede camelie bianche.
Piange freccia senza bersaglio
la sera senza domani
e il primo uccello morto
sul ramo.
Oh, chitarra,
cuore trafitto
da cinque spade!
IL GRIDO
L'ellisse di un grido
va di monte
in monte.
Dagli ulivi,
sarà un arcobaleno nero
sopra la notte azzurra.
Ahi!
Come un arco di viola
il grido ha fatto vibrare
le lunghe corde del vento.
Ahi!
(La gente delle grotte
espone le lucerne.)
Ahi!
IL SILENZIO
Ascolta, figlio, il silenzio.
È un silenzio ondulato,
un silenzio,
dove scivolano valli ed echi
e che piega le fronti
al suolo.
PASSAGGIO DELLA SIGUIRIYA
Tra nere farfalle
una bruna ragazza cammina
lungo un bianco serpente
di nebbia.
Terra di luce,
cielo di terra.
Cammina incatenata al fremito
di un ritmo che non finisce mai;
ha il cuore d'argento
e nella destra un pugnale.
Dove vai, siguiriya,
con un ritmo senza capo?
Quale luna accoglierà
il tuo dolore di pietra e di oleandro?
Terra di luce,
cielo di terra.
PASSAGGIO
I bambini guardano
un punto lontano.
Le lucerne si spengono.
Fanciulle cieche
interrogano la luna,
e si levano in aria
spirali di pianto.
Le montagne guardano
un punto lontano.
E DOPO
I labirinti
creati dal tempo
svaniscono.
(Rimane solo
il deserto.)
Il cuore,
fonte del desiderio,
svanisce.
(Rimane solo
il deserto.)
L'illusione dell'aurora
e i baci
svaniscono.
Rimane solo il deserto.
Un ondulato
deserto.
POEMA DELLA SOLEÁ (torna all'indice)
A Jorge Zalamea
TERRA SECCA
Terra secca,
terra quieta
d'immense
notti.
(Vento nell'uliveto,
vento sulla montagna.)
Terra
vecchia
della lanterna
e della pena.
Terra
delle cisterne profonde.
Terra
della morte senz'occhi
e delle frecce.
(Vento per le strade,
brezza nei viali.)
PAESE
Sul monte nudo
un calvario.
Acqua chiara
e ulivi centenari.
Lungo i vicoli
uomini intabarrati
e sulle torri
banderuole che girano.
Eternamente
girano.
Oh, paese perduto
nell'Andalusia del pianto!
PUGNALE
Il pugnale
entra nel cuore,
come il vomere dell'aratro
nella terra.
No.
Non pugnalarmi.
No.
Il pugnale,
come un raggio di sole,
incendia le terribili
profondità.
No.
Non pugnalarmi.
No.
CROCICCHIO
Vento dell'est;
una lanterna
e un pugnale
nel cuore.
La strada
ha un fremito
di corda
tesa,
un fremito
di enorme calabrone.
Da ogni parte
io
vedo il pugnale
nel cuore.
LAMENTO
Il grido lascia nel vento
un'ombra di cipresso.
(Lasciatemi in questo campo
a piangere,)
Tutto si è rotto nel mondo.
Non resta che il silenzio.
(Lasciatemi in questo campo
a piangere.)
L'orizzonte senza luce
è morso dai falò.
(Vi ho già detto di lasciarmi
in questo campo
a piangere.)
AGGUATO
Restò morto nella strada
con un pugnale nel petto.
Nessuno lo conosceva.
Come tremava il lampione!
Madre.
Come tremava il lampione
della strada!
Era l'alba. Nessuno
poté piegarsi sui suoi occhi
aperti all'aria aspra.
Morto restò nella strada
con un pugnale nel petto
e nessuno lo conosceva.
LA SOLEÁ
Vestita di neri mantelli
pensa che il mondo è piccolo
e il cuore è immenso.
Vestita di neri mantelli.
Pensa che il sospiro tenero
e il grido scompaiono
nella corrente del vento.
Vestita di neri mantelli.
Lasciò aperto il balcone
e all'alba dal balcone
entrò tutto il cielo.
Ah ahi, ahi, ahi,
vestita di neri mantelli!
GROTTA
Dalla grotta si levano
lunghi singhiozzi.
(Il viola
sul rosso.)
Il gitano rievoca
paesi remoti.
(Torri alte e uomini
misteriosi.)
Nella voce rotta
vanno i suoi occhi.
(Il nero
sul rosso.)
E la grotta imbiancata
trema nell'oro.
(Il bianco
sul rosso.)
INCONTRO
Né tu né io
siamo pronti
a incontrarci.
Tu... per quello che sai.
L'ho amata tanto!
Segui quella stradina.
Nelle mani
ho i buchi
dei chiodi.
Non vedi come
mi dissanguo?
Non guardare mai indietro.
Vai adagio
e prega con me
San Gaetano,
che né tu né io
siamo pronti
a incontrarci.
ALBA
Campane di Cordova
all'alba.
Campane mattutine
a Granada.
Vi ascoltano le ragazze
che piangono la tenera
soleá abbrunata.
Le ragazze
di Andalusia alta
e bassa.
Le ragazze di Spagna
dal piede piccolo
e le gonne frementi,
che riempiono di luci
i crocicchi.
Oh, campane di Cordova
all'alba,
oh, campane mattutine
a Granada!
POEMA DELLA SAETA (torna all'indice)
A Francisco Iglesias
ARCIERI
Gli arcieri neri
si avvicinano a Siviglia.
Guadalquivir aperto.
Larghi cappelli grigi,
lunghe cappe aperte.
Ah, Guadalquivir!
Vengono dai remoti
paesi della pena.
Guadalquivir aperto.
E vanno a un labirinto.
Amore, cristallo e pietra.
Ah, Guadalquivir!
NOTTE
Cero, lucerna,
lampione e lucciola.
La costellazione
della saeta.
Finestrelle d'oro
tremano,
e nell'aurora dondolano
croci sovrapposte.
Cero, lucerna,
lampione e lucciola.
SIVIGLIA
Siviglia è una torre
piena di eleganti arcieri.
Siviglia per ferire.
Cordova per morire.
Una città che spia
lunghi ritmi
e li piega
come labirinti.
Come tralci di pergola
incendiati.
Siviglia per ferire!
Sotto l'arco del cielo,
sulla chiara pianura,
scocca la costante
saetta del suo fiume.
Cordova per morire!
E folle d'orizzonte,
mescola nel suo vino
l'amarezza di don Giovanni
e la perfezione di Dionisio.
Siviglia per ferire.
Sempre Siviglia per ferire!
PROCESSIONE
Lungo la strada vanno
strani unicorni.
Da quale campo,
da quale selva mitologica?
Da vicino
sembrano astronomi,
fantastici maghi Merlini
e l'Ecce Homo,
Durandarte incantato,
Orlando furioso.
TRANSITO
Madonna in crinolina,
vergine della Solitudine,
aperta come un immenso
tulipano.
Nella tua barca di luci
vai
sull'alta marea
della città,
tra canti oscuri
e stelle di cristallo.
Madonna in crinolina,
te ne vai
sul fiume della strada
fino al mare!
SAETA
Cristo bruno
si muta
da giglio di Giudea
in garofano di Spagna.
Guardatelo di dove viene!
Di Spagna.
Cielo terso e nero,
terra bruciata
e canali dove scorre
lentissima l'acqua.
Cristo bruno,
con le chiome bruciate,
gli zigomi sporgenti
e le pupille bianche.
Guardatelo dove va!
BALCONE
La Lola
canta saetas.
I toreri
la circondano,
e il barbiere
dalla sua soglia
segue il ritmo
con la testa.
Tra il basilico
e la menta,
la Lola canta
saetas.
La Lola, quella
che si guardava
nella vasca.
ALBA
Come l'amore
i cantori
sono ciechi.
Sulla notte verde,
le saetas
lasciano tracce di giglio
caldo.
La chiglia della luna
solea nuvole viola
e le faretre
si riempiono di rugiada.
Ah, come l'amore
i cantori
sono ciechi!
GRAFICO DELLA PETENERA (torna all'indice)
A Eugenio Montes
CAMPANA
BORDONE
Sulla torre
gialla
chiama una campana.
Sul vento
giallo
s'aprono i rintocchi.
Sulla torre
gialla
tace la campana.
Il vento con la polvere
compone prore d'argento.
STRADA
Cento cavalieri in lutto,
dove andranno,
sotto il cielo piegato
dell'aranceto?
Né a Cordova né a Siviglia
arriveranno.
Né a Granada, che sospira
nel suo mare.
I cavalli sonnolenti
li porteranno
al labirinto delle croci
dove trema una canzone.
Con sette ahi inchiodati,
dove andranno,
i cento cavalieri andalusi
dell'aranceto?
LE SEI CORDE
La chitarra
fa piangere i sogni.
Il singhiozzo delle anime
perdute
sfugge dalla sua bocca
rotonda.
E come la tarantola,
tesse una grande stella
per sorprendere i sospiri
che tremano nella sua nera
cisterna di legno.
DANZA
NELL'ORTO DELLA PETENERA
Nella notte dell'orto
sei gitane
vestite di bianco
danzano.
Nella notte dell'orto
incoronate
di rose di carta
e di busnaghe.
Nella notte dell'orto,
i loro denti di madreperla
incidono l'ombra
bruciata.
Nella notte dell'orto,
le loro ombre si allungano,
e toccano il cielo
viola.
MORTE DELLA PETENERA
Nella casa bianca muore
la perdizione degli uomini.
Cento cavalle galoppano.
I loro cavalieri sono morti.
Sotto le tremule
stelle dei candelieri,
la sua gonna di moerro trema
fra le cosce di rame.
Cento cavalle galoppano
I loro cavalieri sono morti.
Lunghe ombre affilate
vengono dal torbido orizzonte
e il bordone di una chitarra
si spezza.
Cento cavalle galoppano.
I loro cavalieri sono morti.
VARIANTE
Ah, petenera gitana,
ah, petenera!
Il tuo funerale fu senza fanciulle
buone.
Fanciulle che danno a Cristo morto
le loro chiome,
e portano bianche mantiglie
nelle fiere.
Il tuo funerale fu di gente
sinistra.
Gente con il cuore
nella testa,
che ti seguí piangendo
per le strade.
Ah, petenera gitana,
ah, petenera!
DE PROFUNDIS
I cento innamorati
dormono per sempre
sotto la terra secca.
L'Andalusia ha
lunghe strade rosse.
Cordova, uliveti verdi
dove piantare cento croci,
che li ricordano.
I cento innamorati
dormono per sempre.
CLAMORE
Sulle torri
gialle
rintocchi di campane.
Sui venti
gialli
corrono i rintocchi.
Lungo una strada va
la morte incoronata
di fiori d'arancio appassiti.
Canta e canta
una canzone
sulla chitarra bianca,
e canta, canta, canta.
Sulle torri gialle
tacciono le campane.
Il vento con la polvere
compone prore d'argento.
DUE RAGAZZE (torna all'indice)
A Máximo Quijano
LOLA
Sotto un arancio lava
fasce di cotone.
Ha gli occhi verdi
e la voce viola.
Ah, amore,
sotto l'arancio in fiore!
L'acqua del canale
scorre piena di sole;
nell'oliveto
un passero canta.
Ah, amore,
sotto l'arancio in fiore!
Quando Lola
avrà finito il sapone
verranno i toreri.
Ah, amore,
sotto l'arancio in fiore!
AMPARO
Amparo,
come sei sola nella tua casa,
vestita di bianco!
(Equatore tra il gelsomino
e il nardo.)
Ascolti i meravigliosi
zampilli del tuo patio
e il debole trillo giallo
del canarino.
La sera vedi tremare
i cipressi con gli uccelli,
mentre ricami adagio
lettere sul canovaccio.
Amparo,
come sei sola nella tua casa,
vestita di bianco!
Amparo,
e com'è difficile dirti:
ti amo!
QUADRETTI FLAMENCHI (torna all'indice)
A Manuel Torres. «Niño de Jerez»,
dal busto di Faraone
RITRATTO DI SILVERIO FRANCONETTI
Mezzo italiano
e mezzo flamenco,
com'era il canto
di Silverio?
Il denso miele d'Italia
col nostro limone,
scorreva nel pianto profondo
del siguiriyero.
Il suo grido era terribile.
Dicono i vecchi
che si rizzavano
i capelli,
e si apriva il mercurio
degli specchi.
Passava fra i toni
senza infrangerli.
Fu un creatore
e un giardiniere.
Un creatore di pergole
per il silenzio.
Ora la sua melodia
dorme con gli echi.
Definitiva e pura.
Con gli ultimi echi!
JUAN BREVA
Juan Breva aveva
corpo di gigante
e voce di bambina.
Nulla di simile al suo trillo.
Era la pena stessa
che cantava
dietro un sorriso.
Evocava i limoneti
di Malaga addormentata,
e c'erano nel suo pianto tracce
di sale marino.
Come Omero cantò
cieco. La sua voce aveva
un non so che di mare senza luce
e di arancio spremuto.
CAFFÉ CANTANTE
Lampade di cristallo
e specchi verdi.
Sul palco buio
la Parrala sostiene
una conversazione
con la morte.
La chiama,
non viene,
e torna a chiamarla.
Gli spettatori
bevono i singhiozzi.
E negli specchi verdi
lunghe code di seta
si agitano.
LAMENTO DELLA MORTE
A Miguel Benitez
Sul cielo nero
baleni gialli.
Venni in questo mondo con gli occhi
e me ne vado senza.
Signore del maggior dolore!
E poi,
un candeliere e una coperta
per terra.
Volli arrivare dove
arrivarono i buoni.
E sono arrivato, Dio mio!...
Ma poi,
un candeliere e una coperta
per terra.
Limone giallo,
limonero.
Gettate i limoni
al vento.
Lo sapete pure!... Perché
poi,
un candeliere e una coperta
per terra.
Sul cielo nero
baleni gialli.
SCONGIURO
La mano contratta
come una Medusa
acceca l'occhio dolente
della lucerna.
Asso di bastoni.
Forbici in croce.
Sul fiume bianco
dell'incenso c'è
un non so che di talpa
e di farfalla trepida.
Asso di bastoni.
Forbici in croce.
Stringe un cuore
invisibile, la vedete?
Un cuore
riflesso nel vento.
Asso di bastoni.
Forbici in croce.
MEMENTO
Quando morrò
seppellitemi con la mia chitarra
sotto l'arena.
Quando morrò,
tra gli aranci
e la menta.
Quando morrò,
seppellitemi, se volete,
in una banderuola.
Quando morrò!
TRE CITTÀ (torna all'indice)
A Pilar Zubiaurre
MALAGUEÑA
La morte
entra ed esce
dalla taverna.
Passano cavalli neri
e gente sinistra
nei profondi cammini
della chitarra.
E c'è un odore di sale
e di sangue di femmina
nei nardi febbrili
della marina.
La morte
entra ed esce,
esce ed entra
la morte
dalla taverna.
QUARTIERE DI CORDOVA
TOPICO NOTTURNO
Nella casa si difendono
dalle stelle.
La notte precipita.
Dentro c'è una bambina morta,
con una rosa rossa
nascosta nei capelli.
Sei usignoli la piangono
alla grata.
La gente sospira
con le chitarre aperte.
BALLO
Carmen sta ballando
per le strade di Siviglia.
Ha i capelli bianchi
e le pupille lustre.
Ragazze,
tirate le tendine!
Sulla sua testa si avvolge
un serpente giallo,
mentre pensa ballando
ai giovani d'altri tempi.
Ragazze,
tirate le tendine!
Le strade sono deserte
e sul fondo si indovinano
cuori andalusi
in cerca di vecchie spine.
Ragazze,
tirate le tendine!
SEI CAPRICHOS (torna all'indice)
A Regino Sainz de la Maza
INDOVINELLO DELLA CHITARRA
Nel rotondo
crocicchio,
sei donzelle
ballano.
Tre di carne
e tre d'argento.
I sogni di un tempo le cercano,
ma le tiene avvinghiate
un Polifemo d'oro.
La chitarra!
LUCERNA
Oh, come medita gravemente
la fiamma della lucerna!
Come un fachiro indiano,
guarda le sue viscere d'oro,
e si eclissa sognando
atmosfere immote.
Cicogna incandescente
becca dal suo nido
le ombre massicce
e tremante si piega
sugli occhi rotondi
del piccolo gitano morto.
NACCHERA
Nacchera.
Nacchera.
Nacchera.
Scarabeo sonoro.
Nel ragno
della mano
arricci l'aria
calda
e ti strozzi nel tuo trillo
di legno.
Nacchera.
Nacchera.
Nacchera.
Scarabeo sonoro.
FICO D'INDIA
Laocoonte selvaggio.
Come sei bello
sotto la mezzaluna!
Multiplo giocator di pelota.
Come sei bello,
quando minacci il vento!
Dafne e Attis
sanno del tuo dolore.
Inesplicabile.
AGAVE
Polipo pietrificato.
Metti cinghie di cenere
al ventre dei monti
e denti formidabili
alle gole dei monti.
Polipo pietrificato.
CROCE
La croce.
(Punto fermo
della strada.)
Si specchia nel canale.
(Punti sospensivi.)
SCENA DEL TENENTE COLONNELLO DELLA GUARDIA CIVILE (torna all'indice)
(SALA DELLA BANDIERA)
TENENTE COLONNELLO
Io sono il tenente colonnello della Guardia Civile.
SERGENTE
Sí.
TENENTE COLONNELLO
E non c'è chi mi smentisca.
SERGENTE
No.
TENENTE COLONNELLO
Ho tre stelle e venti croci.
SERGENTE
Sí.
TENENTE COLONNELLO
Mi ha salutato il cardinal arcivescovo con le sue ventiquattro nappe violette.
SERGENTE
Sí.
TENENTE COLONNELLO
Io sono il tenente. Io sono il tenente. Io sono il tenente colonnello della Guardia Civile.
(Romeo e Giulietta, celeste, bianco e oro, si abbracciano sul giardino di tabacco della scatola di sigari. Il militare accarezza la canna d'un fucile pieno d'ombra sottomarina. Una voce fuori.)
Luna, luna, luna, luna,
del tempo dell'oliva.
Cazorla mostra la sua torre
e Benamejí la nasconde.
Luna, luna, luna, luna.
Un gallo canta nella luna.
Signor sindaco, le vostre ragazze
stanno guardando la luna.
TENENTE COLONNELLO
Che cosa succede?
SERGENTE
Un gitano!
(Lo sguardo di mulo giovane del gitano oscura e ingigantisce gli occhietti del Tenente Colonnello della Guardia Civile.)
TENENTE COLONNELLO
Io sono il tenente colonnello della Guardia Civile.
SERGENTE
Sí.
TENENTE COLONNELLO
Tu chi sei?
GITANO
Un gitano.
TENENTE COLONNELLO
E che cos'è un gitano?
GITANO
Qualsiasi cosa.
TENENTE COLONNELLO
Come ti chiami?
GITANO
Questo.
TENENTE COLONNELLO
Che cosa dici?
GITANO
Gitano.
SERGENTE
L'incontrai e l'ho portato.
TENENTE COLONNELLO
Dov'eri?
GITANO
Sul ponte dei fiumi.
TENENTE COLONNELLO
Ma di quali fiumi?
GITANO
Di tutti i fiumi.
TENENTE COLONNELLO
E che cosa facevi là?
GITANO
Una torre di cannella.
TENENTE COLONNELLO
Sergente!
SERGENTE
Comandate, tenente Colonnello della Guardia Civile.
GITANO
Ho inventato delle ali per volare e volo. Zolfo e rosa sulle mie labbra.
TENENTE COLONNELLO
Ahi!
GITANO
Benché non abbia bisogno di ali, perché volo senza. Nubi e anelli nel mio sangue.
TENENTE COLONNELLO
Ahi!
GITANO
In gennaio ho fiori d'arancio.
TENENTE COLONNELLO (Torcendosi)
Ahi, ahi, ahi!
GITANO
E aranci nella neve.
TENENTE COLONNELLO
Ahiiii, pun, pin, pam. (Cade morto)
(L'anima di tabacco e caffè e latte del Tenente Colonnello della Guardia Civile esce dalla finestra.)
SERGENTE
Aiuto!
(Nel cortile della caserma, quattro guardie civili bastonano il gitano.)
CANZONE DEL GITANO BASTONATO
Ventiquattro schiaffi.
Venticinque schiaffi,
poi mia madre, la sera,
mi avvolgerà in carta argentata.
Guardie civili della strada,
datemi qualche sorso d'acqua.
Acqua con pesci e barche.
Acqua, acqua, acqua, acqua.
Ah, capo delle guardie,
che stai tranquillo nella tua stanza,
non ci saranno fazzoletti di seta
per pulirmi la faccia!
5 luglio 1925
DIALOGO DELL'AMARGO (torna all'indice)
(CAMPAGNA)
UNA VOCE
Amargo.
Gli oleandri del mio patio.
Cuore di mandorla amara.
Amargo.
(Arrivano tre giovani con larghi cappelli.)
1° GIOVANE
Arriveremo tardi.
2° GIOVANE
La notte ci cade addosso.
1° GIOVANE
E l'altro?
2° GIOVANE
Ci segue.
1° GIOVANE (Ad alta voce)
Amargo!
AMARGO (Da lontano)
Vengo.
2° GIOVANE (Ad alta voce)
Amargo!
AMARGO (Con calma)
Vengo!
(Pausa)
1° GIOVANE
Che begli ulivi!
2° GIOVANE
Sí.
(Lungo silenzio)
1° GIOVANE
Non mi piace camminare di notte.
2° GIOVANE
Neppure a me.
1° GIOVANE
La notte è fatta per dormire.
2° GIOVANE
È vero.
(Rane e grilli sono l'aiuola dell'estate andalusa. L'Amargo cammina con le mani alla cintola.)
AMARGO
Ahi, ahi, ahi.
Io l'ho chiesto alla morte.
Ahi, ahi, ahi.
(Il grido del suo canto mette un accento circonflesso sul cuore di quelli che lo ascoltano.)
1° GIOVANE (Da molto lontano)
Amargo!
2° GIOVANE (Lontano, con voce quasi inudibile)
Amargooo!
(Silenzio.)
(L'Amargo è solo in mezzo alla strada. Socchiude i grandi occhi verdi e si aggiusta la giacca di fustagno intorno alla vita. Alti monti lo circondano.
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