Gli alberi

meditano come statue.

Ormai il grano è falciato.

Che tristezza

le norie ferme!

 

Un cane campagnolo

vuole mangiarsi Venere, e le latra.

Splende sul suo campo di pre-bacio

come una grande mela.

 

Le zanzare - Pegasi della rugiada -

volano nell'aria calma.

La Penelope immensa della luce

tesse una notte chiara.

 

«Figlie mie, dormite, viene il lupo»,

le pecorelle belano.

«È arrivato l'autunno, compagne?»

dice un fiore avvizzito.

 

A momenti verranno i pastori coi loro nidi

dalla sierra lontana!

Giuocheranno le bambine sulla porta

della vecchia casa,

e ci saranno strofe d'amore

che già sanno

a memoria le case.

 

Agosto 1920

 

 

UCCELLINO DI CARTA    (torna all'indice)

 

 

Oh uccellino di carta!

Aquila dei bambini.

Con le penne di giornale

senza compagna

e senza nido.

 

Le mani ancora bagnate di mistero

ti creano in un freddo

annottare d'autunno, quando muoiono

gli uccelli e il rumore

della pioggia ci fa amare la lampada,

il cuore e il libro.

 

Nasci per vivere pochi minuti

sul fragile castello

di carte che s'innalza tremante

come il gambo di un giglio.

E mediti lassú, cieco, senz'ali,

che avresti potuto essere

l'atleta grottesco che sorride

sospeso a un filo,

la nave silenziosa senza remi né vele,

il lirico

vascello fantasma dell'insetto pauroso

o il triste asinello

che i soffi dei bambini, trasformatolo in Pegaso,

irridono.

 

Ma nella tua meditazione

cadono gocce d'umorismo,

Fatto con la corteccia della scienza

ti burli del destino,

e gridi: «Biancofiore non muore,

né muore Luisito.

La mattina è eterna, eterna

la fonte della rugiada.»

 

Pur non credendo in nulla, gridi:

i bambini non vedano

che c'è un'ombra dietro gli astri,

e ombra nel tuo castello.

 

In mezzo alla tavola, nel crollo

della tua casa azzurra,

hai visto che il nibbio ti guarda:

«È nato da poco,

una bolla di spuma sull'acqua

del dolore vivo.»

 

Ma tu va alle labbra luminose

mentre ridono i bambini,

e tacciono i genitori, perché non si ridestino

i dolori vicini.

 

Così scompari uccello clown

per rinascere altrove.

Così, uccello sfinge, dài il tuo cuore

di fenice al limbo.

 

Luglio 1920

 

 

MADRIGALE    (torna all'indice)

 

 

Il mio bacio era un melograno

profondo e aperto:

la tua bocca una rosa

di carta.

 

            Lo sfondo un campo di neve.

 

Le mie mani erano ferri

per le incudini:

il tuo corpo il tramonto

d'uno scampanio.

 

            Lo sfondo un campo di neve.

 

Nel trapanato

cranio azzurro

come stalattiti

i miei ti amo.

 

            Lo sfondo un campo di neve.

 

Si arrugginirono

i miei sogni infantili,

e trafisse la luna

il mio dolor salomonico.

 

            Lo sfondo un campo di neve.

 

Adesso maestro serio,

alla scuola severa,

per i miei amori e sogni

 

(puledri ciechi).

 

E lo sfondo è un campo di neve.

 

Madrid, ottobre 1920

 

 

UNA CAMPANA    (torna all'indice)

 

 

Una campana serena

crocifissa nel suo ritmo

disegna la mattina

con parrucca di nebbia

e fiumi di lacrime.

Il mio vecchio pioppo

confuso d'usignoli

sperava

di metter tra l'erba

i suoi rami

prima che l'indorasse

l'autunno.

 

Ma i sostegni

delle mie occhiate

lo reggevano.

Vecchio pioppo, all'erta!

Non senti il legno

del mio amore spaccato?

Stenditi sul prato

quando scricchiola la mia anima,

che un uragano di baci

e di parole

ha lasciato spossata,

lacerata.

 

Ottobre 1920

 

 

CONSULTO    (torna all'indice)

 

 

Passiflora azzurra!

Incudine di farfalle.

Vivi bene nel limo

delle ore?

 

(O Poeta infantile,

rompi il tuo orologio!)

 

Chiara stella azzurra,

ombelico dell'aurora.

Vivi bene nella schiuma

dell'ombra?

 

(O poeta infantile,

rompi il tuo orologio!)

 

Cuore azzurro,

lampada della mia alcova.

Batti bene senza il mio sangue

filarmonico?

 

(O poeta infantile,

rompi il tuo orologio!)

 

Vi capisco e lascio

nel comodino

l'insetto del tempo.

 

Le sue gocciole metalliche

non si sentiranno

nella calma dell'alcova.

Dormirò tranquillo

come dormite voi,

passiflora e stelle,

alla fine la farfalla

volerà nella corrente

delle ore

mentre nasce sul mio tronco

la rosa.

 

Agosto 1920

 

 

SERA    (torna all'indice)

 

 

Sera piovosa in grigio stanco.

Tutto è così.

Gli alberi secchi.

            La mia stanza, solitaria.

E i ritratti vecchi

e il libro intonso...

 

Trasuda la tristezza dai mobili

e dall'anima.

            Forse

la Natura ha per me

il cuore di cristallo.

 

E mi duole la carne del cuore

e la carne dell'anima.

            E parlando

le mie parole restano nell'aria

come sugheri sull'acqua.

 

Solo per i tuoi occhi

soffro questo male;

tristezze del passato

tristezze che verranno.

 

Sera piovosa in grigio stanco.

E va la vita.

 

Novembre 1919

 

 

CI SONO ANIME CHE HANNO...     (torna all'indice)

 

 

Ci sono anime che hanno

stelle azzurre,

mattini secchi

tra le foglie del tempo

e angoli casti

che conservano un vecchio

rumore di nostalgia

e di sogni.

 

Altre anime hanno

dolenti spettri

di passioni. Frutta

con vermi. Echi

di una voce bruciata

che viene da lontano

come una corrente

d'ombre. Ricordi

vuoti di pianto

e briciole di baci.

 

La mia anima è matura

da molto tempo

e si sgretola

piena di mistero.

Pietre giovanili

rose dal sogno

cadono sull'acqua

dei miei pensieri.

Ogni pietra dice:

«Dio è molto lontano!»

 

8 febbraio 1920

 

 

PROLOGO    (torna all'indice)

 

 

Ecco il mio cuore,

Dio mio,

trapassalo coi tuo scettro, Signore.

È una cotogna

troppo autunnale

ed è marcio.

Strappa gli scheletri

dei lirici sparvieri

che tanto l'hanno ferito

e se hai un becco

togligli la sua scorza

di noia.

 

Ma se non lo vuoi fare,

non importa,

tienti il tuo cielo azzurro

che è tanto noioso,

il trescone degli astri.

E il tuo Infinito

perché chiederò in prestito

il cuore d'un amico.

Un cuore con ruscelli

e pini,

e un usignolo di ferro

che sopporti

il martello

dei secoli.

 

E poi Satana mi vuol molto bene,

è stato mio compagno

a un esame

di lussuria e il furbo

cercherà Margherita

me l'ha offerto -.

Margherita bruna,

su uno sfondo di vecchi olivi,

con due trecce di notte

d'estate,

perché io laceri

le sue cosce bianche.

E allora, Signore!

sarò ricco

come o piú di te

perché il vuoto

non può paragonarsi

al vino

con cui Satana saluta

i suoi buoni amici.

Liquore fatto di pianto.

Che importa!

È lo stesso

del tuo liquore composto

di trilli,

 

Dimmi, Signore,

Dio mio!

Ci sprofondi nell'ombra

dell'abisso?

Siamo uccelli ciechi

senza nidi?

 

La luce si spegne.

E l'olio divino?

Le onde agonizzano.

Ti piaceva

giuocare come se fossimo

soldatini?

Dimmi, Signore,

Dio mio!

Non giunge il nostro dolore

alle tue orecchie?

Le nostre bestemmie non hanno fatto

babeli senza mattoni

per ferirti, o ti piacciono

i gridi?

Sei sordo? Sei cieco?

O sei guercio

di spirito

e vedi l'anima umana

con toni invertiti?

 

O Signore sonnolento!

Guarda il mio cuore

freddo

come un cotogno

troppo autunnale

che è marcito!

Se verrà la tua luce

apri gli occhi vivi:

ma se continui

a dormire,

vieni, Satana errante,

peregrino sanguinante,

portami Margherita

bruna tra gli olivi

con le trecce di notte

d'estate,

io saprò accenderle

gli occhi pensierosi

con i baci macchiati

di gigli.

E udrò una sera cieca

il mio Enrique! Enrique!

lirico,

mentre tutti i miei sogni

si riempiono di rugiada.

Qui, Signore, ti lascio

il mio cuore antico,

vado a chiederne un altro

nuovo a un amico.

Cuore con ruscelli

e pini,

cuore senza serpi

e gigli.

Robusto, con la grazia

di un giovane contadino

che attraversa il fiume

con un salto.

 

Vega de Zujaira, 24 luglio 1920

 

 

BALLATA INTERIORE    (torna all'indice)

 

 

                                                A Gabriel

 

Il cuore

che avevo a scuola

dov'era dipinto

l'alfabeto,

sta in te,

notte nera?

 

(Freddo, freddo,

come l'acqua

del fiume.)

 

Il primo bacio

che sapesse di bacio e fu

per le mie labbra bambine

come la pioggia fresca,

sta in te,

notte nera?

 

(Freddo, freddo,

come l'acqua

del fiume.)

 

Il mio primo verso.

La bambina con le trecce

che guardava di fronte,

sta in te,

notte nera?

 

(Freddo, freddo,

come l'acqua

del fiume.)

 

Ma il mio cuore

roso da serpenti,

quello ch'era appeso

all'albero della scienza,

sta in te,

notte nera?

 

(Caldo, caldo

come l'acqua

della fonte.)

 

Il mio amore errante,

castello cadente,

di ombre arrugginite,

sta in te,

notte nera?

 

(Caldo, caldo

come l'acqua

della fonte.)

 

O grande dolore!

Nella tua grotta

accetti solo l'ombra.

Non è vero,

notte nera?

 

(Caldo, caldo

come l'acqua

della fonte.)

O cuore smarrito!

Requiem aeternam.

 

Vega de Zujaira, 16 luglio 1920

 

 

LA LUCERTOLA VECCHIA    (torna all'indice)

 

 

Sul sentiero bruciato

ho visto il buon lucertolone

(goccia di coccodrillo)

meditare.

Con la sua verde sottana

di abate del diavolo,

il colletto inamidato

e il portamento corretto,

ha un'aria molto triste

da vecchio professore.

Quegli occhi rinsecchiti

di artista fallito,

come guardano la sera

morente!

 

È questa la sua passeggiata

crepuscolare, amico?

Usate il bastone, ormai siete

troppo vecchio, don Lucertolone,

e i bambini del paese

vi possono spaventare.

Che cosa cercate sul sentiero,

filosofo orbo,

se il fantasma indeciso

della notte d'agosto

ha rotto l'orizzonte?

 

Cercate l'azzurra elemosina

del cielo moribondo?

 

Un centesimo di stella?

O forse

studiate un libro

di Lamartine e vi piaccion

i trilli argentini

degli uccelli?

 

(Guardi il sole calante,

e i tuoi occhi brillano,

o drago delle rane!

con un fulgore umano

Le gondole senza remi

delle idee passano

l'acqua tenebrosa

delle tue iridi bruciate.)

 

Forse vieni a cercare

la bella lucertola,

verde come le messi

di maggio,

come le chiome

delle fonti addormentate,

che ti ha disprezzato

e ha lasciato il tuo campo?

O dolce idillio spezzato

sui freschi giunchi!

Ma vivere! che diavolo!

mi siete simpatico.

La frase: «Mi oppongo

al serpente» trionfa

nel vostro gran mento

di arcivescovo cristiano.

 

Già è svanito il sole

sulla cima del monte

e le greggi

ingombrano la strada.

È ora di andarsene,

lasciate l'angusto sentiero

e non seguitate

a meditare.

Avrete tutto il tempo

di guardare le stelle

quando tranquillamente i vermi

vi mangeranno.

 

Tornate a casa vostra

sotto il paese dei grilli!

Buonanotte,

caro don Lucertolone.

 

La campagna è deserta,

i monti sono spenti

ed è vuota la strada:

solo di quando in quando

un cuculo canta

nell'ombra dei pioppi.

 

Vega de Zujaira, 26 luglio 1920

 

 

PATIO    (torna all'indice)

 

 

I ragni

correvano sui lauri.

 

Il caso

ridiventa neve,

e gli anni addormentati

oramai osano

inchiodare i telai

dell'eterno.

 

La Quiete fatta sfinge

si burla della Morte

che canta malinconica

in un gruppo

di cipressi lontani.

 

L'edera delle gocce

tappezza le pareti

gonfie di arcaici

miserere.

 

Oh vecchia torre! Piangi

le tue lagrime moresche

in questo patio scuro

senza fontana.

 

I ragni

correvano sui lauri.

 

1920

 

 

BALLATA DELLA PICCOLA PIAZZA    (torna all'indice)

 

 

Cantano i bambini

nella notte quieta;

ruscello chiaro,

fonte serena!

 

I BAMBINI

 

Che cosa c'è nel tuo divino

cuore in festa?

 

IO

 

Un rintocco di campane

perdute nella nebbia.

 

I BAMBINI

 

Ecco ci lascia cantare

nella piccola piazza.

Ruscello chiaro,

fonte serena!

Che cosa hai nelle tue mani

di primavera?

 

IO

 

Una rosa di sangue

e un giglio.

 

I BAMBINI

 

Bagnali nell'acqua

della canzone antica.

Ruscello chiaro,

fonte serena!

 

Che cosa c'è nella tua bocca

rossa e assetata?

 

IO

 

Il sapore delle ossa

del mio teschio.

 

I BAMBINI

 

Bevi l'acqua queta

della canzone antica.

Ruscello chiaro,

fonte serena!

 

Perché ti allontani

dalla piccola piazza?

 

IO

 

Vado in cerca di maghi

e di principesse.

 

I BAMBINI

 

Chi ti ha mostrato il cammino

dei poeti?

 

IO

 

La fonte e il ruscello

della canzone antica.

 

I BAMBINI

 

Te ne vai lontano, molto lontano

dal mare e dalla terra?

 

IO

 

Si è riempito di luci

il mio cuore di seta,

di campane sperdute,

di gigli e di api,

ed io andrò molto lontano,

oltre quei monti,

oltre i mari,

vicino alle stelle,

per chiedere a Cristo

Signore che mi ridia

il mio cuore antico di bambino,

maturo di leggende,

con il berretto di piume

e la sciabola di legno.

 

I BAMBINI

 

Ecco lasciaci cantare

nella piccola piazza,

ruscello chiaro,

fonte serena!

 

Le pupille enormi

delle fronde secche

ferite dal vento,

piangono le foglie morte.

 

1919

 

 

CROCEVIA    (torna all'indice)

 

 

O che dolore tenere

versi nella lontananza

della passione e il cervello

tutto macchiato d'inchiostro!

 

O che dolore non avere

la fantastica camicia

dell'uomo felice: la pelle

tappeto di sole - abbronzata!

 

(Intorno ai miei occhi

sciami di lettere girano.)

 

O che dolore il dolore

antico della poesia,

questo dolore colloso

così diverso dall'acqua pulita!

 

O dolore di lamentarsi

per bere la vena lirica!

O dolore di fonte cieca

e di mulino senza farina!

 

O che dolore non avere.

dolore e passare la vita

sopra l'erba incolore

del sentiero confuso!

 

O profondo dolore,

il dolore dell'allegria,

vomero che ci apre i solchi

dove fruttifica il pianto!

 

(Da una montagna di carta

spunta la luna fredda.)

O dolore della verità!

O dolore della bugia!

 

Luglio 1920

 

 

ORA STELLATA    (torna all'indice)

 

 

Il rotondo silenzio della notte

sul pentagramma

dell'infinito.

 

Esco nudo per la strada,

gonfio di versi

perduti.

Il nero, forato

dal canto del grillo,

ha questo fuoco fatuo,

morto,

del suono.

Questa luce musicale

che percepisce

lo spirito.

 

Gli scheletri di mille farfalle

dormono nel mio recinto.

 

C'è una giovinezza di brezze impazzite

sopra il fiume.

 

1920

 

 

LA STRADA    (torna all'indice)

 

 

La tua lancia

non potrà mai

ferire l'orizzonte.

La montagna

è lo scudo

che lo difende.

 

Non pensare al sangue della luna

e riposa.

Ma lascia, strada,

che i miei piedi

conoscano la carezza

della rugiada.

 

Enorme chiromante!

Conoscerai le anime

dal debole tatuaggio

che dimenticano sulla tua schiena?

Se sei il Flammarion

delle orme,

come devi amare

gli asini che passano

accarezzando con umile tenerezza

la tua carne ferita!

Soltanto essi meditano dove può

giungere la tua grande lancia.

Soltanto essi, che sono

i Budda della fauna,

quando vecchi e feriti decifrano

il tuo libro senza parole.

 

Quanta malinconia

hai tra le case

del villaggio!

Quanto coraggio!

Tu porti

quattro carri sonnolenti,

due acacie

e un pozzo d'altri tempi,

che non ha piú acqua.

 

Girando il mondo

non troverai albergo.

Non avrai camposanto

né sudario,

né l'aria dell'amore rinfrescherà

la tua natura.

 

Ma esci dai campi

e nella nera distanza

dell'eterno, se pulisci

l'ombra con la lima

bianca, o strada!

passerai sul ponte

di Santa Chiara,

 

 

IL CONCERTO INTERROTTO    (torna all'indice)

 

 

                                                A Adolfo Salazar

 

Ha rotto l'armonia

della notte profonda

la corona gelata e sonnolenta

della mezzaluna.

 

I canali sordi protestano

rivestiti di giunchi

e le rane, muezzin dell'ombra,

hanno taciuto.

Nella vecchia taverna del paese

è finita la triste musica

e la stella più antica

ha messo la sordina al suo organetto.

 

li vento si è seduto sulle doline

della montagna buia

e un pioppo solitario - il Pitagora

della casta pianura -

vuole dare con la sua mano centenaria

un cazzotto alla luna.

 

1920

 

 

CANZONE ORIENTALE    (torna all'indice)

 

 

È la melagrana profumata

un cielo cristallizzato.

(Ogni grana è una stella

ogni velo è un tramonto.)

Cielo secco e compresso

dalle unghie del tempo.

 

La melagrana è come un seno

vecchio di pergamena,

e il capezzolo si è fatto stella

per illuminare il campo.

 

È un'arnia minuscola

col favo insanguinato,

e le api l'hanno formata

con bocche di donne.

Per questo scoppiando ride

con porpore di mille labbra...

 

La melagrana è un cuore

che batte sul seminato,

 

un cuore sdegnoso

dove non beccano gli uccelli,

un cuore che fuori

è duro come il cuore umano

ma dà a chi lo trafigge

odore e sangue di maggio.

La melagrana è il tesoro

del vecchio gnomo del prato,

quello che parlò con la piccola Rosa,

nel bosco solitario.

Quello con la barba bianca

e il vestito rosso.

È il tesoro che ancora conservano

le verdi foglie dell'albero.

Arca di pietre preziose

in visceri di oro vago.

 

La spiga è il pane. È Cristo

in vita e morte rappreso.

 

L'olivo è la costanza

della forza e del lavoro.

 

La mela è il frutto carnale,

sfinge del peccato,

goccia di secoli che tiene

i contatti con Satana.

 

L'arancio è la tristezza

delle corolle profanate,

così diventa fuoco e oro

ciò che prima era puro e bianco.

 

Le viti sono la lussuria

che si coagula nell'estate,

e da esse la chiesa ricava,

benedetto, il santo liquore.

 

Le castagne sono la pace

del focolare. Cose d'altri tempi.

Crepitare di vecchi legni,

pellegrini smarriti.

 

La ghianda è la serena

poesia del passato,

e il cotogno d'oro debole

la pulizia della salute.

 

Ma la melagrana è il sangue,

sangue sacro del cielo,

sangue di terra ferita

dall'ago del torrente.

Sangue del vento che viene

dal rude monte graffiato.

Sangue del mare tranquillo,

sangue del lago dormiente.

La melagrana è la preistoria

dei sangue che portiamo,

l'idea di sangue, chiuso

in globuli duri e acidi,

che ha una vaga forma

di cuore e di cranio.

 

O melagrana aperta, tu sei

una fiamma sopra l'albero,

sorella carnale di Venere,

riso dell'orto ventoso.

Ti circondano le farfalle

credendoti un sole fermo

e per paura di bruciarsi

ti sfuggono i vermi.

 

Perché sei la luce della vita,

femmina dei frutti. Chiara

stella della foresta

del ruscello innamorato.

 

Potessi essere come sei tu, frutto,

passione sulla campagna!

 

1920

 

 

PIOPPO MORTO    (torna all'indice)

 

 

Vecchio pioppo!

Sei caduto

nello specchio

dello stagno addormentato,

piegando la fronte

al tramonto.

Non è stato il roco uragano

a spezzare il tuo tronco

né la pesante ascia

del boscaiolo, che sa

che tu devi

rinascere.

 

È stato il tuo spirito forte

a chiamare la morte

vedendosi senza nidi, dimenticato

dai pioppi bambini del prato.

Gli è che tu avevi

sete di pensiero,

e che la tua enorme testa centenaria,

solitaria,

ascoltava i canti

lontani dei tuoi fratelli.

 

Nel tuo corpo conservavi

la lava

della passione

e nel tuo cuore,

il seme senza futuro di Pegaso.

Il terribile seme

di un amore innocente

per il sole del tramonto.

Che profonda amarezza

nel paesaggio,

l'eroe dei boschi

senza rami!

 

Non sarai piú la culla

della luna,

né il magico riso

della brezza

né il bastone di una stella

a cavallo.

Non tornerà la primavera

della tua vita,

né vedrai fiorire

i seminati.

Sarai nido di rane

e di formiche.

 

Avrai per verdi capelli

le ortiche

e un giorno la corrente

sorridente

porterà via la tua corteccia

tristemente.

 

Vecchio pioppo!

Sei caduto

nello specchio

dello stagno addormentato.

Ti ho visto cadere

al crepuscolo

e scrivo la tua elegia

che è anche la mia.

 

1920

 

 

CAMPAGNA    (torna all'indice)

 

 

Il cielo è di cenere.

Gli alberi sono bianchi,

e son carboni neri

le stoppie bruciate.

Ha sangue asciutto

la ferita dell'Occaso,

e la carta incolore

del monte è raggrinzita.

La polvere della strada

si nasconde nei burroni,

sono torbide le fonti

e quieti gli stagni.

Suona in un grigio rossiccio

il campano del gregge,

e la noria materna

terminò il suo rosario.

 

Il cielo è di cenere.

Gli alberi sono bianchi.

 

1920

 

 

BALLATA DELL'ACQUA DEL MARE    (torna all'indice)

 

                                                A Emilio Prados

                                                (cacciatore di nubi)

 

Il mare

sorride in lontananza.

Denti di spuma,

labbra di cielo.

 

Che cosa vendi, fosca fanciulla,

con i seni al vento?

 

Vendo, signore, l'acqua

dei mari.

 

Che cos'hai, giovane negro,

mescolato al sangue?

 

Porto, signore,

l'acqua dei mari.

 

Queste lagrime salmastre,

da dove vengono, madre?

 

Piango, signore,

l'acqua dei mari.

 

Cuore, e questa amarezza

profonda, da dove nasce?

 

Quanto è amara l'acqua

dei mari!

 

Il mare

sorride in lontananza.

Denti di spuma,

labbra di cielo.

 

1919

 

 

ALBERI    (torna all'indice)

 

 

Alberi,

foste frecce

dall'azzurro cadute?

Quali crudeli guerrieri vi scagliarono?

Furono le stelle?

 

Le vostre musiche vengono dall'anima degli uccelli,

dagli occhi di Dio,

dalla passione perfetta.

Alberi!

Riconosceranno le vostre radici

il mio cuore in terra?

 

1919

 

 

LA LUNA E LA MORTE     (torna all'indice)

 

 

La luna ha denti d'avorio.

Come è vecchia e triste!

I fiumi sono secchi,

la campagna senza verde

e gli alberi appassiti

senza nidi e senza foglie.

Donna Morte, piena di rughe,

passa tra i salici

col suo assurdo corteo

di remote illusioni.

Vende colori

di cera e di burrasca

come una fata leggendaria

cattiva e ingannatrice.

 

La luna ha comperato

quadri alla Morte.

In questa notte buia

la luna è pazza!

 

Nel mio cuore cupo

apro

una fiera senza musica

con le baracche d'ombra.

 

1919

 

 

MADRIGALE    (torna all'indice)

 

 

            Ti ho guardato negli occhi

            quand'ero bambino e buono.

            Le tue mani m'hanno sfiorato

            e mi hai dato un bacio.

 

(Gli orologi hanno la stessa cadenza

e le notti le stesse stelle.)

 

            Il mio cuore si è aperto

            come un fiore sotto il cielo,

            i petali di lussuria

            e gli stami di sogno.

 

(Gli orologi hanno la stessa cadenza

e le notti le stesse stelle.)

 

            Piangevo nella mia stanza

            come il principe della favola

            per l'Estrellita d'oro

            che aveva lasciato il ballo.

 

(Gli orologi hanno la stessa cadenza

e le notti le stesse stelle.)

 

            Mi sono allontanato da te

            amandoti in segreto.

            Non so come sono i tuoi occhi.

            le mani e i capelli.

            Solo mi resta sulla fronte

            la farfalla del bacio.

 

(Gli orologi hanno la stessa cadenza

e le notti le stesse stelle.)

 

1919

 

 

DESIDERIO    (torna all'indice)

 

 

Soltanto il tuo cuore caldo

e null'altro.

 

Il mio paradiso un campo

senza usignolo

né lira,

con un fiume breve

e una piccola fonte.

 

Senza la spinta del vento

sulla fronda,

senza la stella che vuole

essere foglia.

 

Una grande luce

che fosse

lucciola

di un'altra,

in un campo di

sguardi perduti.

 

Una limpida pace

dove i nostri baci,

nèi sonori

dell'eco,

si aprirebbero lontano.

 

E il tuo cuore acceso,

null'altro.

 

1920

 

 

I PIOPPI D'ARGENTO    (torna all'indice)

 

 

I pioppi d'argento si piegano sull'acqua:

sanno tutto, ma non lo diranno.

Il giglio della fonte non urla la sua tristezza.

Tutto è piú degno che l'umanità!

 

La scienza del silenzio di fronte al cielo stellato

l'hanno soltanto il fiore e l'insetto.

La scienza del canto per il canto l'hanno

i boschi mormoranti e le acque del mare.

 

Il profondo silenzio della vita sulla terra

ce lo insegna la rosa aperta sul roseto.

 

Bisogna diffondere il profumo chiuso nelle nostre anime

Bisogna essere canto, luce e bontà.

Bisogna aprirsi per intero di fronte alla notte nera,

perché ci riempiamo di rugiada immortale!

 

Bisogna coricare il corpo nell'anima inquieta!

Bisogna accecarsi gli occhi con la luce dell'aldilà.

Dobbiamo affacciarci sull'ombra dei cuori,

e strappare le stelle che ci ha messo Satana.

 

Bisogna essere come l'albero che è sempre in preghiera,

come l'acqua del fiume fissa all'eternità!

 

Bisogna lacerarsi l'anima con artigli di tristezza

perché c'entrino le fiamme dell'orizzonte astrale!

 

Allora nell'ombra del cuore tarlato

nascerebbe una sorgente d'aurora tranquilla e materna.

 

Sparirebbero città al vento.

E vedremmo passare in una nuvola Dio.

 

Maggio 1919

 

 

SPIGHE    (torna all'indice)

 

 

Nel grano è entrata la morte.

Già le falci tagliano le spighe.

Dondolano i pioppi parlando

con l'anima sottile della brezza.

 

Solo il grano vuole silenzio.

Si è rappreso col sole e sospira

nell'ampio elemento dove stanno

i sogni svegli.

            Il giorno

maturo di luce e di suono

declina sui monti azzurri.

 

Che misterioso pensiero

commuove le spighe?

Che ritmo di tristezza sognatrice

agita le messi?

 

Le spighe sembrano vecchi uccelli

che non possono volare!

Sono piccole teste

col cervello di puro oro

e hanno tranquilla espressione.

 

Tutte pensano alla stessa cosa,

tutte hanno

un profondo segreto da meditare.

Strappano alla terra il suo oro vivo

e come dolci api del sole libano

il raggio infuocato di cui si vestono

per formare l'anima della farina.

 

O che allegra tristezza mi date,

dolcissime spighe!

Venite dalle piú profonde età,

cantavate già nella Bibbia,

e date, quando vi sfiorano i silenzi,

un concerto di lire.

 

Voi sgorgate per nutrire gli uomini.

Ma guardate le bianche margherite

e i gigli che nascono perché si!

Mummie d'oro sulla campagna!

Il fiore selvatico nasce per il sogno

e voi per la vita!

 

Giugno 1919

 

 

MEDITAZIONE SOTTO LA PIOGGIA    (torna all'indice)

(FRAMMENTO)

 

 

                                                A José Mora

 

La pioggia ha baciato il giardino provinciale

con profonde cadenze sulle foglie

L'aroma sereno della terra bagnata

inonda il cuore di tristezza remota.

 

Si lacerano nubi grigie nel muto orizzonte.

Sull'acqua addormentata della fonte, le gocce

cadono, sollevando chiare perle di spuma.

Fuochi fatui che spegne il tremolio delle onde.

 

La pena della sera raggela la mia pena.

Il giardino si è riempito di monotona tenerezza.

Devo perdere tutta la mia sofferenza, mio Dio,

come si perde il dolce suono delle fronde?

 

Tutta l'eco di stelle che c'è nella mia anima

mi aiuterà a lottare con la mia forma?

E l'anima vera si sveglia nella morte?

E ciò che ora pensiamo lo inghiottirà l'ombra?

 

O com'è tranquillo il giardino sotto la pioggia!

Il mio cuore è trasformato dal casto paesaggio,

in un rumore di idee umili e tristi

che dà nel mio petto un battito di colombe.

 

Nasce il sole.

Il giardino sanguina giallo.

C'è intorno una pena che soffoca,

sento la nostalgia della mia infanzia inquieta,

il desiderio d'essere grande in amore, le ore

passate come questa a contemplare la pioggia

con ingenua tristezza.

            Cappuccetto rosso

andava per il sentiero...

Addio mie favole, oggi medito, confuso,

davanti alla fonte torbida che dall'amore mi nasce

 

Dovrò perdere tutte le mie sofferenze, mio Dio,

come si perde il dolce rumore delle fronde?

 

Riprende a piovere.

Il vento riporta le ombre.

 

3 gennaio 1919

 

 

FONTE    (torna all'indice)

(FRAMMENTO)

 

 

L'ombra dorme sul prato.

Le fonti cantano.

Di fronte all'ampio crepuscolo invernale

il mio cuore sognava.

Chi potrebbe capire le fonti,

il segreto dell'acqua

appena nata, questo canto occulto

a tutti gli sguardi

dello spirito, dolce melodia

al di là delle anime... ?

 

Lottando sotto il peso dell'ombra,

cantava una fonte.

Mi accostai per sentire il suo canto

ma il mio cuore non sente nulla.

 

Era uno sgorgare di stelle invisibili

sopra l'erba casta,

nascita del Verbo della terra

da un sesso immacolato.

 

Il mio pioppo centenario del piano

agitava le foglie

ed erano foglie tremule di tramonto

come stelle d'argento,

Riassunto di un cielo d'estate

era il grande pioppo.

            Tranquille

e piene di Penombra sentivo

le canzoni dell'acqua.

 

Che alfabeto d'aurore ha composto

le sue oscure parole?

Quali labbra le pronunciano? E che cosa dicono

alla stella lontana?

Il mio cuore è cattivo, Signore! Sento nella carne

l'implacabile brace

del peccato. I miei mari interiori

sono rimasti senza spiagge.

Il tuo faro s'è spento! Già li illumina

di fiamme il mio cuore!

Ma il nero segreto della notte

e il segreto dell'acqua

sono misteri solo per l'occhio

della coscienza umana?

La nebbia del mistero non agita

l'albero, l'insetto e la montagna?

Il terrore dell'ombra non lo sentono

le pietre e le piante?

È un suono così solitario la mia voce?

E la casta fonte non dice nulla?

 

Ma io sento nell'acqua

qualcosa che mi commuove.... come un'aria

che agita i rami della mia anima.

 

Sii albero!

            (Disse una voce lontana.)

E ci fu un torrente di stelle

sul cielo senza macchia.

 

M'incastrai nel pioppo centenario

con tristezza e con ansia.

Come una Dafne maschia che fugge timorosa

di un Apollo d'ombra e di nostalgia.

Il mio spirito si è fuso con le foglie

e il mio sangue diventò linfa.

In resina untuosa si mutò

la fonte delle mie lacrime.

Il cuore scese nelle radici

e la passione umana,

ferendomi la rude carne,

mi abbandonava.

 

Di fronte all'ampio crepuscolo d'inverno

torcevo i rami

godendo i ritmi sconosciuti

tra la brezza gelata.

 

Sentii sulle braccia dolci nidi,

carezze d'ali,

e sentii mille api campagnole

che ronzavano tra le mie dita.

Avevo un'arnia d'oro

nei vecchi visceri!

Il paesaggio e la terra si cancellarono,

restava solo il cielo,

e ascoltai il debole rumore degli astri

e il respiro delle montagne.

 

Non potranno capire le mie dolci foglie

il segreto dell'acqua?

Le mie radici toccheranno il regno

dove nasce e si fissa?

Piegai i miei rami verso il cielo

che l'onda ripeteva,

bagnai le foglie nel diamante

cristallino azzurro che canta,

e sentii mormorare le fonti

come io umano lo sento.

Era lo stesso fluire pieno di musica

e di scienza ignorata.

 

Sollevando le mie braccia gigantesche

di fronte all'azzurro, ero

pieno di spessa nebbia, di rugiada

e di luce appassita.

 

Ebbi la grande tristezza vegetale,

il desiderio delle ali.

Per potermi gettare nel vento

fino alle stelle bianche.

Ma il mio cuore nelle radici

triste mi mormorava:

«Se non capisci le fonti,

muori e spezza i tuoi rami!»

 

Signore, strappami dal suolo! Ascoltami

perché capiscano le acque!

Dammi una voce che per amore strappi

il suo segreto alle onde incantate,

per accendere il suo faro chiedo solo

olio di parole.

 

«Sii usignolo!» dice una voce perduta

nella morta distanza,

e un torrente di stelle infuocate

sgorgò dal seno della notte.

....................................

....................................

 

1919

 

 

MARE    (torna all'indice)

 

 

Il mare

è il Lucifero dell'azzurro.

Il cielo caduto

per voler essere la luce.

 

Povero mare condannato

a eterno movimento,

dopo aver conosciuto

la calma del firmamento!

 

Ma della tua amarezza

ti redense l'amore.

Partoristi Venere pura

e la tua profondità

restò vergine, senza dolore.

 

Le tue tristezze sono belle,

mare di spasimi gloriosi.

Ma oggi invece di stelle

hai verdi polipi.

 

Sopporta il tuo dolore,

formidabile Satana,

Cristo ha camminato sulle tue onde,

ma anche Pan.

 

La stella Venere è

l'armonia del mondo.

Taccia l'Ecclesiaste!

Venere è il profondo

dell'anima...

 

... E l'uomo miserabile

è un angelo caduto.

La terra è il probabile

Paradiso perduto.

 

Aprile 1919

 

 

SOGNO    (torna all'indice)

 

 

Me ne andavo

in groppa ad un caprone.

Il nonno mi parlò

e mi disse:

Quello è il tuo cammino.

«Quello!» gridò la mia ombra

mascherata da mendicante.

«È quello d'oro», dissero

i miei vestiti.

Un grande cigno mi fece cenno

dicendomi: «Vieni con me!»

E una serpe mordeva

il mio saio di pellegrino.

 

Guardando il cielo, pensavo:

«Io non ho strada,

Le rose della fine saranno

come quelle del principio.

In nebbia si trasforma

la carne e la rugiada.

 

Il mio cavallo fantastico mi porta

sopra un campo rossastro.»

«Lasciami!», invocò piangendo

il mio cuore meditabondo.

L'abbandonai per terra

gonfio di tristezza.

            Venne

la notte piena di rughe

e d'ombre.

            Illuminano la strada

gli occhi accesi e azzurri

del mio caprone.

 

Maggio 1919

 

 

ALTRO SOGNO    (torna all'indice)

 

 

Una rondine vola

molto lontano!...

 

Ci sono fioriture di rugiada

sul mio sogno,

e il mio cuore gira

pieno di noia,

come una giostra su cui la Morte

porta i suoi bambini.

 

Vorrei a questi alberi

legare il tempo

con una corda di notte nera

e tingere poi

del mio sangue le rive

pallide dei ricordi!

Quanti figli ha la Morte?

Li ho tutti nel cuore!

 

Una rondine viene

da molto lontano!

 

1919

 

 

QUERCIA    (torna all'indice)

 

 

Alla tua casta ombra, quercia vecchia,

voglio scandagliare la fonte della mia vita

e togliere dal fango della mia ombra

i lirici smeraldi.

 

Butto le reti nell'acqua torbida

e le ritiro vuote.

In fondo al fango tenebroso

stanno le mie gemme!

 

Nascondi nel mio cuore i tuoi rami santi!

o solitaria quercia,

e lascia nella mia sotto-anima

i tuoi segreti e la tua calma passione!

 

Questa tristezza giovanile passa,

lo so! L'allegria

un'altra volta lascerà le sue ghirlande

sulla mia fronte ferita,

anche se le mie reti non pescheranno mai

l'occulta gemma

di tristezza incosciente che risplende

in fondo alla mia vita.

 

Ma il mio grande dolore trascendentale

è il tuo dolore, quercia.

È lo stesso dolore delle stelle

e del fiore appassito.

 

Le lagrime scivolano a terra

e, come le tue resine,

corrono sull'acqua del fiume

che scende nella notte fredda.

E anche noi cadremo,

io con le mie gioie,

e tu pieni i rami di invisibili

ghiande metafisiche.

 

Non m'abbandonare mai nelle mie tristezze,

scheletrica amica.

Cantami con la tua bocca vecchia e casta

un'antica canzone,

con parole di terra intrecciate

all'azzurra melodia.

 

Getto ancora una volta la rete

nella fonte della mia vita,

rete fatta di fili di speranza,

nodi di poesia,

e prendo pietre false fra un fango

di passioni addormentate.

 

Col sole autunnale tutta l'acqua

della mia fontana vibra,

e noto che senza piú radici

la quercia mi sfugge.

 

1919

 

 

INVOCAZIONE ALL'ALLORO    (torna all'indice)

 

 

                                                A Pepe Cienfuegos

 

Sull'orizzonte confuso e dolente

scendeva la notte pregna di stelle.

Io, come il barbuto mago delle favole,

conoscevo il linguaggio dei fiori e delle pietre.

 

Conobbi segreti di malinconia,

detti dai cipressi, da ortiche e edere;

conobbi i sogni dalla bocca del nardo,

cantai con i gigli canzoni serene.

 

Nell'antico bosco, pieno di tenebre,

tutti mi mostravano le loro anime:

il pino, ebbro di aroma e di suono;

i vecchi olivi, carichi di scienza;

i pioppi morti, nidi di formiche;

il muschio, nevicato di bianche viole.

 

Tutto parlava dolce al mio cuore

tremando nei fili di seta sonora

con cui l'acqua avvolge le cose ferme

come ragnatela d'armonia eterna.

 

Le rose sognavano la lira,

le querce tessevano oro di leggende,

e fra la virile tristezza di roveri

raccontano i ginepri paure di paese.

 

Comprendo tutta la passione del bosco:

ritmo della foglia, ritmo della stella.

Ma ditemi, cedri, se il mio cuore

dormirà nelle braccia della luce perfetta.

 

Conosco la lira che tu presenti, rosa:

feci della mia vita morta le sue corde.

Dimmi in quale stagno potrò abbandonarla

come si abbandonano le passioni vecchie!

 

Conosco il mistero che canti, cipresso:

sono tuo fratello nella notte e nella pena:

abbiamo i visceri pieni di nidi

tu d'usignoli e io di tristezza!

 

Conosco il tuo incanto senza fine, padre olivo,

nel darci il sangue che estrai dalla Terra,

come te, io estraggo col mio sentimento

l'olio benedetto dell'idea!

 

Mi rattristate tutti con le vostre canzoni:

io solo vi chiedo la mia incerta;

nessuno di voi vorrà soffocare le ansie

di questo casto fuoco che mi brucia il petto.

 

O alloro divino, d'anima inaccessibile,

sempre silenzioso, pieno di nobiltà!

Versa nelle mie orecchie la tua storia divina,

la tua saggezza profonda e sincera!

 

Albero che dài frutti di silenzio,

maestro di baci e mago d'orchestre,

formato col corpo roseo di Dafne

con la linfa potente d'Apollo nelle tue vene!

 

O grande sacerdote del sapere antico!

O muto solenne chiuso ai sospiri!

Tutti i tuoi fratelli del bosco mi parlano,

solo tu, severo, disprezzi la mia canzone!

 

Forse, o maestro del ritmo, mediti

la vanità del triste pianto del poeta.

Forse le tue foglie, macchiate di luna,

perderanno l'illusione della primavera.

 

La dolcezza tenue del tramonto

come una rugiada nera, tappezzò il sentiero,

alzando un immenso baldacchino alla notte

che avanzava grave, pregna di stelle.

 

1919

 

 

RITMO D'AUTUNNO    (torna all'indice)

 

 

                                                A Manuel Angeles

 

Amarezza dorata del paesaggio.

Il cuore ascolta.

 

Nella tristezza umida

il vento disse:

Son fatto di stelle fuse,

sangue dell'infinito.

Con l'attrito scopro i colori

dei fondi addormentati.

Sono ferito di mistiche occhiate,

porto i sospiri

in bolle di sangue invisibili

verso il sereno trionfo

dell'amore immortale pieno di Notte.

Mi conoscono i bambini

e io resto triste.

Nelle favole di regine e di castelli

sono una coppa di luce. Turibolo

di canti fusi

che caddero avvolti in azzurre

trasparenze di ritmo.

Nella mia anima si sono perdute

carne e anima di Cristo

e ripeto la tristezza della sera

malinconico e freddo.

Sono la eterna armonia della terra.

Il bosco innumerevole.

 

Porto le caravelle dei sogni

verso l'ignoto.

E ho l'amarezza solitaria

di non saper la mia fine né il mio destino -.

 

Le parole del vento erano dolci

con profondità di gigli.

Il mio cuore si addormentò

nella tristezza del crepuscolo.

 

Sulla grigia terra della steppa

i vermi raccontarono i loro deliri:

 

Sopportiamo tristezze

sul bordo della strada.

Conosciamo i fiori dei boschi,

il canto monocorde dei grilli,

la lira senza corde che tocchiamo,

l'occulto sentiero che seguiamo.

Il nostro ideale non giunge alle stelle,

è sereno, semplice;

vorremmo fare del miele come api

o avere una dolce voce o il grido forte

o camminare leggeri sull'erba

o avere seni per nutrire i nostri figli.

 

Felice chi nasce farfalla

o porta luce lunare nei vestiti.

Felice chi recide la rosa

e raccoglie il grano!

Felice chi dubita della morte,

padrone del Paradiso,

e il vento che va dove vuole

sicuro dell'infinito!

Felici i gloriosi e i forti,

quelli che non sono mai stati compatiti,

quelli che benedisse sorridendo

il fratello Francesco.

Patiamo molte pene

sui nostri cammini.

Vorremmo sapere ciò che ci dicono

i pioppi del fiume -.

E nella muta tristezza della sera

gli rispose la polvere della strada:

Felici, o vermi, che avete

giusta coscienza di voi stessi,

e forme e passioni

e focolari accesi.

Io mi dissolvo al sole

seguendo il pellegrino,

e quando penso di restare nella luce

cado a terra addormentata -.

 

I vermi piansero e gli alberi,

movendo le loro teste pensierose,

dissero: - L'azzurro è impossibile.

Credevamo di toccarlo quando eravamo bambini,

e vorremmo essere come le aquile

adesso che la folgore ci ha colpito.

L'azzurro è delle aquile -.

E l'aquila da lontano:

No, non è mio!

Perché l'azzurro l'hanno le stelle

nei loro splendori -.

Le stelle: - Neppure noi l'abbiamo:

è nascosto fra di noi -.

E la nera distanza: - L'azzurro

l'ha la speranza nel suo recinto -.

E la speranza dice dolcemente

dal cupo regno:

M'avete inventato voi, cuori -.

E il cuore:

Dio mio! -

 

L'autunno ha lasciato senza foglie

i pioppi del fiume.

 

L'acqua ha addormentato d'argento vecchio

la polvere della strada.

I vermi si calano sonnolenti

nei loro freddi focolari.

L'aquila si perde tra la montagna;

il vento dice: - Sono eterno ritmo -.

sentono le ninne nanne sulle culle povere,

e il pianto del gregge nella stalla.

 

L'umida tristezza dell'orizzonte

mostra come un giglio

le rughe severe che lasciarono

gli occhi pensierosi dei secoli.

 

E mentre riposano le stelle

sull'azzurro addormentato,

il mio cuore vede il suo ideale lontano

e chiede:

Dio mio!

Ma Dio mio a chi?

Chi è Dio mio?

Perché la nostra speranza s'addormenta

e proviamo lo scacco lirico

e gli occhi si chiudono abbracciando

tutto l'azzurro? -

 

Sul vecchio paesaggio e il fumante focolare

voglio lanciare il mio grido,

singhiozzando di me come il verme

depreca il suo destino.

Chiedendo quello dell'uomo, Amore immenso

e azzurro come i pioppi del fiume.

Azzurro di cuori e di forza,

l'azzurro di me stesso

che mi metta in mano la grande chiave

che forzi l'infinito.

Senza terrore e senza paura davanti alla morte,

brinato d'amore e di lirismo,

benché mi ferisca il fulmine come l'albero

e mi lasci senza foglie e senza grido.

 

Adesso ho sulla fronte rose bianche

e la coppa colma di vino.

 

1920

 

 

NOTTURNO    (torna all'indice)

 

 

Ho tanta paura

delle foglie morte,

paura dei prati

gonfi di rugiada.

Vado a dormire;

se non mi sveglierai

lascerò al tuo fianco

il mio freddo cuore.

 

Che cosa suona

così lontano?

Amore. Il vento sulle vetrate,

amor mio!

 

Ti cinsi collane

con gemme d'aurora.

Perché mi abbandoni

su questo cammino?

Se vai tanto lontana

il mio uccello piange

e la vigna verde

non darà vino.

 

Che cosa suona

così lontano?

Amore. Il vento sulle vetrate,

amor mio!

 

Non saprai mai

o mia sfinge di neve,

quanto

t'avrei amata

quei mattini

quando a lungo piove

e sul ramo secco

si disfa il nido.

 

Che cosa suona

così lontano?

Amore. Il vento sulle vetrate,

amore mio!

 

1919

 

 

NIDO    (torna all'indice)

 

 

Che cosa custodisco in questi

momenti di tristezza?

Ah! chi taglia i miei boschi

dorati e fioriti!

Che cosa leggo nello specchio

d'argento fremente

che l'aurora m'offre

sull'acqua del fiume?

Quale grande olmo di idea

si è spezzato nel mio bosco?

Che pioggia di silenzio

mi lascia fremente?

Se ho lasciato morto il mio amore

sulla triste riva,

che roveto mi nasconde

qualcosa appena nato?

 

1919

 

ALTRA CANZONE    (torna all'indice)

 

 

Il sogno è svanito per sempre!

Nella sera piovosa

il mio cuore impara

la tragedia autunnale

che cade dagli alberi.

 

Nella dolce tristezza

del paesaggio che muore

le mie voci si spezzarono.

Il sogno è svanito per sempre.

Per sempre! Dio mio!

Cade la neve

sulla campagna deserta

della mia vita

e teme

l'illusione, che va lontano,

di perdersi o di gelare.

 

Mi dice l'acqua

che il sogno è svanito per sempre!

Il sogno è infinito?

La nebbia lo sostiene,

e la nebbia è solo

stanchezza della neve.

 

Il mio ritmo racconta

che il sogno è svanito per sempre!

E nella sera nebbiosa

il mio cuore conosce

la tragedia autunnale

che cade dagli alberi.

 

Autunno 1919

 

 

IL CAPRONE    (torna all'indice)

 

 

Il gregge di capre è passato

vicino all'acqua del fiume.

Nella sera di rosa e zaffiro,

piena di pace romantica,

guardo

il caprone.

 

Salve, muto demonio!

Sei l'animale

piú intenso.

Mistico eterno

dell'Inferno

carnale...

 

Quanti incanti

nella tua barba,

nell'ampia fronte,

rude don Giovanni!

Che accento quello del tuo sguardo

mefistofelico

e passionale!

 

Vai per i campi

con il tuo gregge,

da eunuco

mentre sei un sultano!

La tua sete di sesso

che non si spegne mai;

bene imparasti

dal padre Pan!

 

La capra

lenta ti segue

innamorata con umiltà;

ma le tue passioni sono insaziabili;

la vecchia Grecia

ti capirà.

 

O essere di profonde leggende sante

di magri asceti e di Satana

con pietre nere e croci rozze

con fiere domate e profonde grotte,

dove ti videro nell'ombra

soffiar la fiamma

del sesso!

 

Caproni cornuti

con barbe forti!

Nero compendio di medioevo!

Sei nato vicino a Filomede

nella schiuma casta del mare

e le vostre bocche

l'accarezzarono

allo stupore del mondo astrale.

 

Venite dai boschi pieni di rose

dove la luce è uragano;

venite dai prati di Anacreonte

pieno di sangue dell'immortale.

 

Caproni!

Siete la metamorfosi

di vecchi satiri

ormai perduti.

Voi spargete lussuria vergine

come non può altro animale.

 

Illuminati del Mezzogiorno!

Fermarsi

per ascoltare

quel che dal fondo della campagna

vi dice il gallo:

Salve!

 

1919

 

POEMA DEL CANTE JONDO (1921)

 

 

 

 

BALLATELLA DEI TRE FIUMI    (torna all'indice)

 

 

                                                A Salvador Quintero

 

Il fiume Guadalquivir

scorre tra aranci e olivi.

I due fiumi di Granada

scendono dalla neve al grano.

 

Ah, amore

che se n'andò senza tornare!

 

Il fiume Guadalquivir

ha la barba granata.

I due fiumi di Granada,

uno pianto e l'altro sangue.

 

Ah, amore

che se n'andò nell'aria!

 

Per le barche a vela

Siviglia ha una strada.

Sull'acque di Granada

solo remano i sospiri.

 

Ah, amore

che se n'andò senza tornare!

 

Guadalquivir, alta torre

e vento negli aranceti.

Dauro e Genil, torricini

morti sopra gli stagni.

 

Ah, amore

che se n'andò nell'aria!

 

Chi dirà che l'acqua porta

un fuoco fatuo di gridi?

 

Ah, amore

che se n'andò senza tornare!

 

Porta fiori d'arancio, porta olive,

Andalusia, ai tuoi mari.

 

Ah, amore

che se n'andò nell'aria!

 

POEMA DELLA SIGUIRIYA GITANA    (torna all'indice)

 

 

                                                A Carlos Morta Vicuña

 

PAESAGGIO

 

 

Il campo

di ulivi

s'apre e si chiude

come un ventaglio.

Sull'oliveto

c'è un cielo sommerso

e una pioggia scura

di freddi astri.

Tremano giunco e penombra

sulla riva del fiume.

S'increspa il vento grigio.

Gli ulivi

sono carichi

di gridi.

Uno stormo

d'uccelli prigionieri

che agitano lunghissime

code nel buio.

 

LA CHITARRA

 

 

Incomincia il pianto

della chitarra.

Si rompono le coppe

dell'alba.

Incomincia il pianto

della chitarra.

È inutile

farla tacere.

È impossibile

farla tacere.

Piange monotona

come piange l'acqua,

come piange il vento

sulla neve.

È impossibile

farla tacere.

Piange per cose

lontane.

Arena del caldo meridione

che chiede camelie bianche.

Piange freccia senza bersaglio

la sera senza domani

e il primo uccello morto

sul ramo.

Oh, chitarra,

cuore trafitto

da cinque spade!

 

IL GRIDO

 

 

L'ellisse di un grido

va di monte

in monte.

 

Dagli ulivi,

sarà un arcobaleno nero

sopra la notte azzurra.

 

            Ahi!

 

Come un arco di viola

il grido ha fatto vibrare

le lunghe corde del vento.

 

            Ahi!

 

(La gente delle grotte

espone le lucerne.)

 

            Ahi!

 

IL SILENZIO

 

 

Ascolta, figlio, il silenzio.

È un silenzio ondulato,

un silenzio,

dove scivolano valli ed echi

e che piega le fronti

al suolo.

 

PASSAGGIO DELLA SIGUIRIYA

 

 

Tra nere farfalle

una bruna ragazza cammina

lungo un bianco serpente

di nebbia.

 

Terra di luce,

cielo di terra.

 

Cammina incatenata al fremito

di un ritmo che non finisce mai;

ha il cuore d'argento

e nella destra un pugnale.

 

Dove vai, siguiriya,

con un ritmo senza capo?

Quale luna accoglierà

il tuo dolore di pietra e di oleandro?

 

Terra di luce,

cielo di terra.

 

PASSAGGIO

 

 

I bambini guardano

un punto lontano.

 

Le lucerne si spengono.

Fanciulle cieche

interrogano la luna,

e si levano in aria

spirali di pianto.

 

Le montagne guardano

un punto lontano.

 

E DOPO

 

 

I labirinti

creati dal tempo

svaniscono.

 

(Rimane solo

il deserto.)

 

Il cuore,

fonte del desiderio,

svanisce.

 

(Rimane solo

il deserto.)

 

L'illusione dell'aurora

e i baci

svaniscono.

 

Rimane solo il deserto.

Un ondulato

deserto.

 

 

POEMA DELLA SOLEÁ    (torna all'indice)

 

 

                                                A Jorge Zalamea

 

TERRA SECCA

 

 

Terra secca,

terra quieta

d'immense

notti.

 

(Vento nell'uliveto,

vento sulla montagna.)

 

Terra

vecchia

della lanterna

e della pena.

Terra

delle cisterne profonde.

Terra

della morte senz'occhi

e delle frecce.

 

(Vento per le strade,

brezza nei viali.)

 

PAESE

 

 

Sul monte nudo

un calvario.

Acqua chiara

e ulivi centenari.

Lungo i vicoli

uomini intabarrati

e sulle torri

banderuole che girano.

Eternamente

girano.

Oh, paese perduto

nell'Andalusia del pianto!

 

PUGNALE

 

 

Il pugnale

entra nel cuore,

come il vomere dell'aratro

nella terra.

 

            No.

Non pugnalarmi.

            No.

 

Il pugnale,

come un raggio di sole,

incendia le terribili

profondità.

 

            No.

Non pugnalarmi.

            No.

 

CROCICCHIO

 

 

Vento dell'est;

una lanterna

e un pugnale

nel cuore.

La strada

ha un fremito

di corda

tesa,

un fremito

di enorme calabrone.

Da ogni parte

io

vedo il pugnale

nel cuore.

 

LAMENTO

 

 

Il grido lascia nel vento

un'ombra di cipresso.

 

(Lasciatemi in questo campo

a piangere,)

 

Tutto si è rotto nel mondo.

Non resta che il silenzio.

 

(Lasciatemi in questo campo

a piangere.)

 

L'orizzonte senza luce

è morso dai falò.

 

(Vi ho già detto di lasciarmi

in questo campo

a piangere.)

 

AGGUATO

 

 

Restò morto nella strada

con un pugnale nel petto.

Nessuno lo conosceva.

Come tremava il lampione!

Madre.

Come tremava il lampione

della strada!

Era l'alba. Nessuno

poté piegarsi sui suoi occhi

aperti all'aria aspra.

Morto restò nella strada

con un pugnale nel petto

e nessuno lo conosceva.

 

LA SOLEÁ

 

 

Vestita di neri mantelli

pensa che il mondo è piccolo

e il cuore è immenso.

 

Vestita di neri mantelli.

 

Pensa che il sospiro tenero

e il grido scompaiono

nella corrente del vento.

 

Vestita di neri mantelli.

 

Lasciò aperto il balcone

e all'alba dal balcone

entrò tutto il cielo.

 

Ah ahi, ahi, ahi,

vestita di neri mantelli!

 

GROTTA

 

 

Dalla grotta si levano

lunghi singhiozzi.

 

(Il viola

sul rosso.)

 

Il gitano rievoca

paesi remoti.

 

(Torri alte e uomini

misteriosi.)

 

Nella voce rotta

vanno i suoi occhi.

 

(Il nero

sul rosso.)

 

E la grotta imbiancata

trema nell'oro.

 

(Il bianco

sul rosso.)

 

INCONTRO

 

 

Né tu né io

siamo pronti

a incontrarci.

Tu... per quello che sai.

L'ho amata tanto!

Segui quella stradina.

Nelle mani

ho i buchi

dei chiodi.

Non vedi come

mi dissanguo?

Non guardare mai indietro.

Vai adagio

e prega con me

San Gaetano,

che né tu né io

siamo pronti

a incontrarci.

 

ALBA

 

 

Campane di Cordova

all'alba.

Campane mattutine

a Granada.

Vi ascoltano le ragazze

che piangono la tenera

soleá abbrunata.

Le ragazze

di Andalusia alta

e bassa.

Le ragazze di Spagna

dal piede piccolo

e le gonne frementi,

che riempiono di luci

i crocicchi.

Oh, campane di Cordova

all'alba,

oh, campane mattutine

a Granada!

 

 

POEMA DELLA SAETA    (torna all'indice)

 

 

                                                A Francisco Iglesias

 

ARCIERI

 

 

Gli arcieri neri

si avvicinano a Siviglia.

 

Guadalquivir aperto.

 

Larghi cappelli grigi,

lunghe cappe aperte.

 

Ah, Guadalquivir!

 

Vengono dai remoti

paesi della pena.

 

Guadalquivir aperto.

 

E vanno a un labirinto.

Amore, cristallo e pietra.

 

Ah, Guadalquivir!

 

NOTTE

 

 

Cero, lucerna,

lampione e lucciola.

 

La costellazione

della saeta.

 

Finestrelle d'oro

tremano,

e nell'aurora dondolano

croci sovrapposte.

 

Cero, lucerna,

lampione e lucciola.

 

SIVIGLIA

 

 

Siviglia è una torre

piena di eleganti arcieri.

 

Siviglia per ferire.

Cordova per morire.

 

Una città che spia

lunghi ritmi

e li piega

come labirinti.

Come tralci di pergola

incendiati.

 

Siviglia per ferire!

 

Sotto l'arco del cielo,

sulla chiara pianura,

scocca la costante

saetta del suo fiume.

 

Cordova per morire!

 

E folle d'orizzonte,

mescola nel suo vino

l'amarezza di don Giovanni

e la perfezione di Dionisio.

 

Siviglia per ferire.

Sempre Siviglia per ferire!

 

PROCESSIONE

 

 

Lungo la strada vanno

strani unicorni.

Da quale campo,

da quale selva mitologica?

Da vicino

sembrano astronomi,

fantastici maghi Merlini

e l'Ecce Homo,

Durandarte incantato,

Orlando furioso.

 

TRANSITO

 

 

Madonna in crinolina,

vergine della Solitudine,

aperta come un immenso

tulipano.

 

Nella tua barca di luci

vai

sull'alta marea

della città,

tra canti oscuri

e stelle di cristallo.

Madonna in crinolina,

te ne vai

sul fiume della strada

fino al mare!

 

SAETA

 

 

Cristo bruno

si muta

da giglio di Giudea

in garofano di Spagna.

 

Guardatelo di dove viene!

 

Di Spagna.

Cielo terso e nero,

terra bruciata

e canali dove scorre

lentissima l'acqua.

Cristo bruno,

con le chiome bruciate,

gli zigomi sporgenti

e le pupille bianche.

 

Guardatelo dove va!

 

BALCONE

 

 

La Lola

canta saetas.

I toreri

la circondano,

e il barbiere

dalla sua soglia

segue il ritmo

con la testa.

Tra il basilico

e la menta,

la Lola canta

saetas.

La Lola, quella

che si guardava

nella vasca.

 

ALBA

 

 

Come l'amore

i cantori

sono ciechi.

 

Sulla notte verde,

le saetas

lasciano tracce di giglio

caldo.

 

La chiglia della luna

solea nuvole viola

e le faretre

si riempiono di rugiada.

 

Ah, come l'amore

i cantori

sono ciechi!

 

 

GRAFICO DELLA PETENERA    (torna all'indice)

 

 

                                                A Eugenio Montes

 

CAMPANA

BORDONE

 

 

Sulla torre

gialla

chiama una campana.

 

Sul vento

giallo

s'aprono i rintocchi.

 

Sulla torre

gialla

tace la campana.

 

Il vento con la polvere

compone prore d'argento.

 

STRADA

 

 

Cento cavalieri in lutto,

dove andranno,

sotto il cielo piegato

dell'aranceto?

Né a Cordova né a Siviglia

arriveranno.

Né a Granada, che sospira

nel suo mare.

I cavalli sonnolenti

li porteranno

al labirinto delle croci

dove trema una canzone.

Con sette ahi inchiodati,

dove andranno,

i cento cavalieri andalusi

dell'aranceto?

 

LE SEI CORDE

 

 

La chitarra

fa piangere i sogni.

Il singhiozzo delle anime

perdute

sfugge dalla sua bocca

rotonda.

E come la tarantola,

tesse una grande stella

per sorprendere i sospiri

che tremano nella sua nera

cisterna di legno.

 

DANZA

NELL'ORTO DELLA PETENERA

 

 

Nella notte dell'orto

sei gitane

vestite di bianco

danzano.

 

Nella notte dell'orto

incoronate

di rose di carta

e di busnaghe.

 

Nella notte dell'orto,

i loro denti di madreperla

incidono l'ombra

bruciata.

 

Nella notte dell'orto,

le loro ombre si allungano,

e toccano il cielo

viola.

 

MORTE DELLA PETENERA

 

 

Nella casa bianca muore

la perdizione degli uomini.

 

Cento cavalle galoppano.

I loro cavalieri sono morti.

 

Sotto le tremule

stelle dei candelieri,

la sua gonna di moerro trema

fra le cosce di rame.

 

Cento cavalle galoppano

I loro cavalieri sono morti.

 

Lunghe ombre affilate

vengono dal torbido orizzonte

e il bordone di una chitarra

si spezza.

 

Cento cavalle galoppano.

I loro cavalieri sono morti.

 

VARIANTE

 

 

Ah, petenera gitana,

ah, petenera!

Il tuo funerale fu senza fanciulle

buone.

Fanciulle che danno a Cristo morto

le loro chiome,

e portano bianche mantiglie

nelle fiere.

Il tuo funerale fu di gente

sinistra.

Gente con il cuore

nella testa,

che ti seguí piangendo

per le strade.

Ah, petenera gitana,

ah, petenera!

 

DE PROFUNDIS

 

 

I cento innamorati

dormono per sempre

sotto la terra secca.

L'Andalusia ha

lunghe strade rosse.

Cordova, uliveti verdi

dove piantare cento croci,

che li ricordano.

I cento innamorati

dormono per sempre.

 

CLAMORE

 

 

Sulle torri

gialle

rintocchi di campane.

 

Sui venti

gialli

corrono i rintocchi.

 

Lungo una strada va

la morte incoronata

di fiori d'arancio appassiti.

Canta e canta

una canzone

sulla chitarra bianca,

e canta, canta, canta.

 

Sulle torri gialle

tacciono le campane.

 

Il vento con la polvere

compone prore d'argento.

 

 

DUE RAGAZZE    (torna all'indice)

 

 

                                                A Máximo Quijano

 

LOLA

 

 

Sotto un arancio lava

fasce di cotone.

Ha gli occhi verdi

e la voce viola.

 

Ah, amore,

sotto l'arancio in fiore!

 

L'acqua del canale

scorre piena di sole;

nell'oliveto

un passero canta.

 

Ah, amore,

sotto l'arancio in fiore!

 

Quando Lola

avrà finito il sapone

verranno i toreri.

 

Ah, amore,

sotto l'arancio in fiore!

 

AMPARO

 

 

Amparo,

come sei sola nella tua casa,

vestita di bianco!

 

(Equatore tra il gelsomino

e il nardo.)

 

Ascolti i meravigliosi

zampilli del tuo patio

e il debole trillo giallo

del canarino.

 

La sera vedi tremare

i cipressi con gli uccelli,

mentre ricami adagio

lettere sul canovaccio.

 

Amparo,

come sei sola nella tua casa,

vestita di bianco!

Amparo,

e com'è difficile dirti:

ti amo!

 

 

QUADRETTI FLAMENCHI    (torna all'indice)

 

 

                                                A Manuel Torres. «Niño de Jerez»,

                                                dal busto di Faraone

 

RITRATTO DI SILVERIO FRANCONETTI

 

 

Mezzo italiano

e mezzo flamenco,

com'era il canto

di Silverio?

Il denso miele d'Italia

col nostro limone,

scorreva nel pianto profondo

del siguiriyero.

Il suo grido era terribile.

Dicono i vecchi

che si rizzavano

i capelli,

e si apriva il mercurio

degli specchi.

Passava fra i toni

senza infrangerli.

Fu un creatore

e un giardiniere.

Un creatore di pergole

per il silenzio.

 

Ora la sua melodia

dorme con gli echi.

Definitiva e pura.

Con gli ultimi echi!

 

JUAN BREVA

 

 

Juan Breva aveva

corpo di gigante

e voce di bambina.

Nulla di simile al suo trillo.

Era la pena stessa

che cantava

dietro un sorriso.

Evocava i limoneti

di Malaga addormentata,

e c'erano nel suo pianto tracce

di sale marino.

Come Omero cantò

cieco. La sua voce aveva

un non so che di mare senza luce

e di arancio spremuto.

 

CAFFÉ CANTANTE

 

 

Lampade di cristallo

e specchi verdi.

 

Sul palco buio

la Parrala sostiene

una conversazione

con la morte.

La chiama,

non viene,

e torna a chiamarla.

Gli spettatori

bevono i singhiozzi.

E negli specchi verdi

lunghe code di seta

si agitano.

 

LAMENTO DELLA MORTE

 

 

                                                A Miguel Benitez

 

Sul cielo nero

baleni gialli.

 

Venni in questo mondo con gli occhi

e me ne vado senza.

Signore del maggior dolore!

E poi,

un candeliere e una coperta

per terra.

 

Volli arrivare dove

arrivarono i buoni.

E sono arrivato, Dio mio!...

Ma poi,

un candeliere e una coperta

per terra.

 

Limone giallo,

limonero.

Gettate i limoni

al vento.

Lo sapete pure!... Perché

poi,

un candeliere e una coperta

per terra.

 

Sul cielo nero

baleni gialli.

 

SCONGIURO

 

 

La mano contratta

come una Medusa

acceca l'occhio dolente

della lucerna.

 

Asso di bastoni.

Forbici in croce.

 

Sul fiume bianco

dell'incenso c'è

un non so che di talpa

e di farfalla trepida.

 

Asso di bastoni.

Forbici in croce.

 

Stringe un cuore

invisibile, la vedete?

Un cuore

riflesso nel vento.

 

Asso di bastoni.

Forbici in croce.

 

MEMENTO

 

 

Quando morrò

seppellitemi con la mia chitarra

sotto l'arena.

Quando morrò,

tra gli aranci

e la menta.

 

Quando morrò,

seppellitemi, se volete,

in una banderuola.

 

Quando morrò!

 

TRE CITTÀ    (torna all'indice)

 

 

                                                A Pilar Zubiaurre

 

MALAGUEÑA

 

 

La morte

entra ed esce

dalla taverna.

 

Passano cavalli neri

e gente sinistra

nei profondi cammini

della chitarra.

 

E c'è un odore di sale

e di sangue di femmina

nei nardi febbrili

della marina.

 

La morte

entra ed esce,

esce ed entra

la morte

dalla taverna.

 

QUARTIERE DI CORDOVA

TOPICO NOTTURNO

 

 

Nella casa si difendono

dalle stelle.

La notte precipita.

Dentro c'è una bambina morta,

con una rosa rossa

nascosta nei capelli.

Sei usignoli la piangono

alla grata.

 

La gente sospira

con le chitarre aperte.

 

BALLO

 

 

Carmen sta ballando

per le strade di Siviglia.

Ha i capelli bianchi

e le pupille lustre.

 

Ragazze,

tirate le tendine!

 

Sulla sua testa si avvolge

un serpente giallo,

mentre pensa ballando

ai giovani d'altri tempi.

 

Ragazze,

tirate le tendine!

 

Le strade sono deserte

e sul fondo si indovinano

cuori andalusi

in cerca di vecchie spine.

 

Ragazze,

tirate le tendine!

 

 

SEI CAPRICHOS    (torna all'indice)

 

 

                                                A Regino Sainz de la Maza

 

INDOVINELLO DELLA CHITARRA

 

 

Nel rotondo

crocicchio,

sei donzelle

ballano.

Tre di carne

e tre d'argento.

I sogni di un tempo le cercano,

ma le tiene avvinghiate

un Polifemo d'oro.

La chitarra!

 

LUCERNA

 

 

Oh, come medita gravemente

la fiamma della lucerna!

 

Come un fachiro indiano,

guarda le sue viscere d'oro,

e si eclissa sognando

atmosfere immote.

 

Cicogna incandescente

becca dal suo nido

le ombre massicce

e tremante si piega

sugli occhi rotondi

del piccolo gitano morto.

 

NACCHERA

 

 

Nacchera.

Nacchera.

Nacchera.

Scarabeo sonoro.

 

Nel ragno

della mano

arricci l'aria

calda

e ti strozzi nel tuo trillo

di legno.

 

Nacchera.

Nacchera.

Nacchera.

Scarabeo sonoro.

 

FICO D'INDIA

 

 

Laocoonte selvaggio.

 

Come sei bello

sotto la mezzaluna!

 

Multiplo giocator di pelota.

 

Come sei bello,

quando minacci il vento!

 

Dafne e Attis

sanno del tuo dolore.

Inesplicabile.

 

AGAVE

 

 

Polipo pietrificato.

 

Metti cinghie di cenere

al ventre dei monti

e denti formidabili

alle gole dei monti.

 

Polipo pietrificato.

 

CROCE

 

 

La croce.

(Punto fermo

della strada.)

 

Si specchia nel canale.

(Punti sospensivi.)

 

 

SCENA DEL TENENTE COLONNELLO DELLA GUARDIA CIVILE    (torna all'indice)

 

 

(SALA DELLA BANDIERA)

 

 

TENENTE COLONNELLO

            Io sono il tenente colonnello della Guardia Civile.

 

SERGENTE

            Sí.

 

TENENTE COLONNELLO

            E non c'è chi mi smentisca.

 

SERGENTE

            No.

 

TENENTE COLONNELLO

            Ho tre stelle e venti croci.

 

SERGENTE

            Sí.

 

TENENTE COLONNELLO

            Mi ha salutato il cardinal arcivescovo con le sue ventiquattro nappe violette.

 

SERGENTE

            Sí.

 

TENENTE COLONNELLO

            Io sono il tenente. Io sono il tenente. Io sono il tenente colonnello della Guardia Civile.

 

(Romeo e Giulietta, celeste, bianco e oro, si abbracciano sul giardino di tabacco della scatola di sigari. Il militare accarezza la canna d'un fucile pieno d'ombra sottomarina. Una voce fuori.)

 

            Luna, luna, luna, luna,

            del tempo dell'oliva.

            Cazorla mostra la sua torre

            e Benamejí la nasconde.

 

            Luna, luna, luna, luna.

            Un gallo canta nella luna.

            Signor sindaco, le vostre ragazze

            stanno guardando la luna.

 

TENENTE COLONNELLO

            Che cosa succede?

 

SERGENTE

            Un gitano!

 

(Lo sguardo di mulo giovane del gitano oscura e ingigantisce gli occhietti del Tenente Colonnello della Guardia Civile.)

 

TENENTE COLONNELLO

            Io sono il tenente colonnello della Guardia Civile.

 

SERGENTE

            Sí.

 

TENENTE COLONNELLO

            Tu chi sei?

 

GITANO

            Un gitano.

 

TENENTE COLONNELLO

            E che cos'è un gitano?

 

GITANO

            Qualsiasi cosa.

 

TENENTE COLONNELLO

            Come ti chiami?

 

GITANO

            Questo.

 

TENENTE COLONNELLO

            Che cosa dici?

 

GITANO

            Gitano.

 

SERGENTE

            L'incontrai e l'ho portato.

 

TENENTE COLONNELLO

            Dov'eri?

 

GITANO

            Sul ponte dei fiumi.

 

TENENTE COLONNELLO

            Ma di quali fiumi?

 

GITANO

            Di tutti i fiumi.

 

TENENTE COLONNELLO

            E che cosa facevi là?

 

GITANO

            Una torre di cannella.

 

TENENTE COLONNELLO

            Sergente!

 

SERGENTE

            Comandate, tenente Colonnello della Guardia Civile.

 

GITANO

            Ho inventato delle ali per volare e volo. Zolfo e rosa sulle mie labbra.

 

TENENTE COLONNELLO

            Ahi!

 

GITANO

            Benché non abbia bisogno di ali, perché volo senza. Nubi e anelli nel mio sangue.

 

TENENTE COLONNELLO

            Ahi!

 

GITANO

            In gennaio ho fiori d'arancio.

 

TENENTE COLONNELLO (Torcendosi)

            Ahi, ahi, ahi!

 

GITANO

            E aranci nella neve.

 

TENENTE COLONNELLO

            Ahiiii, pun, pin, pam. (Cade morto)

 

(L'anima di tabacco e caffè e latte del Tenente Colonnello della Guardia Civile esce dalla finestra.)

 

SERGENTE

            Aiuto!

 

(Nel cortile della caserma, quattro guardie civili bastonano il gitano.)

 

CANZONE DEL GITANO BASTONATO

 

 

Ventiquattro schiaffi.

Venticinque schiaffi,

poi mia madre, la sera,

mi avvolgerà in carta argentata.

 

Guardie civili della strada,

datemi qualche sorso d'acqua.

Acqua con pesci e barche.

Acqua, acqua, acqua, acqua.

 

Ah, capo delle guardie,

che stai tranquillo nella tua stanza,

non ci saranno fazzoletti di seta

per pulirmi la faccia!

 

5 luglio 1925

 

 

DIALOGO DELL'AMARGO    (torna all'indice)

 

 

(CAMPAGNA)

 

 

UNA VOCE

            Amargo.

            Gli oleandri del mio patio.

            Cuore di mandorla amara.

            Amargo.

 

(Arrivano tre giovani con larghi cappelli.)

 

1° GIOVANE

            Arriveremo tardi.

 

2° GIOVANE

            La notte ci cade addosso.

 

1° GIOVANE

            E l'altro?

 

2° GIOVANE

            Ci segue.

 

1° GIOVANE (Ad alta voce)

            Amargo!

 

AMARGO (Da lontano)

            Vengo.

 

2° GIOVANE (Ad alta voce)

            Amargo!

 

AMARGO (Con calma)

            Vengo!

 

(Pausa)

 

1° GIOVANE

            Che begli ulivi!

 

2° GIOVANE

            Sí.

 

(Lungo silenzio)

 

1° GIOVANE

            Non mi piace camminare di notte.

 

2° GIOVANE

            Neppure a me.

 

1° GIOVANE

            La notte è fatta per dormire.

 

2° GIOVANE

            È vero.

 

(Rane e grilli sono l'aiuola dell'estate andalusa. L'Amargo cammina con le mani alla cintola.)

 

AMARGO

            Ahi, ahi, ahi.

            Io l'ho chiesto alla morte.

            Ahi, ahi, ahi.

 

(Il grido del suo canto mette un accento circonflesso sul cuore di quelli che lo ascoltano.)

 

1° GIOVANE (Da molto lontano)

            Amargo!

 

2° GIOVANE (Lontano, con voce quasi inudibile)

            Amargooo!

 

(Silenzio.)

 

(L'Amargo è solo in mezzo alla strada. Socchiude i grandi occhi verdi e si aggiusta la giacca di fustagno intorno alla vita. Alti monti lo circondano.