Fuggi…. No: sorgigli diritto in faccia,
La mia ripetigli vecchia minaccia,
Con fronte impavida, con voce intiera:
Fucci filologo, frusta e galera.
Poi, se la fulgida ira s’alléni,
Vola a i dolcissimi colli tirreni,
Ove dal facile giogo difese
In contro a borea d’ombra cortese
Svarian le candide magion pe’ clivi
Tra vigne e glauche selve d’olivi.
Ivi di limpida luce piú viva
Riveste l’etere la sacra riva;
E il sole arridere come ad amiche
Pare a le splendide colline antiche,
Quando, partendosi, la favolosa
Cima fesulea tinge di rosa.
De la virginea certa saetta
Ove ancor timido Mugnone affretta [5]
Ad Arno e misero par che lamenti
I mal concessigli abbracciamenti,
Tra il fiume e d’arido monte le spalle
5 Per l’allusione mitologica su ‘l Mugnone, chi non se ne ricordasse vegga il Ninfale fiesolano. A chi poi gli rimprovera l’acerbezza giambica di alcuni di questi versi, come sconveniente alla civiltà odierna, Enotrio, veneratore degli antichi, ricorda quel di C. Trebonio a Cicerone, Famil. , lib. XII: In quibus versiculis si tibi quibusdam verbis
eythyrremonésteros videbor, turpitudo personae eius in quam liberius invehimur nos vindicabit: ignosces etiam
iracundiae nostrae, quae iusta est in eiusmodi et homines et cives. E canticchia quei versi di Lucilio: Virtus, id dare quod re ipsa debetur honori,
Hostem esse atque inimicum hominum morumque malorum,
Contro defensorem hominum morumque bonorum.
Il pian riducesi in poca valle,
E in mezzo a’ nitidi cólti un’ascosa
Da placidi alberi magion riposa.
Ivi, o mio tenue libro, al Chiarini
Chiedi pe’ profughi geni latini,
Chiedi l’ospizio. Vedi: ei la porta
Già t’apre, ed ilare ti riconforta.
Ei di barbarica pelle odorata
Presto la tunica t’avrà comprata,
Cui solchi d’aurei fregi un lavoro
E i lembi nitidi sien tutti ad oro.
O mio carissimo già poverello,
Come or sei splendido, come sei bello!
T’invidia il tenero padre lontano,
Fucci filologo stende la mano.
Ma tu non avido di mutar loco
A l’aure estranee fìdati poco;
Ama de l’ospite ama il ricetto,
O mio carissimo tenue libretto.
II.
A G. C.
IN FRONTE A UNA RACCOLTA DI RIME
PUBBLICATA NEL MDCCCLVII
Forse avverrà, se destro il fato assente
Vóto che surga pio di sen mortale,
Giuseppe, e s’a piú ferma età non mènte
Il prometter di questa audace e frale,
Che in piú libero cielo aderga l’ale,
D’amor, di sdegno e di pietà possente,
Questo verso, che fioco or passa quale
Eco notturna per vallea silente:
Pur caro a me, che del rio viver lasso,
Ma ogn’or di voi, sacre sorelle, amante
Lo inscrivo qui come in funereo sasso:
Pago se alcun dirà — Tra ’l vulgo errante
Che il bel nome latino ha volto in basso
Fede ei teneva al buon Virgilio e a Dante —.
LIBRO I
III.
Peregrino del ciel, garrulo a volo
Tu fuggi innanzi a le stagion nembose,
E vedi il Nilo e nostre itale rose,
Né muti stanza perché muti polo:
Se pur de le lontane amate cose
Cape ne’ vostri angusti petti il duolo,
Né mai flutto inframesso o pingue suolo
Oblio del primo nido in cor ti pose;
Quando l’ala soffermi a’ poggi lieti
Che digradano al mar da l’Apennino
Bianchi di marmi e bruni d’oliveti,
Una casa a la valle ed un giardino
Cerca, e, se ’l nuovo possessor no ’l vieti,
Salutali in mio nome, o peregrino.
IV.
Tu, mesta peregrina, il dolce nido
Lasci e de l’aer nostro il novo gelo:
T’invita più benigno ardor di cielo
E primavera di straniero lido.
E me lasci che tristi ore divido
Pur co ’l dolore onde i lassi occhi velo.
Tornerà tempo che senz’ombra o velo
Si porga l’aer nostro a te piú fido.
Allor candidi soli; allor fiorente
Il colle e il piano; allor tutto d’amore
Ti riconsiglierà soavemente.
Né allor ti sovverrai l’uman dolore
Di che si piange or qui. Non acconsente
Al pianto, e oblia, de’ fortunati il cuore.
V.
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