Subito dopo una dozzina di braccia vigorose lavoravano al

 

muro,  che cadde di schianto.  Il cadavere, già putrefatto in gran

 

parte e incrostato di sangue rappreso,  apparve eretto agli  occhi

 

degli  spettatori.  Sulla  testa,  le  rosse  fauci  spalancate  e

 

l'occhio singolo in fiamme,  si appollaiava la bestia orrenda  che

 

con le sue arti mi aveva sedotto all'assassinio e, con la sua voce

 

accusatrice, consegnato al boia. Avevo murato vivo il mostro nella

 

tomba.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

7. La cassa oblunga.

 

 

Alcuni  anni  fa  prenotai  la  traversata  da  Charlestone (nella

 

Virginia Meridionale) alla  città  di  New  York,  sul  postale  '

 

Indipendenza  ',  comandato  dal  capitano  Hardy.  Avremmo dovuto

 

salpare il quindici del mese  di  giugno,  tempo  permettendo.  Il

 

quattordici  salii  a bordo per sistemare alcuni oggetti nella mia

 

cabina.

 

Là venni a sapere che avremmo avuto a bordo moltissimi  passeggeri

 

fra cui un gran numero di signore.

 

Nell'elenco  le  persone di mia conoscenza erano parecchie e,  fra

 

gli altri nomi,  fui lieto di scoprire quello di  Mister  Cornelio

 

Wyatt,  un  giovane  artista,  per  il quale nutrivo sentimenti di

 

profonda amicizia;  era stato mio compagno di studi all'Università

 

di C., dove eravamo sempre insieme. Aveva il vero temperamento del

 

genio,   ed  era  un  misto  di  misantropia,   di  sensibilità  e

 

d'entusiasmo;  a tali pregi,  poi,  univa il cuore più  ardente  e

 

fedele che abbia mai battuto nel petto di un uomo.

 

Osservai che tre cabine erano intestate a suo nome,  e,  scorrendo

 

di nuovo la lista dei passeggeri,  vidi  che  aveva  prenotato  la

 

traversata  per  sé,  la  moglie  e  due sorelle.  Le cabine erano

 

abbastanza spaziose e fornite ciascuna di due lettini, l'uno sopra

 

l'altro. Tali lettini, certo, erano eccessivamente stretti, da non

 

bastare per più di una persona;  ma  dopo  tutto  non  riuscivo  a

 

comprendere come mai,  per quattro persone,  fossero prenotate tre

 

cabine.

 

A quell'epoca mi trovavo in una di  quelle  cupe  disposizioni  di

 

spirito  che  rendono  un  uomo  anormalmente curioso d'inezie,  e

 

confesso, non senza vergogna,  che,  intorno a questa storia della

 

cabina  in  più,  feci  una  gran quantità di grossolane e assurde

 

congetture.

 

Naturalmente, la cosa non mi riguardava,  ma non per questo tentai

 

di risolvere l'enigma con minore ostinazione.  Alla fine giunsi ad

 

una conclusione che mi fece meravigliare di non  esserci  arrivato

 

prima: "Si tratta di una domestica, naturalmente," mi dissi, "come

 

sono  stato  sciocco  a  non  pensar  prima  ad una soluzione così

 

ovvia!".

 

E allora di nuovo  guardai  la  lista,  ma  vidi  chiaramente  che

 

nessuna  domestica  doveva  accompagnare il gruppo,  anche se,  in

 

realtà,  in un primo tempo si fosse  pensato  di  condurne  una  a

 

bordo;  infatti  le parole "...  e domestica" erano state dapprima

 

scritte e poi cancellate.

 

"Oh!  Sarà per i bagagli,  certamente," dissi allora a me  stesso;

 

"qualche  cosa  che non desidera sia messo nella stiva,  che vorrà

 

tenere sott'occhio - ah, ecco, ci sono! - un dipinto o qualcosa di

 

simile,  e questo deve essere l'oggetto  che  ha  contrattato  con

 

Niccolino,  l'ebreo  italiano." Questa idea mi appagò,  e,  per il

 

momento, calmai la mia curiosità.

 

Conoscevo benissimo le due sorelle di  Wyatt,  che  erano  ragazze

 

graziosissime e intelligentissime.  Invece non avevo mai visto sua

 

moglie che egli  aveva  sposato  da  poco;  l'avevo  però  sentito

 

parlare   di  lei  con  le  sue  solite  maniere  entusiastiche  e

 

descriverla come una donna di una  bellezza,  di un'intelligenza e

 

di un'istruzione eccezionali.

 

Perciò ero veramente curioso di fare la sua conoscenza.

 

Il giorno in cui visitai la nave (il quattordici del mese),  anche

 

Wyatt e la sua compagna la visitavano - così m'informò il capitano

 

- e io rimasi a bordo un'ora in più  di  quanto  avevo  stabilito,

 

nella  speranza  di essere presentato a sua moglie;  ma,  a questo

 

punto giunse un biglietto di scuse: la signora Wyatt era  un  poco

 

indisposta  e  non  sarebbe  salita  a  bordo  che il giorno dopo,

 

all'ora della partenza.

 

L'indomani mi stavo recando da casa verso il molo,  senonché Hardy

 

m'incontrò  e  mi  disse  che  "date  le  circostanze"  (una frase

 

stupida,  ma comoda),  "egli pensava che l''  Indipendenza  '  non

 

avrebbe  salpato  l'àncora  per  un paio di giorni ancora,  e che,

 

quando tutto fosse stato pronto, avrebbe mandato da me qualcuno ad

 

avvertirmi".  La cosa mi parve strana,  perché spirava dal Sud una

 

brezza costante;  ma poiché "le circostanze" non si rivelavano per

 

quanto  cercassi  con  molta  perseveranza  di  farle  uscire  dal

 

mistero,  non  mi  restò  da  far  altro  che  tornarmene a casa a

 

digerire la mia impazienza  con  tutto  comodo.  Passò  circa  una

 

settimana  senza  che  ricevessi  l'atteso messaggio del capitano.

 

Alfine giunse e io corsi a bordo immediatamente;  vi era una  gran

 

folla  di  passeggeri  e  da  per  tutto  il  trambusto  che  è la

 

caratteristica della partenza di una nave.  Il  gruppo  dei  Wyatt

 

arrivò circa dieci minuti dopo di me;  vi erano le due sorelle, la

 

moglie e l'artista,  quest'ultimo in una delle sue abituali  crisi

 

di  misantropia.  Ma  mi  ci  ero  troppo  abituato  per prestarvi

 

particolare attenzione.  A sua moglie  non  mi  presentò  nemmeno,

 

costringendo  a  tale  dovere di cortesia sua sorella Miriam,  una

 

ragazza assai gentile e intelligente,  che  con  poche  affrettate

 

parole ci fece conoscere.

 

La  signora  Wyatt  era accuratamente velata;  e quando sollevò il

 

velo rispondendo al mio inchino, confesso che rimasi profondamente

 

sorpreso.  Ma sarei rimasto sorpreso assai di  più  se  una  lunga

 

esperienza  non  mi  avesse  consigliato di non credere con troppa

 

fiducia ai grandi entusiasmi  del  mio  amico  artista  quando  si

 

abbandonava alla descrizione della grazia femminile.

 

Quando  il  tema  era la bellezza,  sapevo bene con quale facilità

 

egli si lanciasse nelle regioni del puro idealismo.

 

La verità è che io non potevo non  considerare  la  signora  Wyatt

 

come una donna del tutto comune;  se non era proprio brutta, credo

 

che non fosse molto lontana dalla bruttezza.  Era  vestita,  però,

 

con gusto squisito, e poi, ne ero sicuro, doveva essersi cattivato

 

il  cuore del mio amico con le grazie più durature dell'intelletto

 

e dell'anima.

 

Non disse che poche parole ed entrò subito nella sua cabina con il

 

signor Wyatt.

 

A questo punto si risvegliava il mio spirito inquisitivo.  Non  vi

 

era alcuna domestica;  questo era un fatto ormai accertato; perciò

 

mi diedi a cercare i bagagli in soprannumero.  Dopo qualche tempo,

 

giunse  al  molo  un carro con sopra una cassa di pino oblunga che

 

sembrava fosse l'unica cosa che si attendesse dato  che,  dopo  il

 

suo  arrivo,  salpammo e,  in breve,  uscimmo dal porto diretti al

 

largo.

 

La cassa in questione era,  come ho detto,  oblunga;  misurava  in

 

lunghezza  sei  piedi,  in  larghezza  due  e  mezzo;  la osservai

 

attentamente perché mi piace essere esatto.  Tale forma invero era

 

'  caratteristica ';  e appena l'ebbi vista,  mi compiacqui d'aver

 

colto nel segno;  ero giunto alla conclusione,  come si ricorderà,

 

che  i  bagagli  in  soprannumero  del mio amico artista sarebbero

 

stati costituiti da quadri,  o,  almeno,  da  un  quadro;  infatti

 

sapevo che aveva trattato per parecchie settimane con Niccolino; e

 

adesso ecco qui una cassa che, a giudicare dalla forma, non poteva

 

contenere,  con  tutta  probabilità,  nient'altro  che  una  copia

 

dell''Ultima Cena ' di Leonardo: una  copia  di  questa  stessa  '

 

Ultima  Cena  ',  eseguita  a Firenze da Rubini il giovane,  avevo

 

saputo che era da qualche tempo in possesso di Niccolino. Giudicai

 

quindi che il problema era  risolto;  pensando  all'acume  di  cui

 

avevo  dato  prova sogghignai soddisfatto.  Era la prima volta che

 

Wyatt mi nascondeva un segreto della sua arte;  ma,  questa volta,

 

era chiaro che intendeva giocarmi, portando clandestinamente a New

 

York un bel quadro, proprio sotto il mio naso, convinto che io non

 

ne sapessi nulla. Quindi risolsi prima o poi di beffarlo ben bene.

 

Una  cosa  però  m'imbarazzava  un poco;  la cassa non era entrata

 

nella cabina in soprannumero, bensì era stata depositata in quella

 

di Wyatt,  e là,  per di più,  rimaneva sul pavimento  ingombrando

 

quasi   tutta   la   cabina,   senza  dubbio  con  grave  incomodo

 

dell'artista e di sua moglie;  tanto più  che  il  catrame,  o  il

 

colore  con  cui era stata ricoperta di vistose lettere maiuscole,

 

emanava  un  odore  che  la  mia  fantasia  mi   faceva   supporre

 

disgustoso.  Sul  coperchio  erano  marcate  della  parole:  "Miss

 

Adelaide Curtis, Albany, New York. Mittente: Cornelio Wyatt,  Esq.

 

Non capovolgere. Fragile".

 

Io  sapevo  che  Miss Adelaide Curtis di Albany era la madre della

 

moglie dell'artista,  ma poi considerai l'indirizzo come un trucco

 

congegnato apposta per me; ed ero naturalmente sicuro che la cassa

 

e  il  suo  contenuto non sarebbero mai andati oltre lo studio del

 

mio amico misantropo, situato in Chambers Street a New York.

 

I primi tre  o  quattro  giorni  il  tempo  fu  bello,  quantunque

 

avessimo  il  vento  in prua,  poiché,  appena perduta di vista la

 

costa,  girammo in  direzione  nord.  I  passeggeri  erano  quindi

 

eccitati  e socievoli;  ma fra essi devo eccettuare Wyatt e le sue

 

sorelle che continuavano a mostrarsi  rigidi  e  (non  potevo  non

 

pensare) villani verso il resto dei passeggeri.  Del comportamento

 

di Wyatt non mi curavo tanto,  quantunque fosse assorto anche  più

 

del  solito,   e,   anzi,   addirittura  '  funebre  ';  alla  sua

 

eccentricità ero preparato.  Ma per  le  sorelle  non  riuscivo  a

 

trovare  una scusa;  durante la maggior parte del viaggio rimasero

 

nelle loro cabine come recluse, e,  quantunque le sollecitassi più

 

volte  vivamente,  rifiutarono ogni contatto con qualsiasi persona

 

che si trovava a bordo.  La signora Wyatt dal canto suo era  assai

 

più gentile; vale a dire era ciarliera, e a bordo essere ciarlieri

 

non è raccomandazione da poco.

 

Divenne  esageratamente amica della maggior parte delle signore e,

 

con   mia   profonda   meraviglia,    mostrò   una    disposizione

 

inequivocabile  a  civettare con ' gli uomini '.  Ne eravamo tutti

 

assai divertiti: e quasi non so come spiegarmi.  La verità  è  che

 

presto  mi  accorsi che si rideva molto di più di lei che con lei.

 

Gli uomini ne parlavano poco;  ma le signore,  dopo  breve  tempo,

 

sentenziarono   che   "era   una  buona  donna,   d'aspetto  quasi

 

indifferente,  maleducata e,  senza dubbio,  volgare".  La  grande

 

meraviglia  era  come mai Wyatt fosse rimasto preso nella trappola

 

di un simile matrimonio.

 

La ricchezza era per quasi tutti la soluzione del problema,  ma io

 

sapevo che non era così poiché Wyatt mi aveva detto che sua moglie

 

non  gli  aveva  portato un dollaro,  né aveva speranza di doverne

 

ricevere da qualsiasi fonte.

 

L'aveva sposata,  almeno così m'aveva detto,  per amore,  soltanto

 

per amore,  e di tale amore sua moglie era più che degna. Confesso

 

che,  pensando a tali considerazioni da parte del  mio  amico,  mi

 

sentivo  indescrivibilmente imbarazzato.  Possibile che gli stesse

 

dando di volta il cervello? E che altro avrei potuto pensare? Lui,

 

così raffinato, così intellettuale, così incontentabile; dotato di

 

una percezione così squisita nel cogliere il minimo difetto, di un

 

senso così acuto per la bellezza! Certamente,  la signora sembrava

 

avesse  per  lui  un attaccamento speciale - in particolare quando

 

egli era assente - se si rendeva  ridicola  con  l'affermare  ogni

 

momento che questo e quest'altro le era stato detto dal "suo amato

 

consorte Mister Wyatt".

 

La  parola  ' consorte ' era eternamente,  per usare una delle sue

 

delicate espressioni,  eternamente sulla punta della  sua  lingua.

 

Frattanto,  tutti a bordo osservavano che egli la evitava nel modo

 

più palese,  e per lo più si rinchiudeva solo  nella  sua  cabina,

 

dove,  in  realtà,  si  sarebbe  potuto  dire  che  viveva sempre,

 

lasciando a sua moglie piena libertà  di  divertirsi  come  meglio

 

credesse in mezzo alla gente che frequentava la sala centrale.

 

Dopo  quanto  avevo  veduto  e  udito,  la  mia conclusione fu che

 

l'artista per qualche capriccio del destino, o forse in un accesso

 

di passione entusiastica e chimerica,  si fosse indotto a unirsi a

 

una  persona  affatto  inferiore a lui,  e che poi fosse pervenuto

 

alla conseguenza naturale di  tutto  ciò,  un  completo  e  rapido

 

disgusto.

 

Lo  compiangevo  con  tutto  il  cuore,  ma  tuttavia  non  potevo

 

perdonargli la sua diffidenza per me riguardo all'' Ultima Cena ';

 

per questo, decisi di vendicarmi.

 

Un giorno egli salì in coperta,  ed io,  prendendogli un  braccio,

 

secondo  la  mia  abitudine,  cominciai a passeggiare con lui su e

 

giù;   il  suo  tetro  umore  però  (che  consideravo,   date   le

 

circostanze,  affatto naturale) non mi parve migliorato; pronunciò

 

poche parole con accento cupo e con visibile sforzo. Tentai alcune

 

facezie, ed egli fece un debole tentativo di sorridere. Poveretto!

 

Pensando a ' sua moglie ',  mi meravigliavo che avesse il coraggio

 

di  fingere  addirittura  un po' di allegria.  Alla fine tentai un

 

attacco diretto;  decisi di cominciare con  una  serie  di  velate

 

allusioni  o  insinuazioni  intorno alla cassa oblunga,  tanto per

 

fargli capire, a poco a poco, che non ero proprio lo zimbello o la

 

vittima del piccolo imbroglio che aveva così ben  ordito.  La  mia

 

prima  osservazione  fu  una specie di scoprimento delle batterie;

 

dissi qualcosa sulla forma singolare di ' quella cassa '; e,  così

 

dicendo,  ebbi un sorriso d'intesa,  e,  ammiccando, gli puntai un

 

dito sulle costole.

 

Il modo in cui Wyatt accolse questa innocua facezia  mi  convinse,

 

di  colpo,  che  era  pazzo:  prima  mi  guardò  come se gli fosse

 

impossibile comprendere lo spirito della mia osservazione,  ma via

 

via  che il significato d'essa sembrava entrargli nel cervello,  i

 

suoi occhi  parevano  protendersi  dalle  occhiaie;  poi  si  fece

 

scarlatto,  quindi spaventosamente pallido,  e infine, come se ciò

 

che avevo insinuato lo esilarasse tremendamente,  scoppiò  in  una

 

sonora e violenta risata,  che durò, in un continuo crescendo, per

 

una decina di minuti,  e mi lasciò completamente sbigottito.  Alla

 

fine,  cadde  pesantemente  lungo  disteso sul ponte,  e quando mi

 

precipitai per rialzarlo, aveva tutto l'aspetto di un ' morto '.

 

Chiesi aiuto e,  con molta difficoltà,  riuscimmo a richiamarlo in

 

vita;  ma,  siccome anche dopo essere tornato in sé,  continuava a

 

pronunciare  parole  incoerenti,  gli  facemmo  un  salasso  e  lo

 

mettemmo a letto. La mattina seguente, le condizioni di salute del

 

corpo  erano buone,  dello spirito,  naturalmente,  non posso dire

 

nulla.

 

Durante il resto della navigazione lo evitai,  così mi consigliava

 

il capitano,  che condivideva la mia opinione della pazzia del mio

 

amico e che inoltre mi suggerì di non far  parola  del  fatto  con

 

nessuno.

 

Immediatamente  dopo  tale  accesso  di  Wyatt,   si  verificarono

 

parecchie circostanze  che  contribuirono  ad  accentrare  la  mia

 

curiosità;  e,  tra le altre,  questa: avendo i nervi eccitati per

 

aver  bevuto    troppo   forte   che   m'impediva   di   dormire

 

tranquillamente,  trascorsi due notti quasi insonni.  Ora,  la mia

 

cabina dava sulla sala centrale,  o stanza da pranzo,  come  tutte

 

quelle  di  uomini  soli a bordo.  Le tre camere di Wyatt facevano

 

parte delle cabine di poppa e  dalla  sala  centrale  le  separava

 

soltanto  una  sottile  porta  che  non veniva mai chiusa a chiave

 

neppure di notte.  Ora,  poiché avevamo il vento con noi e  questo

 

era  assai forte,  la nave s'inclinava notevolmente;  e ogni volta

 

che il fianco destro era sottovento, la porta scorrevole si apriva

 

e rimaneva aperta, e nessuno pensava di chiuderla. La mia cuccetta

 

era in posizione tale,  che quando la mia cabina  era  aperta  (la

 

lasciavo  sempre  così  per  via del caldo) ed era aperta anche la

 

porta scorrevole di cui ho parlato, potevo vedere distintamente in

 

fondo verso poppa e proprio in quella parte dove stavano le cabine

 

del signor Wyatt.

 

Ebbene, durante le due notti (non consecutive) che rimasi sveglio,

 

vidi  chiaramente  la  signora  Wyatt  verso  le   undici   uscire

 

cautamente   dalla  cabina  di  Wyatt  ed  entrare  in  quella  in

 

soprannumero dove poi rimase sino allo spuntar del giorno,  quando

 

il  marito  la chiamò per farla tornare da lui.  Era dunque chiaro

 

che virtualmente vivevano separati;  in attesa di un divorzio  più

 

duraturo,  occupavano  camere  separate;  questo  (pensai)  era il

 

mistero della cabina in più.

 

Vi fu ancora un'altra circostanza che mi interessò moltissimo.

 

Durante le due notti insonni di cui ho  parlato,  subito  dopo  la

 

scomparsa  della signora Wyatt nell'altra cabina,  fui attirato da

 

certi singolari rumori in quella di suo marito.

 

Dopo averli ascoltati per qualche tempo con  profonda  attenzione,

 

alla fine riuscii a spiegarne la natura. Erano i rumori che faceva

 

l'artista  aprendo con una leva e un martello la cassa oblunga;  i

 

colpi  del  martello  poi,  a  quanto  sembrava,  dovevano  essere

 

attutiti  quasi completamente da qualche sostanza,  lana o cotone,

 

che ne avvolgeva la testa.

 

In tal modo nella mia fantasia distinsi il preciso istante in  cui

 

egli  sollevava  delicatamente  il coperchio;  credetti perfino di

 

poter determinare il momento in cui lo toglieva del tutto e quello

 

in cui lo posava sul lettino  mentre  egli  cercava  di  deporvelo

 

piano,  non  essendovi posto sul pavimento.  A ciò fece seguito un

 

silenzio assoluto,  e non udii nulla,  né la prima né  la  seconda

 

notte, fin quasi all'alba; eccezion fatta per un lieve suono, come

 

di  singhiozzi,  o  un  mormorio  così  soffocato  che  era  quasi

 

impercettibile,   se  non  era  addirittura  prodotto  dalla   mia

 

immaginazione.

 

Dico  che  sembrava  simile  a  un singhiozzo o a un sospiro,  ma,

 

naturalmente,  non poteva essere    l'uno    l'altro  e  credo

 

dovesse essere piuttosto un ronzio dei miei orecchi. Senza dubbio,

 

Wyatt, secondo il suo solito, stava abbandonandosi a una delle sue

 

ubbie,   si   lasciava   trasportare   da  uno  dei  suoi  accessi

 

d'entusiasmo artistico;  aveva aperto la cassa oblunga per offrire

 

alla  propria vista il tesoro che racchiudeva;  in questo però non

 

c'era nulla che dovesse farlo ' singhiozzare '.

 

Ripeto quindi che doveva trattarsi semplicemente  di  uno  scherzo

 

della  mia  fantasia,  sovreccitata dal forte tè del buon capitano

 

Hardy.  Poco  prima  dell'alba,   tutte  e  due  le  notti,   udii

 

distintamente  Wyatt  rimettere il coperchio della cassa oblunga e

 

piantare i chiodi al loro posto per mezzo del martello  imbottito;

 

fatto ciò,  egli uscì dalla cabina completamente vestito, e andò a

 

chiamare la signora Wyatt.

 

Eravamo in navigazione da sette giorni ed ormai a  largo  di  Capo

 

Hatteras, quando un tremendo vento ci assalì.

 

Eravamo  però  abbastanza  preparati  poiché  il  tempo da qualche

 

giorno era minaccioso. Fu fatto tutto il necessario per affrontare

 

la tempesta,  sia sopra che sotto  coperta;  e  siccome  il  vento

 

aumentava, mettemmo in panna con due mani di terzaruolo alla randa

 

di   mezzana   e   al  trinchetto.   In  tale  assetto  procedemmo

 

quarantott'ore abbastanza sicuri.  La nave  si  rivelò  eccellente

 

sotto  molti  punti  di vista e non imbarcò tanta acqua da doverci

 

preoccupare.

 

Al termine  di  tale  periodo  però,  il  fortunale  era  divenuto

 

uragano,  e  la nostra vela di poppa era ridotta in brandelli;  di

 

conseguenza,  ci trovammo talmente spesso nel mezzo  delle  ondate

 

che ricevemmo prodigiosi colpi di mare. In tale accidente perdemmo

 

tre uomini che furono gettati fuori bordo, la cucina e quasi tutto

 

il  parapetto  di  sinistra.  Non  appena riacquistato l'uso della

 

ragione, prima che la controranda andasse a brandelli, alzammo una

 

vela di stallo di fortuna e con questa  reggemmo  abbastanza  bene

 

alcune  ore  poiché  in tal modo la nave prendeva il mare di prora

 

molto più saldamente di prima.

 

Tuttavia  la  tempesta  continuava  e  non  dava  alcun  cenno  di

 

smettere.  Si  trovò  che  il  sartiame  era disposto male e molto

 

forzato;  e  il  terzo  giorno  di  vento,  verso  le  cinque  del

 

pomeriggio, il nostro albero di mezzana, in una rollata improvvisa

 

più forte,  cadde sopra bordo.  Per un'ora e più,  il rollio della

 

nave frustrò ogni nostro tentativo  di  liberarci  dell'albero  e,

 

prima che riuscissimo a farlo, il carpentiere venne ad annunciarci

 

che  nella  stiva  c'erano  quattro  piedi  d'acqua.  Per colmo di

 

sventura,  ci accorgemmo che le pompe erano ostruite e  quasi  del

 

tutto inutili.

 

A  bordo  non  vi  era altro che confusione e disperazione,  ma fu

 

fatto uno sforzo per alleggerire  la  nave  gettando  fuori  bordo

 

tutto ciò che potemmo prendere dal carico e tagliando i due alberi

 

che   rimanevano.   Alfine   ci   riuscimmo,   ma  eravamo  sempre

 

nell'impossibilità di usufruire delle pompe; e intanto l'acqua che

 

entrava aumentava il livello.  Verso il tramonto la violenza della

 

tempesta era sensibilmente diminuita e poiché anche il mare si era

 

un poco calmato, avemmo qualche speranza di poterci salvare con le

 

scialuppe.

 

Alle  otto  pomeridiane  le nubi si squarciarono sotto l'infuriare

 

del vento e avemmo il vantaggio di una luna piena, una fortuna che

 

servì a rincuorare i nostri spiriti depressi.

 

Con una fatica incredibile alla fine riuscimmo a gettar fuori  sul

 

fianco  della  nave la scialuppa a vela senza gravi incidenti;  in

 

questa si accalcò  tutto  l'equipaggio  e  la  maggior  parte  dei

 

passeggeri;  questo primo gruppo si allontanò subito,  e, dopo una

 

fortunosa navigazione,  il terzo giorno dopo il  naufragio  giunse

 

finalmente in salvo a Ocracoke Inlet.

 

Rimanevamo  ancora  a  bordo quattordici passeggeri e il capitano,

 

che  decisero  di  affidare  la  loro  sorte  all'imbarcazione  di

 

salvataggio di poppa. La calammo senza difficoltà, quantunque solo

 

un  miracolo  le  impedisse di affondare nel momento in cui sfiorò

 

l'acqua.  Quando poté essere caricata vi entrarono il  capitano  e

 

sua  moglie,  il signor Wyatt e familiari,  un ufficiale messicano

 

con la moglie e quattro bambini e infine io e un servo negro.

 

Com'è naturale, non vi era posto per nient'altro che gli strumenti

 

assolutamente indispensabili, alcune provviste e le sole vesti che

 

indossavamo.  Nessuno aveva nemmeno pensato di  portare  in  salvo

 

qualcosa.   Immaginatevi   quindi  lo  stupore  di  tutti  quando,

 

allontanatici dalla nave di poco, il signor Wyatt si levò in piedi

 

sulla poppa e chiese tranquillamente  al  Capitano  Hardy  che  la

 

barca tornasse indietro a prendere la sua cassa oblunga!

 

"Sedete,  Mister  Wyatt,"  rispose  il  capitano,  con  una  certa

 

durezza;  "ci rovescerete tutti in acqua se non state  tranquillo!

 

Il bordo va quasi sotto ormai!".

 

"La cassa!" gridò Mister Wyatt,  continuando a stare in piedi; "la

 

cassa, ripeto! Capitano Hardy,  non potete,  non DOVETE rifiutare.

 

Pesa pochissimo,  non pesa nulla,  nulla!  In nome di vostra madre

 

che vi ha dato la vita,  in nome del cielo!  per la salvezza della

 

vostra  anima,  vi  supplico  di  tornare  indietro  a prendere la

 

cassa!".

 

Per un istante il capitano  sembrò  vinto  dall'ardore  di  quella

 

implorazione, ma poi si riprese e disse semplicemente:

 

"Signor  Wyatt,  voi  siete  pazzo.  Io  non  posso darvi ascolto.

 

Sedete, vi dico,  o farete rovesciare la barca!  Fermo!  Tenetelo!

 

Prendetelo! Vuol saltare fuori! Ecco, lo sapevo! E' finito!".

 

Infatti,  mentre il capitano pronunciava queste parole,  il signor

 

Wyatt saltò fuori dalla barca,  e poiché eravamo ancora sottovento

 

del  relitto della nave,  con uno sforzo quasi sovrumano riuscì ad

 

afferrare una corda penzolante.  Un momento dopo era già a bordo e

 

si precipitava freneticamente verso le cabine.

 

Nel frattempo,  eravamo stati spinti verso la poppa della nave,  e

 

non essendo più sottovento,  ci trovammo alla  mercè  di  un  mare

 

tremendo  che ci spingeva sempre.  Compimmo uno sforzo per tornare

 

indietro,  ma la barchetta era come una piuma nella violenza della

 

tempesta.  Si  vide  subito  che il destino dell'artista era ormai

 

suggellato.  Mentre  la  nostra  distanza  dal  relitto  aumentava

 

rapidamente,  il pazzo (poiché non potevamo considerarlo che tale)

 

fu visto tornare in coperta,  dove,  con  uno  sforzo  gigantesco,

 

trascinò la cassa oblunga. Mentre lo contemplavamo attoniti, passò

 

rapidamente  parecchi  giri  di  una  corda  di  tre pollici prima

 

intorno alla  cassa,  poi  intorno  al  proprio  corpo.  L'istante

 

successivo,  tanto  il  suo  corpo che la cassa erano in mare dove

 

scomparivano immediatamente e per sempre.

 

Induggiammo un poco tristemente con gli sguardi  fissi  sul  luogo

 

della  scena;  poi ci allontanammo.  Il silenzio durò ininterrotto

 

per un'ora. Alla fine arrischiai un'osservazione.

 

"Avete visto, Capitano, come sono affondati improvvisamente? Non è

 

stato molto strano?  Confesso d'aver avuto qualche debole speranza

 

che  finisse con il salvarsi quando l'ho visto legare il suo corpo

 

alla cassa e gettarsi in mare".

 

"Naturalmente sono andati a fondo," rispose il Capitano; "e con la

 

rapidità di una fucilata. Torneranno presto a galla, però, 'ma non

 

prima che il sale si sia disciolto'."

 

"Il sale!" esclamai.

 

"Sssst!" fece il Capitano,  indicando la moglie e le  sorelle  del

 

defunto. "Parleremo di queste cose in un momento più opportuno".

 

Ci toccò soffrir molto, e a stento potemmo salvarci; ma la fortuna

 

non ci fu meno favorevole che ai nostri compagni della scialuppa a

 

vela. E finalmente, dopo quattro giorni di gravi disagi, sbarcammo

 

più  morti che vivi sulla spiaggia di fronte all'isola di Roanoke.

 

Restammo là una settimana,  non troppo maltrattati dai  pirati,  e

 

alla fine riuscimmo ad ottenere un passaggio per New York.

 

Circa un mese dopo la perdita dell''Indipendenza ',  incontrai per

 

caso  a  Broadway  il  capitano  Hardy.   Naturalmente  la  nostra

 

conversazione  cadde sul disastro e specialmente sulla triste fine

 

del povero Wyatt.

 

E così appresi i particolari che seguono.

 

L'artista aveva prenotato il passaggio  per  sé,  la  moglie,  due

 

sorelle e una domestica.  Sua moglie era davvero, com'egli l'aveva

 

descritta, una graziosissima e compitissima donna.  La mattina del

 

quattordici  giugno  ( il giorno che io avevo visitato la nave per

 

la prima volta) la signora si era improvvisamente ammalata ed  era

 

morta.  Il  giovane  marito  era  quasi  impazzito dal dolore,  ma

 

imperiose circostanze gli impedirono di rimandare il viaggio a New

 

York;   era  necessario  portare  alla  madre  di  lei  la   salma

 

dell'adorata  moglie;  d'altra  parte  era ben noto il pregiudizio

 

universalmente  diffuso  che  gli  avrebbe  impedito  di  far  ciò

 

apertamente;  infatti,  i  nove  decimi  dei  passeggeri avrebbero

 

abbandonato  la  nave,  piuttosto  che  fare  il  viaggio  con  un

 

cadavere.

 

In  tale  dilemma,  il  capitano Hardy stabilì che la salma,  dopo

 

essere stata parzialmente imbalsamata e chiusa  in  una  cassa  di

 

dimensioni  convenienti,  fosse portata a bordo come merce.  Della

 

morte della signora  non  si  doveva  far  parola;  e  poiché  era

 

risaputo  che Mister Wyatt aveva prenotato il posto anche per lei,

 

fu  necessario  che  qualcuno  dovesse  impersonarla  durante   il

 

viaggio;  ciò che fu persuasa a fare senza difficoltà la cameriera

 

della defunta.  La  cabina  in  più,  che  in  origine  era  stata

 

prenotata per la ragazza, mentre la signora era ancora in vita, fu

 

allora semplicemente conservata;  e in essa, naturalmente, dormiva

 

ogni notte la falsa moglie.  Durante il giorno,  poi,  la  ragazza

 

sosteneva,  con tutta l'abilità di cui era capace,  la parte della

 

signora, la cui persona com'era stato rigorosamente accertato, era

 

sconosciuta a bordo a qualsiasi passeggero.

 

I miei errori avevano avuto origine, abbastanza logicamente, dalla

 

precipitazione,   curiosità  ed  eccessiva  impulsività  del   mio

 

temperamento.   Ma   adesso   mi   accade   di   rado  di  dormire

 

tranquillamente la notte: per quanto  faccia,  ogni  notte  mi  si

 

presenta un volto, ogni notte ai miei orecchi risuona un'isterica,

 

interminabile risata.

 

 

 

7. Il ritratto ovale

 

 

Il castello in cui il mio cameriere personale si era avventurato a

 

entrare forzando una porta anziché permettermi,  gravemente ferito

 

com'ero,  di passare la notte all'addiaccio,  era  una  mole  cupa

 

insieme  e  grandiosa,  di quelle che da tanto tempo adombrano gli

 

Appennini col loro cipiglio  così  ben  descritto  dalla  fantasia

 

della  signora  Radcliffe.  Stando  a tutte le apparenze era stato

 

recentissimamente  abbandonato  in   via   provvisoria.   Noi   ci

 

insediammo  in uno degli appartamenti più piccoli e meno lussuosi,

 

sito in una torricella fuori mano.  Aveva  addobbi  pregevoli,  ma

 

laceri  e  consunti  dall'età.  Alle  pareti erano appesi arazzi e

 

trofei e panoplie d'ogni genere, nonché,  in numero straordinario,

 

animatissimi  quadri  moderni  adorni  di sontuose cornici dorate.

 

Questi quadri,  che tappezzavano i muri non solo  sulle  superfici

 

principali,  ma  anche  in  molte  nicchie  rese  necessarie dalla

 

bizzarra  architettura  del  castello;   questi   quadri   avevano

 

suscitato  in  me  un profondo interesse determinato forse dal mio

 

incipiente delirio;  cosicché  ordinai  a  Pedro  di  chiudere  le

 

massicce  imposte  della stanza - poiché era calata già la notte -

 

di accendere i rami di un alto candelabro posto  a  capo  del  mio

 

letto e di aprire, scostandole al massimo, le frangiate cortine di

 

velluto nero che avvolgevano il letto.  Tutto questo perché volevo

 

potermi abbandonare,  se non al sonno,  almeno alla contemplazione

 

dei  quadri alternata alla lettura di un volumetto,  trovato sotto

 

il guanciale, che ne offriva critica e catalogo.

 

A lungo - a lungo lessi - e con devoto fervore contemplai.  Le ore

 

volavano  rapide  e  gloriose,  e fu mezzanotte.  La posizione del

 

candelabro mi dava fastidio,  e sporgendo la mano  con  difficoltà

 

per  non disturbare il sonno del mio cameriere lo collocai in modo

 

da illuminare il libro più in pieno.

 

Ma quest'atto produsse  un  effetto  completamente  imprevisto.  I

 

raggi  delle  numerose  candele  (poiché ce n'erano molte davvero)

 

andarono a investire una nicchia che una colonna del  letto  aveva

 

finora  tenuto in ombra assoluta.  Scorsi così in una luce viva un

 

quadro che prima  mi  era  del  tutto  sfuggito:  un  ritratto  di

 

fanciulla in pieno sboccio. Diedi al quadro un'occhiata frettolosa

 

e  poi chiusi gli occhi.  Perché lo facessi non fu chiaro dapprima

 

nemmeno a me;  ma mentre le  palpebre  mi  rimanevano  chiuse,  mi

 

andavo  mentalmente  interrogando  per  scoprirne la ragione.  Era

 

stato  un  modo  impulsivo  per  guadagnar  tempo  al  pensiero  -

 

accertarmi  che  la  vista  non  mi  avesse  ingannato - calmare e

 

frenare la mia immaginazione disponendola a uno sguardo più lucido

 

e sicuro. Di lì a pochi momenti tornavo a fissare il dipinto.

 

Che ora vedessi giusto non potevo né volevo  dubitare;  poiché  il

 

primo  bagliore delle candele su quella tela pareva aver dissipato

 

il sognante stupore che mi pervadeva i sensi,  per  riportarmi  di

 

colpo alla veglia cosciente.

 

Era, come ho detto, un ritratto di fanciulla. Solo un mezzo busto,

 

eseguito  con la tecnica dello sfumato che si chiama ' vignette ',

 

molto simile allo stile delle celebri  teste  di  Sully.  Braccia,

 

seno   e   finanche  estremità  della  raggiante  capigliatura  si

 

fondevano impercettibilmente con l'ombra vaga ma densa che formava

 

lo sfondo.  La cornice era ovale,  riccamente dorata e filigranata

 

alla  moresca.  Come  oggetto  d'arte,  nulla  poteva  essere  più

 

ammirevole di quel dipinto.  Ma né la sua fattura    l'immortale

 

bellezza   del   viso  potevano  spiegare  la  subitanea  veemenza

 

dell'emozione che mi aveva assalito.  E meno che mai poteva  darsi

 

che  la  mia immaginazione,  emergendo d'un balzo dal dormiveglia,

 

avesse scambiato la testa per quella di  una  persona  viva.  Vidi

 

subito  che  le  peculiarità  del  disegno,  dello sfumato e della

 

cornice dovevano aver dissipato di colpo simile idea, prevenendone

 

anche un momentaneo perdurare.  Riflettendo intensamente su questi

 

punti,  rimasi forse per un'ora,  un po' seduto e un po' sdraiato,

 

con gli occhi inchiodati sul ritratto.  Finalmente,  accertato  il

 

vero segreto del suo effetto,  ricaddi supino fra le coltri. Avevo

 

ravvisato  la  magia   del   dipinto   in   un'assoluta   FEDELTA'

 

dell'espressione  AL  VERO,  che dopo avermi sbalordito,  finì per

 

confondermi,  soggiogarmi e sgomentarmi.  Con  timore  profondo  e

 

reverente  rimisi il candelabro nella posizione di prima.  Esclusa

 

così dalla vista la causa della mia  profonda  agitazione,  cercai

 

ansiosamente  il  volume  che  trattava  dei  quadri  e della loro

 

storia.  Aprendo il numero che designava  il  ritratto  ovale,  vi

 

lessi le vaghe ma strane parole che seguono:

 

"Era  una  fanciulla  di  rara  bellezza,  e non meno gioconda che

 

leggiadra.  E malaugurata fu l'ora in cui vide,  amò  e  sposò  il

 

pittore. Lui, appassionato, studioso, austero, già aveva una sposa

 

nella sua Arte;  lei,  fanciulla di rarissima bellezza, era di una

 

giocondità pari alla sua  leggiadrìa:  tutta  luce  e  sorrisi,  e

 

scherzosa come una cerbiatta: piena d'amore e di cura per tutte le

 

cose,  odiava  soltanto  l'Arte  come  sua  rivale:  temendo  solo

 

tavolozza e pennelli e altri ostici arnesi che  le  toglievano  la

 

presenza  del  suo  amato.  Fu quindi terribile per questa signora

 

sentir parlare il pittore del suo desiderio di ritrarre  anche  la

 

propria  giovane  moglie.  Ma  essa era umile e obbediente,  e per

 

molte settimane posò nell'alta e buia camera della torricella dove

 

solo dall'alto la luce filtrava sulla pallida  tela.  Ma  lui,  il

 

pittore,  si gloriava dell'opera sua, che proseguiva di ora in ora

 

e di giorno in giorno.  Ed era un  uomo  passionale,  selvaggio  e

 

balzano,  che si perdeva in fantasticherie; così da NON VEDERE che

 

la luce spettrale  di  quella  torre  solitaria  minava  salute  e

 

spirito  della  sua  giovane sposa,  condannata a languire in modo

 

visibile a tutti tranne che  a  lui.  Eppure  essa  insisteva  nel

 

sorriso,  senza  lamenti,  vedendo che il pittore (artista famoso)

 

traeva, dal proprio attivo impegno, un piacere fervido e ardente e

 

lavorava giorno e notte per dipingere colei che tanto lo amava, ma

 

che giornalmente perdeva animo e forze.  E in  verità  alcuni  che

 

videro  il  ritratto parlarono della sua somiglianza a voce bassa,

 

come di un grande portento,  che comprovasse non meno la  maestrìa

 

del   pittore  che  il  suo  profondo  amore  per  la  donna  così

 

insuperabilmente ritratta.  Ma alla  fine,  avvicinandosi  l'opera

 

alla  sua  conclusione,  nessuno  fu più ammesso nella torricella;

 

poiché il pittore si era invasato  del  suo  lavoro,  e  raramente

 

stornava gli occhi dalla tela, quand'anche per guardare il viso di

 

sua  moglie.  E non RIUSCIVA a vedere che i colori da lui spalmati

 

sulla tela erano attinti alle guance di chi gli sedeva accanto.  E

 

quando,  trascorse  molte  settimane,  pochissimo  restava da fare

 

tranne una pennellata sulla bocca e un grano di colore all'occhio,

 

lo spirito della signora guizzò di bel nuovo come la fiamma  della

 

lucerna.  E allora la pennellata fu applicata,  e messo a segno il

 

colore; e per un attimo il pittore stette rapito davanti all'opera

 

compiuta; ma subito, mentre ancor guardava,  tremò e impallidì,  e

 

attonito  esclamando  a  gran  voce:  "Questa  è  proprio  la VITA

 

stessa!" si volse repentinamente  a  guardare  l'amata:  ESSA  ERA

 

MORTA!

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

8.