Re Giovanni

WILLIAM SHAKESPEARE

 

 

 

 

 

 

 

 

RE GIOVANNI

 

Dramma storico in 5 atti

 

 

 

 

 

 

Traduzione e note di Goffredo Raponi

 

 

 

 

 

 

 

 

Titolo originale: “THE LIFE AND DEATH OF KING JOHN”

 

NOTE PRELIMINARI

 

 

1) Il testo inglese adottato per la traduzione è quello dell’edizione curata dal prof. Peter Alexander (William Shakespeare - The Complete Works, Collins, London & Glasgow, 1960, pagg. XXXII, 1376) con qualche variante suggerita da altri testi, in particolare quello della più recente edizione dell’”Oxford Shakespeare“ curata da G. Taylor e G. Wells per la “Clarendon Press”, New York, U.S.A, 1994, pagg. XLIX, 1274). Quest’ultima comprende anche “I due cugini” (“The Two Kinsmen“) che manca nell’Alexander.

Alcune didascalie sono state aggiunte dal traduttore di sua iniziativa quando sia apparso indispensabile ai fini di una migliore comprensione dell’azione scenica alla lettura, cui questa traduzione è essenzialmente concepita ed intesa.

 

2) S’è mantenuto, all’inizio di ogni scena, il prammatico tradizionale “Entra”/ “Entrano”, che ripete l’”Enter“, del testo, avvertendo tuttavia - sempre con riguardo alla comprensione dell’azione scenica alla sola lettura - che tale dizione non sempre indica che i personaggi al momento dell’apertura della scena: vi si possono già trovare, in vario atteggiamento, come nella prima scena del II atto, nella prima del IV, nella seconda del V. La reciproca vale per la dizione ”Exit”/ “Exeunt“ al termine della scena.

 

3) I nomi dei personaggi e dei luoghi sono stati, per quanto possibile, italianizzati.

 

4) Il metro è l’endecasillabo sciolto, intercalato da settenari. Altro metro si è usato nelle poche occasioni in cui s’è dovuto rendere citazioni, strofette, strambotti, ecc., e la sintonia con il testo abbia richiesto uno stacco di stile.

 

5) Il traduttore riconosce d’essersi avvalso di traduzioni precedenti - in particolare della prima versione poetica di Giulio Carcano, e di quelle del Baldini, del Lodovici, del Melchiori, del D’Agostino, del Lombardo e di altre, dalle quali ha preso in prestito intere frasi e costrutti, e interpretazione di passi oscuri e controversi, dandone opportuno credito in nota.

 

PERSONAGGI

 

 

 

RE GIOVANNI

LA REGINA ELEONORA, vedova di Enrico II, sua madre

IL PRINCIPE ENRICO, suo figlio

BIANCA DI SPAGNA, sua nipote

 

COSTANZA, vedova di Goffredo Plantageneto

ARTURO, duca di Bretagna, suo figlio

 

Pari d’Inghilterra: IL CONTE DI PEMBROKE

IL CONTE DI ESSEX
IL CONTE DI SALISBURY
LORD BIGOT

 

UBERTO DE BOURGH, gentiluomo fido di Re Giovanni

 

ROBERTO FAULCONBRIDGE, figlio di Sir Roberto Faulconbridge

FILIPPO FAULCONBRIDGE, suo fratellastro, detto IL BASTARDO

LADY FAULCONBRIDGE, loro madre, vedova di Sir Roberto Faulconbridge

GIACOMO GURNEY, gentiluomo al servizio di Lady Faulconbridge

 

RE FILIPPO DI FRANCIA

IL DELFINO LUIGI, suo figlio

 

LIMOGES, duca d’Austria

 

IL CARDINALE PANDOLFO, legato del papa

 

CHATILLON, ambasciatore di Francia presso Re Giovanni

 

IL CONTE DI MELUN, nobile francese

 

DUE SGHERRI, al servizio di Uberto de Bourgh

 

Nobili inglesi e francesi - Cittadini di Angers - Uno Sceriffo - Araldi - Guardie - Soldati - Messaggeri - Persone del seguito

 

SCENA: in Inghilterra e in Francia

 

ATTO PRIMO

 

 

SCENA I - Southampton, sala nel palazzo di Re Giovanni

 

Entrano RE GIOVANNI, la REGINA ELEONORA, PEMBROKE,

ESSEX, SALISBURY e CHATILLON

 

RE GIOVANNI - Allora, Chatillon, dite, che vuole

Francia da noi?

CHATILLON - Così il re di Francia,

dopo avervi mandato il suo saluto,
parla per il mio mezzo alla maestà
- maestà d’accatto - del re d’Inghilterra.

ELEONORA - “Maestà d’accatto”… Stravagante esordio!


GIOVANNI - Silenzio, madre, udiamo l’imbasciata.


CHATILLON - Filippo re di Francia,

nel legittimo nome e nel diritto
del figlio del fratello tuo Goffredo,
defunto, Arturo dei Plantageneti,
accampa la giustissima pretesa
al possesso di quest’isola bella
e dei dominii d’Irlanda, Poitou,
Angiò, Turenna e Maine;
e t’invita a deporre quella spada
che quelle terre tiene in suo dominio
da usurpatrice, e rassegnarla in pace
nelle mani del tuo nipote Arturo,
loro legittimo signore e re.

GIOVANNI - Che seguirà, se glielo rifiutiamo?


CHATILLON - L’orgogliosa risposta

d’un’infuocata e sanguinosa guerra,
per affermar di forza quel diritto
di forza a lui carpito.

GIOVANNI - E noi risponderemo guerra a guerra,

e sangue a sangue, e violenza a violenza.
Così rispondi al Francia da mia parte.

CHATILLON - Quand’è così, ricevi per mia bocca

la sfida del mio re,
che disbriga così la mia ambasciata.

GIOVANNI - E tu portagli indietro quella mia;

ma sii veloce nel recarla, rapido
come folgore che gli baleni agli occhi,
ché, avanti che gli giunga il tuo rapporto,
potrò esser già là, e potrete udire
il tuono delle mie artiglierie.
Parti, sii tromba della nostra collera
e della vostra sicura disfatta.
(Ai nobili presenti)
Lo si accompagni con tutti gli onori
Pembroke, provvedi tu alla bisogna.
Buon viaggio, Chatillon!

(Escono Chatillon e Pembroke)

ELEONORA - E adesso, figlio?… Io l’ho sempre detto

che quella pretenziosa di Costanza
non avrebbe cessato di tramare
fintanto che non fosse riuscita
ad aizzare il Francia e tutto il mondo
a sostener la causa di suo figlio!
Tutto ciò si poteva prevenire
e pacificamente sistemare
per mezzo di amichevole negozio;
ed ecco che ora i capi di due regni
si vedranno costretti ad arbitrarlo
con un verdetto orribile e cruento.

GIOVANNI - Il saldo mio possesso e il mio diritto

stanno per noi.

ELEONORA - Il saldo tuo possesso,

ben più che il tuo diritto,
o per noi due sarebbe torto marcio,
ti sussurra all’orecchio
la mia coscienza… e che nessuno l’oda
all’infuori del cielo e di noi due.

Entra uno SCERIFFO e sussurra qualcosa a Essex

ESSEX - Sire, c’è qui per voi, dalla contea,

una querela, la più stravagante
mai sottoposta alla vostra giustizia.
Volete che introduca i contendenti?

GIOVANNI - Vengano pure avanti.


(Esce lo Sceriffo)
(Alla madre)
Saranno i priorati e le abbazie
a far le spese della spedizione. [7]

Rientra lo SCERIFFO accompagnando ROBERTO FAULCONBRIDGE e FILIPPO suo fratello bastardo

GIOVANNI - (Al Bastardo)

Chi sei tu?

BASTARDO - Un fedele vostro suddito,

un gentiluomo del Northamptonshire,
e primogenito, così suppongo,
di sir Roberto Faulconbridge,
un soldato creato cavaliere
sul campo dalla mano dispensiera
di re Cuor-di-leone.

GIOVANNI - (A Roberto)

E tu chi sei?

ROBERTO - Di quello stesso Faulconbridge il figlio

ed erede.

GIOVANNI - Lui figlio primogenito,

e tu l’erede? Dalla stessa madre
non siete nati allora, a quanto pare.

BASTARDO - Sicurissimamente dalla stessa,

possente sire… questo è risaputo,
e dallo stesso padre, come penso.
Ma per saper di ciò con più certezza,
io vi rimando al cielo od a mia madre;
perché al riguardo nutro qualche dubbio,
come può averlo ogni nato da donna.

ELEONORA - Che dici, scostumato!

Tu getti la vergogna su tua madre
e ferisci il suo onore
col far mostra di tale diffidenza!

BASTARDO - Io, signora? Io no, non ne ho motivo.

È mio fratello, invece,
che proprio su tal fatto mi querela;
e se riuscirà a dimostrarlo,
mi soffierà la discreta sommetta
di circa cinquecento ghinee l’anno.
Per quanto mi riguarda,
che Dio conservi l’onore a mia madre,
e a me la rendita delle mie terre.

GIOVANNI - Ha la lingua ben sciolta, il giovanotto!

(Al Bastardo)
Ma com’è che, più giovane di te,
pretende lui la tua eredità?

BASTARDO - Non so, gli faran gola le mie terre.

Vero è che più di qualche volta, già,
m’ha rinfacciato d’essere un bastardo;
ma ch’io sia stato concepito o no
conforme a legge, sta in capo mia madre;
s’io sia stato però ben concepito,
mio sovrano - e beate siano l’ossa
che di tanto si presero il disturbo -
vogliate confrontar le nostre facce
e siatene poi giudice voi stesso.
Se è vero che a generarci entrambi
è stato proprio il vecchio Sir Roberto
e questo figlio rassomiglia a lui,
o vecchio Sir Roberto, padre mio,
io ringrazio in ginocchio il Padreterno
che non m’ha fatto somigliante a te!

GIOVANNI - (Alla madre)

Oh, ma vedete un po’ che testa matta
ci doveva mandar stamane il cielo!

ELEONORA - Qualche cosa, però, egli ce l’ha,

nel viso come nel tono di voce,
del mio Cuor-di-leone.
Non ravvisi tu tratti di mio figlio
nell’impianto robusto del suo corpo?

GIOVANNI - Altroché: l’ho scrutato attentamente

da ogni parte: è identico a Riccardo!
(A Roberto)
Amico, parla: che cosa ti muove
a reclamare legittimamente
da questo tuo fratello le sue terre?

BASTARDO - Lui dice ch’è il profilo di mio padre,

ch’egli ha nella sua faccia,
e vantando questa sua mezza faccia
pretende avere tutta la mia terra;
un soldo di profilo
per cinquecento sterline di rendita.

ROBERTO - Vostro fratello, Sire,

nel tempo che mio padre è stato in vita
ebbe molto ad usar dei suoi servigi….

BASTARDO - Bene, signore, ma non puoi con ciò

reclamar la mia terra:
di’ a lui piuttosto come suo fratello
ebbe ad usare della nostra madre.

ROBERTO - … ed una volta lo inviò in Germania

ambasciatore a quell’imperatore
importanti questioni di Stato.
Di questa assenza di mio padre il re
profittò per restar tutto quel tempo
a soggiornare nella di lui casa,
dove ho vergogna a dire come ha fatto
a prendere il suo posto con mia madre.
Ma quel ch’è vero è vero.
Grandi distanze di mari e di terre
separavan mio padre da mia madre
quando questo faceto signorino
fu concepito. E sul letto di morte,
mio padre lasciò a me, con testamento,
le sue terre, e giurò sulla sua morte
non esser suo questo figlio da sua moglie
partorito; ché se lo fosse stato,
sarebbe nato prematuramente
di quattordici buone settimane
sul tempo stabilito da natura.
Perciò, mio buon sovrano,
fate che venga a me quello ch’è mio,
ovverossia le terre di mio padre,
come da lui disposto in testamento.

GIOVANNI - Mio buon amico, questo tuo fratello

è legittimamente tuo fratello;
e questo per il semplice motivo
che colei ch’era moglie di tuo padre
lo partorì in virtù di matrimonio;
e s’ella fu infedele a suo marito,
la colpevole è lei; ma d’una colpa
che fa parte dei rischi abituali
di tutti gli uomini che prendon moglie.
Dimmi, che ne sarebbe derivato
se mio fratello che, come tu dici,
si disturbò ad avere questo figlio,
l’avesse reclamato come suo?
In coscienza, tuo padre, buon amico,
avrebbe ben potuto far valere,
contro l’intero mondo il suo diritto
di tenersi per sé questo vitello
nato dalla sua vacca. Ed in quel caso,
malgrado fosse stato generato
da mio fratello, questi in nessun modo
avrebbe mai potuto reclamarlo;
alla stessa maniera che tuo padre
non avrebbe potuto disconoscerlo
per non averlo generato lui.
In conclusione: il figlio di tua madre
impersona l’erede di tuo padre;
e colui ch’è l’erede di tuo padre
deve avere le terre di tuo padre.

ROBERTO - Allora il testamento di mio padre

non è atto di volontà bastante
a spossessar questo figlio non suo?

BASTARDO - Non più bastante di quanto fu in lui,

credo, la volontà di generarmi.

ELEONORA - (Al Bastardo)

Ma dimmi, tu che cosa preferisci:
restare, come tuo fratello, un Faulconbridge,
e posseder le terre di tuo padre,
o dirti figlio di Cuor-di-leone,
signore solo della tua persona,
e del tuo nome, e di nessuna terra?

BASTARDO - Signora, se mai fosse,

che mio fratello avesse il mio sembiante
ed io avessi il suo, e come lui
io somigliassi in tutto a Sir Roberto,
e avessi le sue gambe, due frustini,
e le sue braccia, due pelli d’anguilla
imbottite; e la faccia sì affilata
da non potermi appuntare all’orecchio
una rosa, per tema che la gente
vedendomi dicesse: “Guarda un po’
come se ne va in giro quel Tressoldi!”;
e se pur io, plasmato in questa forma,
fossi erede di tutta l’Inghilterra,
non vorrei muovere un passo da qui
se non sarei disposto a darla via
fino all’ultimo palmo di terreno
per aver la mia faccia.
A nessun costo al mondo vorrei essere
un “Mastro Mammalucco”.

ELEONORA - Tu mi piaci.

Non te la sentiresti, dimmi un po’,
di lasciar perdere le tue sostanze,
lasciare a lui le terre e seguir me?
Io son ora soldato,
e m’appresto a partire per la Francia

BASTARDO - Fratello, tienti pure le mie terre.

Io vado al seguito della ventura.
Quella tua faccia ti fa guadagnare
cinquecento sterline d’annua rendita,
e sarebbe pagata già a buon prezzo
se trovassi a rivenderla a tre soldi!
(A Eleonora)
Ebbene, sì, signora, io vi seguo.
Fino alla morte…

ELEONORA - Eh, no, caro, un momento:

là preferisco che tu mi preceda.

BASTARDO - La nostra rusticana educazione

ci prescrive di dar la precedenza
ai nostri superiori, in ogni caso.

GIOVANNI - Come ti chiami?


BASTARDO - Filippo, mio sire,

di primo nome: figlio primogenito
della moglie del vecchio sir Roberto.

GIOVANNI - D’ora innanzi tu porterai il nome

di colui di cui porti anche l’aspetto:
inginòcchiati qui come Filippo,
e riàlzati poi fatto più grande
come Riccardo dei Plantageneti.

(Filippo s’inginocchia. Re Giovanni gli tocca la spalla col piatto della spada, e lo investe cavaliere).

BASTARDO - (A Roberto)

Fratello mio per parte di mia madre,
qua diamoci la mano: il padre mio
dà a me l’onore della nobiltà,
il tuo a te le terre. E benedetta
l’ora ch’io fui, che fosse giorno o notte,
concepito, e tuo padre Sir Roberto
ebbe idea di stare via da casa!

ELEONORA - Un vero spirito Plantageneto!

Riccardo, io son tua nonna.
Così devi chiamami, d’ora innanzi.

BASTARDO - Per volere del caso, mia signora,

non per la via legale. Ma che importa?
(Cantilenando)
“Un po’ fuori di via, un po’ all’intorno,
“per finestra o portello,
“chi non ardisce andarsene di giorno,
“di notte è bello;
“ed una volta avuto,
“non importa in che modo ricevuto.
“Se da lontano o da presso lo scocchi,
“e per caso l’imbrocchi,
“l’hai sempre ben scoccato.
“Ed io son io, comunque generato.”

GIOVANNI - (A Roberto)

Va’, Faulconbridge, or hai quel che volevi:
va pure: un cavaliere senza terra
ti fa signore e padrone di terre.
Andiamo, madre, ed anche tu, Riccardo:
ci dobbiamo affrettare per la Francia;
per la Francia, non c’è tempo da perdere.

BASTARDO - Fratello, addio. T’assista la fortuna,

dal momento che fosti generato
con il crisma dell’onestà di letto.

(Escono tutti meno il Bastardo)

Eccomi dunque, quanto a nobiltà,
un palmo più di prima,
ma molti palmi meno quanto a terre.
Beh, ora posso far d’una donnetta
una lady… “Buongiorno, sir Riccardo…”
“Oh, brav’uomo, che Dio ve ne rimeriti…”;
e se il “brav’uomo” si chiamerà Giorgio,
io, nel rispondergli, lo chiamo Pietro;
ché non s’addice ad un neo-titolato
di ricordarsi i nomi della gente
con cui gli càpiti di conversare:
segno, se no, di troppo confidenza
e d’eccessiva considerazione.
Ora alla mensa della mia signoria
siederà, immagino, il gran viaggiatore
col suo stuzzicadenti fra le labbra,
ed io col mio cavalleresco ventre
più che abbondantemente rimpinzato,
dopo una bella succhiatina ai denti,
mollemente appoggiato sul mio gomito
comincerò così a punzecchiare
a domanda e risposta quel mio uomo
conoscitore di molti paesi:
“Vorrei pregarvi, mio caro signore…”
e qui la mia Domanda,
cui pronta seguirà, da parte sua,
come in un sillabario, la Risposta,:
“Oh, signor mio, vi pare! Figuratevi!
“Agli ambitissimi vostri comandi!
“Disponete di me come vi piaccia!
“Sempre al vostro servizio.” - “No, signore” -
ribatterà a sua volta la Domanda -
“son io sempre alla vostra…” E così via,
senza che la Risposta sappia mai
quello che vuole sapere la Domanda,
solo scambiandosi salamelecchi,
e di nient’altro parlando che d’Alpi,
d’Appennini, di Pirenei, del Po,
fino alla conclusione della cena.
Ma questa è l‘“adorata società”
che del resto benissimo s’adatta
ad uno come me che ha l’ambizione
di salir sempre più alto possibile;
ed è figlio bastardo del suo tempo
chi non sa assaporare il dolce gusto
dell’osservanza del salamelecco:
io, che tal gusto sappia assaporare
oppure no, sempre bastardo resto,
e non solo per abito e contegno,
per forma e per costume,
ma per impulso interiore dell’animo
che mi proibisce d’andar propinando
al palato dei miei contemporanei
quel dolce, dolce e poi dolce veleno
che sempre fu la smanceria ipocrita.
Mi propongo però di ben apprenderla,
per adoprarla non ad ingannare
ma ad evitare d’essere ingannato,
perché di quella troverò cosparsi
tutti i gradini della mia salita.
Ma chi sarà questa cavallerizza
che viene tanto in fretta a questa volta?
Non ha un marito che si dia la pena
d’annunciarne l’arrivo con un corno?

Entrano LADY FAULCONBRIDGE e Giacomo GURNEY

Oh, è mia madre!… Che c’è, madre mia?
Che cos’è che vi mena in tanta fretta
qui a palazzo?

 

LADY FAULCONBRIDGE - Dov’è quel mascalzone

di tuo fratello? Dov’è quell’infame
che va dando la caccia all’onor mio
di qua e di là?

 

BASTARDO - Roberto, mio fratello?

Il figliolo del vecchio sir Roberto?
Quel gigante Colbrand, quel robustone,
figlio di sir Roberto? Lui cercate?

LADY FAULCONBRIDGE - Figlio di sir Roberto, sì, ragazzo,

senza che fai così lo spiritoso!
Di sir Roberto, sì, che c’è da ridere?
Figlio di sir Roberto, come te!

BASTARDO - Giacomo Gurney, vuoi lasciarci soli

un momento?

GURNEY - Ma certo, caro Flip.


BASTARDO - Sì, proprio Flip il passerotto, Giacomo.

Ci sono cose divertenti in giro,
te ne dirò di più fra qualche istante.

(Esce Gurney)

Signora madre, io non sono figlio
del vecchio sir Roberto.
Sir Roberto poteva anche mangiarsi
tutto quello che di sua carne e sangue
è in me, senza interrompere il digiuno
in un Venerdì Santo.
Sì, diciamolo, insomma, per la Vergine!
Sarebbe stato buono sir Roberto
a procreare uno come me?
Certo no: conosciamo i suoi prodotti.
Perciò, mia buona madre,
chi è l’uomo al quale sono debitore
di questa impalcatura? Sir Roberto
mai avrebbe potuto darvi mano
a forgiare una gamba come questa.

LADY FAULCONBRIDGE - Sei d’accordo anche tu con tuo fratello?

Tu che dovresti, nel tuo interesse,
difendere l’onore di tua madre?
Che significa questo tuo dileggio,
ragazzaccio sfrontato?

BASTARDO - Cavaliere, signora, cavaliere!”

Sì, cavaliere, come Basilisco,
Creato con il colpo sulla spalla
della spada, che ancora me lo sento.
Insomma, buona madre,
di sir Roberto io non sono figlio,
e l’ho disconosciuto come padre;
le mie terre, il mio nome,
la legittimazione e tutto il resto,
tutto finito. Perciò, madre mia,
fate ch’io sappia chi è stato mio padre.
Un gagliardone, spero. Chi fu, madre?

LADY FAULCONBRIDGE - Hai rinnegato d’essere un Faulconbridge?


BASTARDO - E con la stessa fede

con cui potrei pur rinnegare il diavolo.

LADY FAULCONBRIDGE - Cuor-di-leone è stato il padre tuo.

Dopo lunga e veemente assiduità,
da lui io fui sedotta,
e m’indussi ad accoglierlo nel letto
di mio marito. Storni da me il cielo
la colpa d’una tale trasgressione.
Tu sei il frutto di quel mio peccato
che mi travolse con tanta violenza
da annullare qualunque mia difesa.

BASTARDO - Per la luce del giorno, madre mia,

ti giuro che, se dovessi rinascere,
non saprei augurarmi miglior padre!
Certi peccati scendon sulla terra
come benedizioni; e così il vostro.
Non vi fa reproba la vostra colpa,
se, costretta dalla necessità,
doveste offrire a lui il vostro cuore
come tributo d’una sudditanza
all’amore infrenabile d’un uomo
contro la cui furiosa e invitta forza
non fu in grado di sostener la lotta;
nemmeno l’imperterrito leone
riuscì a salvare il cuore
dalla possente mano di Riccardo.
Uno che strappa il cuore ad un leone
può facilmente vincere di forza
il cuore di una donna.
D’un tal padre ti debbo ringraziare,
madre, con tutto il cuore.
E chiunque tra i vivi venga a dirmi
che avete fatto male a generarmi
così come m’avete generato,
io gli spedisco l’anima all’inferno.
Venite, mia signora,
vi voglio presentare i miei parenti;
essi sicuramente vi diranno
che se vi foste negata a Riccardo
quando mi ha generato,
quello sarebbe stato, sì, peccato.
E così dico e ripeto pur io,
e chi dice il contrario è un mentitore.

(Escono)

 

ATTO SECONDO

 

SCENA I - In Francia, sotto le mura di Angers.

 

Entrano, da opposte parti, LIMOGES DUCA D’AUSTRIA con soldati e vessilli, e FILIPPO RE DI FRANCIA con il DELFINO LUIGI, COSTANZA, ARTURO e soldati.


FILIPPO - Bene incontrato davanti ad Angers,

nobile Austria.
(Al nipote)
Arturo, quel tuo avo
illustre che rubò il cuore a un leone
e combatté crociato in Palestina
fu per mano di questo prode Duca
sospinto innanzitempo nella tomba;
ed egli ora, a fare di ciò ammenda
in faccia alla di lui posterità,
è qui venuto a dispiegare al vento,
ragazzo, i suoi stendardi in tuo favore,
e a castigar con noi l’usurpazione
di Giovanni, tuo snaturato zio.
E dunque abbraccialo con molto affetto,
e dagli il benvenuto in mezzo a noi.

ARTURO - Dio vi perdonerà, Duca, la morte

data a Cuor-di-leone,
tanto più per la vita che ora a rendere
voi qui venite alla sua discendenza,
col proteggere il loro buon diritto
all’ombra delle vostre ali di guerra.
Io vi do’ il benvenuto
con una mano priva di potere
ma con un cuore ricolmo d’affetto
genuino e sincero. Benvenuto,
Duca, davanti alle porte di Angers.

FILIPPO - Ah, nobile ragazzo…

Chi non vorrebbe renderti giustizia?

AUSTRIA - (Baciando Arturo)

Sulla tua guancia questo caldo bacio
io depongo, a simbolico suggello
di questo impegno della mia amicizia:
ch’io non farò ritorno al mio paese
finché Angers e i tuoi diritti in Francia,
insieme a quella pallida costiera
da lungi biancheggiante la cui proda
respinge i flutti del ruggente oceano
ed i suoi isolani tien lontani
dall’altre terre, l’Inghilterra, dico,
che, cinta dalla sua marina siepe,
protetta da quel suo baluardo d’acqua
se ne sta fiduciosa e confidente
da mire forestiere; finché, dico,
quell’angolo remoto d’occidente
non t’acclami suo re, caro ragazzo,
non penserò di far ritorno a casa,
ma di seguire te dovunque, in armi.

COSTANZA - Oh, abbiatevi di questo

tutti i ringraziamenti di sua madre,
le grazie d’una vedova
che sol può darvele con le parole
nell’attesa che il vostro forte braccio
le dia la forza di contraccambiare
più degnamente la vostra amicizia.

AUSTRIA - È la pace dei cieli sol compenso

a coloro che impugnano la spada
in una sì pietosa e giusta guerra.

FILIPPO - E dunque allora, all’opera!

Sien puntate le nostre artiglierie
contro gli spalti di questa città
che oppone sì ostinata resistenza.
Chiamate i nostri uomini più esperti
a sceglier le migliori postazioni:
a costo di lasciar davanti ad essa
le regali nostre ossa,
o di guadare nel sangue francese
fino alla loro piazza del mercato
la faremo soggetta a questo giovane.

COSTANZA - Aspettate comunque la risposta

che sarà data alla vostra ambasciata,
che non abbiate sconsigliatamente
a macchiare di sangue le vostre armi.
Il signor Chatillon
potrebbe riportar dall’Inghilterra
il pacifico riconoscimento
di quel diritto che qui con la guerra
vogliam rivendicare; e in questo caso
ci dovremmo pentire amaramente
d’ogni goccia di sangue fatto spargere
ingiustamente per la troppa fretta.

Entra CHATILLON

FILIPPO - Miracolo, signora! Ecco, guardate:

ne avete appena espresso il desiderio,
e il nostro Chatillon eccolo, è qui.
(A Chatillon)
Beh, che dice Inghilterra?
Brevemente, gentile signor mio,
noi siamo tutt’orecchi ad ascoltarti
serenamente. Parla Chatillon.

CHATILLON - Allora distogliete i vostri eserciti

da questo assedio di scarsa importanza
ed avviateli a più grossa impresa:
Giovanni d’Inghilterra,
intollerante alle vostre richieste,
è sceso in armi. Per gli avversi venti
la cui bonaccia ho dovuto aspettare
per il ritorno, egli ha avuto il tempo
di far sbarcare qui le sue legioni
contemporaneamente al mio arrivo;
ed ora si dirige a grandi marce
sopra questa città con un esercito
forte, di baldanzosi combattenti.
Con lui è la regina-madre, un’Ate
che lo incita al sangue ed alla strage;
insieme con costei è la nipote
Lady Bianca di Spagna, ed è con loro
anche un bastardo del defunto re
e tutti i tipi più scavezzacolli
del paese, spregiudicati, rudi,
focosi volontari pronti a tutto:
facce di donna con milze di drago…
Si son venduti le loro fortune
nella casa paterna
e vengon qui portando sulle spalle
con gran baldanza i diritti di nascita
alla ricerca di nuove fortune.
In breve, mai nella Cristianità
una più baldanzosa selezione
di gente temeraria e scatenata
simile a quella che le stive inglesi
han vomitato sulle nostre coste
ha navigato il ribollente flutto
per andare a recare offesa e danno.

(Rullo di tamburi in lontananza)

Eccoli, son già qua. I lor tamburi
mi risparmiano ormai di dir di più.
Per trattare o combattere, non so.
Tenetevi comunque preparati.

FILIPPO - Davvero una volata! Inaspettata.


AUSTRIA - Quanto più inaspettata,

tanto più svegli e pronti alla difesa
saremo noi; è lievito al coraggio
improvvisa bisogna: vengan pure
daremo loro il nostro benvenuto.

Entrano RE GIOVANNI, ELEONORA, BIANCA, il BASTARDO,
PEMBROKE e seguito

GIOVANNI - Pace alla Francia, se in pace la Francia

permette il nostro legittimo ingresso
in quel che è nostro per avito titolo.
Se no, di guerra sanguini la Francia,
e ascenda al ciel la pace, mentre noi,
ministri della collera di Dio,
castigheremo l’orgoglio insolente
di chi respinge al cielo la sua pace.

FILIPPO - E pace all’Inghilterra,

se questo suo apparato di guerra
ritorni dalla Francia in Inghilterra.
L’Inghilterra ci è cara,
ed è per amor suo che qui sudiamo
appesantiti da questa armature.
Questa fatica spetterebbe a te
e non a noi di assolvere; ma tu
sei sì lontano dall’aver a cuore
l’Inghilterra, da non avere scrupolo
di rovesciarne il legittimo re,
interrompendone la naturale
linea di discendenza alla corona,
sfidandone l’infante maestà,
stuprandone la virginal virtù.
(Additando Arturo)
Guarda questo sembiante:
è quello di Goffredo, tuo fratello:
questi occhi, queste ciglia, questi tratti
son modellati sopra quelli suoi:
un insieme che riassume, in piccolo,
quello più grande morto con Goffredo;
e questo abbozzo la mano del tempo
svilupperà in eguali proporzioni
a quelle di suo padre. Quel Goffredo
era il fratello tuo maggiore, e questo
è suo figliolo. Nel nome di Dio,
come puoi tu chiamarti allora re,
se sangue vivo pulsa in queste tempie
che dovrebbero cinger la corona
della quale ti sei impossessato?

GIOVANNI - Da chi ti viene, Francia,

l’alto incarico di chiamare me
a rispondere di tutte queste accuse?

FILIPPO - Da quel Supremo Giudice

che infonde in petto ad ogni alto potere
di questa terra il generoso stimolo
a riparare gli sfregi e le offese
fatti al diritto. Quello stesso Giudice
ha istituito me ora guardiano
del buon diritto di questo ragazzo;
ed è per Suo mandato ch’io t’accuso
dei tanti torti a lui da te recati,
e, col Suo aiuto intendo castigarli.

GIOVANNI - Ahimè, tu usurpi questa autorità.


FILIPPO - Se pur fosse, sarebbe per abbattere

un’altra usurpazione.

ELEONORA - Chi chiami tu usurpatore, Francia?


COSTANZA - Consentite che le risponda io:

tuo figlio, è lui l’usurpatore!

ELEONORA - Zitta,

insolente! Per te dev’esser re
il tuo bastardo, e tu esser regina
e pretendere di governare il mondo!

COSTANZA - Un bastardo mio figlio? Miserabile!

Il mio letto s’è sempre mantenuto
sì fedele a tuo figlio,
almeno quanto il tuo a tuo marito;
e questo mio ragazzo è somigliante
nelle fattezze a suo padre Goffredo
più che non siate alle buone maniere
tu e Giovanni, tanto siete simili
l’uno all’altra come la pioggia all’acqua,
o il diavolo a sua madre.
Un bastardo! Non credo che suo padre,
sia stato onestamente concepito
come lo è stato lui, per la mia anima!,
essendo tu sua madre.

ELEONORA - (Ad Arturo)

Ecco, ragazzo,
la buona madre che insulta tuo padre.

COSTANZA - Ecco, ragazzo, la buona nonnetta

che invece insulta te, suo nipotino.

AUSTRIA - Pace, pace!


BASTARDO - Ascoltiamo il banditore!


AUSTRIA - Tu, chi diavolo sei?


BASTARDO - Uno che il diavolo

farà con voi, signore, se da soli
c’incontreremo voi e quella pelle
che vi portate bellamente addosso:
ché voi siete la volpe del proverbio
di cui tutto il coraggio si spiegò
nel tirare la barba ad un leone,
che però era morto. Quella pelle,
se mi capiterete tra le mani,
vi ci darò una bella spolverata.
Attento a voi, messere… in fede mia,
ve lo farò, ci potete contare!

BIANCA - Oh, sì, certo una pelle di leone

s’addice addosso a chi di quella pelle
derubò il leone!

BASTARDO - Addosso a lui

ci sta come a vedere il grande Alcide
in groppa ad un somaro.
Ma io, somaro, vi libererò,
siatene certo, d’un siffatto peso,
o ve ne metto sulle spalle uno
che ve le farà bene scricchiolare.

AUSTRIA - Chi sarà mai questo scricchiolatore

che si diverte a intronarci le orecchie
con tanto spreco d’inutile fiato?
Allora, Re Filippo,
decidete quello che s’ha da fare.

FILIPPO - Donne e buffoni, basta con le chiacchiere!

Re Giovanni, il mio discorso, in sintesi,
è questo: io rivendico da te,
nel diritto di Arturo, l’Inghilterra,
l’Irlanda, la Turenna, l’Angiò, il Maine.
Sei tu disposto a ceder quelle terre
e deporre le armi?

GIOVANNI - La mia vita, piuttosto, re di Francia!

Io ti sfido, Arturo di Bretagna,
affidati in mia mano, e avrai da me,
per il tenero affetto che ti porto,
più di quanto potrà mai conquistarti
con l’imbelle sua mano il re di Francia.
Riconosci la mia maestà, ragazzo.

ELEONORA - (Ad Arturo)

Vieni dalla tua nonna, bimbo, vieni.

COSTANZA - (c.s.)

Sì, corri, bimbo, corri da tua nonna,
e regalale un regno.
E la tua nonna ti darà in compenso
una ciliegia, un fico, una susina…
Che brava questa nonna!

ARTURO - Buona madre, sta’ zitta. Mi vien voglia

di giacermi in fondo alla mia tomba.
Non val proprio la pena
di fare tanto strepito per me!
(Piange)

ELEONORA - Ecco, piange! Ha vergogna di sua madre,

povero figlio!

COSTANZA - Di sua madre o no,

se c’è una che deve vergognarsi
sei tu, qui. Sono i torti di sua nonna
e non già le vergogne di sua madre
a spremergli dagli occhi quelle perle
che muovono a pietà perfino il cielo;
e voglia il cielo accoglier quelle lacrime
come offerta votiva.
Ah, sì, da quelle stille di cristallo
vogliano i cieli sentirsi obbligati
a far di lui vendetta su di voi!

ELEONORA - Oh, orribile mostro di calunnia

del cielo e della terra!

COSTANZA - Oh, orribile mostro d’insolenza

verso il cielo e la terra!
Tu, accusare di calunnia me,
tu che insieme coi tuoi stai usurpando
il possesso, le rendite e i diritti
di questo povero ragazzo oppresso!
Questo è il figlio di tuo figlio Goffredo,
il fratello maggiore di Giovanni,
di nient’altro infelice
che dell’avere te come sua nonna:
in lui, in questo povero ragazzo
trovano il lor castigo i tuoi peccati;
su lui ricade l’antica sanzione
del canone, essendo egli soltanto
distanziato di due generazioni
dal tuo grembo fattore di empietà.

GIOVANNI - Smettila, dissennata!


COSTANZA - Questo solo

voglio aggiungere: ch’egli non soltanto
del peccato di lei ha da soffrire,
ma Dio ha riversato quel peccato
e tutto il male della sua condanna
su questo suo lontano discendente;
il peccato di lei a lui malanno,
il malanno di lei a lui castigo,
pel peccato di lei.
Tutto sul capo di questo ragazzo,
e per causa di lei, peste la colga!

ELEONORA - Tu mi biasimi sprovvedutamente,

perch’io posso stilare un testamento
che cancella i diritti di tuo figlio.

COSTANZA - Oh, chi ne dubita? Un testamento!

Un testamento di nessun valore,
il testamento fatto da una donna,
una barbogia nonna incancrenita.

FILIPPO - Basta, signora! Vogliate star zitta,

o parlare con più moderazione!
È sconveniente che voi diate sfogo
a simili sguaiate querimonie
alla presenza nostra. Un trombettiere
chiami questi di Angers sui loro spalti
a parlamento: ascoltiamo da loro
quale titolo voglion riconoscere,
quello d’Arturo o quello di Giovanni.

Tromba.