Sulle mura della città appaiono alcuni CITTADINI di Angers.


PRIMO CITTADINO - Chi ci chiama alle mura?


FILIPPO - Il Re di Francia

a nome anche del Re d’Inghilterra.

GIOVANNI - Inghilterra presente qui in persona,

cittadini d’Angers, miei cari sudditi.

FILIPPO - Voi, beneamati uomini di Angers,

ad Arturo soggetti,
il nostro trombettiere vi ha chiamati
a cordial parlamento…

GIOVANNI - (Interrompendolo)

… a nostro nome.
Perciò ascoltate noi prima di loro.
I vessilli di Francia
qui spiegati davanti agli occhi vostri
ed alla vista di questa città
sono venuti marciando fin qui
per recarvi rovina; i lor cannoni
hanno le viscere gonfie di rabbia
e son già preparati a vomitare
tutto il loro metallico corruccio
contro le vostre mura;
avanti agli occhi di questa città
e avanti a quelli dalle ciglia chiuse
di queste vostre porte
questi Francesi si sono apprestati
per un crudele e sanguinoso assedio;
e se non fosse stato il nostro arrivo,
codeste vostre sonnolente pietre
che vi fanno da solida cintura
già sarebbero state scardinate
dai loro fissi letti di calcina
dalle lor devastanti batterie,
e un’ampia breccia avrebbe aperto il varco
ad una truppa assetata di sangue
per irrompere sulla vostra pace.
Ma alla vista di noi,
vostro legittimo signore e re,
che a gran fatica, con marce forzate,
ci siam portati a far da contrappeso
avanti a queste porte,
per proteggere le minacciate guance
della vostra città dai lor graffi,
ora questi Francesi, impressionati
e stupiti della presenza nostra,
vi chiedon di venire a parlamento
e in luogo di proiettili infuocati
che dessero a codeste vostre mura
una tal febbre da squassarle tutte,
sparano solo tranquille parole
avviluppate di fumosi veli
per infondere nelle vostre orecchie
ingannevole errore; a tutto questo
date però il credito che merita,
cortesi cittadini, e in buona pace
lasciate entrar noi, vostro sovrano,
le cui stanche energie, messe alla prova
dalla rapidità di questa azione,
avrebbero bisogno di trovare
necessario ricovero e riposo
entro le vostre mura cittadine.

FILIPPO - (Ai cittadini di Angers)

Risponderete a entrambi
dopo che avrete ascoltato anche me.
(Prende la mano di Arturo)
Ecco, stretta la sua nella mia destra
che ha fatto sacrosanto giuramento
di farsi protettrice del diritto
di colui che la stringe, innanzi a voi
sta qui il giovane Plantageneto
figlio ed erede del fratel maggiore
di quest’uomo, e re sopra di lui
(Indica Re Giovanni)
e sopra tutto quanto egli si gode.
Per questo calpestato suo diritto
noi calpestiamo, con marce di guerra,
i campi avanti alla vostra città,
senza con ciò sentirci a voi nemici
più che non chieda l’ospitale zelo
di recare cristianamente aiuto
a questo giovane principe oppresso.
Vi piaccia quindi render quell’omaggio,
che legittimamente voi dovete,
alla persona cui esso compete,
a questo giovin principe.
Se questo adempirete, le nostre armi,
al par di un orso con la museruola,
non più offensive fuor che nell’aspetto,
terranno chiusa in loro ogni minaccia
e la potenza dei nostri cannoni
sarà volta a colpir con vani colpi
le invulnerabili nuvole in cielo;
e noi, felici e indenni ritirandoci,
con le spade rimaste inintaccate
e gli elmi intatti, torneremo a casa,
riportando quel sangue vigoroso
ch’eravamo venuti qui a versare
contro questa città,
e lasceremo in pace i vostri figli,
le vostre mogli e voi.
Ma se foste così sconsiderati
da rifiutare questa nostra offerta,
non sarà certo questa vostra cinta
d’antiche mura a fornirvi un riparo
dai nostri messaggeri di sterminio,
fossero pure stati questi Inglesi
acquartierati tutti, armi e bagagli,
all’interno della lor rozza cerchia.
Diteci dunque: la vostra città
ci riconosce suo signore e re
nel nome e nel legittimo interesse
di colui per il quale siamo in armi?
O dobbiamo noi dar libero sfogo
all’ira, e aprirci la strada nel sangue,
per aver quel che è nostro? Decidete.

PRIMO CITTADINO - In breve, questa è la nostra risposta:

noi siamo sudditi del re inglese;
per lui e in suo diritto
teniamo in carico questa città.

GIOVANNI - Riconoscete allora il vostro re

nella nostra persona,
e lasciateci entrare.

PRIMO CITTADINO - Questo no,

non è possibile, per il momento.
Colui che proverà d’essere il re,
si avrà la nostra piena lealtà.
Ma fino allora terremo sprangate
le nostre porte in faccia a chicchessia.

GIOVANNI - Non basta la corona d’Inghilterra

a provare chi è re?
E se non quella, sono qui con me
a testimoni trentamila cuori
inglesi puro sangue….

BASTARDO - (A parte)

Anche bastardi…

GIOVANNI - … pronti ad assicurare con la vita

questo nostro diritto.

FILIPPO - Ed altrettanti

e di non meno nobiltà di sangue…

BASTARDO - (c.s.)

Bastardi pure inclusi…

FILIPPO - … sono qui,

cittadini di Angers, di fronte a lui,
a contrastarne le ingiuste pretese.

PRIMO CITTADINO - Fino a che non avrete stabilito

chi tra di voi è più degno del titolo,
noi lo terremo in sospeso ad entrambi,
per riconoscerlo a chi spetterà.

GIOVANNI - Perdoni allora Iddio i lor peccati

a tutte quelle anime che oggi,
prima che la rugiada della sera
si sia posata al suolo,
s’involeranno alla dimora eterna
nella paurosa giostra che dirà
chi dev’essere il re di questo regno.

FILIPPO - Amen! In sella cavalieri! All’armi!



BASTARDO - Voglia ora San Giorgio,

che seppe sbattacchiar ben bene il drago,
e che da allora se ne sta a cavallo
sulla porta della mia taverniera
istruirci a menare un po’ di scherma…
(Al duca d’Austria)
Bene, amico, vi giuro, che se adesso
mi trovassi da voi, in casa vostra,
sì, dico, amico, nella vostra tana
insieme con la vostra leonessa,
su quella vostra pelle di leone
ci pianterei una testa di bove,
e vi farei un mostro.

AUSTRIA - Basta adesso!


BASTARDO - Oh, oh, tremate, il leone ha ruggito!


GIOVANNI - Attestiamoci sopra quell’altura;

là disporremo i nostri reggimenti
in miglior posizione.

BASTARDO - Presto, allora:

ci assicuriamo il vantaggio del campo.

FILIPPO - E sia pure così. Sull’altra altura

noi faremo attestare a nostra volta
le nostre forze. Dieu et mon droit.

(Escono, da parti opposte, i due re col loro seguito)

Allarme di guerra e scorrerie di soldati francesi e inglesi.
Entra l’ARALDO FRANCESE con trombettiere

ARALDO FRANCESE - (Dopo lo squillo del trombettiere)

Cittadini di Angers,
potete spalancar le vostre porte
e far entrare Arturo di Bretagna
che oggi, per la man del re di Francia,
è stato causa a molte madri inglesi
d’assai lacrime; sparsi in tutto il campo
giacciono i loro figli in mezzo al sangue;
con loro giacciono riversi al suolo
come abbracciando in un gelido amplesso
la scolorita terra anche i mariti
di molte spose diventate vedove;
e la vittoria che alla nostra parte
trascurabili perdite è costata,
va giocando col vento
sui danzanti vessilli dei francesi,
che son qui presso schierati in trionfo
per fare ingresso da trionfatori
nella vostra città,
e proclamare Arturo di Bretagna
re d’Inghilterra e vostro.

Entra l’ARALDO INGLESE con trombettiere

ARALDO INGLESE - (Dopo lo squillo del trombettiere)

Esultate, voi uomini di Angers!
Suonate a stormo le vostre campane!
Giovanni d’Inghilterra e vostro re,
giunge a voi vittorioso
di questa ardente e tremenda giornata.
Le armature che mossero da qui
rutilanti d’argento ora ritornano
indorate dal sangue dei francesi:
non una piuma di cimiero inglese
è stata avulsa da picca francese;
le nostre insegne tornano impugnate
da quelle stesse mani
che già le avevano spiegate al vento
quando marciammo prima alla battaglia
e insieme ad esse fanno a voi ritorno,
come un gruppo di allegri cacciatori
i nostri baldi combattenti inglesi,
le mani di ciascuno imporporate
nella strage mortale dei nemici.
Aprite, e fate entrare i vincitori!

PRIMO CITTADINO - Araldi, noi da queste nostre torri

abbiam potuto, dall’inizio al termine
della battaglia, osservar chiaramente
dei vostri due eserciti, a vicenda,
il prevalere e quindi l’arretrare
ed anche l’occhio più acuto dei nostri
non ha saputo rilevar tra loro
che parità: sangue ha chiamato sangue
colpo ha risposto a colpo, forza a forza,
e potenza a potenza, pari entrambi
e parimenti da noi apprezzati.
A noi serve veder chi è il più forte;
finché il lor peso sarà così uguale,
noi non consegneremo la città
a nessuno dei due,
pur tenendola pronta per entrambi.

Rientrano, da parti opposte, RE GIOVANNI con ELEONORA, BIANCA e il BASTARDO; RE FILIPPO, con il DELFINO LUIGI e il Duca d’AUSTRIA; nobili e soldati da entrambe le parti.

GIOVANNI - Francia, hai ancora sangue da buttare?

Di’, dunque, dovrà o no scorrere libera
la corrente del nostro buon diritto?
Perché se al suo libero passaggio
sarà da te frapposto impedimento,
se non lascerai scorrere tranquille
fino all’oceano l’acque sue d’argento,
dovrà lasciare il natural suo alveo
e riversare il suo turbato flusso
oltre le sponde in cui tu vuoi restringerlo.

FILIPPO - Inghilterra, tu in questa accesa prova

non hai salvato una goccia di sangue
meno di noi francesi.
Anzi ne avrai perdute anche di più.
Ed io ti giuro sopra questa mano
che regge questa parte della terra
sulla quale s’inarca questo cielo
che noi non deporremo più quest’armi
impugnate per una causa giusta
prima d’avere rovesciato te,
contro cui le portiamo;
o aver aggiunto al numero dei morti
quello d’un re, con esso dando lustro
all’albo dei caduti in questa guerra
la cui carneficina, nella storia,
sarà associata al nome di due re.

BASTARDO - (A parte)

Come troneggia alta la tua gloria,
maestà, quando s’accende di furore
il preziosissimo sangue d’un re!
Ah, la morte ora fodera d’acciaio
le fere sue mascelle; denti e zanne
sono ad esse le spade dei soldati;
e con esse artigliando umana carne,
banchetterà alla grande
in questa incerta contesa di re.
Ma perché stanno ancor sì titubanti
queste fronti regali? Urlate: “A morte!”,
o re, tornate al campo di battaglia,
ancora caldo del recente sangue,
voi, anime infiammate di rancore,
d’egual potenza entrambe. E la disfatta
d’uno sancisca la pace dell’altro.
Fino ad allora, colpi, sangue e morte!

GIOVANNI - (A quelli di Angers sugli spalti)

Quale delle due parti, cittadini,
siete dunque disposti a riconoscere?

FILIPPO - (c.s.)

Parlate. Dite chi, per l’Inghilterra
è il vostro re?

PRIMO CITTADINO - Sarà il re d’Inghilterra,

quando conosceremo chi n’è re.

FILIPPO - Riconoscetelo pertanto in noi

che qui rappresentiamo i suoi diritti.

GIOVANNI - In noi, che sia qui davanti a voi

l’augusto vicario di noi stessi,
e rechiamo, con la presenza nostra,
testimonianza della signoria
di noi stessi, d’Angers e di voi tutti.

PRIMO CITTADINO - Un potere che sta sopra di noi

ci vieta tutto questo; e fino a quando
non sia stato rimosso ogni dubbio,
conserveremo in noi il nostro scrupolo,
re dei nostri timori, ben serrato
entro le nostre ben sprangate porte,
finché questi timori
non siano stati per sempre dissolti,
e il nostro scrupolo detronizzato
dalla certezza di chi è nostro re.

BASTARDO - (Ai due re)

Perdio, vostre maestà, questi furbastri,
si fan gioco di noi. Stan lì al sicuro,
come a teatro, su quei loro merli,
a seguire dall’alto, a bocca aperta,
le ben rappresentate vostre scene,
i vostri atti di morte.
Si lascino le vostre maestà
guidare dal mio umile consiglio:
fate come i ribelli in Palestina;
stringete un’alleanza provvisoria
e rivolgete, con le forze unite,
contro questa città la vostra collera
nelle più crude sue dimostrazioni.
Da est a ovest, Francia ed Inghilterra
puntino i lor cannoni micidiali
fino alla bocca carichi di polvere
finché col loro orribile sconquasso
non abbian diroccato e raso al suolo
la pietrosa cintura
di questa altezzosissima città.
Ci avrei sinceramente un gusto matto
a bersagliare questi ruffianacci,
fino a ridurli a tal desolazione
che, venuta lor meno ogni difesa,
li lasci spogli e nudi come l’aria.
Una volta compiuta tal rovina,
potrete nuovamente separare
gli uniti vostri eserciti,
riprendervi ciascuno i suoi vessilli
ed azzuffarvi ancora, faccia a faccia,
punta di spada a punta, sangue a sangue;
e sia pur la Fortuna allora a scegliere,
tra le due parti, in un solo momento,
il suo ben fortunato beniamino
al quale vorrà dare la vittoria,
nel bacio della gloria.
Che vi pare, potenti maestà
di questo mio avventato consiglio?
Non credete che sappia alquanto bene
di politica astuzia?

GIOVANNI - Ebbene sì,

per il cielo che su di noi s’inarca,
il consiglio non mi dispiace affatto!
Francia, vogliamo unir le nostre forze,
e, una volta rasa al suolo Angers,
vedercela di nuovo tra noi due
a chi appartenga d’essere il suo re?

BASTARDO - (Al re di Francia)

Anche tu come noi sei stato offeso
dall’insolenza di questa città,
e dunque se di re hai tu la tempra,
punta anche tu le tue artiglierie,
come faremo noi con quelle nostre,
su queste sue impertinenti mura,
e, dopo che le avremo rase al suolo,
sfidiamoci fra noi al meglio-peggio,
per il cielo o l’inferno.

FILIPPO - Mi sta bene.

Voi da che parte volete attaccare?

GIOVANNI - Noi faremo piombare la distruzione

al cuor della città da occidente.

AUSTRIA - Io lo farò da nord.


FILIPPO - I nostri tuoni

faranno allora piovere da sud
pioggia di fuoco su questa città.

BASTARDO - (A Re Giovanni)

Sagace strategia! Da nord a sud,
opposti l’uno all’altro, Austria e Francia
si spareranno addosso. Incoraggiamoli!

PRIMO CITTADINO - Ascoltate, possenti maestà.

Concedetevi un attimo di sosta,
ed io v’indicherò la giusta via
per una pace e un’intesa leale,
sì che possiate aver questa città
senza colpo ferire,
e permettere a tutti questi vivi
qui venuti a sacrificar sul campo
la vita, di morir nel proprio letto.
Non ostinatevi, possenti re,
ma date ascolto a me.

GIOVANNI - Ebbene, parla.

Siamo qui ben disposti ad ascoltare.

PRIMO CITTADINO - Quella figlia del re di Spagna, là,

Lady Bianca, nipote d’Inghilterra.
Considerate l’età del Delfino
e di codesta leggiadra ragazza.
Un amore sensuale
che andasse in cerca solo di beltà
dove ne troverebbe di più splendida?
Un amor castigato
che andasse in cerca solo di virtù
dove ne troverebbe di più casta?
Un amore ambizioso
che sol cercasse nobiltà di sangue
nelle vene di quale altra fanciulla
ne potrebbe trovare di più nobile
che in Lady Bianca? E così come in lei
è vera perfezione di virtù,
di natali e di giovanil bellezza,
perfetto è anche il giovane Delfino;
e se qualcosa si può dir che manchi
alla sua più completa perfezione,
è di non esser lei; così se a lei
si vuol dir che qualcosa sia mancante
è di non esser lui.
In conclusione, si potrebbe dire
ch’egli sia in se stesso la metà
dell’uomo pieno d’ogni perfezione,
che troverebbe in lei l’altra metà,
ed ella un’incompiuta perfezione
che avrebbe in lui il suo completamento.
Oh, quando unissero le loro acque
due argentee correnti come queste,
farebbero il decoro delle sponde
che le contengono; e quelle sponde,
letto alle due correnti unificate,
sareste voi due re, per questi principi,
se consentiste al loro matrimonio.
Potrebbe più un’unione di tal specie
contro le nostre ben sprangate porte,
che non possa un’intera batteria;
perché al solo brillar di quella miccia,
noi qui, con più sollecita premura
che non possa la forza della polvere
spalancheremmo a voi le nostre porte
e vi daremmo ingresso alla città.
Ma senza questa unione,
non è sì sordo l’oceano in tempesta,
non sì fermo ed impavido il leone,
non così inesorabile
la furia distruttrice della morte,
come noi a difender queste mura.

BASTARDO - (A parte)

Ecco davvero un bel colpo di freno,
che viene a scrollar fuori dai suoi stracci
la putrida carcassa della morte.
Ecco un bel boccalone linguacciuto
che sputa fuori come fosse niente
morte, montagne, rocce, mari in furia,
e parla di leoni inferociti
famigliarmente, come dei lor cuccioli
le ragazzine tredicenni. Cribbio!
Qual bombardiere può aver generato
questo sangue bollente?
Il suo parlare è il tuono d’un cannone:
fuoco e fumo, con tanto di rimbombo;
con la lingua costui assesta colpi
che sono schiaffi per le nostre orecchie;
ed ogni sua parola è una ceffata
più forte del cazzotto d’un francese.
Sangue di Cristo! Mai m’era successo
d’esser pestato così di parole
da quella volta che chiamai “papà”
il padre di Roberto mio fratello!

ELEONORA - (A parte a Giovanni)

Figlio, non farti sfuggir l’occasione,
da’ il tuo consenso a questo matrimonio,
anzi assicura alla nostra nipote
una dote cospicua; questo vincolo
ti farà più sicura la corona,
così malferma ancora sul tuo capo,
e farà sì che quel ragazzo in erba
non abbia a trovar sole sufficiente
a maturare la sua fioritura,
che promette, se no, potenti frutti.
Mi par di scorgere sul viso al Francia
una certa disposizione a cedere:
guarda come parlottano tra loro….
Sollecitali mentre i loro animi
si mostran, come pare, ricettivi
a codesta ambiziosa prospettiva,
che il ferro della loro propensione,
or giunto al punto giusto di fusione,
non abbia a raffreddarsi
e irrigidirsi nuovamente al vento
di blande petizioni,
ripensamenti e pietosi rimorsi.

PRIMO CITTADINO - Perché restano mute

le due maestà davanti alla proposta
formulata con amichevol cuore
da questa nostra città minacciata?

FILIPPO - Inghilterra, rispondi tu per primo,

tu che per primo ti sei fatto avanti
a parlargli: ebbene che ne dici?

GIOVANNI - Se il principe Delfino,

tuo principesco figlio, qui presente,
saprà legger: “Io amo”
in questo libro aperto di beltà,
la di lei dote eguaglierà nel peso
quella d’una regina: l’Angiò, il Maine,
la fertile Turenna, il Poitou,
e tutto quello che di qua dal mare
ci troviamo ad avere sottoposto
alla nostra corona e autorità,
tranne questa città ora assediata,
adorneranno il suo letto nuziale,
facendola così ricca per titoli
quanto già per bellezza, educazione
e nobiltà di sangue ella sta al pari
d’ogni altra principessa della terra.

FILIPPO - (Al figlio)

Tu che dici ragazzo?
Guardala bene in viso la fanciulla.

DELFINO - È quel che sto facendo, mio signore;

e nel suo occhio scopro meraviglie,
un qualche cosa che sa di miracolo:
riflessa nel suo occhio la mia ombra,
che, pur essendo sol di vostro figlio
l’ombra, riflessa là diventa un sole
e fa di vostro figlio,
questo ch’è qui in carne ed ossa, un’ombra.

(Si apparta a conversare con Bianca)

BASTARDO - (A parte, canterellando)

“Nel quadro seducente
“dell’occhio suo dipinto;
“sospeso all’aggrottato
“di sua fronte cipiglio;
“squartato nel suo cuore,
“contempla sconsolato
“quel traditor d’Amore.
“Epperò che peccato
“che ad essere appiccato
“e poi tratto e squartato
“da una tale passione
“sia un tale minchione!”

BIANCA - (Al Delfino)

Il voler di mio zio è anche il mio
a tal riguardo. S’ei ravvisa in voi
qualcosa ch’è di suo compiacimento,
qualunque cosa ei veda che gli piaccia
io posso facilmente trasferire
nel piacimento mio; o, se volete,
a dirla con maggiore proprietà,
imporlo facilmente all’amor mio.
Non voglio star più oltre a lusingarvi
col dirvi come sia degno d’amore
tutto che in voi m’è dato di vedere.
Vi basti questo: non c’è nulla in voi
che, se pur sottoposto da mia parte
al vaglio dei più critici pensieri,
possa apparirmi tale
da meritare la minima repulsa.

GIOVANNI - Che dicon questi giovani?

Che mi dice la mia cara nipote?

BIANCA - Che sente come un obbligo d’onore

adempier di buon grado a tutto quanto
voi possiate, nella saggezza vostra,
suggerire ch’ella faccia pel suo bene.

GIOVANNI - Parlate allora, principe Delfino,

vi sentite d’amar questa signora?

DELFINO - Chiedetemi piuttosto, mio signore,

se potrei mai sentir di non amarla,
perché l’amo, del più sincero amore.

GIOVANNI - Ed io ti do, con lei, quand’è così,

il Vexin, la Turenna, il Poitiers,
l’Angiò ed il Maine: queste cinque terre,
e l’appannaggio di tremila franchi
di conio inglese. Filippo di Francia,
se tutto questo è di tuo gradimento,
ordina a questi due, tuo figlio e figlia,
d’unir le loro mani.

FILIPPO - Ci sta bene.

Giovani principi, unite le mani.

AUSTRIA - E le labbra! Perché io son sicuro

d’aver fatto così la prima volta
che m’è accaduto d’esser fidanzato.

FILIPPO - Cittadini di Angers,

ora potrete aprir le vostre porte
e lasciare che transiti per esse
l’amicizia da voi stessi saldata;
perché al più presto, con solennità,
sia celebrato il rito delle nozze
nella cappella di Santa Maria.
Lady Costanza dov’è? Non è qui?
(A parte)
So bene che non c’è lo. La sua presenza
sarebbe stato un notevole intralcio
a combinare questo matrimonio.
(Forte)
Dov’è lei con suo figlio?
Se c’è qualcuno che lo sa, lo dica.

DELFINO - Sotto la vostra tenda, Vostra altezza,

attristata e fremente di passione.

FILIPPO - Certo, non può recarle gran sollievo

l’alleanza da noi testé conclusa.
Fratello Inghilterra,
in che modo possiamo accontentarla
questa vedova? Noi siam qui venuti
per la revindica d’un suo diritto;
e abbiamo preso, Dio lo sa, altra strada
nel nostro personale tornaconto.

GIOVANNI - Troveremo rimedio a tutto questo:

faremo Arturo duca di Bretagna,
conte di Richmond, e di questa ricca
e bella e florida città signore.
Chiamiamo subito Lady Costanza;
vada da lei veloce un messaggero
a dirle di venire a presenziare
alla nostra solenne cerimonia:
se pur non colmeremo fino al sommo
la misura di quanto ella vorrebbe,
confido che potremo in buona parte
accontentarla; almeno per quel tanto
che basti a far cessar le sue querele.
Ora rechiamoci a disporre al meglio,
per quanto lo consentirà la fretta,
questa imprevista e improvvisata pompa.

(Escono tutti tranne il Bastardo)

BASTARDO - Mondo pazzo! Re pazzi! Patto pazzo!

Giovanni, per precludere ad Arturo
il titolo su tutto, in buon accordo
se ne spartisce con lui una parte;
il Francia, addosso al quale la coscienza
aveva fatto allacciar l’armatura,
e che pietà e carità cristiana,
da soldato di Dio, avevan tratto
sul campo di battaglia, ora distolto
e abbindolato come tutti gli altri
da quello stesso guastator d’intenti,
quell’astuto demonio, quel mezzano
capace di smezzare anche la testa
della stessa lealtà,
quel quotidiano manipolatore
di falsi giuramenti, corruttore
di tutti, re, mendichi, vecchi, giovani,
fanciulle vergini, cui, con l’inganno,
nient’altro possedendo, poverette,
di tesoro, che la verginità,
fa perdere anche quella;
sì, dico, da quel bravo gentiluomo
dal viso ben rasato, l’interesse,[69]
l’asse sghembo su cui si regge il mondo,
un mondo che sarebbe, per se stesso,
in relativo stabile equilibrio,
un mondo fatto per fluir scorrevole
su d’un terreno bene levigato,
se non ci fosse lui, il tornaconto,
questa forza d’inclinazione al basso,
questo squilibratore d’ogni moto,
a sviarlo da ogni buon criterio,
da ogni retta via o buon proposito.
Questo ruffiano, questo intermediario,
questo sconvolgitore d’ogni cosa,
avvinghiandosi all’occhio già svagato
del volubile Francia,
l’ha distolto da ogni suo proposito
di soccorrere altrui, per consigliarlo
a passare da una guerra onorevole
a una pace posticcia, di facciata,
indecorosamente combinata.
Ma perché poi son io
ad imprecare contro l’interesse?
Non sarà perché sono stato immune
finora da ogni suo adescamento?
Perché non posso dir nemmeno io
d’esser sicuro di avere la forza
di chiudere la mano,
quando ne carezzassero la palma
i suoi begli angioletti tutti d’oro;
è solo che, non ancora tentata,
la mia mano fa come il mendicante
che, povero, impreca contro i ricchi.
Mendicante come son io finora,
seguiterò a gridare e proclamare
che la ricchezza è l’unico peccato;
ma se dovessi diventare ricco,
terrò per mia virtù di proclamare
che non v’è al mondo peccato più nero
della mendicità.
Ché se perfino i re per interesse
infrangono la fede, io terrò te,
guadagno, come solo mio signore,
adorerò te solo per mio dio.

(Esce)

 

ATTO TERZO

 

SCENA I - Il campo francese; la tenda del re.

 

Entrano COSTANZA, ARTURO e SALISBURY

 

COSTANZA - Via a sposarsi! Via a giurarsi pace!

Sangue falso mischiato a sangue falso!
Eccoli dunque diventati amici!
Luigi si avrà Bianca,
e Bianca avrà per sé quelle province!
No, questo non può essere:
hai male inteso e male riferisci.
Sii preciso, ripetimelo bene.
Non è possibile quello che dici;
sei tu che me lo dici in questo modo,
ma son convinta che non è così,
e non ti credo, ché la tua parola
è vano fiato d’uno che non conta.
No, amico, credimi: a tua smentita
ho la parola giurata d’un re.
Io non ti credo. E tu sarai punito,
per avermi così turbato l’animo,
malata come sono, intimorita
continuamente, sopraffatta l’animo
da molte iniquità; vedova, e donna
proclive per natura alle paure;
tanto che s’anche tu venissi a dirmi
d’aver parlato solo per ischerzo,
questo mio spirito così agitato
seguiterebbe tutto il giorno a scuotersi
senza darmi un sol attimo di tregua…
Scuoti il capo… perché?
Perché guardi mio figlio con quell’aria
di compassione? Che cosa vuol dire
quella tua mano posata sul petto?
Perché trattengono a forza i tuoi occhi
un doloroso flusso,
come un fiume che spii di là dagli argini,
e si trattenga dallo straripare?
Son forse questi i taciti segnali
d’una conferma delle tue parole?
Parla, allora, ripeti il tuo messaggio.
Ma non tutto, mi basta una parola:
se quel ch’hai detto è vero, sì o no.

SALISBURY - Vero, per quanto falsa

voi possiate pensare ogni persona
che venga a presentarvi alcun motivo
di credere per vero quel che ho detto.

COSTANZA - Ah, Salisbury, se vero

vuoi farmi credere questo dolore,
insegna pure ad esso come uccidermi;
e fa’ che in me il creder che sia vero
quel che dici e il mio spirito vitale
confliggano con tal cieco furore
come sol possono due disperati
che al solo urtarsi stramazzano e muoiono.
Luigi sposa Bianca…
(Ad Arturo)
Oh, che sarà mai di te, ragazzo mio,
allora? Francia ed Inghilterra amici…
E io che faccio?
(A Salisbury)
Va’, vattene, amico…
La tua vista non la sopporto più.
Quest’annuncio t’ha reso agli occhi miei
il più aborrito degli esseri umani.

SALISBURY - Che male ho fatto io, buona signora,

se non che d’esservi stato latore
del male procuratovi da altri?

COSTANZA - Ma è un male in sé tanto cattivo,

da rendere cattivo chi ne parla.

ARTURO - Madre mia, vi scongiuro, rassegnatevi.


COSTANZA - Ah, se tu che m’esorti a rassegnarmi

fossi un essere bieco, repellente,
disdoro al grembo stesso di tua madre,
coperto il corpo di pustole immonde,
di schianze intollerabili alla vista,
sciocco, sbilenco, idiota, nero, mostro,
oh, allora non starei tanto in affanno
per te, starei, sì, calma e rassegnata,
perché non t’avrei certo così caro;
né tu saresti, allora, come sei,
degno dei tuoi altissimi natali
e meritevole d’una corona.
Ma tu sei bello, caro il mio ragazzo,
natura e buona stella alla tua nascita
s’allearono a fare di te un grande.
Dei doni onde Natura t’ha adornato
potresti gareggiare con i gigli
e con le rose appena mo’ sbocciate.
Ma la Fortuna, oh!, quella s’è corrotta,
e, mutata con te, t’ha abbandonato;
essa fornica adesso d’ora in ora,
con tuo zio Giovanni,
ed ha spinto con la sua mano d’oro
il re di Francia a far villano scempio
d’ogni rispetto alla sovranità
ed a ridurre la propria maestà
al ruolo di ruffiano: il re di Francia
mezzano tra Fortuna e Re Giovanni,
tra una puttana ed un usurpatore!
Dimmi tu, ora, se non è uno spergiuro
il re di Francia, amico. Digli tu
tali parole che siano veleno,
o vattene, e lascia solo a me,
queste ambasce ch’io sola ho da soffrire!

SALISBURY - Perdonate, signora, ma tornare

non posso dai due re senza di voi.

COSTANZA - Lo puoi, anzi lo devi.

Perch’io con te non vengo.
Voglio insegnare ad essere orgogliose
alle mie sofferenze; anche il dolore
ha un orgoglio ch’è il suo, e impone agli altri
di venirsi a inchinare a chi lo sente.
Vengano i re a riunirsi a me dinnanzi,
davanti alla maestà del mio dolore;
esso è così pesante che a sorreggerlo
non v’è altro sostegno che la terra
nell’immobile sua immensità:
(Si siede per terra)
e qui per terra io e il mio dolore
sediamo, qui è il mio trono;
e tu va’ pure ad avvisare i re
di venire a inchinarsi avanti ad esso.

(Esce Salisbury con Arturo)

Entrano RE GIOVANNI, RE FILIPPO, IL DELFINO, BIANCA, ELEONORA, IL BASTARDO, IL DUCA D’AUSTRIA e altri.
COSTANZA rimane seduta a terra.

FILIPPO - (A Bianca)

È così, figlia bella; e d’ora innanzi
questo felice giorno
sarà giorno di festa in tutta Francia.
A farlo più solenne, arresta il corso
oggi il fulgido sole,
e si diverte a fare l’alchimista
in oro luccicante trasmutando
con la luce del suo prezioso occhio
l’arido, magro fango del terreno.
Il volgere dell’anno, che puntuale
nel suo cammino lo ricondurrà
dovrà sempre veder questo giorno
santificato come dì di festa.

COSTANZA - (Alzandosi)

Altro che santo! Un giorno infame è questo!
Quali meriti insigni ha questo giorno?
Quale bene ha recato
per esser scritto a caratteri d’oro
tra le solennità del calendario?
Ah, piuttosto strappatelo
dagli altri giorni della settimana,
esso è soltanto giorno di vergogna
d’ingiustizia, di falsi giuramenti!
O, se proprio vi deve rimanere,
le donne incinte preghino il Signore
di non farle sgravare in questo giorno,
per tema che le lor belle speranze
siano mostruosamente contrariate;
in altro giorno non teman naufragio
i marinai; non sia violato patto
che non sia stato stretto in questo giorno;
tutto che in questo giorno prenda inizio
abbia per sorte rovinosa fine;
e la stessa lealtà, in questo giorno,
si muti nel più nero tradimento!

FILIPPO - Per il cielo, signora, v’assicuro

che non v’è proprio motivo, per voi,
di maledire così come fate
i lieti eventi di questa giornata:
non avete voi forse la parola
di guarentigia della mia maestà?

COSTANZA - Voi m’avete ingannata

con una falsa maestà, bugiarda,
rivelatasi al saggio di purezza
una vera patacca. Sceso in armi
col proposito di spillare il sangue
del mio nemico, adesso l’abbracciate,
rendendolo più forte.
L’ardore ed il cipiglio d’una guerra
si fanno raggelare
in un accordo di pace posticcio,
in una pace solo di facciata,
di questa vostra lega unico mastice
l’oppressione di me e di mio figlio.
Oh, cieli, armatevi, armatevi voi,
contro due re spergiuri!
Una vedova in lacrime vi grida:
“O cieli, siate voi a me marito!
Non permettete che scorrano in pace
l’ore di questo giorno sconfortato;
ma fate, prima che tramonti il sole
su di esso, che la Discordia armata
venga a porsi fra questi re spergiuri…
Oh, uditemi, o cieli!

AUSTRIA - Pace, Lady Costanza…


COSTANZA - Guerra, guerra!

Niente pace! La guerra è per me pace!
Oh, Limoges, oh, Austria,
tu copri solamente di vergogna
codesta spoglia ancora insanguinata;
tu, servo, miserabile, codardo!
Tu, uomo tanto piccolo in valore
per quanto grande in mascalzoneria!
Tu, sempre forte a fianco del più forte;
tu, campione della propizia sorte,
pronto a batterti solo se al tuo fianco
c’è la sua capricciosa Signoria
a insegnarti come scampar la pelle!
Sei spergiuro anche tu
che fai da leccapiedi alla Grandezza.
Che stolto sei - uno stolto rampante! -
a smaggiassare, a pestare per terra
giurando d’essere dalla mia parte?
Non hai tu forse, schiavo mezzosangue,
tuonato d’essere mio paladino,
ch’io m’affidassi alla tua buona stella,
alla fortuna tua, alla tua forza?
Ed ora passi con i miei nemici?
Tu, indossare una pelle di leone?
Gettala via, che ti fa sol vergogna!
E appiccaci una pelle di vitello
su quelle spalle tue di rinnegato!

AUSTRIA - Ah, se a parlarmi così fosse un uomo…


BASTARDO - (Rifacendo il verso a Lady Costanza)

“E appiccaci una pelle di vitello
su quelle spalle tue di rinnegato!”

AUSTRIA - (Mettendo mano alla spada)

Non oserai ripeterlo, furfante,
se vuoi salva la vita!

BASTARDO - “E appiccaci una pelle di vitello

su quelle spalle tue di rinnegato”.

GIOVANNI - (Al Bastardo)

Non mi piace. Dimentichi chi sei.

Entra il CARDINALE PANDOLFO

FILIPPO - Oh, ecco il santo legato del papa!


PANDOLFO - Salvete, unti vicari del Signore!

Re Giovanni, a te è indirizzato
il mio sacro messaggio. Io, Pandolfo,
della bella Milano cardinale,
e qui da Papa Innocenzo legato,
in nome della sacra sua persona
ti chiedo perché sì ricalcitrante
sei contro nostra santa madre Chiesa;
e perché mai ti opponi con la forza
a che Stefano Langhton,
arcivescovo eletto di Canterbury,
occupi questa sua divina sede.
Questo, in nome del detto santo padre,
nostro papa Innocenzo, io ti domando.

GIOVANNI - Cardinale, qual nome sulla terra

può arrogarsi il diritto
di sottoporre ad interrogatorio
d’un consacrato re il libero fiato?
Inutilmente, per trarmi a rispondere
tu tiri fuori un nome tanto futile,
e indegno ed irrisorio com’è quello
del papa. Digli solamente questo.
E, dalla bocca del re d’Inghilterra,
aggiungi che nessun prete italiano
potrà riscuotere balzelli e decime
nei territori di nostro dominio;
e come noi, soggetti solo a Dio,
siamo qui la suprema autorità,
così intendiamo solo a Lui rispondere
del potere laddove noi regniamo,
senza assistenza di mano mortale.
Questo riporta al papa, ogni riguardo
messo da parte per la sua persona
e l’usurpata sua autorità.

FILIPPO - Fratello Inghilterra, tu bestemmi

a parlare così.

GIOVANNI - Fratello Francia,

se tu e tutti gli altri re cristiani
vi lasciate guidar sì rozzamente
da questo prete subdolo e intrigante
per il timore d’un suo anatema
che il denaro può sempre ricomprare,
ed acquistate, a suon di vil moneta,
polvere, scorie, corrotte indulgenze
da un personaggio che con quelle vendite
vende un perdono che vien sol da lui;
se tu e tutti gli altri re cristiani,
sì grossolanamente infinocchiati
intrattenete col vostro denaro
questa stregoneria da gabbamondo,
io, per quanto è per me,
da oggi in poi, da solo, io, Giovanni,
mi metto contro il papa,
e terrò miei nemici i suoi amici.

PANDOLFO - E allora dal legittimo potere

di cui sono investito, ti dichiaro
maledetto e colpito da scomunica;
e benedetto sia da oggi in poi
chiunque neghi propria sudditanza
ad un eretico; e meritoria,
canonizzata e venerata santa,
sarà la mano che in qualsiasi modo,
anche il più subdolo,
sopprimerà l’obbrobriosa tua vita.

COSTANZA - Ah, sia legittimo anche per me

associarmi con Roma a maledire!
E tu rispondi alto il tuo ”amen
alle violente mie maledizioni,
buon padre cardinale, ché nessuno
che non abbia sofferto i torti miei
ha lingua ch’abbia pari buon diritto
a maledirlo con tutta la forza.

PANDOLFO - Signora, per la mia maledizione

c’è la legge canonica e un mandato.

COSTANZA - E la legge c’è anche per la mia.

Quando la legge non rende giustizia,
diviene giusto che la stessa legge
non impedisca che maledica.
La legge non può fare che a mio figlio
sia reso il regno che per legge è suo,
perché colui che quel regno detiene,
detiene anche la legge; e se la legge
è essa stessa perfetta ingiustizia,
con qual diritto può essa impedire
alla mia lingua la maledizione?

PANDOLFO - Re Filippo di Francia,

sotto minaccia anche tu di anatema,
ritira la tua mano
dalla stretta di questo arcieretico
e leva la potenza della Francia
sul suo capo, qualora egli persista
a non voler sottomettersi a Roma.

ELEONORA - (A Filippo)

Impallidisci, Francia?…
Non ritrarre la mano.

COSTANZA - Attento, Satana,

che il re di Francia non abbia a pentirsi,
e che, staccandosi quelle due mani,
l’inferno perda un’anima.

AUSTRIA - Re Filippo, ascoltate il cardinale.


BASTARDO - E appiccate una pelle di vitello

su quelle spalle sue di rinnegato!

AUSTRIA - Eh, buon per te, villano,

che mi tocca intascare queste offese
perché…

BASTARDO - … Hai braghe larghe a sufficienza.


GIOVANNI - Filippo, che rispondi al cardinale?


COSTANZA - Che altro può rispondere,

se non dargli ragione?

DELFINO - Attento bene,

padre, perché le sole alternative
sono una grave condanna da Roma,
o la perdita - certo meno grave -
dell’amicizia del re d’Inghilterra.
Conviene scegliere il male minore.

BIANCA - E cioè la scomunica di Roma.


COSTANZA - No, Luigi, sta’ saldo!

È il diavolo in persona che ti tenta
nelle false sembianze d’una sposa
che s’è appena spogliata del suo velo.

BIANCA - (A Filippo)

Lady Costanza vi parla così
non mossa da lealtà verso di voi,
ma dalle sue miserie.

COSTANZA - Oh, se davvero tu le conoscessi

le mie miserie, che son solo vive
perché è morta negli altri la lealtà,
dovresti allora ammettere in principio
che la lealtà ritornerebbe a vivere
quando fossero morte le miserie.
Oh, calpestate allor le mie miserie,
e la lealtà sarà vivificata;
tenete in vita queste mie miserie,
e la lealtà ne resterà schiacciata.

GIOVANNI - Re Filippo è turbato, non risponde.


COSTANZA - (A Filippo)

Oh, stàccati da lui. Rispondi bene
al cardinale.

AUSTRIA - Avanti, Re Filippo,

non rimanete sospeso nel dubbio.

BASTARDO - (All’Austria)

Sospesa, tu, devi solo tenere
sulle spalle una pelle di vitello,
dolcissimo pagliaccio!

FILIPPO - (Al Cardinale)

Son perplesso, non so che cosa dire.

PANDOLFO - E che dirai, ancora più perplesso,

quando scomunica e maledizione
venissero a pesar sulle tue spalle?

FILIPPO - Padre santo, mettetevi al mio posto,

ditemi che fareste. Questa mano
(Mostrando la destra di Giovanni stretta nella sua)
s’è da poco annodata con la mia
e con esse si sono così uniti
in intima alleanza i nostri cuori
come sposati col solenne rito
d’un sacro voto. Nostro ultimo fiato
profferito con suono di parola
è stato per scambiarci giuramento
di fedeltà, di pace, d’amicizia
e di reciproco sincero affetto
fra i nostri regni e le nostre maestà.
Ancora poco fa, le nostre mani,
prima di questa tregua,
il tempo di lavarle a suggellare
con una loro stretta questo patto,
sa il cielo come fossero imbrattate
e tinte dal pennello del massacro,
là dove la Vendetta dipingeva
il pauroso scontro tra due re
infiammati di furia distruttiva.
E dovrebbero adesso, queste mani,
così da poco terse di quel sangue,
così da poco unite nell’affetto,
così forti nell’odio e nell’amore,
disannodare questa loro stretta
e questo loro patto di amicizia?
Dovremmo noi giocare a lega-e-sciogli,
con la lealtà? Giocar così col cielo?
Ridurci a dei volubili bimbetti
così da sciogliere ancora di nuovo
l’una palma dall’altra,
spergiurare la fedeltà giurata,
far marciare un nemico sanguinario
sopra il letto nuziale d’una pace
che ora ci sorride,
stampare il segno della turbolenza
sulla fronte gentile
d’una vera, genuina lealtà?…
Santo signore, reverendo padre,
fate che questo non abbia a succedere.
Fate sgorgare dalla vostra grazia
un mezzo, un ordine, un’imposizione,
una forma gentile di procedere,
e noi saremo allora ben felici
di compiacervi e di restare amici.

PANDOLFO - Ogni forma è deforme,

ogni ordine è disordine,
se non s’opponga alla vostra amicizia
con l’Inghilterra. Perciò, Francia, all’armi!
Fatti campione della nostra chiesa,
o su di te la chiesa nostra madre
pronuncerà la sua maledizione,
sì, la maledizione d’una madre
contro il figlio ribelle.
E allora sarà meglio per te, Francia,
afferrare un serpente per la lingua,
o un leone infuriato per le zampe,
o una tigre affamata per i denti
che seguitare a tener stretta in pace
nella tua mano quella che ora stringi.

FILIPPO - Posso disannodar da lui la mano,

non da lui la mia fede.

PANDOLFO - Della fede

tu fai così un nemico della fede,
e opponi giuramento a giuramento,
parola data a parola giurata,
come in guerra civile tra di loro.
Ah, fa’ che il voto prima fatto al cielo,
quello d’esser campione della chiesa
prima d’ogni altro sia da te osservato;
ciò ch’hai giurato dopo
fu giurato da te contro te stesso
e puoi esimerti dall’osservarlo,
ché giurar di far male non è male,
se il giurare fu fatto a fin di bene,
ed è somma lealtà non osservarlo,
quando osservarlo porterebbe male.
La maniera migliore
di eseguire un proponimento errato
è errare di nuovo; anche se ciò
può apparire una falsa deviazione,
la falsa direzione in questo modo
diviene dritta via,
la falsità si fa alla falsità
rimedio, come il fuoco
sa raffreddare il fuoco nelle vene
di chi con esso s’è appena scottato.
Mantener fede ai propri giuramenti
è precetto di nostra religione;
ma tu, giurando fede ad Inghilterra,
giurasti contro la tua religione,
e di questo secondo giuramento
fai ora un punto fermo di lealtà
contro quel primo, alla cui verità
esiti adesso a rimaner fedele.
Se giuri lealtà, e non sei certo
di poterti mantenere ad essa fede
per un contrario previo giuramento,
sol giuri per non essere spergiuro.
Se no, che beffa sarebbe giurare!
Ma giurando così,
tu giuri solo d’essere spergiuro
e tanto più in quanto più deciso
a tener fede al primo giuramento.
Pertanto il tuo secondo giuramento,
proprio perché in contrasto con il primo,
è rivolto da te contro te stesso;
talché non potrai far miglior conquista
che armare quelle parti di te stesso
di più costante e più nobile tempra
a combattere contro queste folli,
insensate e perverse suggestioni.
A queste parti di te più sensibili
sono rivolte le nostre preghiere,
se ti vorrai degnare di ascoltarle.
Tieni per certo, se diversamente,
che graverà su di te la scomunica,
pesantemente, e sarà tanto il peso,
che non potrai scrollartelo di dosso
fino a morire di disperazione.

AUSTRIA - Ribellione! Aperta ribellione!


BASTARDO - E come no?! Una pelle di vitello

riuscirà a chiuderti la bocca?

DELFINO - All’armi, all’armi, padre!


BIANCA - (Al Delfino)

All’armi il giorno delle nostre nozze?
All’armi contro il sangue
con il quale ti sei appena unito?
E che! Vogliamo banchettare a nozze
in compagnia di uomini scannati?
Saranno musiche alla nostra pompa
lo stridulo squillare delle trombe,
il grave e cupo rullo dei tamburi,
l’infernale clamor della battaglia?
Ascoltami, marito… ah, questo nome:
“marito” che mi suona sulle labbra
sì nuovo… ed io per esso ti scongiuro,
ecco, in ginocchio:
(Cade in ginocchio)
non scendere in armi
contro mio zio!

COSTANZA - (Inginocchiandosi anch’essa al Delfino)

Ah, su queste ginocchia
incallite dalle genuflessioni,
son io, virtuoso Delfino, a pregarti
di non voler alterar la sentenza
decretata dal cielo!

BIANCA - (Al Delfino)

Ora vedrò se veramente m’ami:
qual motivo può mai valer per te
più del nome di sposa?

COSTANZA - Quello stesso

che dovrebbe valere anche per te:
l’onore. Ah, Luigi, il tuo onore!

DELFINO - (Al padre)

Perché, maestà, restate così freddo
davanti a così gravi decisioni?

PANDOLFO - Lancerò sul suo capo la scomunica.


FILIPPO - Non ce ne avrai bisogno, cardinale.

(A Giovanni, ritirando la mano)
Inghilterra, da te io mi distacco.

(Bianca e Costanza si rialzano)

COSTANZA - Oh, nobile ritorno

d’una maestà che pareva bandita!

ELEONORA - Oh, turpe tradimento

della sleale incostanza francese!

GIOVANNI - Francia, m’ascolta: non passerà un’ora,

che di quest’ora tu dovrai dolerti.

BASTARDO - Se sarà il vecchio Tempo,

questo regolatore d’orologi,
il Tempo, questo calvo sagrestano
a decidere, allora veramente
il re di Francia avrà di che dolersi.

BIANCA - O mio bel giorno, addio!

Il tuo sole tramonterà nel sangue!
Ed io, da quale parte dovrò stare?
Mi ritrovo a metà tra i due eserciti,
come tenuta per mano da entrambi,
e in mezzo al turbine della lor furia,
da entrambi tratta, come dilaniata.
Sposo, non posso pregar che tu vinca;
zio, son costretta a pregar che tu perda;
padre, non posso augurarmi per te
che la fortuna ti sia favorevole;
nonna, non posso voler avverati
i desideri tuoi. Chiunque vinca,
la sicura perdente sarò io.
La mia perdita è dunque assicurata,
già prima che abbia inizio la partita.

DELFINO - Signora, a me, a me sono legate

le tue sorti.

BIANCA - Laddove esse vivranno,

là morrà la mia vita.

GIOVANNI - (Al Bastardo)

Nipote, va’ a radunare la truppa.

(Esce il Bastardo)

Francia, mi brucia in petto tanta collera,
che solo il sangue può spegnere il fuoco
di tanta rabbia, ed un unico sangue,
il più prezioso di tutta la Francia!

FILIPPO - Questa tua rabbia ti brucerà dentro

sì da ridurti in cenere ancor prima
che il nostro sangue abbia spento il tuo fuoco.
Attento a te, piuttosto: sei in pericolo.

GIOVANNI - Non più di chi mi fa questa minaccia.

All’armi, all’armi, via!

(Escono da parti opposte Inglesi e Francesi)



SCENA II - La piana davanti ad Angers

 

Allarmi di guerra. Escursioni di soldati delle due parti.

Entra IL BASTARDO recando, presala pei capelli a mo’ di lanterna, la testa del Duca d’Austria


BASTARDO - Per la mia vita, questo azzuffamento

si fa sempre più caldo!
Par come se per quest’aria attorno
aleggi qualche spirito maligno
che spedisce malanni sulla terra.
Tu, testa d’Austria, mettiti un po’ qua,
che Filippo riprenda un po’ di fiato.

(Posa a terra la testa mozza, e si siede)

Entrano RE GIOVANNI, ARTURO e UBERTO

GIOVANNI - (A Uberto, consegnandogli Arturo)

Prendi in consegna tu questo ragazzo.
Filippo muoviti. Mia madre è sola
sotto la nostra tenda, ed ho paura
che sia stata assalita e catturata.

BASTARDO - Mio signore, l’ho messa in salvo io.

Sua Altezza è al sicuro, non temete.
Ma avanti, mio sovrano,
basterà un ultimo minimo sforzo
per menare a buon fine questa impresa.

(Escono)



SCENA III - La stessa

 

Allarmi. Escursioni. Ritirata.

Rientrano RE GIOVANNI, ELEONORA, ARTURO, IL BASTARDO, UBERTO e nobili inglesi

 

GIOVANNI - (Alla madre)

Si farà dunque così: vostra grazia
resterà in Francia, sotto buona scorta.
(Ad Arturo)
Nipote, su, non esser così triste!
Tua nonna ti vuol bene, e questo zio
ti terrà caro al pari di tuo padre.

ARTURO - Ahimè, mia madre morirà per questo

di crepacuore!

GIOVANNI - (Al Bastardo)

Via, nipote, via,
veloce in Inghilterra avanti a noi;
e, prima che arriviamo,
vedi di poter scuotere ben bene
i ben forniti sacchi degli abati;
e metti in libertà tutti quegli angeli
che vi sono tenuti prigionieri.
I rimpinguati lombi della pace
ora devon nutrire gli affamati.
Usa il nostro mandato
in tutta la sua massima efficacia.

BASTARDO - Non ci sarà campana, libro, cero

che potran trattenermi d’un sol passo
quando l’oro e l’argento
mi daranno il segnale d’avanzata!
Vi lascio, Altezza.
(A Eleonora)
Nonna,
se mi ricorderò d’esser devoto,
pregherò per la vostra salvazione!
Per il momento vi bacio le mani.

ELEONORA - Addio, mio bel nipote.


GIOVANNI - Addio, nipote.


(Esce il Bastardo)

ELEONORA - (Ad Arturo)

Vieni qui, nipotino,
tua nonna deve dirti una parola.

(Lo trae in disparte)

GIOVANNI - Uberto, ascolta. Uberto mio gentile,

noi molto ti dobbiamo.
Uberto, in questo involucro di carne
vive e respira un’anima
che si considera tuo debitore
e intende ripagar la tua affezione
cogli interessi; è vivo nel mio petto
ed affettuosamente carezzato,
mio buono e caro amico, il giuramento
che tu spontaneamente m’hai profferto.
Qua, dammi la tua mano.