Miao!

Entra un SERVO

ALBANIA -

Che notizie?

SERVO -

Ah, monsignore, questa:

che il signore di Cornovaglia è morto;

ucciso da un suo servo,

mentr’era per cavar l’altro occhio a Gloucester.

ALBANIA -

Gli occhi a Gloucester!

SERVO -

Sì, monsignore. Un servo,

ch’egli aveva allevato in casa sua,

a quella vista, mosso da pietà,

s’è opposto all’atto orrendo con la spada

minacciando il potente suo padrone;

che, infuriato, gli si è scagliato contro,

e l’ha trafitto a morte avanti a tutti,

ma non senza aver pure lui toccato

da quello là la ferita mortale

che doveva spedirlo dietro a lui.

ALBANIA -

Questo prova che voi siete lassù,

Supremi Giustizieri, a vendicare

sì prontamente i misfatti degli uomini!

Povero Gloucester! Ha perso anche l’altro?

SERVO -

Tutti e due, monsignore, tutti e due!

(A Gonerilla, consegnandole una lettera)

Signora, questa lettera

chiede da voi immediata risposta;

è di vostra sorella.

GONERILLA -

(A parte)

Per un verso,

la notizia mi fa molto piacere;

ma il fatto ch’ella sia rimasta vedova

e Gloucester ora si trovi con lei,

potrebbe far crollar sulla mia vita

ch’ella detesta a morte,

tutto il bell’edificio costruito

dalla mia fantasia. Per altro verso,

la cosa in sé non è poi sì sgradita.

(Forte, al servo)

Leggo la lettera e rispondo subito.

(Esce)

ALBANIA -

E dov’era suo figlio

mentre gli stavano cavando gli occhi?

SERVO -

Era venuto qui con la signora.

ALBANIA -

Ma qui non c’è.

SERVO -

Difatti, mio signore,

l’ho incontrato per via che ritornava.

ALBANIA -

E sa di questa infamia?

SERVO -

Oh, sì, signore.

È stato lui a denunciare il padre,

e lasciò di proposito il castello

perch’essi si sentissero più liberi

d’infliggergli la loro punizione.

ALBANIA -

Io vivo, Gloucester, per renderti grazie

dell’affetto ch’hai dimostrato al re,

e per aver vendetta dei tuoi occhi.

Amico, andiamo, vieni via con me,

e raccontami tutto quel che sai.

(Esce con il servo)

 

 

 

SCENA III – Il campo francese presso Dover

 

Entrano KENT e un GENTILUOMO

 

KENT -

Perché così all’improvviso è ripartito

il re di Francia? Sapete il motivo?

GENTILUOMO -

Un qualche affare lasciato in sospeso

nel suo Stato, che lo teneva in ansia

da quando è giunto qui;

qualche cosa che deve comportare

tali rischi e timori per il regno,

da render necessario il suo rientro

sì da dovervi accudir di persona.

KENT -

E chi ha lasciato a comandar l’esercito?

GENTILUOMO -

Monsieur La Far, maresciallo di Francia.

KENT -

E la regina, quando ha ricevuto

la lettera da voi recapitatale

ha mostrato alcun segno di dolore?

GENTILUOMO -

Oh, signore, se l’ha mostrato, e quale!

Me l’ha presa e l’ha letta in mia presenza,

e mentre la leggeva,

giù per la bella guancia, a quando a quando

le scendeva una lacrima: sembrava

di saper dominare da regina

l’interna ambascia; ma questa, ribelle,

tentava dominar su lei da re.

KENT -

Ah, dunque la notizia la commosse?

GENTILUOMO -

Non fino all’ira; pareva che in lei

la sofferenza e la sopportazione

gareggiassero a renderla più bella.

Avrete visto qualche volta, credo,

piovere con il sole:

ebbene in lei le lacrime e i sorrisi

erano vista ancor più suggestiva;

e i sorrisi che sul suo labbro roseo

giocavano sembravano ignorare

gli ospiti che abitavano i suoi occhi,

e che da quelli poi si dipartivano

come perle cadute da un diadema.

Insomma, se il dolore

si addicesse ad ognuno così bene,

sarebbe certo una preziosità

fra le più ricercate ed adorabili.

KENT -

E non parlò, non vi domandò nulla?

GENTILUOMO -

L’ho udita una-due volte

biascicare con voce palpitante

il nome “padre”, come se quel nome

le pesasse sul cuore, a contenerlo,

ed esclamare con sommessa voce:

“Oh, mie sorelle, obbrobrio delle donne!

Sorelle! Padre! Kent! Sorelle! Ahimè!

Come! Nella bufera? Nella notte?…

Ah, non si creda più alla pietà!”

E sì dicendo le caddero giù

da quegli occhi di cielo, sante stille,

a renderle più umida la voce;

poi, subito, è uscita in tutta fretta,

per restar sola con il suo dolore.

KENT -

Son le stelle lassù, sono esse, certo,

a governar le nostre inclinazioni;

altrimenti un medesimo connubio

non avrebbe potuto generare

figlie così diverse!

E non parlaste più con lei da allora?

GENTILUOMO -

No.

KENT -

E fu prima che il re suo marito

tornasse in Francia?

GENTILUOMO -

No, signore, dopo.

KENT -

Bene, signore; l’infelice Lear

ora è in città, qui a Dover;

e nei momenti di lucidità

si ricorda perché ci siam venuti,

ma si rifiuta pervicacemente

di riveder sua figlia.

GENTILUOMO -

E perché mai?

KENT -

Lo trattiene dal farlo, come penso,

un altissimo senso di vergogna:

il malvolere suo verso di lei,

che lo spinse a cacciarla via da casa;

negandole la sua benedizione,

a esporla alla ventura in terra altrui,

togliendole i diritti sacrosanti

e trasferendoli alle sue sorelle

dal cuor di cagna; tutto ciò gli punge

e gli avvelena l’animo a tal punto

che la vergogna che gli brucia dentro

lo trattiene lontano da Cordelia.

GENTILUOMO -

Povero buon signore!

KENT -

Avete udito niente degli eserciti

dei Duchi d’Albania e Cornovaglia?

GENTILUOMO -

Son sul piede di guerra. Ormai è certo.

KENT -

Bene, signore. Vi conduco subito

da Lear, nostro sovrano,

e vi lascio con lui per accudirlo.

Gravi ragioni m’impongono ancora

di restare ammantato dall’incognito.

Quando verrete a sapere chi sono,

non vi rincrescerà, decisamente,

d’avermi dato queste informazioni.

Vi prego, ora, seguitemi.

(Escono)

 

 

 

SCENA IV – Altra parte del campo francese

 

Entrano CORDELIA, un MEDICO e alcuni soldati francesi

 

CORDELIA -

Ahimè, è proprio lui! L’han visto or ora

furioso come l’oceano in burrasca,

che cantava a gran voce,

inghirlandato il capo della triste

erba fumaria e d’altre erbe selvatiche,

lappole,ortiche, cicute, papaveri,

cresciute tra le spighe del buon grano.

Spedite fuori una centuria d’uomini;

sia rastrellato ogni palmo di terra

nei campi dove sono alte le messi,

e sia condotto innanzi agli occhi nostri.

(Esce un ufficiale)

(Al medico)

Che cosa potrà far la scienza umana

per ridonargli il senno che ha smarrito?

Chi riesca a guarirlo,

si prenda tutti i beni che possiedo.

MEDICO -

Ci son mezzi, signora. La natura

non ha miglior nutrice del riposo,

e di questo ha bisogno vostro padre;

e per indurlo in lui ci sono semplici

molto efficaci le cui virtù mediche

chiudon gli occhi all’angoscia.

CORDELIA -

O voi tutti, segreti benedetti,

o voi, virtù nascoste della terra,

germogliate innaffiate dal mio pianto,

e venite in soccorso alle sventure

di un uomo buono!… Cercate, cercatelo,

che la sua collera, senza più freni,

non l’induca a distruggersi la vita,

rimasta senza cosa che la guidi!

Entra un MESSO

MESSO -

Notizie, mia signora:

forze inglesi dirigono marciando

da questa parte.

CORDELIA -

Ne siamo informati.

Ma siamo preparati ad affrontarle.

O caro padre mio, è la tua causa

che mi sta a cuore. E il grande re di Francia,

di ciò compreso, ha avuto compassione

delle mie lacrime tristi e importune.

Non la tronfia ambizione di potere

muove le nostre armi, ma l’amore,

solo l’amore tenero di figlia

e i diritti del nostro vecchio padre.(121)

Ch’io possa rivederlo e udirlo presto!

(Escono)

 

 

 

SCENA V - Stanza nel castello di Gloucester

 

Entrano REGANA e OSVALDO

 

REGANA -

Ma sono scese in campo

le milizie del Duca mio cognato?

OSVALDO -

Sì, signora.

REGANA -

E le comanda lui?

OSVALDO -

Lui, signora, ma molto controvoglia.

Vostra sorella è assai miglior soldato.

REGANA -

Ha parlato con lui il conte Edmondo

venendo al suo castello?

OSVALDO -

No, signora.

REGANA -

Che può volergli dire mia sorella

in quella lettera?

OSVALDO -

Non so, signora.

REGANA -

Dev’esser stato qualche serio affare

a indurlo a ripartire così in fretta.

È stata una solenne balordaggine

lasciare vivo Gloucester,

dopo avergli cavato entrambi gli occhi;

quello dovunque arriva accende gli animi

contro di noi. Credo che Edmondo,

impietosito della sua disgrazia,

si sia recato appunto a sbarazzarlo

d’una vita che non è più che tenebra…

e nello stesso tempo ad esplorare

qual è la consistenza del nemico.

OSVALDO -

Devo raggiungerlo assolutamente,

signora, per recargli questa lettera.

REGANA -

Le nostre truppe si mettono in marcia

domani. Rimanete qui con noi.

Le strade sono piene di pericoli.

OSVALDO -

Mi dispiace, signora, ma non posso.

La mia signora m’ha impegnato a fondo

nell’adempiere a questa sua faccenda.

REGANA -

Che ragione ha di scrivere a Edmondo?

Non potevate voi dirglielo a voce

quello che lei gli dice per iscritto?

Mah, chi lo sa… ci sono certe cose…

Non so… Osvaldo, io ti vorrò bene

se mi farai aprire quella lettera.

OSVALDO -

Oh, signora, piuttosto…

REGANA -

Andiamo, andiamo:

so benissimo che la tua padrona

non ama suo marito. Ne son certa.

E quando ultimamente è stata qui,

l’ho vista che lanciava verso Edmondo

cupide occhiate ed eloquenti sguardi.

So che ti tiene in seno.(122)

OSVALDO -

Me, signora?

REGANA -

Sì, dico, quanto a farti confidenze.

Perciò ti avverto, ricordati questo:

il mio signore è morto;

Edmondo ed io ci siamo già parlati

e lui propende più per la mia mano

che non per quella della tua padrona.

Lascio a te di tirar la conclusione.

Quando l’avrai raggiunto là dov’è,

consegnagli, ti prego, questo pegno;

e, riferendo alla padrona tua

quello che qui ti ho detto,

sollecitala ad essere più saggia.

E dunque addio. Se avrai alcuna nuova

del traditore che non vede più,

sono promessi sostanziosi premi

a chiunque lo toglierà di mezzo.

OSVALDO -

Così potessi davvero incontrarlo!

Vi mostrerei da quale parte tengo.

REGANA -

Bene, buon viaggio. Addio…

(Escono)

 

 

 

SCENA VI – Campagna presso Dover

 

Entrano GLOUCESTER e EDGARDO, questi travestito da contadino

 

GLOUCESTER -

Quanto c’è ancora per giungere in vetta?

EDGARDO -

Stiamo appunto salendo.

Non avvertite anche voi la salita?

GLOUCESTER -

A me sembra di camminare in piano.

EDGARDO -

È ripidissimo, invece… Ascoltate:

il mare, lo sentite?

GLOUCESTER -

Non lo sento.

EDGARDO -

Vuol dire allora che anche gli altri sensi

han risentito dal dolor degli occhi.

GLOUCESTER -

Sì, può esser così. Ma ho l’impressione

che tu abbia cambiato la tua voce,

e che ti esprimi meglio

e con migliore costrutto di prima.

EDGARDO -

V’ingannate. Non son mutato in nulla,

salvo che nel vestito, che ho cambiato.(123)

GLOUCESTER -

Eppure sento che ti esprimi meglio.

EDGARDO -

Ecco, siamo arrivati. Questo è il posto.

Restate fermo lì. Oh, che paura!

A gettar l’occhio in giù dà le vertigini.

I corvi e le cornacchie

che si vedon volare là a mezz’aria

sembrano appena degli scarafaggi.

A mezzacosta sta aggrappato un uomo,

sta raccogliendo finocchio marino…(124)

Terribile mestiere!… La sua sagoma

vista da qui, non appare più grande

della sua testa. I pescatori in fila

sulla battigia sembran tanti topi;

e quel grosso barcone laggiù, all’ancora,

non è più grande della sua scialuppa,

e la scialuppa stessa un gavitello,

che da qui si distingue sì e no.

Da questa altezza non si percepisce

il mormorio dell’onda che spumeggia

sugli infiniti pigri sassolini

del greto… Ma non voglio più guardare,

che non m’abbia a venire il capogiro,

e la vista, offuscata,

non mi faccia piombar giù a capofitto.

GLOUCESTER -

Fammi mettere là dove sei tu.

EDGARDO -

Porgetemi la mano.

Ecco, ora siete ad un passo dal ciglio

dello strapiombo. Non farei un sol passo

in avanti da lì, dico un sol passo

per tutto ciò che sta sotto la luna.(125)

GLOUCESTER -

Lasciami pur la mano.

Ecco, qui c’è, amico, un’altra borsa,

e dentro c’è un gioiello il cui valore

che può far molto comodo ad un povero.

Che gli dèi e gli spiriti benigni

lo faccian prosperare insieme a te!

Allontànati, adesso. Dimmi addio.

Fa’ ch’io senta il tuo passo allontanarsi.

EDGARDO -

(Fingendo di andarsene)

Come volete. Addio, mio buon signore.

GLOUCESTER -

Addio, con tutto il cuore.

EDGARDO -

(A parte)

Se prendo così a gioco la sua angoscia,

lo faccio solamente per guarirla.

GLOUCESTER -

(Inginocchiandosi)

O dèi onnipotenti,

rinuncio a questo mondo,

e sotto gli occhi vostri, rassegnato,

mi scrollo della mia grande afflizione.

Potessi ancora trascinarmi in vita

a sopportarla e non mettermi contro

ai vostri ineluttabili voleri,

lascerei consumare fino in fondo

il lucignolo odioso e maleolente

della mia esistenza. Ma non posso.

Se Edgardo vive ancora, oh, beneditelo!

Adesso, amico, addio. Vattene pure.

EDGARDO -

Sto andando via, signore. Vi saluto.

(Gloucester salta, credendo di precipitare,

ma salta nella direzione sbagliata, e cade a terra)

(Tra sé, vedendolo a terra e credendolo morto)

E però temo che la fantasia

possa ugualmente rubare alla vita

il suo tesoro, s’è la vita stessa

che si concede al furto.(126)

Fosse stato dove pensava d’essere,

adesso non avrebbe più pensieri.

Vivo o morto?…

(Forte)

Ehi, voi, signore! Amico!

Mi sentite?… Parlate!

(Tra sé)

Che sia morto davvero?… No, rinviene…

Chi siete voi, signore?(127)

GLOUCESTER -

Andate via, lasciatemi morire.

EDGARDO -

Se tu non fossi stato un fil di ragno,

un piuma d’uccello, un soffio d’aria,

precipitando giù da tante tese

ti saresti schiacciato come un uovo;

invece tu respiri, tempra dura,

non butti sangue, parli, sei intero.

Dieci alberi maestri uno sull’altro

non farebbero tutta l’altitudine

da cui tu sei caduto a perpendicolo:

sei vivo, ed è un miracolo.

GLOUCESTER -

Ma son caduto, o no?

EDGARDO -

Sì, dalla paurosa sommità

di questo promontorio d’arenaria.

Guarda lassù. Lo vedi? A quell’altezza

non si può né vedere né sentire

l’allodola, col suo stridulo verso.

Dài, guarda su!

GOUCESTER -

Ahimè, io non ho occhi…

Sarà dunque negato alla sventura

il conforto di por fine a se stessa

con la morte? Non fu sempre conforto

all’infelice poter, con la morte,

sottrarsi all’infuriata del tiranno,

frustandone la volontà boriosa?…

EDGARDO -

Datemi il braccio… così. Come va?

Vi sentite le gambe? Siete in piedi.

GLOUCESTER -

Bene, bene, fin troppo.

EDGARDO -

Questo oltrepassa qualsiasi stranezza.

Quando eravate in cima a quella rupe,

che cos’era quella figura strana

che ho visto allontanarsi a un certo punto?

GLOUCESTER -

Un povero infelice mendicante.

EDGARDO -

I suoi occhi, guardando da quaggiù,

erano simili a due lune piene;

mi pareva che avesse mille nasi,

corna attorte e increspate

come l’onde del mare. Era un demonio.

È il segno questo, padre fortunato,(128)

che i più immacolati fra gli dèi,

quelli che traggono la loro gloria

facendo quel ch’è impossibile agli uomini,

t’hanno salvato.

GLOUCESTER -

Adesso mi ricordo.

E d’ora innanzi voglio sopportare

la mia miseria finché non sia essa

a gridar: “Basta, basta!”; e poi morire.

Quella forma che dici d’aver vista

io l’avevo scambiata per un uomo;

e ripeteva: “Il demonio, il demonio”,

e fu lui stesso a condurmi lassù.

EDGARDO -

Adesso sta’ sereno e rassegnato.

Oh, ma chi arriva qui?

(Entra LEAR, pazzo, fantasticamente adornato il capo di fiori selvatici)

Nessun cervello sano

concerebbe così il suo possessore.(129)

LEAR -

No, non mi possono certo accusare

se batterò moneta. Il re son io.

EDGARDO -

Oh, vista spezzacuore!

LEAR -

In questo, la natura vince l’arte.

Tieni, è la paga per il tuo ingaggio…

Quello maneggia l’arco

come un fantoccio da spaventapasseri…

Devi tenderlo bene, la distanza

è la lunghezza d’un metro da sarto…

Toh, guarda, guarda, un sorcio!… Zitti, zitti,

c’è un pezzo di formaggio abbrustolito:

è quello che ci vuole… Ecco il mio guanto:

sfiderò un gigante… Avanti, avanti,

fate venire avanti le alabarde!…

Oh, ben volato, uccello!… Al centro, al centro!

(Emettendo un sibilo con la bocca)


Fi-i - i! Dammi la parola d’ordine.

EDGARDO -

(Assecondandolo)

“Maggiorana”.

LEAR -

Passate.

GLOUCESTER -

Conosco quella voce…

LEAR -

Ah! Gonerilla!

Con una barba bianca come questa!…

Mi leccavano come tanti cani,(130)

e mi dicevano che alla mia barba

avevo i peli bianchi,

prima che vi spuntasser quelli neri…

E poi sempre a risponder “sì” e “no”

a tutto quello che dicevo io…

E anche sempre “sì” e sempre “no”

era contro la buona teologia.(131)

Quando è venuta la pioggia a bagnarmi

e il vento a farmi batter le mascelle,

quando il tuono non volle stare zitto

al mio comando, allora li ho scoperti,

ho sentito chi erano, all’odore.

Va’, che non sono gente di parola:

mi dicevano ch’ero tutto io.

È una menzogna: io non so resistere

ad un attacco di febbre quartana…

GLOUCESTER -

Il timbro della voce è quello suo,

me lo ricordo bene… Non è il re?

LEAR -

Un re, sicuro, in ogni oncia di carne.

Guarda il suddito come trema tutto

quando lo fisso in faccia…

A questo faccio grazia della vita.

Qual era la tua colpa: l’adulterio?

Non morirai per questo.

Morire per un adulterio? No.

Lo fa pure lo scricciolo,

e la mosca dalle dorate alucce

sfoga dinnanzi a me la sua libidine.

Fiorisca in pace la copulazione,

visto che il figlio bastardo di Gloucester

è stato più amoroso verso il padre

che non furon con me le mie due figlie

generate fra lecite lenzuola.

Fatti sotto, lussuria, all’ammucchiata!

Il mio regno ha bisogno di soldati…

Guarda là quella dama smorfiosetta

la cui faccia vuol far credere al prossimo

che tra le gambe ha il candor della neve

e si dà l’aria di donna illibata,

e scuote il capo tutta pudibonda

solo a sentire nominare il sesso:

la donnola o lo stallone in foja

non ci corron con più violenta brama.

Centaure, tutte, dalla vita in giù,

donne per tutto il resto: il loro corpo

appartiene agli dèi fino alla cintola;

più giù di là, è tutto del demonio;

lì è l’inferno, lì sono le tenebre,

lì la sulfurea pozza che ribolle,

bruciori, ustioni, lezzo, consunzione.

Ah, schifo, schifo, schifo! Puah! Puah!

Dammi, speziale, un’oncia di zibetto

a profumarmi l’immaginazione.

Eccoti lì il denaro.

GLOUCESTER -

Oh, ch’io possa baciarvi quella mano!

LEAR -

Prima devo pulirla: sa di morto.

GLOUCESTER -

O tu, grande opera della natura

in rovina!… E decadrà così

pure nel nulla questo immenso mondo.

Riconosci chi sono?

LEAR -

I tuoi occhi me li ricordo bene.

Che fai, mi ammicchi? No, cieco Cupido,

impiega pure i tuoi peggiori trucchi:

con me non va; io non voglio più amare.

Leggiti questo cartello di sfida,

e osserva solo com’è scritto bene.

GLOUCESTER -

Fosse pure ogni lettera un gran sole,

non la potrei vedere.

EDGARDO -

(A parte)

Se qualcuno venisse a raccontarmelo,

io non ci crederei. Eppure è vero!

E nel vederlo mi si spezza il cuore.

LEAR -

(A Gloucester)

Leggi.

GLOUCESTER -

E come? Con l’orbite degli occhi?

LEAR -

Ohò! Ci sei arrivato anche tu!

Senz’occhi in fronte e senza soldi in tasca.(132)

Vedi come va il mondo!

GLOUCESTER -

Io non lo vedo, lo sento soltanto.

LEAR -

Ma che dici! Sei matto?

Un uomo può vedere anche senz’occhi

come va il mondo. Vedi con gli orecchi:

guarda come quel giudice laggiù

sta strapazzando un povero ladruncolo.

Ora, tu col tuo stesso orecchio, op-là,

falli scambiar di posto uno con l’altro,

come si fa giocando a nascondino,(133)

e poi indovina da che parte è il giudice

e da che parte è il povero ladruncolo.

Hai visto mai il cane d’un fattore

abbaiare a un mendico?

GLOUCESTER -

Sì, signore.

LEAR -

E il poveretto fuggir spaventato

davanti a quel cagnaccio?

È lì che avresti ben raffigurato

il grande emblema dell’autorità:

un cane in carica cui si obbedisce.

Tu, canaglia di falso sagrestano,(134)

ferma quella tua mano sanguinaria.

Perché fustighi quella meretrice?

Scoprila tu la schiena alle frustate,

perché sei tu che bruci dalla voglia

di far con lei quello per cui la frusti!

L’usuraio che manda sulla forca

l’imbroglioncello! I vizi capitali

s’appalesano bene a tutti gli occhi

se vestiti di stracci sbrindellati;

le belle acconciature e le pellicce

li nascondono all’occhio più indagante.

Metti al peccato una pàtina d’oro,

e la lancia possente della legge

ti si spezza miseramente in mano;

chiudi il peccato in un mucchio di stracci,

e sarà sufficiente per trafiggerlo

una pagliuzza in mano ad un pigmeo.

Nessuno è reprobo, nessuno dico,

nessuno: garantisco io per loro.

Credi a me, amico, che ho io i mezzi

per suggellar le labbra ai moralisti.

Mettiti gli occhiali e fingi di vedere

ciò che non vedi, così come fanno

certi politicanti mestatori.

EDGARDO -

(Tra sé)

Oh, miscela di senno e di follia!

La pazzia che ragiona!

LEAR -

Se è sulla mia sorte che vuoi piangere,

prenditi gli occhi miei.

Io so bene chi sei. Ti chiami Gloucester.

Devi avere pazienza.

È piangendo che siam venuti al mondo.

La prima volta che fiutammo l’aria,

lo sai bene, mandammo un bel vagito

e cominciammo a piangere e gridare.

Voglio farti la predica… sta’ attento…

GLOUCESTER -

Ahimè, giorno funesto!

LEAR -

Appena nati, vedi, noi si piange

perché ci si ritrova all’improvviso

su questo palcoscenico di pazzi…

Questa è una bella forma di cappello.(135)

Sarebbe un ingegnoso stratagemma

foderare di feltro anche gli zoccoli

degli squadroni di cavalleria.

Voglio farne la prova;

e quando sia arrivato di sorpresa

addosso ai miei generi,

ammazza, ammazza, ammazza, ammazza, ammazza!

Entra un GENTILUOMO con soldati

GENTILUOMO -

Oh, eccolo, prendetelo.

Signore, vostra figlia…

(I soldati s’impadroniscono di Lear)

LEAR -

Aiuto, aiuto!

Nessuno mi soccorre?… Io, prigioniero?…

Ah, si vede che sono proprio nato

per essere zimbello della sorte.

Non maltrattatemi.