Sorvegliatela.

EDMONDO -

(A Edgardo)

Quello di cui m’accusi io l’ho commesso,

e ben dell’altro. Il tempo lo dirà.

Ma ormai è finita; e così io…

Ma chi sei tu cui la fortuna ha dato

di prevaler con l’armi su di me?

Se nobile, tu hai il mio perdono.

EDGARDO -

Pietà a pietà: Edmondo,

io non son meno nobile di te

per sangue; e se lo sono anche di più,

come lo sono,

tanto maggiore è il torto che m’hai fatto.

Io sono Edgardo, figlio di tuo padre.

Gli dèi son giusti: si fanno strumento

di nostri vizi e illeciti piaceri

per punirci. L’oscurità lasciva

in cui t’ha generato nostro padre

gli è costata la luce della vista.

EDMONDO -

È vero. Hai detto giusto.

Ora la ruota ha compiuto il suo giro,(145)

ed ecco, io sono qui.

ALBANIA -

Già m’era parso, nel tuo stesso incedere,

un segno di regale nobiltà.

Ah, lascia ch’io t’abbracci!

(Lo abbraccia)

Che mi si spezzi il cuore,

s’io abbia mai odiato te e tuo padre.

EDGARDO -

Lo so, nobile principe.

ALBANIA -

Dove t’eri nascosto? Come hai fatto

a saper le sventure di tuo padre?

EDGARDO -

Col fare ad esse io stesso da nutrice,

signore. Uditene una breve storia,

e quando avrò finito di narrarvela,

possa scoppiarmi il cuore!…

Per sottrarmi a quel sanguinario bando

che m’incalzava così da vicino

(Oh, pur dolce è la vita,

se c’induciamo a soffrir d’ora in ora

pene simili a quelle della morte,

piuttosto che incontrar la morte subito!),(146)

a un certo punto concepii l’idea

d’introdurmi nelle cenciose vesti

d’un demente, e di darmi un tale aspetto

da farmi disdegnare anche dai cani.(147)

Fu coperto da un tal travestimento

che capitò che incontrassi mio padre,

con quei suoi due castoni sanguinanti

che avevano perduto poco prima

le lor preziose gemme.

Da quel giorno divenni la sua guida,

ho chiesto l’elemosina per lui,

l’ho salvato dalla disperazione

senza mai rivelarmi – e fu mia colpa! –

fino a mezz’ora fa, quando, già armato,

e, se pur fiducioso, sempre incerto

dell’esito di questa mia tenzone,

gli chiesi di volermi benedire;

e là gli raccontai sin dal principio

le trascorse mie tragiche vicende.

Ma il suo cuore stremato, troppo debole,

ahimè, per sopportare anche quel colpo,

schiacciato fra due sentimenti estremi,

estrema gioia ed estremo dolore,

s’è spezzato in un ultimo sorriso…

EDMONDO -

Questa tua narrazione m’ha commosso

e potrà farmi bene…(148) Ma continua,

ho l’impressione ch’hai altro da dire.

ALBANIA -

Se avete altro e più triste di questo,

non lo dite, tenetelo per voi;

è già abbastanza quel che avete detto

e che ho sentito, per sciogliermi in lacrime.

EDGARDO -

Quel che ho detto potrà sembrare, infatti, ,

la vetta del dolore

a chi il dolore non sa sopportare;

amplificarlo ed innalzarlo ancora

sarebbe andarne oltre l’ultimo limite.

Mentre piangevo e singhiozzavo forte,

sopraggiunse lì un uomo, che, alle prime,

vedendomi ridotto in quello stato,

schivò la mia aborrita compagnia;

ma dopo ch’ebbe in me riconosciuto

chi era che soffriva quel tormento,

m’abbracciò, e urlando a tutto fiato

quasi a squarciare la volta del cielo,

si gettò su mio padre, ed abbracciatolo,

ci raccontò la più pietosa storia

di sé e di Lear che mai si fosse udita;

e mentre la narrava, la sua angoscia

si fece a mano a mano più potente,

al punto che gli si spezzavan quasi

le corde della vita. Fu a quel punto

che risuonarono in aria due squilli,

ed io lo lasciai là, privo di sensi.

ALBANIA -

E chi era quell’uomo?

EDGARDO -

Kent, signore,

l’esiliato, che, sotto falsa veste,

aveva seguito il re suo nemico,

abbassandosi a rendergli servigi

indegni d’uno schiavo.

Entra un GENTILUOMO recando un pugnale insanguinato

GENTILUOMO -

Aiuto! Aiuto!…

EDGARDO -

Aiuto a chi?

ALBANIA -

Parlate!

EDGARDO -

Che vuol dire il pugnale insanguinato?

GENTILUOMO -

È caldo… Fuma ancora…

È appena uscito dal cuore… Oh, è morta!

ALBANIA -

Morta, chi?

GENTILUOMO -

Vostra moglie, monsignore,

vostra moglie, e con essa sua sorella,

ch’era stata da lei avvelenata,

come ella stessa aveva confessato.(149)

EDMONDO -

(A parte)

M’ero promesso a entrambe. Tutti e tre,

ora, d’un colpo, andremo a nozze insieme.

EDGARDO -

Ecco Kent, monsignore.

Entra KENT

ALBANIA -

Portate qui i lor corpi, vive o morte.

Questo tremendo giudizio dei cieli

non ci muove a pietà.

(Esce il gentiluomo)

(Vedendo Kent)

Oh, è proprio lui?…

Il momento purtroppo non consente

l’accoglienza che cortesia vorrebbe.

KENT -

Vengo per dare al mio signore e re

l’estrema buona notte. Non è qui?

ALBANIA -

Oh, imperdonabile dimenticanza!…

Edmondo, dov’è il re? Dov’è Cordelia?

Parla, parla, perdio!

(Vengono portati i corpi di Gonerilla e Regana)

Vedi qua che spettacolo, buon Kent,?

KENT -

Ahimè, perché?

EDMONDO -

Tanto, era amato Edmondo.

L’una per me ha avvelenato l’altra,

e poi s’è suicidata.

ALBANIA -

E così è stato.

Coprite i loro volti.

EDMONDO -

Ah, sento che la vita m’abbandona…

ma voglio fare un atto di bontà,

a dispetto di questa mia natura…

Presto, mandate qualcuno al castello…

Ma presto: un mio ordine di morte

sta sul capo di Lear e di Cordelia…

Mandate, prima che sia troppo tardi!

ALBANIA -

(A Edgardo)

Correte, presto!

EDGARDO -

Da chi, mio signore?

(A Edmondo)

Chi li ha in custodia? Manda un tuo segnale

a conferma che revochi quell’ordine.

EDMONDO -

Hai ben pensato. Prendi la mia spada,

mostrala al capitano.

ALBANIA -

Presto! Presto!

Affrettati, se tieni alla tua vita!

(Esce Edgardo)

EDMONDO -

Tua moglie ed io gli abbiamo dato l’ordine

d’impiccare nel carcere Cordelia

e di dar poi la colpa della cosa

a un folle gesto di disperazione

facendo credere ad un suicidio.

ALBANIA -

Che gli dèi la proteggano!

(Indicando Edmondo che giace in terra)

Portate via costui da qui per ora.

(Edmondo è portato via)

Entra LEAR recando in braccio Cordelia morta; con lui EDGARDO, un Ufficiale e altri

LEAR -

Urlate! Urlate! Urlate!…

Oh, siete tutti uomini di pietra!

Avessi io le vostre lingue e occhi,

farei squarciare la volta del cielo!

Se n’è andata per sempre…

Io so quando uno è morto e quando è vivo…

Ella è morta ed esangue, come terra…

Prestatemi uno specchio…

se il suo fiato l’appanna o offusca il vetro,

vive ella ancora.

KENT -

È la fine del mondo?(150)

EDGARDO -

Oppur l’immagine di quell’orrore?

ALBANIA -

Tutto crolli e rovini e sia finita!

LEAR -

Questa piuma si muove… È ancora viva!

Se è vero, è tal fortuna

che riscatta ogni pena mai provata

fino ad oggi da me!

KENT -

(Inginocchiandosi a Lear)

Mio buon padrone…

LEAR -

Ti prego, vattene.

EDGARDO -

È il nobile Kent,

signore, amico vostro.

LEAR -

Peste a voi,

traditori, assassini! Tutti, tutti!…

L’avrei ancora trattenuta in vita!(151)

Se n’è andata per sempre!…

Cordelia, figlia mia, rimani un poco!

Eh?… Che cos’è che dici?… La sua voce

era gentile, dolce, carezzevole…

una cosa sublime in una donna…

Ma l’ho ucciso, l’ho ucciso il miserabile

che ti stava impiccando!

UFFICIALE -

È vero, miei signori; egli l’ha fatto.

LEAR -

È vero che l’ho ucciso, giovanotto?

Ho visto giorni, io,

quando con la mia brava partigiana,

l’avrei fatto saltare; ora son vecchio,

e croci come questa mi distruggono.

(A Kent)

Chi siete voi?… Vi devo dire subito

che i miei occhi non sono dei migliori.

KENT -

Se ci sono due uomini

dei quali la fortuna può vantarsi

di aver odiato e prediletto insieme,

ciascuno di noi due ne vede uno.

LEAR -

Ma io ci vedo poco… Non sei Kent?

KENT -

Proprio lui, sire, il vostro servitore.

Non ricordate il vostro servo Caio?(152)

LEAR -

Bravo ragazzo, quello, garantisco!

Sa menar buoni colpi, ed alla spiccia.

È morto e putrefatto.

KENT -

Ma no, mio buon signore; son io quello…

LEAR -

Si vedrà, si vedrà!

KENT -

… quello, signore,

che dalla prima vostra dissidenza

v’ha seguito pei vostri tristi passi…

LEAR -

Siate qui benvenuto.

KENT -

… e nessun altro.

Tutto è dissoluzione, buio, morte.

Le vostre due maggiori, disperate

si son distrutte con le proprie mani

e sono morte.

LEAR -

Già, così io credo…

ALBANIA -

Più non connette, non sa quel che dice,

ed è vano ogni vostro tentativo

di farci riconoscere da lui.

EDGARDO -

Sì, è del tutto inutile.

Entra un UFFICIALE

UFFICIALE -

Signore, Edmondo è morto.

ALBANIA -

È men che nulla.

Voi, gentiluomini e nobili amici,

sappiate ora i nostri intendimenti.

Tutto che possa riuscir di conforto

a sì grande sciagura, sarà fatto.

In quanto a noi, finché duri la vita

di questa veneranda maestà,

(Indica Lear)

rassegneremo a lui

la somma delle nostre potestà.

(A Edgardo e Kent)

In quanto a voi, sarete reintegrati

nella pienezza dei vostri diritti

con un compenso di riparazione

e con l’aggiunta di tutti quei titoli

che le vostre onorevoli persone

si sono degnamente meritati.

E così tutti gli altri nostri amici

dovranno assaporar la ricompensa

dei lori meriti; tutti i nemici

berranno il calice dei lor demeriti.

(Lear s’accascia al suolo)

Oh guardate, guardate!

LEAR -

E la mia innocente pazzerella

è strangolata!… (153) Niente, niente vita!

Perché dovrebbe un cane, un brocco, un topo

avere vita, e tu neppure un soffio?…

Tu non tornerai più, mai più, mai più…

Sbottonatemi qui… (154) Grazie, signore…

Vedete questo?… Guardate, guardate!

Le sue labbra… Guardate… lì… guardate…

(Muore)

EDGARDO -

Viene meno… Signore! Mio signore!

KENT -

Spèzzati, cuore mio!… Ah, che pietà!

EDGARDO -

Aprite gli occhi, sire…

KENT -

Non turbate il suo spirito oramai!

Oh, lasciate che passi e vada in pace!

È odioso prolungargli la tortura

sulla ruota di questo duro mondo.

EDGARDO -

È proprio morto!

KENT -

Ed è stato un miracolo

ch’abbia potuto trascinarsi a vivere

così a lungo. Usurpava ormai la vita.

ALBANIA -

Siano portati via.

A noi non resta, nell’ora presente,

che proclamare il lutto nazionale.

(A Kent ed Edoardo)

Amici del mio cuore, a entrambi voi

di assumere la guida ora del regno

e risanar le piaghe dello Stato,

ferito e sanguinante.

KENT -

Io, signore, dovrò mettermi in viaggio

al più presto. Mi chiama il mio padrone.

Non posso dirgli no.

EDOARDO -

Spetterà dunque a noi

portare, rassegnati, tutto il peso

di questi tristi tempi;

e dire quello che sentiamo dentro,

non quello che dovremmo.(155)

Il più vecchio di noi ha più sofferto;

noi non vedremo né vivremo tanto.(156)

 

 

FINE

 

  1. Si veda in proposito quanto scrive A. C. Bradley (“Shakespearian Tragedy”, McMillan, London, 1908): “Il ‘fool’ di questa tragedia non è la comune sguaiata figura del “buffone” del dramma elisabettiano, che ha il semplice scopo di divertire il principe con lazzi e arguzie più o meno sboccate. Qui la funzione del ‘fool’ è più seria e nobile: egli ha più degli altri la coscienza dell’intima sofferenza del re, al quale vuole bene sinceramente, e cerca di alleviarla con consigli di prudenza e incitamenti alla virtù accorta; e tutto ciò in uno stato d’animo che ondeggia fra la saggezza e la demenza: una demenza che concettualmente s’accorda con quella del re”. Anche il Carcano (Pirola, Milano, 1843) traduce “matto”, e dopo di lui, il Chiarini (Sansoni, Firenze, 1943), il Lodovici (Einaudi, Torino, 1960) e altri.

(2) “Albania”, “Cornovaglia”: si usava chiamare i re e i nobili titolati col nome del dominio di cui erano titolari. “Albania” (“Albany”) è l’antico nome col quale si designava la regione compresa tra la parte settentrionale dell’Inghilterra e orientale della Scozia (da Albanatte, il leggendario discendente di Enea).

(3) Gloucester gioca sul doppio significato di “conceive”, che ha, come in italiano, il significato di “concepire mentalmente” e di “rimanere incinta”.

(4) La didascalia del testo ha “Sound a sennet”. “Sennet” è uno dei segnali musicali del teatro di Shakespeare. Gli altri sono: il “Flourish”, l’“Alarm” (o “Alarum”), il “Tucket”. Quale fosse la forma musicale e la durata di ciascuno di essi, non si sa. La loro collocazione nel percorso scenico li farebbe riconoscere così, quanto alla loro funzione:

 

  1. il “Sennet” è il più importante e solenne: annuncia l’ingresso in scena di un personaggio regale e consiste in una serie di squilli di tromba o di corno, o di tromba e corno insieme. È spesso usato anche per salutare l’entrata e l’uscita di scena di cortei, “pageants”, processioni, tornei, ecc.;
  2. il “Flourish” è un semplice squillo di tromba, spesso ripetuto, ma di breve durata, usato in circostanze analoghe, ma di carattere meno solenne e pomposo;
  3. l’“Alarm” è il rullo di uno o più tamburi, usato normalmente per annunciare lo svolgersi di una battaglia sulla scena o fuori, l’ingresso e l’uscita di un esercito in marcia. Può accompagnare uno degli altri due segnali precedenti;
  4. il “Tucket” consiste anch’esso di uno squillo di tromba, ma è usato specificamente come segnale di marcia di truppe a cavallo.

(5) Si legga, per la metrica: “Glo-ster”.

(6)Tell me, my daughters”: finora ha parlato col “nos majestatis”; i passaggi repentini dall’“io” al “noi” dei re sono frequentissimi in Shakespeare.

(7) “… where nature doth with merit challenge”, ossia dove il legame naturale di figlia gareggia nella sua persona con altri meriti verso il padre. Lear, in procinto di rinunciare al regno e di ripartirlo fra le figlie e rispettivi mariti, si preoccupa di trascorrere in pace i suoi ultimi anni, e pensa che questo non può essergli garantito che dalle cure e dalla devozione di quella delle sue figlie che gli è più disinteressatamente affezionata; e dice che verso costei – una volta che egli l’abbia individuata fra le tre con questo esame sommario – l’assegnazione dotale sarà più liberale. È il conflitto legame naturale/sentimenti su cui ruota tutto il dramma.

(8) “… beyond all manner of ‘so much’ I love you”, letteralm.: “… al di là di tutti i ‘basta’”.

(9) Si tratta di una doppia sineddoche: il re di Francia è indicato nei vigneti, di cui è ricca la sua terra, e il Duca di Borgogna è indicato nel latte, vale a dire nella ricchezza dei pascoli che caratterizza la sua terra. Sono i due pretendenti alla mano di Cordelia, ai quali Lear ha accennato prima.

(10)Nothing will come of nothing”, ossia: “Se dici che nulla sai dire, vuol dire che non hai nulla dentro (da dove esce la tua voce per dirlo)”.

(11)“… or he that makes his generation messes, to gorge his appetite”: “his generation” è inteso da qualcuno (Melchiori, Mondadori 1989) per “chi t’ha generato”: ma “generation” in Shakespeare è sempre “prole”, “discendenza” (cfr. in “Timone di Atene”, I, 1, 203: “Thy mother’s of my generation”, “Tua madre è della stessa mia progenie”).

(12) “… whose low sound reverbers no hollowness”: i “vacui rimbombi” sono le enfatiche per quanto insincere dichiarazioni d’amore delle altre due figlie (si noti che Shakespeare, per rendere questa insincerità, ha messo in bocca alle due figlie, nelle loro dichiarazioni d’amore al padre, una serie di retorici e artificiosi paragoni); ma il testo inglese ha un sottinteso, che l’italiano non può rendere, perché “hollowness” il cui significato corrente è “vuoto”, cioè qualcosa che ha in sé una cavità il cui il suono si ripercuote con un caratteristico rimbombo, nell’inglese del ’500 significava anche “falsità”, “insincerità”, vuotezza di verità, insomma; ed è quella che Kent vuol dire che ripercuotono, dal vuoto dei loro cuori, le parole delle altre due figlie.

([13]) “… as a pawn to wage against thine enemies”: nello stesso senso di “pawn”, “pegno d’onore posto a sfida”, v. in “Riccardo II”, I, 1, 73-74: “If guilty dread have left thee so much strenght/ as to take up my honour’s pawn”:

“Se rimorso e paura
“t’han lasciato la forza di raccogliere
“il mio pegno d’onore…”

(14) “… and let me still remain/ The true blank of thine eye”: cioè: “Non che togliermi dalla tua vista, tieni fisso lo sguardo su di me, ch’io possa ancora essere tua guida”.

(15)If on the next day following”: si segue la lezione dell’Oxford Shakespeare (cit.), che sembra più logica di quella dell’in-folio: “If on the tenth day following”, “Se dopo dieci giorni”, seguìta dalla maggioranza dei curatori, compreso l’Alexander. Altri leggono “If on the seventh day”, “Se dopo sette giorni”. Ma non si capisce perché sette giorni, o dieci, quando poco prima Lear ha detto che il bando ha effetto dopo cinque.

(16) “… if aught within that little seemin substance, or all of it…”: poco prima le aveva detto “da nulla non può sortire nulla”, sicché per Lear è nulla, e perciò non vale nulla agli effetti della dote.