Ma non si capisce perché sette giorni, o dieci, quando poco prima Lear ha detto che il bando ha effetto dopo cinque.

(16) “… if aught within that little seemin substance, or all of it…”: poco prima le aveva detto “da nulla non può sortire nulla”, sicché per Lear è nulla, e perciò non vale nulla agli effetti della dote. Qualcuno (Craig) ha creduto d’intendere: “… se v’è in lei qualcosa ch’è tutta sostanza, com’ella crede di essere…”; ma è un’evidente forzatura.

([17]) “… and well are (you) worth the want that you are wanted”: verso di bella fattura ma di significato oscuro. Può significare, come l’abbiamo inteso noi: “… e hai meritato d’esser privata dell’eredità, di cui infatti sei stata privata”, ma anche; “… e hai meritato di non esser trattata (da tuo padre e dalle tue sorelle) con quell’amore di cui tu stessa sei priva”. Scelga chi vuole.

(18) “… and permit the curiosity of nations”: “… e permettere alla sofisticheria delle nazioni”; la successione ereditaria, in mancanza di leggi codificate, era regolata dallo “jus gentium”, il diritto delle genti (o delle nazioni), appunto.

([19]) “… my mind as generous”: per l’uso dell’aggettivo “generous” nel senso di “animoso” (“high-spirited”) in Shakespeare v. anche in “Amleto” IV, 7, 135: “… he, being remiss, most generous”:

“Trascurato com’è, e animosissimo…”

(20)All this done upon the gad?”: “upon the gad” è espressione idiomatica che significa letteralmente: “sotto il pungolo”.

(21) “… the King falls from bias of nature”: è immagine tratta dal gioco delle bocce: “to fall from…” si dice della boccia che invece di andar dritta nella direzione voluta dal giocatore, subisce una deviazione.

(22) Il linguaggio astrologico e l’attribuzione ai personaggi dell’antica credenza dell’influenza sulla vita, sul carattere e sul destino degli uomini, del pianeta sotto il segno del quale si è nati, è una costante del teatro di Shakespeare. Nella prima scena del I atto Lear giura:

“… per il sacro fulgore del sole,
“per i misteri d’Ecate e la notte,
“e per tutti gli influssi dei pianeti
“per cui viviamo o cessiamo di vivere”.

Nel sistema tolemaico ogni pianeta ha la sua orbita ed esercita un particolare influsso sui nati sotto il suo segno. Qui la “Coda del Drago” (“Dragon’s tail”) non è però un pianeta, ma è l’intersezione fra le orbite della luna e del sole, considerata come segno infausto; così l’Orsa maggiore (che Edmondo chiama in latino “Ursa Major”) è la costellazione che infonde rozzezza di carattere e lascivia. (Confr. altrove in Shakespeare:

1) in “Tanto trambusto per nulla”, I, 3, 8-10: “I wonder that thou, being, as thou say’st thou art, born under Saturn…”:

“Mi stupisce che uno come te
“nato sotto l’influsso di Saturno,
“come tu dici…”;

2) “Romeo e Giulietta”, Prologo, 6, “… a pair of star-crossed lovers”:

“un coppia di amanti
“da una maligna stella contrastati…”

(23)My cue is…”: espressione del gergo teatrale, che indica quando l’attore, secondo il copione, deve intevenire a parlare alla fine dell’ultima parola (“the cue”) del suo interlocutore.

(24) “… with a sing like Tom of Bedlam”: “Tom of Bedlam”, era verosimilmente il nome di un noto accattone girovago nella Londra dell’epoca, diventato proverbiale. La sua figura sarà ben tratteggiata nella scena seconda del III atto. “Bedlam” è l’antica dizione di Bethlehem, con la quale s’indicava a Londra l’ospizio di Santa Maria di Betlemme, adibito ad asilo dei malati di mente.

(25) Il testo ha: “Did my father strike my gentleman?”, letteralm.: “Mio padre ha picchiato il mio gentiluomo”, che molti intendono che il “gentiluomo” picchiato da Lear non sia lo stesso Osvaldo ma “uno dei miei gentiluomini”. Invece Gonerilla intende lo stesso Osvaldo. Questi nell’in-folio è sempre indicato, nelle didascalie come nei prefissi, col nome di “Steward”, “maggiordomo”, mentre nei due in-quarto è indicato come “gentleman”. Qui il copionista ha lasciato “Steward” nella didascalia di entrata in scena (“Enter GONERILL and STEWARD”), e “Gentleman” nel testo; il che è del tutto possibile.

(26) In che cosa è travestito Kent, non è detto. Kent è un conte; ma dalla parte che egli s’impone per stare accanto al re, che ama, e per non esser da lui riconosciuto, il suo travestimento è quello di un buon borghese, fisicamente ancora prestante (“Ho quarantotto inverni sulle spalle” – dirà più sotto), provvisto di buona cultura e soprattutto di molto giudizio”). Se l’immagini ciascuno come vuole.

(27) “… to fear judgement”: “judgement” è qui “giudizio di qualcuno che decide su di me”, nello stesso senso che in “Amleto”, V, 2, 231, laddove Amleto che si batte alla spada con Laerte, chiede, dopo la prima stoccata: “Judgement?”, “Che dice l’arbitro?”. È un sottinteso riferimento alla decisione di Lear di metterlo al bando, senza motivo.

(28) “… and to eat no fish”: “il venerdì” non è nel testo, ma è implicito: Kent professa di possedere, oltre alle altre buone qualità, quella di essere buon anglicano, che all’epoca era il contrario di “papista”, ossia di cattolico seguace della Chiesa di Roma; e per distinguersi dai “papisti”, che mangiano il pesce il venerdì per osservare il precetto del settimanale digiuno di carne, Kent dice che lui “non mangia pesce”.

(29)Ho, I think the world’s asleep!”, letteralm.: “Oh, penso che il mondo si sia addormentato!”

(30) “… you base football-player!”: questo traduttore non se l’è sentita di rendere letteralmente questa frase: “vile (o cattivo) giocatore di calcio!”; è improbabile che Shakespeare abbia messo in bocca a Lear, in un accesso d’ira come questo, una frase così melensa. “Football” ha anche un senso figurato di “gioco illecito” (come nell’espressione: “l’istituzione del meretricio nel mondo è diventato il ‘gioco del football’ dei ruffiani”). “Pallonaro” è preso in prestito dal Melchiori (cit.).

(31)Here’s my coxcomb”: “coxcomb” è il berretto variopinto a sonagli che portavano i giullari e i buffoni di corte. Il Matto da del tu al re e a tutti.

(32)How, now nuncle!”: “nuncle”, contrazione di “myn uncle”, era la forma per rivolgersi ad un uomo più anziano, ed era il comune appellativo con cui il buffone si rivolgeva al principe.

(33) “… like the breath of an unfee’d lawyer”: allusione agli avvocati nominati d’ufficio a difendere imputati nullatenenti; non parlavano e si limitavano a dire: “Mi rimetto alla giustizia”.

(34) Tutta questa battuta del Matto è un bisticcio costruito sul molteplice significato della parola “crown”, che vale “corona” (moneta), “corona di re”, “zucca” (teschio) e “guscio d’uovo”.

(35)“Play bo-peep”: si chiama così un gioco infantile simile al nostro nascondino: la madre si nasconde il viso innanzi al suo bimbo, poi si scopre improvvisamente per vedere la creatura sussultare e ridere. È una parafrasi per dire “tornato bambino in fasce”.

(36)What makes that frontlet on?”: il “frontlet” era la benda che le dame inglesi della fine del sec. XVI portavano stretta alla fronte quand’erano in casa, e aveva la funzione d’impedire che l’aggrottar delle ciglia provocasse delle rughe. Gonerilla entra in scena, verosimilmente, con la fronte cinta di quella benda e ciò giustifica le parole del padre di vederla un po’ troppo aggrottar le ciglia per lui, come a dire: “non hai motivo di portare quella benda per me”.

(37) Lear ce l’ha, ovviamente, con se stesso, e dice: “Guai a me che mi ravvedo troppo tardi dell’errore fatto nell’aver dato metà del mio regno a questa figlia che mi tratta così”. È l’inizio del dramma del suo amaro pentimento di padre.

(38) “… like an engine”: “engine” in questo senso anche in “Otello”, IV, 2, 216 (“… and device engines for my life”, “… e architetta ogni ordigno / per togliermi la vita.”); e in “Troilo e Cressida”, I, 3, 208 (“They place before his hand that made the engine”: “Per loro ha più valore/ della mano che costruì l’ordigno”, in questo caso l’ariete per sfondare i muri).

(39) “… create her child of spleen”: è tradotto alla lettera, ma in ogni altro modo più “italiano” perderebbe la bella sintesi poetica: il fiele (“spleen”) era ritenuto l’organo del corpo umano sede dell’umor malinconico, dell’asocialità, dell’impetuosità capricciosa e malevola.

(40) “Al castello” non è nel testo; ma è un aiuto al lettore che può domandarsi dov’è Gloucester, che abbiamo lasciato appunto nel suo castello, in preda a sospetto di parricidio da parte del figlio Edgardo, alla scena seconda. Nel castello di Gloucester si trovano anche l’altra figlia di Lear, Regana, con il marito, Duca di Cornovaglia.

(41)Thy wit shall not go slipshod”: cioè: “Chi ha i geloni ai calcagni deve portare pantofole invece di scarpe; ma poiché tu non hai cervello, non c’è pericolo che il tuo cervello prenda i geloni e tu ti debba mettere in pantofole. Quindi sta’ allegro” (“Then I prithee be merry”).

(42)Shalt see thy other daughter will use thee kindly”: il Matto mette arguzia in ogni frase; qui usa l’avverbio “kindly”, che significa “gentilmente”, “amorevolmente”, ma anche “according to (one’s) kind”, “secondo lo stesso genere”; e “lo stesso genere” dell’altra figlia, Regana, è quello della sorella, Gonerilla; perciò – sottindende il Matto – non t’aspettare d’esser trattato diversamente.

(43) Il paragone con la mela selvatica (o mela cotogna) che è quanto di più aspro al gusto, vuol sottolineare l’asprezza delle due donne, eguale in entrambe.

(44)Seven Stars” è il nome inglese della costellazione delle Pleiadi.

(45) Questi due versetti finali, che chiudono una scena tutta in prosa, un’aggiunta di fattura mediocre e quasi certamente non di mano di Shakespeare ma di qualcuno dei suoi copisti, per la loro sibillinità sono stati variamente interpretati. Probabilmente il Matto allude a quelli che saranno gli amori di Gonerilla con il bastardo Edmondo.

(46) “… threading dark-eyed night”: è il traslato della fuga nella notte nell’immagine del filo che entra nella cruna dell’ago, difficile da infilare perché buia come l’occhio della notte.

(47) “… if I had thee in Lipsbury pinfold”: è un modo di dire colloquiale per significare: “… se fossimo chiusi, tu ed io soli, in uno spazio ristretto, a faccia a faccia”. Ma è dubbio. “Lipsbury” è il nome di località inesistente (come dire “Roccacannuccia”) e “pin-fold” è il recinto dove si raccoglievano i bovini sperduti o affetti da malattie.

(48) “… three-suited”: sta per il più comune “third-suited”, detto di qualcuno che porta addosso vestiti di terza mano: uno straccione.

(49) “… hundred-pound filthy-worsted-stocking knave”: Osvaldo è mingherlino, pesa solo cento libre, circa 34 chilogrammi, ma Kent esagera un po’ per dire che è leggero, quindi di poco valore. Essere malcalzato (“filthy-worsted-stocked”) voleva dire essere un poveraccio: le calze, simbolo di distinzione, dovevano essere di seta ed erano un genere di vestiario assai caro, alla portata solo dei ricchi; la plebe portava rozze calze di lana.

(50) “Frustaspecchi” è termine inventato dal Lodovici per tradurre “glass-gazing” (“sempre azzimato davanti allo specchio”) e che prendo in prestito volentieri perché rende come meglio non si potrebbe l’idea di questo Osvaldo mingherlino che si pavoneggia qua e là davanti allo specchio come a frustarlo per dirgli “Riflettimi bello!”.

(51)I’ll make a sop o’ the moonshine of you”: “uova al chiaro di luna” (“eggs in moonshine”) gli inglesi chiamano una pietanza fatta con uova sbattute e cotte all’arrabbiata; qui Kent alle uova sostituisce la zuppa (“sop” è il pane inzuppato in un liquido).

(52) La Vanità era uno dei personaggi delle rappresentazioni allegoriche (“pageants”) in voga nelle corti del sec.