Quindi sta’ allegro” (“Then I prithee be merry”).
(42) “Shalt see thy other daughter will use thee kindly”: il Matto mette arguzia in ogni frase; qui usa l’avverbio “kindly”, che significa “gentilmente”, “amorevolmente”, ma anche “according to (one’s) kind”, “secondo lo stesso genere”; e “lo stesso genere” dell’altra figlia, Regana, è quello della sorella, Gonerilla; perciò – sottindende il Matto – non t’aspettare d’esser trattato diversamente.
(43) Il paragone con la mela selvatica (o mela cotogna) che è quanto di più aspro al gusto, vuol sottolineare l’asprezza delle due donne, eguale in entrambe.
(44) “Seven Stars” è il nome inglese della costellazione delle Pleiadi.
(45) Questi due versetti finali, che chiudono una scena tutta in prosa, un’aggiunta di fattura mediocre e quasi certamente non di mano di Shakespeare ma di qualcuno dei suoi copisti, per la loro sibillinità sono stati variamente interpretati. Probabilmente il Matto allude a quelli che saranno gli amori di Gonerilla con il bastardo Edmondo.
(46) “… threading dark-eyed night”: è il traslato della fuga nella notte nell’immagine del filo che entra nella cruna dell’ago, difficile da infilare perché buia come l’occhio della notte.
(47) “… if I had thee in Lipsbury pinfold”: è un modo di dire colloquiale per significare: “… se fossimo chiusi, tu ed io soli, in uno spazio ristretto, a faccia a faccia”. Ma è dubbio. “Lipsbury” è il nome di località inesistente (come dire “Roccacannuccia”) e “pin-fold” è il recinto dove si raccoglievano i bovini sperduti o affetti da malattie.
(48)
“… three-suited”: sta per il più comune “third-suited”, detto di qualcuno che porta addosso vestiti di terza mano: uno straccione.
(49) “… hundred-pound filthy-worsted-stocking knave”: Osvaldo è mingherlino, pesa solo cento libre, circa 34 chilogrammi, ma Kent esagera un po’ per dire che è leggero, quindi di poco valore. Essere malcalzato (“filthy-worsted-stocked”) voleva dire essere un poveraccio: le calze, simbolo di distinzione, dovevano essere di seta ed erano un genere di vestiario assai caro, alla portata solo dei ricchi; la plebe portava rozze calze di lana.
(50) “Frustaspecchi” è termine inventato dal Lodovici per tradurre “glass-gazing” (“sempre azzimato davanti allo specchio”) e che prendo in prestito volentieri perché rende come meglio non si potrebbe l’idea di questo Osvaldo mingherlino che si pavoneggia qua e là davanti allo specchio come a frustarlo per dirgli “Riflettimi bello!”.
(51) “I’ll make a sop o’ the moonshine of you”: “uova al chiaro di luna” (“eggs in moonshine”) gli inglesi chiamano una pietanza fatta con uova sbattute e cotte all’arrabbiata; qui Kent alle uova sostituisce la zuppa (“sop” è il pane inzuppato in un liquido).
(52) La Vanità era uno dei personaggi delle rappresentazioni allegoriche (“pageants”) in voga nelle corti del sec. XVI insieme con l’Iniquità, la Giustizia, l’Amore, il Valore, ecc.
(53) “I’ll flesh you”: è frase tolta dal gergo venatorio; “to flesh” è l’azione di dare in pasto al cane o al falcone un pezzo della carne dell’animale ucciso, per eccitarli alla caccia di altri.
(54) Cioè: “Sei un manichino vestito, non un uomo, vali solo i panni che porti addosso”.
(55) “Thou whoreson zed, thou unnecessary letter!”: la lettera “Z” fu sempre considerata dai prammatici inglesi un inutile intruso nel loro alfabeto, il suo suono essendo del tutto simile a quello della “S”; infatti nelle composizioni tipografiche dei primi stampatori scozzesi i suoni “Z” e “S” sono rappresentati con lo stesso carattere, e la confusione tra i due è sempre rimasta nella pronuncia di certi nomi. Dire a uno “non vali una zeta” e come dire in italiano “non vali un’acca”.
(56) Si capisce che i “nodi” cui allude Kent sono i legami tra padre e figlie, pensando a Lear. Osvaldo è per lui uno dei responsabili del malcomportamento della sua padrona, Gonerilla, verso Lear.
(57) “Sarum” è l’antico nome anglo-latino di Salisbury, e la sua piana è quella dove sorgono i famosi dolmen di Stonehenge; Camelot (leggasi, per la metrica “Cam-lot”) pare fosse una località dove si allevavano oche in gran quantità.
(58) “… though I should win your displeasure to entreat me to’t”: frase obliqua, variamente intesa, il cui senso più probabile è: “… s’anche dovessi incorrere nel vostro disfavore e il timore di questo mi spronasse a diventarlo (un adulatore)”.
(59) Allusione all’eroe omerico di Aiace Telamonio, lo smargiasso del campo greco nel dramma shakespeariano “Troilo e Cressida”.
(60) “A good man’s fortune may grow out of the heels”: il costrutto della frase si presta a varie interpretazioni, di significato opposto; a Gloucester, che si offre d’intercedere per lui presso il Duca di Cornovaglia, Kent può dire: “A un brav’uomo (com’io sono) la fortuna può venire anche dai calcagni (ossia: chi sa che da una circostanza penosa e degradante come questa non possa derivar del bene: il gesto del Cornovaglia può giovare alla causa di Lear); o può dire, al contrario, sempre con riferimento ai ceppi: “All’uomo onesto la fortuna può anche uscir fuor dai calcagni”; o infine Kent può dire, come noi abbiamo inteso, e senza riferimento ai ceppi: “La fortuna di un galantuomo può anche mostrare i calcagni”, cioè allontanarsi da lui: quattro versi più sotto dirà: “Il favore del cielo m’ha abbandonato”. Scelga comunque il lettore.
(61)“Good King”: è un’invocazione al sole, re dell’universo, frequente nei poeti elisabettiani. È l’ora del primo mattino e il sole sta per sorgere.
(62) Per “Bedlàm” v. sopra la nota 24.
(63) “Ha, ha! He wears cruel gartners!”: qui il testo ha un sottile bisticcio, che si segnala senza poterlo rendere. Il bisticcio sta in “cruel”, “crudele”, che ha la stessa fonia di “crewel”, “lana”, “cosa fatta di lana”, sicché l’intera frase del Matto può intendersi ironicamente: “egli indossa giarrettiere di lana (cioè soffici)”, per indicare il contrario di “crudeli”.
(64) “… che se fossero dollari” non è nel testo, ma è implicito nell’idea del “contare per un anno”, com’era implicito, all’orecchio dello spettatore elisabettiano, l’accostamento dolori/dollari nella pronuncia dell’attore, che pronunciava “dolours” come “dollars”; e di dollari si parlava molto all’epoca, perché era il nome inglese dato al peso spagnolo (= 8 reales) nelle colonie inglesi del Nord America al tempo della loro rivolta (1581).
(65) “… my mother”: “la madre che sta dentro di me”. Più sotto la chiamerà “hysterica passio”, e dirà a questo suo sentimento uterino (“hystericus” è l’aggettivo del sostantivo “hyster”, “utero”), di non salirgli fino al cuore.
(66) “Not in the stocks, fool”: ci si può domandare perché il Matto dia del matto a Kent. Il Matto ha capito chi è Kent: è uno che vuol bene al re e che resterà come lui a fianco del re, quando tutti l’avranno abbandonato; perciò è matto come lui, come il matto dello strambotto declamato poco prima.
(67) “… make it your cause”: “della mia obbedienza”, s’intende: cioè dell’obbedienza che mi si deve dalle mie figlie e che non trovo più in esse.
(68) “Blow, winds, and crack your checks!”: la tradizionale iconografia del vento è quella di un volto umano con le guance gonfie in atto di soffiare.
(69) “Till you have drowned the cocks!”: “cocks” sono le sagome metalliche, fatte a forma di gallo, infisse sui perni mobili delle guglie delle chiese per segnare la direzione del vento.
(70) “… court holy-water in a dry house is better that this rain-water out o’door”: il Matto gioca sul gesto, ritenuto ipocrita per definizione, di quando in chiesa si passa al proprio vicino l’acqua santa con le dita appena bagnate nell’acquasantiera; e dice che è comunque meglio quell’acqua, tra quattro mura asciutte, che l’acqua piovana che i due si stanno prendendo addosso allo scoperto. Per un re la “court holy-water” è l’idiozia adulatrice dei cortigiani; ma il Matto, per quanto la consideri disgustosa, dice di rimpiangerla di fronte allo star sotto la pioggia.
(71) “The cod-piece that will house…”: “cod-piece” era il borsello di cuoio che gli uomini, dal medioevo al rinascimento hanno portato appeso davanti alle braghe e serviva a riporvi monete, chiavi, carte e altro; nei buffoni di corte esso era più appariscente e spesso variopinto, tanto che si indicava con esso la stessa persona del buffone. Ma era anche chiamata così la parte del corpo maschile davanti alla quale pendeva il borsello, cioè i genitali.
(72) “Where is this straw…”, letteralm.: “Dov’è questa paglia?” La parte per il tutto: la capanna ha il tetto di paglia.
(73) Il Matto si rivolge agli spettatori; è il solito monologo, frequente in Shakespeare e in tutto il teatro elisabettiano, col quale un personaggio del dramma colloquia col pubblico che gli sta intorno.
(74) Merlino è il mago vissuto al tempo di Re Artù, cioè al XII secolo; la vicenda di Re Lear risale assai più indietro nel tempo, secondo alcuni all’epoca della romanizzazione della Britannia.
(75) “Queste esclamazioni di Edgardo, come altre in seguito, non hanno un significato. Sono quelle di un demente, come egli si finge, uscito dall’Ospizio di Bedlam.
(76) “O do, de, do, de, do, de”: suono onomatopeico indicante, verosimilmente, il verso dell’attore che deve battere i denti per il freddo.
(77) “Death, traitor!”: “traitor” ha spesso in Shakespeare il significato di “falso”, “bugiardo”; e, viceversa, “false” vale “traditore” come più sotto III, 6, 55:” False justicer”, “Giudice traditore”.
(78) “pelikan daughters”: cioè figlie di padre pellicano, ché il pellicano è lui, Lear: “I am so kind as
the pelikan that kills it selfe to save her young”, si legge nell’antico racconto in latino “Historia regum Britanniae” dello storico gallese Geoffrey of Monmouth (c. 1100-1154) che Shakespeare doveva conoscere: l’Holinshed, nelle sue “Cronache”, una delle fonti predilette da Shakespeare, ne fa l’elogio.
L’immagine del pellicano femmina che si becca il petto per farne uscire sangue con cui nutrire i suoi piccoli fa parte della tradizione iconografica e letteraria del medioevo, quando fu anche usata come simbolo del Cristo che s’immola per i suoi figli, l’umanità.
(79) Edgardo associa fonicamente pellicano con Pellicocco, che è un personaggio della leggenda popolare inglese che cantava: “Pillicock, Pillicock sat on hill,/ If he’s not gone, he sits there still”.
Pillicock è anche il nome scherzoso per l’organo genitale maschile.
(80) “… wore gloves on my cap”: per il bellimbusto della fine del sec. XVI portare i guanti appuntati sul cappello (verosimilmente sulla sua larga tesa) era segno di spavalda prestanza.
(81)“… and did the act of darkness with her”: si è dovuto rendere alla lettera perché “act of darkness” (o “deed of darkness”) è la precisa espressione biblica per indicare l’atto sessuale. Si ricordi che al tempo in cui Shakespeare scriveva “Re Lear” (1605-1606) era in corso in Inghilterra la nuova Vulgata della Bibbia di Giacomo I, ad opera di un gruppo di studiosi, e il pubblico ne seguiva i lavori che si dovevano concludere nel 1611.
(82) “… and in woman outparamoured the Turk”: “outparamoured” è parola creata da Shakespeare come perfetto di un verbo “to paramour” dal sostantivo/avverbio “paramour” che è l’amante nel senso sessuale; perciò il verbo col suffisso accrescitivo “out” vale “superare in fatto di commerci amorosi” (il Sultano, leggendario per la ricchezza del suo harem).
(83) “light of ear”: “leggero d’orecchio” cioè d’orecchio pronto ad ascoltare ogni sorta di “leggerezza”.
(84) “Keep thy hand out of packets”: “packets” sono, più precisamente, gli spacchi delle gonne, da cui trasparivano; ma con allusione oscena a “spacchi” più nascosti.
([85]) “Dolphin, my boy, boy, sesey!
Let him trot by!”: Edgardo all’inizio ha detto che “il diavolo maligno” lo fa “cavalcare al trotto sopra un cavallo baio”. Ora egli si risente in sella e incita il suo cavallo, cui dà il nome di Delfino riecheggiando, pare, il verso di una canzone popolare.
(86) Questo nome di diavolo con tutti gli altri evocati in seguito (Smulkin, Modo, Mahu, Frateretto) Shakespeare li avrebbe presi in prestito da uno scritto – una satira contro la Chiesa di Roma – di Samuel Harsnet “A Declaration of Egregious Popish Impostures”, “Rivelazioni sulle illustri imposture papiste”.
(87) Questi versetti, di origine ignota e visibilmente interpolati sembrano intesi secondo il Melchiori (cit.) come un “incanto” contro incubi notturni (“nightmares”); “night-mare” significa anche “puledra della notte” e “her nine-fold” che s’è reso “le nove sue compagne” è da leggersi forse “her
nine foals”, “i suoi nove puledri”. La traduzione “Versiera” è del Lodovici (cit.). San Vittoldo è santo ignoto; e l’invettiva dell’ultimo versetto “Aroint thee, witch” è la tipica invettiva contro le streghe che si ritrova anche in “Macbeth”, I, 3, 6:
“…………… ‘Via, strega, va’ via!’,
“grida quella rognosa naticona.”
(88) “with this philosopher”: “philosopher” sta qui per “wise man”, “con questo saggio”; per Lear, la cui ragione è vicina alla follia, il mentecatto Tom è un saggio. Nella sua mente, che comincia a vacillare, egli scorge nella finta filosofia di Edgardo, la propria filosofia della vita.
(89) “… with this same learned Theban”: c’è chi ha reso “Theban” per “Tebano di Tebe”, chi per “Tebano di Tebaide”, cioè eremita, anacoreta (la Tebaide, la regione desertica dell’alto Egitto era il luogo dove i primi eremiti cristiani si ritiravano per vivere in solitudine e penitenza). Ma sono pure fantasie, di quelle che attribuiscono a Shakespeare cose da lui mai pensate; qui la prova è che più sotto chiama lo stesso Tom / Edgardo “mio bravo Ateniese”.
(90) A proposito di questa improvvisa evocazione di Nerone, Cino Chiarini (“Re Lear”, traduz. con testo a fronte, Sansoni, Firenze, 1943) così annota: “Sembra che questa allusione a Nerone che pesca (ranocchi?) nell’inferno derivi da un passo del “Gargantua”, dove è detto che Traiano pescava ranocchie e Nerone suonava la gironda.” Che Shakespeare conoscesse il famoso racconto di Rabelais si rileva da un passo del suo “Come vi
piaccia”, (III, 2, 238) dove Celia dice: “You must borrow me Gargantua’s mouth”,
“Ci vuol la bocca di Gargantua
“per dirtelo, è parola troppo grande
“per il calibro d’oggi…”
Gargantua è il gigante dagli appetiti enormi del racconto, padre di Pantagruel.
(91) Si capisce che Lear pensa ai diavoli, di cui ha parlato prima Tom/Edoardo, e alle figlie.
(92) “Want’st thou eyes at trial, madam?”: la domanda è rivolta verosimilmente alle figlie di Lear, che si immaginano presenti al loro processo, e il suo senso è: “Vorreste avere anche davanti ai giudici occhi che vi guardassero bramosi? Avete quelli del demonio”.
(93) “Pur, the cat is grey”: “pur” è il verso del gatto che fa le fusa. Si credeva che i diavoli assumessero spesso la forma di gatto.
(94) “… thy horn is dry”: di che “corno” si tratti, è difficile dire; per alcuni è il corno del vino, che faceva le veci della fiaschetta; ma nessuno ha detto prima che Tom lo portasse. Altri (Melchiori) intende: “Ho vuotato il sacco”. In verità, voler cercare un senso in queste esclamazioni di Tom/Edgardo sembra fatica vana.
(95) “… draw the courtains”: si capisce che Lear, nel suo delirio, vede cortine dove non ci sono.
(96) “And I’ll go to bed at noon”: è l’ultima battuta del Matto, prima di sparire dalla scena, e risponde a Lear che ha detto di voler cenare “domani mattina”, secondandolo, in chiave comico/amara, nel rovesciare anche lui il ritmo della vita quotidiana; perché questo “fool” del “Re Lear” – citiamo sempre il Chiarini (op. cit.) – è anche lui affetto da una leggera demenza.
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