Riccardo III

 

WILLIAM SHAKESPEARE

 

 

 

 

 

 

 

 

RICCARDO III

 

Dramma storico in 5 atti

 

 

 

 

 

 

 

Traduzione e note di Goffredo Raponi

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Titolo originale: “THE TRAGEDY OF KING RICHARD THE THIRD”

 

NOTE PRELIMINARI

 

 

 

  1. Il testo inglese adottato per la traduzione è quello dell’edizione curata dal prof. Peter Alexander (William Shakespeare, “The Complete Works”, Collins, London & Glasgow, 1951-1960, pagg. XXXII-1370, con qualche variante suggerita da altri testi, in particolare quello della più recente edizione dell’“Oxford Shakespeare” curata da G. Welles & G. Tayor per la Clarendon Press, New York, U.S.A., 1988-1994, pagg. XLIX-1274; quest’ultima contiene anche “I due nobili cugini” (“The Two Noble Kinsmen”) che manca nell’Alexander.

 

 

  1. Il traduttore ha aggiunto di sua iniziativa alcune didascalie e indicazioni sceniche (“stage instructions”) laddove le ha ritenute opportune per la migliore comprensione dell’azione scenica alla lettura, cui questa traduzione è essenzialmente concepita ed ordinata, il traduttore essendo convinto della irrappresentabilità del teatro di Shakespeare sulle moderne ribalte.

Si è lasciata comunque invariata, all’inizio e alla fine di ogni scena, come all’entrata ed uscita dei personaggi nel corso d’una stessa scena, la rituale indicazione “Entra”/ “Entrano” (“Enter”) ed “Esce”/ “Escono” (“Exit”/ “Exeunt”), avvertendo peraltro che non sempre essa indica movimenti di entrata/uscita dei personaggi, potendosi dare che questi si trovino già in scena all’apertura della stessa, o vi restino alla chiusura. Il teatro elisabettiano - com’è noto - non aveva sipario.

 

 

  1. Il metro è l’endecasillabo sciolto, alternato da settenari; altro metro si è usato per citazioni, canzoni, proverbi, cabalette e altro, quando, in accordo col testo, sia stato richiesto uno stacco di stile.

 

 

  1. I nomi del personaggi che vi si prestano sono resi nella forma italiana; sono lasciati comunque nella forma inglese quando preceduti da “sir” o “lady”. Per esigenze di metrica, i nomi inglesi di più sillabe che alla pronuncia inglese suonano sdruccioli, bisdruccioli e perfino trisdruccioli - come tutte le parole di questa lingua mono-bisillabica (es. Wèstmoreland, Làncaster) - posso ritrovarsi diversamente accentati nel corpo del verso, secondo la cadenza sillabica di questo.

 

 

  1. Il traduttore riconosce di essersi avvalso di traduzioni precedenti, in particolare della prima versione poetica di Giulio Carcano e di quelle del Baldini, del Lodovici, del Melchiori, del Lombardo, del D’Agostino e di diversi altri, dalle quali ha tratto in prestito oltre alla interpretazione di passi oscuri o controversi, intere frasi e costrutti; di tutto ha dato opportuno credito in nota.

 

PERSONAGGI

 

 

RE EDOARDO IV

EDOARDO, principe di Galles, poi Re Edoardo V

figli del re

RICCARDO, duca di York

GIORGIO, duca di Clarenza

fratelli del re

RICCARDO, duca di Gloucester, poi Re Rccardo III

EDOARDO, conte di Warwick, figlio minore del Duca di Clarenza

ENRICO, conte di Richmond, poi Re Enrico VII

IL CARDINALE BOURCHIER, arcivescovo di Canterbury

THOMAS ROTHERHAM, arcivescovo di York

IL DUCA DI BUCKINGHAM

IL DUCA DI NORFOLK

IL CONTE DI SURREY, suo figlio

IL CONTE DI RIVERS

(Antonio Woodville) fratello della regina Elisabetta, moglie di Re Edoardo

IL MARCHESE DI DORSET

LORD GREY

figli della regina Elisbetta (dal primo marito)

IL CONTE DI OXFORD


LORD HASTINGS, Lord Ciambellano

LORD STANLEY, conte di Derby, suo amico

SIR JAMES BLOUNT

seguaci del Conte di Richmond

SIR WALTER HERBERT

LORD LOVEL

SIR WILLIAM BRANDON

SIR THOMAS VAUGHAN

SIR WILLIAM CATESBY

SIR JAMES TYRREL

SIR ROBERT BRAKENBURY, luogotenente della Torre

UN PRETE (Christopher Urwick)

IL LORD MAYOR DI LONDRA

LO SCERIFFO DEL WILTSHIRE

HASTINGS, messo di giustizia

TRESSEL

gentiluomini al seguito di Lady Anna

BERKELEY

UN PAGGIO

ELISABETTA, regina moglie di Re Edoardo

MARGHERITA, vedova di Re Enrico VI

LA DUCHESSA DI YORK,

madre di Re Edoardo IV, del Duca di Clarenza e del Duca di Gloucester

LADY ANNA NEVILL,

vedova di Edoardo, principe di Galles, figlio di Enrico VI, poi sposata al Duca di Gloucester

MARGHERITA, contessa di Salisbury, giovane figlia di Clarenza

GLI SPETTRI delle vittime di Riccardo III

Lords - Gentiluomini - Cortigiani - Vescovi - Borghesi - Cittadini - Soldati - Alabardieri - Sicari - Messaggeri

 

 

SCENA: in Inghilterra.

 

ATTO PRIMO

 

SCENA I - Una via di Londra(1)

 

Entra RICCARDO, duca di Gloucester

 

RICCARDO -

Ormai l’inverno del nostro travaglio

s’è fatto estate sfolgorante ai raggi

di questo sole di York;(2) e le nuvole

che incombevano sulla nostra casa

son sepolte nel fondo dell’oceano.

Ora le nostre fronti

si cingono di serti di vittoria;

peste e ammaccate sono appese al muro

le nostre armi, gloriose panoplie,

e in giulivi convegni tramutate

le massacranti marce militari.

Deposto ha Marte l’arcigno cipiglio

e spianata la corrugata fronte,

e, non più in sella a bardati destrieri

ad atterrir sgomente anime ostili,

ora se’n va, agilmente saltellando

per l’alcova di questa o quella dama

alle lascive note d’un liuto.

Ma io che son negato da natura

a questi giochi, che non son tagliato

per corteggiare un amoroso specchio,

plasmato come son da rozzi stampi,

e privo della minima attrattiva

per far lo sdilinquito bellimbusto

davanti all’ancheggiar d’una ninfetta;

io, che in sì bella forma son tagliato,

defraudato d’ogni armonia di tratti,

monco, deforme, calato anzitempo(3)

in mezzo a questo mondo che respira;

io, che sono sbozzato per metà

e una metà sì sgraziata e sbilenca

che m’abbaiano i cani quando passo;

io, dico, in questa nostra neghittosa

e zufolante stagione di pace,

altro svago non ho, altro trastullo

da consentirmi di passare il tempo,

fuor che sbirciare la mia ombra al sole

e intonar col pensiero, in vari toni,

variazioni sul mio stato deforme.

Sicché, poiché natura m’ha negato

di poter fare anch’io il bellimbusto

di su e di giù, com’è frivola moda

di questi tempi dal parlar fiorito,

ho deciso di fare il delinquente,

e di odiare gli oziosi passatempi

di questa nostra età.

Ho tramato complotti d’ogni genere,

ho iniettato negli animi il veleno

con profezie, calunnie, fantasie,

per seminar mortale inimicizia

tra mio fratello Clarenza ed il re;

e se re Edoardo è uomo giusto e retto

com’io son furbo, falso e traditore,

proprio oggi Clarenza

dovrebb’essere preso e imprigionato

in virtù d’una certa profezia

secondo cui gli eredi di Edoardo

saranno assassinati da una “G”.(4)

Entrano il DUCA DI CLARENZA e BRAKENBURY

Ma adesso, miei pensieri,

sprofondate nel fondo del mio cuore,

perché Clarenza è qui… Buondì, fratello.

Che significa questa scorta armata

che ti cammina a fianco?

CLARENZA -

Per protezione della mia persona,

sua maestà m’ha assegnato questo corso

che mi meni alla Torre.

RICCARDO -

E perché mai?

CLARENZA -

Perché mi chiamo Giorgio.

RICCARDO -

Ohibò, fratello!

Di questo tu non hai nessuna colpa;

per questo il re dovrebbe incarcerare

i tuoi padrini. Forse sua maestà

avrà in mente di farti battezzare

una seconda volta nella Torre…

Ma, sul serio, Clarenza,

di che si tratta, lo posso sapere?

CLARENZA -

Sì, sì, quand’io l’avrò saputo anch’io,

Riccardo, perché ancora non lo so.

Per quanto n’abbia potuto sapere,

egli dà ascolto a sogni e profezie,

e ha strappato la “G” dall’alfabeto

perché un veggente, dice, gli ha predetto

che per mano e ad opera di un “G”

sarà diseredata la sua prole.

E poiché “G” è la lettera iniziale

del nome mio, ne segue, a suo giudizio,

che quel “G” sarei io…

Per questa ed altri simili sciocchezze

senza alcun fondamento, come apprendo,

sua altezza mi fa ora arrestare.

RICCARDO -

Questo è quel che succede quando gli uomini

si fanno governare dalle donne.

Chi manda te alla Torre non è il re,

ma Lady Grey sua moglie; è lei, Clarenza,

che lo trascina a tal sorta di eccessi.

E non è stata lei, con suo fratello,

l’esimio ed onorato Antonio Woodville,

a indurre il re a rinchiudere Lord Hastings

alla Torre, da dove proprio oggi

è uscito in libertà?…

Noi non siamo al sicuro qui, Clarenza,

noi non siamo al sicuro.

CLARENZA -

Penso, perdio, che non lo sia nessuno

al sicuro, all’infuori dei parenti

della regina e dei porta-messaggi

che nottetempo fan su e giù la spola

fra lui e mistress Shore.(5)

Non hai sentito che anche Lord Hastings

s’è dovuto ridurre umile supplice

presso di lei per esser liberato?

RICCARDO -

Ed alla sua deità umilmente prono

ha potuto ottenere la libertà

anche il Lord Ciambellano. Credi a me,

fratello, se vogliamo mantenerci

i favori del re, non c’è altra via

che metterci al servizio di costei

e rivestirci della sua livrea.

Lei e quell’invidiosa anziana vedova,

dacché nostro fratello le ha innalzate

a gentildonne, son le due comari

più potenti di questa monarchia.

BRAKENBURY -

Supplico di scusarmi, signorie,

ma sua maestà ha severamente ingiunto

che nessuno, qualunque sia il suo rango,

parli in privato con vostro fratello.

RICCARDO -

Oh, Bràkenbury, se vi fa piacere,

potete udire quello che diciamo!

Non parliamo di tradimenti, amico.

Dicevamo che il re è uomo saggio

e pieno di virtù, e la sua regina,

nobile dama, pur se un po’ attempata,

è sempre bella, e per nulla gelosa;(6)

e dicevamo che madama Shore

ha un bel piedino, un labbro di ciliegia,

un occhio seducente, una parlata

oltremodo piacevole all’orecchio;

e che fratelli e zii della regina

son diventati tutti gente nobile.

Che ne dite signore?

Potete voi negare tutto questo?

BRAKENBURY -

Io con questo, signore,

non ho proprio a che fare.

RICCARDO -

Come, come!

Male a che fare con madama Shore?(7)

Sai che ti dico, amico?

Che chiunque abbia a che fare con lei,

eccetto solo uno,

è meglio che lo faccia di nascosto.

BRAKENBURY-

E chi sarebbe quell’uno, signore?

RICCARDO -

Eh, suo marito, diamine, birbante!

Non vorrai mica prendermi in castagna?

BRAKENBURY -

Vostra grazia, vi prego di scusarmi

e di voler troncare il suo colloquio

con il nobile duca.

CLARENZA -

Conosciamo la tua consegna, Brakenbury,

e ad essa obbediremo.

RICCARDO -

Noi non siamo che gli umili vassalli

della regina, e dobbiamo obbedire.

Addio, fratello. Andrò per te dal re,

e farò tutto quel che posso fare

- dovessi pur chiamar “sorella mia”

la vedova di Edoardo -,

per ottener la tua liberazione.

Frattanto questa profonda lesione

alla nostra comune fratellanza

mi tocca al cuore più che non immagini.

CLARENZA -

Lo so, molto piacere

essa non fa a nessuno di noi due.

RICCARDO -

Bene, vedrai che la tua prigionia

non sarà lunga: ti libererò,

o altrimenti prenderò il tuo posto.(8)

Nel frattempo, tu devi aver pazienza.

CLARENZA -

Dovrò averla per forza. Arrivederci.

(Escono Clarenza e Brakenbury)

RICCARDO -

Va’, segui la tua strada

dalla quale più non farai ritorno,

ingenuo, candido fratello mio;

ti voglio tanto bene, che ben presto

farò volare al cielo la tua anima….

se pure il ciel vorrà accettare il dono

dalle mie mani… Ma chi viene qui?

Hastings appena uscito di prigione?

Entra HASTINGS

HASTINGS -

Il buon giorno al grazioso mio signore!

RICCARDO -

Altrettanto al mio buon Lord Ciambellano!

Bentornato tra noi all’aria libera.

E come ha sopportato la prigione

vossignoria?

HASTINGS -

Con pazienza, signore,

come deve qualunque prigioniero.

Ma spero, signor mio, di viver tanto

da poter fare i miei ringraziamenti

a quelli che m’han fatto carcerare.

RICCARDO -

Senza dubbio, signore, senza dubbio;

e lo stesso farà anche Clarenza,

ché sono suoi nemici

quelli stessi che sono stati i vostri,

e han prevalso su lui come su voi.

HASTINGS -

Più triste è che in gabbia siano l’aquile,

mentre avvoltoi e falchi

predano in libertà.

RICCARDO -

Che nuove in giro?

HASTINGS -

Nessuna sì cattiva quanto questa

che abbiamo in casa: ed è che il re è malato

indebolito e triste, e i suoi dottori

temono assai per lui.

RICCARDO -

Per San Giovanni,

questa è davvero una notizia brutta!

Ahimè, da troppo tempo

ha seguito una vita sregolata

che doveva finire fatalmente

per logorar la sua regal persona.(9)

È penoso pensarlo. Dov’è adesso?

A letto?

HASTINGS -

Sì, signore.

RICCARDO -

Andate avanti voi. Vi seguirò.

(Esce Hastings)

Non può vivere, spero, nel suo stato,

ma non deve morire

prima che Giorgio sia a spron battuto

spedito in cielo. Adesso vado dentro

a rattizzargli in cuore, con menzogne

corazzate di solidi argomenti,

il suo cieco livore per Clarenza;

e se il segreto mio scopo non falla,

Clarenza non ha più giorni da vivere…

Dopo di che, si prenda pure Iddio

il Re Edoardo nella Sua mercé,

e lasci il mondo a me,

perch’io possa giostrarmici a mio agio.

Perché allora mi prenderò per moglie

una figlia di Warwick, la più giovane…

Sì, le ho scannato suocero e marito,

ma che importa? Per fare di ciò ammenda

a lei, la via migliore e più spedita

è farmi io suo padre e suo marito.

E lo farò: non tanto per amore

quanto per altra mia segreta mira,

che sposandomi a lei devo raggiungere.

Ma non mettiamo il carro innanzi ai buoi.(10)

Clarenza ancor respira;

Edoardo è vivo e regna.

Questi due una volta liquidati,

potrò tirare il conto dei profitti.

(Esce)

 

 

 

SCENA II - Londra, un’altra strada.

 

Scortata da alabardieri, entra la salma di Enrico VI con Lady ANNA in gramaglie;

con lei sono TRESSEL, BERKELEY e altri gentiluomini

 

ANNA -

Sostate un po’; posate pure a terra

l’onorato fardello - se l’onore

può essere ravvolto in un sudario -,

ch’io possa qui, per qualche istante ancora,

piangere e lamentar, secondo il rito,

l’acerba fine del virtuoso Làncaster.

Povera spoglia d’un re consacrato,

fredda come una chiave,

pallide ceneri di casa Làncaster,

resti esangui di quel sangue reale,

ch’io possa, Enrico, chiamare il tuo spirito

ad ascoltare le lamentazioni

della misera Anna,

la consorte del tuo figliolo Edoardo,(11)

trucidato da quella stessa mano

ch’ha inferto a te tutte queste ferite.

Ecco, nel vano di queste finestre

che han lasciato fuggire la tua vita

io verso il balsamo inefficace

dei miei poveri occhi. Oh, maledetta

la mano che ti aperse questi squarci!

Maledetto quel cuore

cui bastò il cuore di far tanto scempio!

Maledetto quel sangue

che ti fece versare tanto sangue!

Sopra quell’esecrato malfattore

che ci fa miseri con la tua morte

scenda sorte più cruda che augurare

io possa solo a ragni e rospi e vipere

e quant’altre creature velenose

vivono sulla terra. Se avrà un figlio,

che gli nasca come un mostruoso aborto,

prima del giusto tempo di natura

e tale che col suo deforme aspetto

atterrisca la speranzosa madre

ed erediti la paterna infamia.

E se avrà una moglie, questa sia ridotta

per la sua morte ancora più infelice

che non lo sia io per quella tua

e quella del mio giovane marito.

(Ai portatori del feretro)

Avanti, ora, col vostro sacro peso,

fino a Chertsey,(12) perché s’abbia colà

la sua definitiva sepoltura.

E se per via vi coglierà stanchezza

nel portarlo, sostate pure ancora,

ch’io possa alzar sul corpo di Re Enrico

altre lamentazioni.

Entra RICCARDO

RICCARDO -

Fermi là,

voi che portate il cadavere, giù,

riposatelo a terra!

ANNA -

Qual mai nero stregone

avrà evocato qui questo demonio

ad interrompere devoti riti

di cristiana pietà?

RICCARDO -

Giù quel cadavere,

furfanti, o, per San Paolo, un cadavere

farò di chi rifiuta d’obbedirmi!

UN ALABARDIERE -

(Sbarrandogli il passo con l’alabarda)

Fate passar la bara, monsignore,

state indietro.

RICCARDO -

Sta’ fermo tu, piuttosto,

cane screanzato, quando io te l’ordino!

E leva via da me quest’alabarda,

o, per San Paolo, ti stendo morto

ai miei piedi, pezzente, e ti calpesto

per tanta tua insolenza!

ANNA -

(Agli alabardieri)

E che! Tremate tutti di paura?.

Ahimè, non posso certo biasimarvi;

siete mortali, e l’occhio d’un mortale

non sopporta la vista del demonio.

(A Riccardo)

Orribile ministro dell’inferno,

vattene! Il tuo potere

non va oltre il suo corpo:

la sua anima tu non puoi averla.

E dunque va’, allontànati da qui!

RICCARDO -

Dolce santa, per carità di Dio,

non esser sì cattiva.

ANNA -

Immondo diavolo,

per l’amore di Dio, vattene via!

Non venire a turbar la nostra pace.

Tu di questa felice nostra terra

hai fatto il tuo inferno, l’hai riempita

d’urla imprecanti e di basse bestemmie.

Se ti piace ammirare i tuoi misfatti,

guarda questo campione

dei tuoi massacri. Guardate, signori,

oh, guardate, guardate le ferite

di Enrico morto: le lor fredde bocche

spalancate riversano ancor sangue…

(A Riccardo)

Vergogna a te! Vergogna,

ammasso di deforme luridume,

perché è la tua presenza

quella che fa versare questo sangue

da vene vuote e fredde e inaridite;

il tuo misfatto, innaturale ed empio

provoca questa innaturale uscita

di sangue. O Dio, Tu che questo sangue

hai creato, vendica la sua morte!

E tu, o terra, che di questo sangue

t’abbeveri, fa’ anche tu vendetta

della sua morte. Incenerisca il cielo

col suo fulmine questo maledetto

assassino, o la terra

si faccia sotto i suoi piedi voragine

e se lo inghiotta vivo, come inghiotte

ora il sangue di questo buon sovrano

trucidato dal suo braccio infernale.

RICCARDO -

Madama, voi mostrate d’ignorare

le regole di quella carità

che rende bene per male,

benedizioni per imprecazioni.

ANNA -

Sei tu che ignori, infame,

tutte le leggi di Dio e degli uomini.

Non c’è bestia che sia tanto feroce

da non conoscere almeno un briciolo

di pietà.

RICCARDO -

Ma io non la conosco,

perciò non sono bestia.

ANNA -

Oh, meraviglia,

quando i diavoli sono veritieri!

RICCARDO -

Ancor più meraviglia

quando gli angeli sono così in collera.

Oh, dégnati, divina perfezione

di donna, di concedermi licenza

che di questi supposti miei delitti,

io con te, giust’appunto, mi scagioni.

ANNA -

Degnati tu di dar licenza a me,

tu, cancerosa pestilenza d’uomo,

di urlarti sulla faccia, maledetto,

questi ben conosciuti tuoi delitti.

RICCARDO -

O bella più che lingua possa dire,

accordami quel tanto di pazienza

che mi dia agio di giustificarmi.

ANNA -

O tristo, più che cuor possa pensare,

altra discolpa non potrai trovare

se non che nell’appenderti a un capestro.

RICCARDO -

M’accuserei da me,

con un tal gesto di disperazione.

ANNA -

No, con quel gesto tu ti assolveresti,

ché con esso faresti su di te

degna vendetta degli atroci eccidii

consumati da te uccidendo gli altri.

RICCARDO -

Se dicessi che non li ho uccisi io?

ANNA -

Sarebbe dire ch’essi da nessuno

furono uccisi; eppure sono morti,

e per tua mano, diabolico schiavo!

RICCARDO -

Non ho ucciso io vostro marito.(13)

ANNA -

Allora non è morto?

RICCARDO -

È morto, sì,

ma per mano di Edoardo.

ANNA -

Immondo ipocrita!

Tu menti per la gola. La regina

ha visto il tuo micidiale pugnale

ancor tutto fumante del suo sangue;

e tu stavi in procinto di piantarlo

già nel petto di lei, se i tuoi fratelli

non te ne avessero sviato il colpo.

RICCARDO -

Fui provocato, in quella circostanza,

da quella sua calunniosa linguaccia

che voleva addossar la loro colpa

sulle mie spalle, del tutto incolpevoli.

ANNA -

No, a provocarti fu la tua natura

sanguinaria, che non sognò mai altro

che sangue e stragi. Ed ora questo re

non l’hai ucciso tu?

RICCARDO -

Concedo, sì.

ANNA -

Ah, lo concedi, brutto porcospino!

Così voglia concedere a me Dio

che ti sia data dannazione eterna

per questa turpe azione.

Oh, quanto mite e nobile e virtuoso

egli era!

RICCARDO -

Tanto meglio per il cielo

che l’ha ora con sé.

ANNA -

Sì, egli è in cielo,

dove tu non sperar d’andare mai.

RICCARDO -

Sia dunque grato a me

che l’ho aiutato ad andare lassù

se più a quel luogo egli era congeniale

che alla terra.

ANNA -

Sì, come congeniale

ad altro luogo tu sei che l’inferno.

RICCARDO -

Oh, un luogo diverso ci sarebbe,

se posso dirlo…

ANNA -

Sì, una prigione,

o che altro?

RICCARDO -

La tua stanza da letto.

ANNA -

Non conosca riposo quella camera

ove giaci.

RICCARDO -

Così sarà, madama,

finché io non mi giaccia insieme a te.

ANNA -

Lo spero bene.(14)

RICCARDO -

Io ne sono certo.

Ma, lasciamo da parte, mia gentile,

questa arguto duello di cervelli,

e scendiamo a un parlare più concreto:

chi è stato causa delle acerbe morti

di questi due Plantageneti, Enrico

ed Edoardo, non è altrettanto reo

di chi ne è stato il pratico strumento?

ANNA -

Tu sei stato la causa,

e tu il loro maledetto effetto.

RICCARDO -

No, questa tua bellezza, ed essa sola,

è stata causa di quell’effetto;

questa bellezza tua che m’ossessiona

fin nel sonno, da spingermi a pensare

di dar morte magari a tutto il mondo

pur di vivere un’ora sul tuo seno.

ANNA -

Se mi venisse mai un tal pensiero,

io ti dico, assassino, che quest’unghie

farebbero a brandelli la mia faccia

per cancellarne via questa bellezza.

RICCARDO -

S’io vi stessi vicino,

questi occhi certo non sopporterebbero

quella devastazione di beltà;

non potresti offuscarla, me presente.

Ché come il mondo s’allieta del sole,

così di quella io; è la mia luce,

è la mia stessa vita.

ANNA -

La nera notte offuschi la tua luce,

la morte la tua vita.

RICCARDO -

Non imprecare contro te medesima,

bella creatura: tu sei l’una e l’altra.

ANNA -

Ah, vorrei esserlo, per vendicarmi!

RICCARDO -

Vendicarsi di chi t’ama, è querela

assai contro natura.

ANNA -

È giusta e ragionevole querela

per me cercar vendetta

contro colui che ha ucciso mio marito.

RICCARDO -

Chi ti privò del marito, signora,

lo fece perché tu potessi averne

uno migliore.

ANNA -

Migliore di lui

non ce n’è che respiri sulla terra.

RICCARDO -

Vive e respira invece sulla terra

chi t’ama meglio ch’egli non sapesse.

ANNA -

Dimmi il nome.

RICCARDO -

Plantageneto.

ANNA -

Ebbene,

era lui quello.

RICCARDO -

Ha lo stesso nome,

ma è uno di natura superiore.

ANNA -

Dov’è costui?

RICCARDO -

È qui davanti a te.

(Anna gli sputa in faccia)

Perché mi sputi addosso?

ANNA -

Vorrei che fosse veleno mortale,

per te.

RICCARDO -

Mai scaturì mortal veleno

da così dolce fonte.

ANNA -

Mai veleno

restò rappreso a più schifoso rospo.

M’infetti gli occhi! Via dalla mia vista!

RICCARDO -

Son gli occhi tuoi ad avere infettato

questi miei, soavissima signora.

ANNA -

Basilischi vorrei che essi fossero,

per darti morte.(15)

RICCARDO -

Oh, sì, e poter morire

subito qui! Se no, a morte lenta

m’uccidono i tuoi occhi, che dai miei

han saputo spillare amare lacrime,

ombrandone le luci

con un diluvio di puerili gocce;

questi occhi miei da cui non scese mai

lacrima di rimorso,

neppure quando mio padre ed Edoardo

piansero a udire il pietoso lamento

di Rutland, quando l’efferato Clifford

gli vibrò la fatale pugnalata;(16)

né quando quel guerriero di tuo padre

ci raccontò piangendo e singhiozzando

come un bambino la morte del mio,

sì che le guance di tutti gli astanti

eran come alberi stillanti pioggia.

Perfino in quel momento di tristezza

stragrande questi miei occhi virili

sdegnaron di versar l’umile lacrima.

Ma quello che non seppero strizzare

dagli occhi miei quelle tristi vicende,

lo doveva ora far la tua bellezza,

che me li rende accecati di pianto.

Pregato non ho mai nemico o amico,

mai la mia lingua seppe pronunciare

carezzevoli frasi di lusinga,

ma ora che m’arride come premio

la tua bellezza, l’altero mio cuore

incita la mia lingua

e suggerisse ad essa le parole.

(Anna lo guarda con disprezzo)

Non insegnar, signora, alle tue labbra

tanto disprezzo; non per disprezzare

esse son nate, bensì per baciare.

Se il tuo cuore ha tal sete di vendetta

da non conoscere alcun perdono,

ecco, ti do la mia spada affilata:

affondala, se vuoi, in questo petto

a te fedele, e fanne uscire l’anima

che t’adora; io qui me lo denudo

per il colpo mortale,

ed umilmente inginocchiato a te

a te chiedo la morte.

(S’inginocchia e si scopre il petto; ella afferra la spada che egli le offre, fa per colpirlo, ma si trattiene)

Non esitare: ho ucciso io Re Enrico,

ma fu la tua bellezza a provocarmi.

Colpisci, presto: sono stato io

a pugnalare il tuo giovane Edoardo,

ma fu il tuo volto d’angelo a istigarmi.

(Anna lascia cadere dalle mani la spada)

Raccogli quella spada, o rialza me.

ANNA -

Riàlzati, via, simulatore!

Per quanto possa voler la tua morte,

non voglio essere il tuo giustiziere.

RICCARDO -

(Rialzandosi)

Dimmi allora d’uccidermi da me

e lo farò.

ANNA -

Questo te l’ho già detto.

RICCARDO -

Sì, ma è stato nell’impeto dell’ira.

Ripetilo ora a freddo,

e questa mano che per amor tuo

ha ucciso l’amor tuo,

ucciderà con quella stessa spada

un amore di quello assai più vero;

sarai così tu stessa la cagione

dell’una e l’altra morte.

ANNA -

Vorrei poter discernere

quello che hai nel cuore…

RICCARDO -

Il cuore mio

è tutto quanto nelle mie parole.

ANNA -

Temo siano bugiardi l’uno e l’altre.

RICCARDO -

Mai allora ci fu uomo sincero.

ANNA -

Ebbene, su, rinfodera la spada.

RICCARDO -

Pace fatta?

ANNA -

Questo lo saprai poi.

RICCARDO -

Potrò almeno vivere sperando?

ANNA -

Come vivono, spero, tutti al mondo.

RICCARDO -

Degnati di portare quest’anello.

ANNA -

(Lasciandosi infilare l’anello al dito)

Prendere non è dare, sia ben chiaro.

RICCARDO -

Guarda come il mio anello cinge bene

il tuo dito; così stringe il tuo seno

il mio povero cuore;

portali entrambi con te, sono tuoi.

E se il tuo povero e devoto servo

può impetrar dalla tua graziosa mano

ora una grazia, lo confermerai

per sempre nella sua felicità.

ANNA -

Quale grazia?

RICCARDO -

Che tu voglia lasciare

questa luttuosa funebre incombenza

nelle mani di chi ha più d’ogni altro

cagione di occuparsi delle esequie(17)

e dirigerti invece a Crosby Place;(18)

quando avrò dato degna sepoltura

nell’abbazia di Chertsey(19)

a questo nobile re e versato

contrite lacrime sulla sua tomba,

là verrò a renderti in tutta fretta

il mio devoto omaggio.

Ti supplico di farmi questa grazia

per un insieme d’intime ragioni.

ANNA -

Con tutto il cuore, e molto rallegrata

di vederti sì vòlto a contrizione.

Tressel e Berkley, venite con me.

RICCARDO -

Il tuo saluto…

ANNA -

È più di quanto meriti;

ma poiché sei maestro di lusinga,

immagina d’averlo ricevuto.

(Esce con Tressel e Berkley)

RICCARDO -

Signori, su la bara ed in cammino.

UN GENTILUOMO -

A Chestley, monsignore?

RICCARDO -

Ai “Frati Bianchi”;(20)

e là aspetterete il mio arrivo.

(Escono, con il feretro, portatori e alabardieri)

Ci fu mai donna in quello stato d’animo

circuita d’amore?

Ci fu mai donna in quello stato d’animo

conquistata?… L’avrò, ma non a lungo.

Non ho quest’intenzione.

Ma come! Io, l’assassino confesso

del marito e del suocero, d’un tratto

carpirle il cuore ancora colmo d’odio,

con le sue labbra ancor maledicenti

ed agli occhi le lacrime… e presente

là il testimone ancora sanguinante

del suo sdegno; e presenti ancora Dio,

la sua coscienza e tutti i vari ostacoli

che si frappongono fra lei e me!

Ed io, senz’altro amico accanto a me

a sostener la mia preghiera a lei

se non il diavolo a viso scoperto

e il mio ceffo beffardo, la convinco:

il mondo intero contro un nulla! Puah!…

Ha dunque ella già dimenticato

quel valoroso principe d’Edoardo,

suo signore, che in un accesso d’ira

ho ucciso a Tewksbury, non son tre mesi?

Un gentiluomo più che dolce e amabile,

cui natura era stata molto prodiga,

giovane, valoroso, saggio, intriso

d’un tale tratto di regalità,

che non ne vedrà un altro il vasto mondo.

Ed ella abbassa su di me lo sguardo,

su di me che di quel soave principe

ho falciato l’aurata primavera,

e l’ho ridotta vedova di lui

in un letto di pianto?

Su di me, il cui tutto non eguaglia

la metà di Edoardo? Su di me,

deforme e claudicante come sono?

Il mio ducato contro pochi spiccioli(21)

che io mi sono ingannato fino ad oggi

sopra la mia figura,

s’ella mi trova - al contrario di me -

un uomo di straordinario fascino.

M’accollerò, costi quello che costi,

la spesa d’uno specchio,

e ingaggerò due dozzine di sarti

che studino le fogge di vestiti

più adatti ad abbellirmi la persona.

Poiché sono strisciato fino al punto

di venire gradito anche a me stesso,

voglio tenermi su a qualunque prezzo.

Prima però sistemerò a dovere

nella sua tomba quel brav’uomo là;

poi torno dal mio amore

a versare sospiri sul suo seno.

E tu splendi, bel sole,

finché mi sia comperato uno specchio,

ch’io possa rimirare, camminando,

la mia ombra riflessa sul terreno.


(Esce)

 

 

 

SCENA III - Londra, sala nel palazzo reale.

 

Entrano la REGINA ELISABETTA, LORD RIVERS e LORD GREY

 

RIVERS -

Dovete aver pazienza, mia regina:

il re riacquisterà rapidamente

la sua salute, non ci sono dubbi.

GREY -

Con questo vostro umore contristato

non farete che peggioragli il male.

Perciò, in nome di Dio,

fate cuore e cercate di mostrarvi

viva e gioviale, a confortar sua grazia.

ELISABETTA -

Che sarebbe di me s’egli morisse?

GREY -

Nessun altro malanno che la perdita

d’un signore par suo.

ELISABETTA -

La perdita per me d’un tal signore

porta con sé ogni sorta di malanno.

GREY -

Il cielo v’ha mandato, a confortarvi,

con un bel figlio, s’egli vi mancasse.

ELISABETTA -

Ah, egli è giovane, e finché è minore

dovrà restare sotto la tutela

di Riccardo di Gloucester, che non m’ama

come non ama nessuno di voi.

RIVERS -

È stabilito che sia lui il Reggente?

ELISABETTA -

Stabilito, se pure non sancito

formalmente; ma certo lo sarà

se il re verrà a mancare.

Entrano il DUCA DI BUCKINGHAM

e LORD STANLEY, conte di Derby.

GREY -

Ecco Lord Buckingham e il Conte Derby.

BUCKINGHAM -

Buon giorno a vostra grazia.

STANLEY -

Dio renda gioia a vostra maestà.

ELISABETTA -

La contessa di Richmond, vostra moglie,(22)

difficilmente vorrà dire “Amen”

a questa vostra amabile preghiera,

mio buon Lord Derby; tuttavia, signore,

malgrado ch’ella sia vostra consorte

e non mi veda troppo di buon occhio,

non pensate ch’io porti a voi rancore

per l’odiosa ed altera sua arroganza.

STANLEY -

Non date credito, ve ne scongiuro,

alle calunnie false ed invidiose

dei suoi accusatori;

e se doveste udirla anche accusata

sulla base di voci veritiere,

perdonatele la sua debolezza

che le deriva, com’io son convinto,

da una congenita sua leggerezza,

non già da radicata malvolenza.

ELISABETTA -

Vedeste oggi il re, caro Lord Derby?

STANLEY -

Veniamo appunto, Buckingham ed io,

dall’aver visitato sua maestà.

ELISABETTA -

Che speranze d’un suo miglioramento?

BUCKINGHAM -

Buone, direi, madama:

sua grazia è in buona vena di parlare.

ELISABETTA -

Che Dio gli dia salute.

Poteste allora conferir con lui?

BUCKINGHAM -

Sì, signora; desidera, ci disse,

provocare una riconciliazione

tra il Duca Gloucester(23) ed i vostri fratelli

e tra costoro ed il Lord Ciambellano.

ELISABETTA -

Volesse Dio… ma ciò non sarà mai.

Ho paura che la felicità

sia giunta al termine per tutti noi.

Entrano RICCARDO, HASTING e DORSEY

RICCARDO -

Mi fanno torto, e io non lo sopporto!

Chi è che si lamenta con il re

di me, dicendo che son scontroso

e, guarda un po’, non li amo? Per San Paolo,

devono amare ben poco sua grazia

quelli che vanno a inzuffargli le orecchie

con simili rissose baggianate!

Poiché non son capace di adulare,

di ostentare un amabile contegno,

di sorridere in faccia, di lisciare,

d’ingannare, imbrogliare, civettare

ed inchinare il capo alla francese

con la smorfiosità d’uno scimmiotto,

debbo esser perciò considerato

un astioso nemico?

Un galantuomo non può vivere

senza pensare di far male agi altri,

e senza che codesta sua lealtà

debba essere presa pel malverso

da vellutati, striscianti furbastri?

GREY -

A chi allude di noi qui Vostra grazia?

RICCARDO -

A te, che manchi d’onestà e di grazia.

Quand’è che io t’avrei maltrattato?

Quando t’ho fatto torto?…

(A Rivers)

O a te?…

(A Stanley)

O a te?

O a chiunque altro della vostra cricca?

Peste vi colga! Sua grazia reale

- il cielo ce lo voglia preservare

meglio che non v’augurereste voi -

non può tirare in pace un po’ di fiato

senza che voi l’andiate a infastidire

coi vostri strampalati piagnistei.

ELISABETTA -

Gloucester, cognato, avete male inteso:

il re, di sua augusta iniziativa

e non richiesto da alcun postulante,

pensoso forse dell’interno odio

che ben traspare dalle vostre azioni

contro i miei figli, contro i miei fratelli,

contro me stessa, ci convoca a lui

per conoscere meglio le ragioni

di tanta ostilità da parte vostra

e cercar di rimuoverle. Ecco tutto.

RICCARDO -

Io non so più che dire:

il mondo è diventato così becero,

che gli uccelletti vanno a far man basa

dove non osano posarsi l’aquile.

Da quando ogni villano

è stato battezzato gentiluomo,

molti che sono veri gentiluomini

sono svillaneggiati.

ELISABETTA -

Andiamo, andiamo,

sappiamo bene a chi volete alludere,

cognato Gloucester; non v’è andata giù

l’elevazione mia e di mia gente.

Dio non ci faccia mai aver bisogno

di voi.

RICCARDO -

Dio vuole, intanto, che siam noi

ad avere bisogno ora, di voi.

Grazie alle vostre mene,

nostro fratello è condotto in prigione,

io stesso sono in disgrazia del re,

tutta la nobiltà è tenuta a vile

mentre ogni giorno si fan promozioni

per dare titoli di nobiltà

a gente che soltanto l’altro ieri

non valeva nemmeno mezzo nobile.(24)

ELISABETTA -

Io giuro su Colui che m’ha innalzata

dalla serena mia pace di prima

a questa altezza gravida d’affanni

di mai aver pronunziato parola

per cercar d’istigare sua maestà

contro Clarenza; ho anzi perorato

da zelante avvocato la sua causa.

Mi recate un’offesa vergognosa,

signore, coinvolgendomi così

con questi vostri ignobili sospetti.

RICCARDO -

Voi potete negare certamente

d’essere stata voi a provocare

la cattura e l’imprigionamento

di Lord Hastings…

RIVERS -

Lo può, sì, monsignore…

RICCARDO -

Lo può, Lord Rivers! Già, chi non lo sa?

Ella può questo ed altro, signor mio:

può procurare a voi fruttuose cariche

e poi anche negare

d’avervi dato mano ad ottenerle

ed affermare ch’esse sono merito

delle vostre eccellenti qualità.

Che cosa ella non può? Ella può anche…

per Maria Vergine…

RIVERS -

Che cosa può,

per Maria Vergine?

RICCARDO -

Che cosa può?

Ma maritarsi a un re, per Maria Vergine!(25)

Lei, vedova, a uno scapolo,

ed un bel giovanotto, per di più.

Vostra nonna, ch’io sappia,

non fece nozze altrettanto cospicue.

ELISABETTA -

Monsignore di Gloucester,

ho sopportato ormai da troppo tempo

le vostre villanesche reprimende

e i maligni sarcasmi. Adesso basta!

Per il cielo, vorrò informare il re

di tutte queste grossolane offese

che m’è toccato spesso sopportare.

Entra, rimanendo in fondo alla scena,

la vecchia REGINA MARGHERITA

Non che la sposa di un grande monarca,

vorrei essere, in queste condizioni,

un’umile servetta di campagna,

derisa, vilipesa come sono…

Mi viene veramente poca gioia

dall’essere regina d’Inghilterra.

MARGHERITA -

(A parte)

Che anche quella poca abbia a scemare,

ti supplico, Signore! A me dovuti

sono gli onori tuoi, il fasto, il seggio!

RICCARDO -

Ah, minacciate di ridirlo al re?

Ma diteglielo, senza alcuna remora!

Quanto v’ho detto qui,

son pronto a dichiararlo innanzi a lui,

a rischio d’esser mandato alla Torre.

È tempo di parlare: i miei servizi,

tutti dimenticati.

MARGHERITA -

(c.s.)

Via, demonio!

Li ricordo fin troppo i tuoi servizi:

ucciso mio marito nella Torre,

e mio figlio Edoardo a Tewksbury.(26)

RICCARDO -

Io, prima che voi foste regina,

e che vostro marito fosse re,

ho fatto sempre il cavallo da soma

dei suoi alti interessi, la ramazza

con la quale far pulizia sul campo

dai suoi fieri avversari, il dispensiere

di compensi ai suoi sostenitori:

ho versato il mio sangue

per dar regale dignità al suo.

MARGHERITA -

(c.s.)

Di sangue n’hai versato,

ma del suo e del tuo assai più nobile.

RICCARDO -

E in tutto questo tempo, voi e Grey,

vostro marito, e voi con loro, Rivers,

parteggiavate per la casa Làncaster.

Ucciso non fu forse a Sant’Albano

vostro marito mentre combatteva

per Margherita?(27) E voglio ricordarvi,

se mai vi fosse passato di mente,

quel ch’eravate e quel che siete adesso,

e quel ch’io sono e sono sempre stato.

MARGHERITA -

(c.s.)

Un infame assassino, e tale resti!

RICCARDO -

Il povero Clarenza

che disertò da suo suocero Warwick(28)

facendosi spergiuro con se stesso,

Dio gli perdoni…

MARGHERITA -

(s.c.)

E ne faccia vendetta!

RICCARDO -

… per combattere a fianco di Edoardo,

per tutta ricompensa, sventurato,

è messo in carcere… Volesse Iddio

che avessi anch’io un cuore come Edoardo

di pietra, o che Edoardo avesse un cuore

sì tenero e pietoso come il mio!

Son davvero un fanciullo,

troppo ingenuo per questo basso mondo!

MARGHERITA -

(c s.)

Sbrigati allora, per la tua vergogna,

a lasciarlo, demonio, per l’inferno,

ché laggiù è il tuo regno!

RIVERS -

Mio signore di Gloucester,

in quei giorni di grande confusione

che voi qui rievocate per bollarci

come nemici, noi seguimmo allora

colui che era il re nostro sovrano,

così come ora seguiremmo voi,

se foste il nostro re.

RICCARDO -

Se fossi io re? Piuttosto uno straccione

vorrei essere. Lungi dal mio cuore

un simile pensiero!

ELISABETTA -

Così poca è la mia gioia, signore,

d’esser regina, quale voi pensate

possa esser quella che godreste voi

se di questo paese foste il re.

MARGHERITA -

(c.s.)

Ah, com’è vero! Quanta poca gioia

ha la regina di questo paese!

E son io quella, e d’ogni gioia priva!

Più non resisto a starmene in silenzio!

(Forte, facendosi avanti)

Ascoltate, briganti litigiosi,

che state lì a rissare

per spartirvi il bottino a me rubato:

c’è tra di voi qualcuno

che mi possa guardar senza tremare?

Se come sudditi non v’inchinate

a me, vostra regina, innanzi a me,

da voi deposta tuttavia tremate

come ribelli.

(A Riccardo)

Ah, nobile furfante!

Guardami bene in faccia, non voltarti!(29)

RICCARDO -

Matta strega grinzosa,

che ci fai tu davanti alla mia vista?

MARGHERITA -

Null’altro che ripeterti a memoria

tutte le tue nefande malefatte.

E lo farò, prima di farti andare.

RICCARDO -

Non sei bandita, a pena capitale?

MARGHERITA -

Lo sono, ma l’esilio è maggior pena

che la morte per me; perciò la rischio

restando qui dov’è la mia dimora.

D’un marito e d’un figlio

tu mi sei debitore,

(A Elisabetta)

e tu d’un regno;

voi tutti, della vostra sudditanza.

Questo dolore mio è di diritto

il vostro, e sono miei

tutti i piaceri che voi mi usurpate.

RICCARDO -

Su di te pesa la maledizione

che il mio nobile padre ti scagliò

quando cingesti le sue fiere tempie

d’una corona di carta; i tuoi scherni

gli provocarono fiumi di lacrime,

e tu, per tergerli, porgesti al Duca

una pezzuola ancora tutta intrisa

dell’innocente sangue del suo Rutland…(30)

Sul tuo capo son tutte ricadute

le sue maledizioni,

profferite dal suo cuore straziato,

e Dio, non noi, ha castigato in te

quel tuo atto di sangue.

ELISABETTA -

Dio è giusto

nel rendere giustizia agli innocenti.

HASTINGS -

Ah, trucidare quella creatura

fu l’atto più nefando e più spietato

mai visto o udito al mondo.

RIVERS -

A udirlo raccontare ha fatto piangere

anche i tiranni.

DORSET -

E non ci fu nessuno

che non preconizzasse la vendetta

che sarebbe seguita.

BUCKINGHAM -

Northumberland, che si trovava lì,

pianse a vederlo.

MARGHERITA -

Che! Tutti ringhiosi

l’uno con l’altro, pronti ad azzannarvi

prima ch’io comparissi, ed ora tutti

a volger il vostro odio su di me?

Ha avuto tanta udienza in cielo

quella terribile maledizione

di York, da far che la morte d’Enrico

e quella di Edoardo mio diletto,

e il loro regno andato in altre mani,

e l’amaro tormento del mio esilio

non sarebbero che il prezzo pagato

da noi per quel bizzoso marmocchietto?

Possono dunque le maledizioni

squarciar le nubi e penetrare in cielo?

Oh, allora, aprite il varco, grevi nuvole,

alle maledizioni mie vibranti:

il vostro ingordo re, se non in guerra,

muoia d’indigestione e di stravizio,

come per assassinio è morto il nostro,

per far lui re; ed Edoardo tuo figlio,

il quale è ora principe di Galles

per il mio Edoardo, faccia anch’egli,

ancora giovane, com’era lui,

morte violenta prima del suo tempo!

(A Elisabetta)

E tu, che usurpi a me che fui regina

il posto di regina,

possa tu sopravvivere in miseria,

alla presente pompa e, come me,

possa ridurti tu ad un rottame;

e viver tanto a lungo

da piangere la morte dei tuoi figli;

e vedere, com’io vedo ora te,

dei tuoi diritti adorna un’altra donna,

come tu sei dei miei; e non morire

prima d’avere visto tramontare

i tuoi giorni felici; e possa tu,

dopo ore infinite di tormento,

morire non più madre, non più moglie

non più regina di questa Inghilterra.

Voi due, Rivers e Dorset e anche tu,

Lord Hastings, eravate lì presenti,

quando mio figlio venne pugnalato.

Io prego Dio che nessuno di voi

possa giungere al fine naturale

di sua vita, ma sia stroncato prima

da un qualsivoglia imprevisto accidente.

RICCARDO -

Finiscila con questi tuoi scongiuri,

odiosa e raggrinzita fattucchiera!

MARGHERITA -

Lasciando fuori te?… Fermati, cane,

ché anche tu m’hai da sentire, e come!

Oh, s’abbia per te solo in serbo il cielo

un funesto flagello, il più terribile

dei tormenti ch’io possa mai augurarti,

e voglia trattenerlo fino al tempo

che siano maturate le tue colpe,

e lo scagli sdegnoso su di te

che sei stato nemico della pace

su questo nostro derelitto mondo.

Ti corroda incessantemente l’anima

il tarlo insonne della tua coscienza;

e, possa tu trattar per traditori,

fin che vivi, gli amici tuoi più cari,

e per amici più cari e fidati

traditori della più bassa risma.

Non chiuda il sonno i tuoi occhi letali

se non per darti sogni tormentosi

che t’atterriscano con un inferno

di orrendi diavoli, schifoso aborto

di malizia, maiale grufolante,

marchiato da rifiuto di natura

e figlio dell’inferno dalla nascita;

tu, vivente calunnia

del grembo di tua madre che t’ha fatto;

tu, schifoso germoglio

dei lombi di tuo padre; strofinaccio

dell’onore, esecrato…

RICCARDO -

Margherita!

MARGHERITA -

… Riccardo!

RICCARDO -

Eh?

MARGHERITA -

Non ti ho mica chiamato.

RICCARDO -

Scusa, credevo che chiamassi me

dandomi tutti quegli amari epiteti.

MARGHERITA -

Difatti, ma non chiedevo risposta.

Ti chiedo solo di farmi concludere

la mia maledizione.

RICCARDO -

Io l’ho conclusa,

e finisce così: con “Margherita”.

ELISABETTA -

(A Margherita)

Così tutte le tue maledizioni

te le sarai soffiate addosso a te.

MARGHERITA -

Ah, parli tu, immagine dipinta

di regina, tu, vano abbellimento(31)

di quella che fu già la mia fortuna!

Perché spargi il tuo zucchero

sulla gobba di quel tumido ragno

la cui rete mortifera

finirà per avvolgere anche te?

Stolta, stolta! Ti affili da te stessa

il coltello che ti darà la morte!

Giorno verrà che chiamerai aiuto

da me, per aiutarti a maledire

questo gobbo rospaccio velenoso.

HASTINGS -

Smettila dunque, falsa profetessa,

con codeste tue folli imprecazioni,

se non vuoi abusare, a tuo discapito,

della pazienza nostra!

MARGHERITA -

Svergognati!

Della mia abusato avete tutti!

RIVERS -

Sarebbe rendervi un buon servizio

a insegnarvi qual è il dover vostro.

MARGHERITA -

Sarebbe rendermi un buon servizio

se ciascuno facesse il suo dovere

con me: cioè se m’insegnaste ad essere

vostra regina e voi esser miei sudditi,

rendendo a me quello che a me è dovuto,

e insegnando a voi stessi quel dovere.

DORSET -

Non state a disputar con lei. È pazza.

MARGHERITA -

Zitto, mastro marchese! Sei maldestro.

Il fior di conio di questo tuo titolo

ancora non ha corso in Inghilterra.

Ah, se la vostra fresca nobiltà

sapesse giudicare che vuol dire

perderla e ritrovarsi un miserabile!

Chi sta in alto è scrollato dalle raffiche

e, se cade, rovina in mille pezzi.

RICCARDO -

Buon consiglio, perbacco!

Fanne tesoro, imparalo, marchese.

DORSET -

Riguarda voi, signore, quanto me.

RICCARDO -

Oh, certo, anzi di più.

Ma io ci sono nato così in alto:

il nostro nido d’aquile

sta edificato in vetta all’alto cedro,

scherza col vento e si beffa del sole.

MARGHERITA -

E muta il sole in ombra, ahimè, ahimè!

Ne sa qualcosa il povero mio figlio,

ormai per sempre all’ombra della morte,

i cui splendenti, luminosi raggi

la nera nube della tua ferocia

ha avviluppato nell’eterna tenebra.

Ed il tuo nido d’aquila

è stato edificato in quello nostro.

Tu che lo vedi, Dio, non tollerarlo!

Fu ottenuto col sangue,

e nel sangue dev’essere perduto.

BUCKINGHAM -

Oh, finitela insomma! Per vergogna,

se non per carità.

MARGHERITA -

E proprio voi

mi parlate di carità e vergogna?

Voi che con me vi siete comportati

senza un’ombra di umana carità,

e che senza vergogna avete ucciso

le mie speranze? Carità è per me

l’oltraggio, vivere è la mia vergogna.

Ed in questa vergogna viva in me

sempre la rabbia per il mio soffrire.

BUCKINGHAM -

Basta là, basta! Fatela finita!

MARGHERITA -

Nobilissimo Buckingham,

a te io voglio baciare la mano,

in segno di alleanza e d’amicizia;

con l’augurio che scenda su di te

e la tua nobile casa ogni bene;

sui tuoi vestiti non ci sono macchie

del nostro sangue, tu non sei compreso

nel cerchio della mia maledizione.

BUCKINGHAM -

Né io né gli altri: le maledizioni

non vanno mai più lontano

del labbro di colui che le pronuncia.

MARGHERITA -

Io penso invece ch’esse vanno in cielo

a ridestare dal suo dolce sonno

il silenzio di Dio. Guàrdati, Buckingham,

da quel cagnaccio! Attento:

se ti scodinzola, morde! e se morde,

il morso del suo dente velenoso

ti dà ferita cancerosa e morte.

Con lui non aver mai nulla a che fare;

tienilo solo a bada: su di lui

il peccato, la morte e il nero inferno

hanno stampato il lor sinistro marchio

e i lor ministri sono ai suoi comandi.

RICCARDO -

Che vi racconta costei, mio Lord Buckingham?

BUCKINGHAM -

Nulla ch’abbia alcun peso, vostra grazia.

MARGHERITA -

Che! Tu disdegni i miei buoni consigli,

ed assecondi il diavolo

contro il quale ti sto mettendo in guardia?

Te ne ricorderai un giorno o l’altro,

quando costui t’avrà spezzato il cuore

per l’ambascia, e dirai: “Qual buon profeta

sei stata, sventurata Margherita!”

Viva, ciascun di voi, in odio a lui,

ed egli a voi, e tutti in odio a Dio!

(Esce)

BUCKINGHAM -

Però mi si drizzavano i capelli

a udire quelle sue maledizioni.

RIVERS -

E così a me. Mi chiedo come mai

la si lasci girare in libertà.

RICCARDO -

Io la capisco: per la Santa Vergine,

ha dovuto soffrire troppi torti!

E mi pento del male che le ho fatto

anch’io, dalla mia parte.

ELISABETTA -

Per me, ch’io sappia, non gliene ho mai fatti.

RICCARDO -

Ritraete però ogni vantaggio

dai torti ch’ella ha potuto ricevere.

Troppo calore ho speso a far del bene

a chi ora è troppo freddo a riconoscerlo.

Quanto a Clarenza, per la Santa Vergine,

ha ricevuto bene la sua paga!

Sta rinchiuso all’ingrasso,

a ricompensa delle sue fatiche.

E Dio perdoni chi n’è responsabile!

RIVERS -

Saggia morale, d’un vero cristiano:

pregare Dio per chi ci ha fatto male.

RICCARDO -

È quel che faccio sempre…

(Tra sé)

E faccio bene:

ché a maledir qualcuno ora per questo,

mi sarei maledetto da me stesso.

Entra CATESBY

CATESBY -

(A Elisabetta)

Madama, sua maestà vi vuol parlare,

(A Riccardo)

ed anche a vostra grazia e a tutti gli altri.

ELISABETTA -

Vengo subito, Catesby.

Volete accompagnarmi, miei signori?

RIVERS -

Seguiamo volentieri vostra grazia.

(Escono tutti meno Riccardo)

RICCARDO -

Io faccio il male, e sono io il primo

a deprecarlo e sbraitar per esso:

carico il peso di tutti i misfatti

da me segretamente consumati

sulle spalle degli altri. Ho manovrato

per gettare Clarenza in gattabuia,

e lo compiango avanti a questo branco

di sempliciotti, Derby, Hastings, Buckingham,

e dico loro che fu la regina

coi suoi parenti ad istigare il re

contro il duca Clarenza mio fratello.

E quelli se la bevono,

e mi spronano a far la mia vendetta

sulle spalle di Rivers, Dorset, Grey;

al che io tiro fuori un gran sospiro,

e, appellandomi alle Scritture,

ricordo loro il divino precetto

che insegna a ripagar con bene il male.

Vesto così la mia nuda perfidia

con vecchi stracci carpiti a casaccio

dai sacri testi; e mostro d’esser pio

quanto più mi comporto da demonio.

Entrano DUE SICARII

Ma basta: sono qui i miei giustizieri.

Allora, bravi, duri e decisi compari,

siete pronti a sbrigare la faccenda?

PRIMO SICARIO -

Sì, monsignore, e veniamo da voi

per avere il mandato necessario

a consentirci d’essere introdotti

nel luogo ov’ei si trova.

RICCARDO -

Ottimamente.

L’ho appunto qui con me.