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Miracol novo! ella a’ miei versi ed io circondava al suo nome altere piume; e l’un per l’altro andò volando a prova.
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Questa fu quella il cui soave lume di pianger solo e di cantar mi giova, e i primi ardori sparge un dolce oblio.
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Torquato Tasso - Le rime
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Segue la medesima descrizione.
Su l’ampia fronte il crespo oro lucente sparso ondeggiava, e de’ begli occhi il raggio al terreno adducea fiorito maggio e luglio a i cori oltre misura ardente.
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Nel bianco seno Amor vezzosamente scherzava, e non osò di fargli oltraggio; e l’aura del parlar cortese e saggio fra le rose spirar s’udia sovente.
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Io, che forma celeste in terra scorsi, rinchiusi i lumi e dissi: «Ahi, come è stolto sguardo che ’n lei sia d’affissarsi ardito!».
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Ma de l’altro periglio non m’accorsi: ché mi fu per le orecchie il cor ferito, e i detti andaro ove non giunse il volto.
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Torquato Tasso - Le rime
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Dimostra come l’amore acceso in lui da l’aspetto de la sua
donna fusse accresciuto dal suo canto.
Avean gli atti soavi e ’l vago aspetto già rotto il gelo ond’armò sdegno il core; e le vestigia de l’antico ardore io conoscea dentro al cangiato petto; 4
e di nudrire il mal prendea diletto con l’esca dolce d’un soave errore: sí mi sforzava il lusinghiero Amore, che s’avea ne’ begli occhi albergo eletto.
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Quando ecco un novo canto il cor percosse, e spirò nel suo foco, e piú cocenti fece le fiamme placide e tranquille; 11
né crescer mai né sfavillar a’ venti cosí vidi giammai faci commosse, come l’incendio crebbe e le faville.
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Dice d’aver veduta la sua donna su le rive de la Brenta e
descrive poeticamente i miracoli che facea la sua bellezza.
Colei che sovra ogni altra amo ed onoro fiori coglier vid’io su questa riva; ma non tanti la man cogliea di loro quanti fra l’erbe il bianco piè n’apriva.
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Ondeggiavano sparsi i bei crin d’oro, ond’Amor mille e mille lacci ordiva; e l’aura del parlar dolce ristoro era del foco che de gli occhi usciva.
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Fermò suo corso il rio, pur come vago di fare specchio a quelle chiome bionde di se medesmo ed a que’ dolci lumi; 11
e parea dire: «A la tua bella imago, se pur non degni solo il re de’ fiumi, rischiaro, o donna, queste placid’onde».
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Torquato Tasso - Le rime
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Seguita a mostrar con altra metafora come avvisando di
trovar la sua donna senza difesa fosse da lei vinto e
superato.
Io mi credea sotto un leggiadro velo trovar inerme e giovenetta donna, tenera a’ prieghi, o pur in treccia e ’n gonna, come era allor che parvi al sol di gelo; 4
ma, scoperto l’ardor ch’a pena io celo e ’l possente desio ch’in me s’indonna, s’indurò come suole alta colonna o scoglio o selce al piú turbato cielo.
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E lei, d’un bel diaspro avvolta, io vidi di Medusa mostrar l’aspetto e l’arme, tal ch’i’ divenni pur gelato e roco; 11
e dir voleva, e non volea ritrarme, mentre era fuori un sasso e dentro un foco:
«Spetrami, o donna, in prima, e poi m’ancidi » .
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Torquato Tasso - Le rime
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Descrive come ne l’età giovenile, per l’inesperienza, fosse
preso dal piacer d’una gentilissima e nobil fanciulla.
Giovene incauto e non avvezzo ancora rimirando a sentir dolcezza eguale, non temea i colpi di quel raro strale che di sua mano Amor polisce e dora.
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Né pensai che favilla in sí breve ora alta fiamma accendesse ed immortale; ma prender, come augel ch’impenna l’ale, giovenetta gentil credea talora.
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Però tesi tra’ fior d’erba novella vaghe reti, sfogando i tristi lai per lei, che se n’andò leggiera e snella; 11
e ’n gentil laccio i’ sol preso restai, e mi furo i suoi guardi arme e quadrella, e tutte fiamme gli amorosi rai.
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Torquato Tasso - Le rime
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Scherza intorno al nome de la sua donna.
Donna, sovra tutte altre a voi conviensi, se luce e reti suona, il vostro nome: perché m’abbaglio a lo splendor del viso e caggio poi con gli abbagliati sensi al dolce laccio; e da le bionde chiome 5
legato sono, e da la man conquiso che basta a la vittoria inerme e nuda: piú bella e casta ov’è men fera e cruda.
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Torquato Tasso - Le rime
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Mostra quanta dolcezza sia ne le pene amorose.
Se d’Amor queste son reti e legami, oh com’è dolce l’amoroso impaccio!
Se questo è ’l cibo ov’io son preso al laccio, come son dolci l’esche e dolci gli ami!
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Quanta dolcezza a gl’inveschiati rami il vischio aggiunge ed a l’ardore il ghiaccio!
Quanto è dolce il soffrir s’io penso e taccio, e dolce il lamentar ch’altri non ami!
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Quanto soavi ancor le piaghe interne; e lacrime stillar per gli occhi rei, e d’un colpo mortal querele eterne!
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Se questa è vita, io mille al cor torrei ferite e mille, e tante gioie averne; se morte, sacro a morte i giorni miei.
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Al signor Fulvio Viani.
Mira, Fulvio, quel sol di novo apparso come sua deità ne mostra fuore!
Mira di quanta luce e quanto ardore quest’aere intorno a questa terra ha sparso!
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Qual dea l’inchina tu, ch’angusto e scarso fora a’ gran merti suoi mortale onore: io per me vo’ ch’ anzi l’ altar d’Amore le sia in vittima il cor sacrato ed arso.
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Ed or dentro la mente un tempio l’ergo, ove sua forma il mio pensier figura e di Lucrezia il nome incide e segna; 11
e in guardia eletta di sí degno albergo sederà la mia fé candida e pura perch’a gli altri desir rinchiuso il tegna.
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Torquato Tasso - Le rime
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Al signor Fulvio Viani.
Fulvio, qui posa il mio bel sole, allora che l’altro fa ne l’Ocean soggiorno; qui poscia appar quand’apre Febo il giorno, Febo, che n’è di lei nunzio ed aurora; 4
e quinci prima uscire il vid’io fora, di vermiglio splendor le membra adorno; e se quei per ministre ha l’Ore intorno, questi Amore e le Grazie ha seco ognora.
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