D’Anna Thèsis Zanichelli Torquato Tasso Rinaldo

Canto primo

Q

13

E tal invidia ha in lui maggior potere, perché gli par che ‘l fior de’ suoi verdi anni, quando l’uom deve tra l’armate schiere soffrir di Marte i gloriosi affanni, ei consumi in fugace e van piacere, involto in molli e delicati panni, quasi vil donna che ‘l cor d’ozio ha vago, e sol adopri la conocchia e l’ago.

14

Da queste cure combattuto geme, e sospir tragge dal profondo core; d’esser guardato vergognoso teme, ché desta l’altrui vista in lui rossore; crede ch’ognun l’additi e scioglia insieme in tai voci la lingua a suo disnore, come de’ suoi maggior le lucid’opre con le tenebre sue questi ricopre.

15

Tra sé tai cose rivolgeva ancora, quando il tetto real lasciossi a tergo, e da Parigi uscio, ché quivi allora insieme con la madre avea l’albergo; e caminando in breve spazio d’ora giunse d’un prato in sul fiorito tergo, che si giacea tra molte piante ascoso, ond’era poi formato un bosco ombroso.

16

Quivi, perché gli pare acconcio il luoco a lamentarsi, e non teme esser visto, si ferma e siede, e ‘n suon languido e fioco così comincia a dir, doglioso e tristo:

– Deh! perché, lasso! un vivo ardente foco di dolor, di vergogna e d’ira misto non m’arde e volge in polve, onde novella di me mai più non s’oda, o buona o fella?

Op. Grande biblioteca della letteratura italiana 8

ACTA G. D’Anna Thèsis Zanichelli Torquato Tasso Rinaldo

Canto primo

Q

17

Poi ch’oprar non poss’io che di me s’oda con mia gloria ed onor novella alcuna, o cosa ond’io pregio n’acquisti e loda, e mia fama rischiari oscura e bruna; poscia che non son tal che lieto goda di mia virtute, o pur di mia fortuna, ma il più vil cavaliero, al ciel più in ira, che veggia il sol tra quanto scalda e gira; 18

deh! perché almeno oscura stirpe umile a me non diede o padre ignoto il Fato, o femina non son tenera e vile, ché non andrei d’infamia tal macchiato; perciò ch’in sangue illustre e signorile, in uom d’alti parenti al mondo nato la viltà si raddoppia e più si scorge, che ‘n coloro il cui grado alto non sorge.

19

Ah! quanto a me de’ miei maggior gradito poco è il valor e la virtù suprema; quanto d’Orlando a me di sangue unito l’ardir mi noce e la possanza estrema.

Egli or, di fino acciar cinto e vestito, l’alte inimiche forze abbatte e scema, e con l’invitta sua fulminea spada fa ch’Africa superba umil se ‘n vada.

20

Io quasi a l’ozio, a la lascivia, agli agi nato, in vani soggiorni il tempo spendo, e ne le molli piume e ne’ palagi sicuri tutto intero il sonno prendo; e per soffrire i marzial disagi tempo miglior, età più ferma attendo, ai materni conforti ed a que’ preghi cui viril petto indegno è che si pieghi. -

Op. Grande biblioteca della letteratura italiana 9

ACTA G. D’Anna Thèsis Zanichelli Torquato Tasso Rinaldo

Canto primo

Q

21

Mentre così si lagna, ode un feroce innito di cavallo al cielo alzarsi; chiude le labbra allor, frena la voce Rinaldo, e non è tardo a rivoltarsi, e vide al tronco d’una antica noce per la briglia un destrier legato starsi, superbo in vista, che mordendo il freno s’aggira, scuote il crin, pesta il terreno.

22

Nel medesmo troncone un’armatura vide di gemme e d’or chiara e lucente, che par di tempra adamantina e dura, ed opra di man dotta e diligente.

Cervo che fonte di dolc’acqua e pura trovi allor ch’è di maggior sete ardente, od amador cui s’offra a l’improviso il caro volto che gli ha il cor conquiso, 23

non si rallegra come il cavaliero, che così larga strada aprir vedea per mandar ad effetto il suo pensiero, che tutto intento ad oprar l’arme avea.

Corre dove sbuffando il bel destriero con la bocca spumosa il fren mordea, e lo discioglie e per la briglia il prende, e ne l’arcion, senz’oprar staffa, ascende.

24

Ma l’arme che facean, quasi trofeo sacro al gran Marte, l’alboro pomposo, distaccò prima, e adorno se ‘n rendeo, di tal ventura stupido e gioioso; conosce ben che chi quelle arme feo, fu di servirlo sol vago e bramoso, ch’erano ai membri suoi commode ed atte qual se per lui Vulcan l’avesse fatte.

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ACTA G. D’Anna Thèsis Zanichelli Torquato Tasso Rinaldo

Canto primo

Q

25

Oltra che de lo scudo il campo aurato da sbarrata pantera adorno scorge, che con guardo crudel, con rabbuffato pelo terror ai rimiranti porge: ha la bocca e l’unghion tinto e macchiato di sangue, e su duo piedi in aria sorge.

Già tal insegna acquistò l’avo, e poi la portar molti de’ nepoti suoi.

26

Poi che saltando sul destriero ascese, e tutto fu di lucide arme adorno, l’usbergo, l’aureo scudo e l’altro arnese si vagheggiava con lieto occhio intorno.

Indi con ratta man la lancia prese, la lancia ond’ebber molti oltraggio e scorno; ma la spada lasciò, ché gli sovenne d’un giuramento ch’ei già fe’ solenne.

27

Avea di Carlo al signoril cospetto vantando fatto un giuramento altero, quando da lui coi frati insieme eletto al degno grado fu di cavaliero, di spada non oprar, quantunque astretto ne fosse da periglio orrendo e fiero, s’in guerra pria non lo toglieva a forza a guerrier di gran fama e di gran forza.

28

Ed or come colui ch’audace aspira a degne imprese, ad opre altere e nove, ciò por vuole ad effetto, e ‘l destrier gira, e ‘l batte e sprona ed a gran passi il muove; e sì lo sdegno generoso e l’ira, e ‘l desio di trovar venture dove la lancia adopri, in suo camin l’affretta, ch’in breve tempo uscì de la selvetta.

Op. Grande biblioteca della letteratura italiana 11

ACTA G. D’Anna Thèsis Zanichelli Torquato Tasso Rinaldo

Canto primo

Q

29

Come al marzo errar suol giumenta mossa dagli amorosi stimoli ferventi, onde non è che ritenerla possa fren, rupi, scogli o rapidi torrenti; così il garzon cui l’alma ognor percossa è da sproni d’onor caldi e pungenti, erra di qua di là, raddoppia i passi, per fiumi, boschi e per alpestri sassi; 30

tal ch’allor che ‘l villan, disciolti i buoi dal giogo, a riposar lieto s’accinge, e ritogliendo il sol la luce a noi l’altro avverso emispero orna e dipinge, giunge in Ardenna, ove de’ fati suoi l’immutabil voler l’indrizza e spinge; quivi nuovo desir l’alma gli accense, che quel primier in lui però non spense.

31

Errò tutta la notte intera; e quando ne riportò l’Aurora il giorno in seno, uom riscontrò d’aspetto venerando, di crespe rughe il volto ingombro e pieno, che sovra un bastoncel giva appoggiando le membra che parean venir già meno; ed a tai segni, ed al crin raro e bianco, mostrava esser dagli anni oppresso e stanco.

32

Questi, verso Rinaldo alzando ‘l viso, così gli disse in parlar grave e scorto:

– Dove vai, cavalier, ch’egli m’è aviso vederti tutto omai lacero e morto?

Ché già più d’un guerriero è stato ucciso ch’errando per lo bosco iva a diporto, e, troppo altero del suo gran valore, ha voluto provar tanto furore.

Op.