M’aggiunse ai piedi Amor veloci penne, e mi rendè l’andar facile e piano, tal che gli altri precorsi, e giunsi dove sedean l’alte bellezze altere e nove.
38
Come fui sì vicino al mio bel sole, un gelato tremor tosto m’assalse, tal ch’io mi dibattea sì come suole tenero giunco in riva a l’acque salse.
Quasi lasciò le membra vuote e sole l’alma, che gli occhi bei soffrir non valse.
Al fin mi porse Amor cotanto ardire che ‘n parte sodisfeci al mio desire; 39
e con sùbita astuzia, di cadere fingendo, nel bel sen quasi mi stesi.
Or chi potria mai dir quanto piacere e qual dolcezza in quel istante io presi?
Ma non deggio di ciò punto godere, da poi che fu cagion che più m’accesi: ché se caldo era pria, non fu in me dramma da indi in qua se non di fuoco e fiamma.
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Poi tolsi il pregio, e lieve in tôrlo strinsi la man che quel tenea bianca e gentile, e in questa di rossor le guancie tinsi, ed a terra chinai lo sguardo umile.
Or veder pòi quant’oltre io mi sospinsi, io di nissun valore uom basso e vile, verso dama sì degna e sì sovrana, e s’Amor mi rendea la mente insana.
Op. Grande biblioteca della letteratura italiana 84
ACTA G. D’Anna Thèsis Zanichelli Torquato Tasso Rinaldo
Canto quinto Q
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Ma già dal ciel Apollo era sparito, onde ancor seco il mio bel sol spario, ed io restai di tenebre vestito, preda del duol che soffro ognor più rio.
Oh pur, oimè! di queste membra uscito se ‘n fusse allor l’infermo spirto mio, ch’a maggior pene ed a più fera sorte tolto m’avria quell’opportuna morte.
42
Quella inquieta notte in quanti e quanti angosciosi martir, lasso! passai; quanti trassi dagli occhi amari pianti, quanti dal petto arsi sospir mandai, non credendo i celesti almi sembianti e gli occhi belli riveder più mai: ma vietò questo per maggior mio male l’atrocissimo mio destin fatale.
43
Perciò ch’Olinda, a chi il paese piacque per lo ciel che temprato era e sereno, per l’amene selvette e limpid’acque, e’ bei colli che ‘l fan vago ed ameno, perché di caccie, a cui da ch’ella nacque ebbe il cor volto, è copioso e pieno, in un castel che signoreggia intorno tutto il paese, elesse far soggiorno.
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E quinci ella uscia poi sovente fuori coi primi rai, con l’aura matutina, allor che le verdi erbe e i vaghi fiori aprono il seno a la celeste brina, cinta da cavalier, da cacciatori, e da schiera di dame pellegrina; ed or seguiva i lepri e i cervi snelli, or tendea reti ai semplicetti augelli.
Op. Grande biblioteca della letteratura italiana 85
ACTA G. D’Anna Thèsis Zanichelli Torquato Tasso Rinaldo
Canto quinto Q
45
Io c’ho tutti i miei dì cacciando spesi con quei che sono in ciò dotti e maestri, e ch’era annoverato in quei paesi tra i più veloci e tra i più cauti e destri, oltre che sapea i luochi ove son presi più facilmente gli animai silvestri, ne la sua compagnia tosto raccolto fui con grate parole e lieto volto.
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Sempre era seco e gli pendea dal lato, e per felice allor mi riputava, ch’avea il suo cane a lassa o l’arco aurato, o la carca faretra io le portava; felicissimo poi se m’era dato
toccar le veste ond’ella cinta andava.
Così ne vissi insin ch’il solar raggio portò di nuovo il dì primo di maggio.
47
Ma ‘l crudo Amor, ch’altrui piacer perfetto non fa sentire, insin ch’al fin s’arriva, e traendo di questo in quel diletto l’uom, sempre in lui più il desiderio avviva, mi sospinse a mortale infausto effetto, onde ogni mio tormento in me deriva, e ‘l lume di ragion sì mi coperse, ch’egli dal bene il mal punto non scerse.
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Deliberai, feminil vesta presa, tra le donzelle anch’io meschiarmi, quando vengono insieme a placida contesa, l’una soavi baci a l’altra dando, per poter poscia, oh temeraria impresa!
cagion ch’or sia d’ogni mio bene in bando, congiunger con la mia la rosea bocca, onde Amor mille strali aventa e scocca.
Op. Grande biblioteca della letteratura italiana 86
ACTA G. D’Anna Thèsis Zanichelli Torquato Tasso Rinaldo
Canto quinto Q
49
E mi pensava ben poter ciò fare sicuramente, perché ‘l pelo ancora, che suol più ferma età seco apportare, non mi spuntava da le guancie fuora.
Vesti trovai d’oro fregiate e care, e molti altri ornamenti in poco d’ora; e solo il tutto ad un compagno dissi, con cui d’estremo amor congionto vissi.
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Così al tempio ne venni ove si fêa l’amoroso duello, e già col volto in un candido vel, quanto potea senza sospetto dar, chiuso ed involto.
De le donne lo stuol che concorrea insieme al dolce gioco era sì folto, che non fu chi ‘l mio nome a me chiedesse, o in conoscermi pur cura prendesse.
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Onde tra lor sicuro io mi meschiai, donna creduto da le donne anch’io.
Molte abbracciai di lor, molte basciai con poca gioia e con minor disio, sin ch’ad Olinda al fin pur arrivai, stabile oggetto d’ogni pensier mio, cui com’edera tronco il collo cinsi: indi le labbra disiose spinsi.
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Con voglia così ingorda affettuosa, con sì fervidi baci e con sì spessi, spinto da forza interna ed amorosa ne le sue labbra le mie labbra impressi; ch’allor quasi stupita e sospettosa ella fissò ne’ miei gli occhi suoi stessi, onde io cangiai pur nel medesmo istante in color mille il timido sembiante.
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