Ruy Blas

PREFAZIONE DELL’AUTORE

 

 

 

Tre tipologie di spettatori compongono ciò che, per convenzione, si chiama pubblico: primo, le donne; secondo, i pensatori; terzo, la massa propriamente detta. Ciò che la massa richiede quasi esclusivamente all’opera drammatica è l’azione; ciò che le donne desiderano vedere sulla scena, è la passione; ciò di cui vanno alla ricerca i pensatori, sono i caratteri. Se si studia attentamente questa triplice ripartizione del pubblico, si giunge alla seguente conclusione: la massa è talmente innamorata dell’azione, che fa volentieri a meno dei caratteri e delle passioni. Le donne, nonostante provino un interesse sincero per l’azione, seguono con tanta partecipazione lo sviluppo della passione da non preoccuparsi troppo del disegno dei caratteri e, infine, i pensatori amano a tal punto veder vivere dei caratteri in scena, ovvero degli uomini che, pur tollerando benevolmente la presenza della passione come un ingrediente necessario del dramma, finiscono per subire malvolentieri la necessità dell’azione. Questo accade perché la massa, a teatro, cerca soprattutto delle sensazioni mentre le donne cercano delle emozioni e il pensatore l’occasione di meditare. Tutti vogliono ricavare piacere: i primi, il piacere degli occhi; le seconde, il piacere del cuore; gli ultimi, il piacere dell’intelligenza. Da questa suddivisione deriva direttamente la presenza, sulla scena francese, di tre diverse tipologie del dramma: la prima volgare e inferiore, le altre due illustri e superiori. Sono tutte ugualmente tese a soddisfare una necessità di fondo: il dramma a forti tinte per la massa; la tragedia che analizza la passione per le donne e la commedia, specchio dell’umanità circostante, per i pensatori. Diciamo subito che non abbiamo la pretesa di stabilire nessun sistema rigoroso. Preghiamo anzi il lettore di introdurre nel nostro pensiero le restrizioni che è passibile di contenere. Ogni generalizzazione ammette sempre un’eccezione e sappiamo benissimo che la massa è un’enorme entità in cui si trova di tutto: l’istinto del bello e la propensione al mediocre, l’amore dell’ideale e la ricerca della volgarità. Sappiamo d’altronde che chiunque voglia definirsi pensatore deve acquisire una sensibilità femminile quando si dedica all’esplorazione dei moti dell’animo e del cuore e, comunque, è un dato acquisito che, grazie alla legge misteriosa che unisce i due sessi non solo attraverso il corpo ma attraverso lo spirito, spesso in una donna troviamo un pensatore. Dopo questa premessa e dopo aver ulteriormente pregato il lettore di non attribuire un senso tassativo alle poche parole che ci restano da dire, proseguiamo il discorso. Chi voglia concentrarsi sulle tre modalità di spettatori che abbiamo indicato, si accorgerà che tutte e tre hanno ragione. Le donne hanno ragione a ricercare la commozione, i pensatori a voler essere istruiti, la massa a voler essere divertita. Questa evidente conclusione determina le leggi del dramma. Infatti, al di là di quella barriera di fuoco che chiamiamo ribalta, che separa il mondo della realtà da quello dell’illusione, creare e far vivere, nella simbiosi di natura e arte, dei caratteri ovvero, lo ripetiamo degli uomini e in questi uomini, in questi caratteri, gettare delle passioni che sviluppino gli uni e modifichino gli altri e infine, dallo scontro delle passioni e dei caratteri con le eterne leggi della Provvidenza, far scaturire intera la vita umana, cioè gli avvenimenti piccoli e grandi, comici, dolorosi e terribili che contengono, per il cuore, un piacere che si chiama interesse e per lo spirito una lezione che si chiama insegnamento morale: questo è il fine del dramma. Come si vede, il dramma è tragedia in quanto descrive le passioni ed è commedia in quanto descrive i caratteri. Il dramma è la terza grande forma d’arte che in sé racchiude, comprende e feconda le prime due. Corneille e Molière esisterebbero indipendentemente l’uno dall’altro se Shakespeare non fosse in mezzo a loro, dando la mano sinistra a Corneille e la destra a Molière. In questo modo, le due opposte forze elettriche della commedia e della tragedia si incontrano e la scintilla che ne deriva è il dramma. Spiegando come intende, e come ha già in precedenza indicato, il principio, la legge e il fine del dramma, l’autore non si nasconde affatto l’esiguità delle sue forze e i limiti della sua intelligenza. Ma vuole definire - e prega di non essere frainteso - non ciò che ha fatto ma ciò che ha voluto fare. Mostra quello che è stato lo stadio iniziale della sua ricerca, e nient’altro. Abbiamo solo qualche riga da riempire all’inizio di questo libro e lo spazio che ci è concesso ai impedisce di sviluppare ulteriormente il discorso. Ci sia dunque concesso, senza soffermarci ancora sulla transizione da un genere all’altro, di trascorrere dalle idee generali che abbiamo tracciato (che sono i capisaldi dell’arte, avendo ottemperato alle condizioni dell’ideale) alle idee particolari che un dramma come Ruy Blas può suscitare negli spiriti attenti. Per prima cosa, solo limitandoci a un lato della questione, sotto il profilo della filosofia della storia, qual è il significato del nostro dramma? Spieghiamoci meglio. Nel momento in cui una monarchia sta per estinguersi si possono osservare diversi fenomeni. Intanto l’aristocrazia scompare e, scomparendo, si divide. Ecco in che modo: il regno vacilla, la dinastia si spegne, la legge cade in rovina: l’unità politica si dissolve seguendo le tristi sollecitazioni dell’intrigo; le classi alte della società degenerano e s’imbastardiscono; all’esterno come all’interno regna una debolezza mortale; le grandi cose dello Stato sono cadute rovinosamente, solo le piccole cose sono rimaste in piedi, un triste spettacolo pubblico.