I sovrani
assoluti, o coloro che sono abituati a una deferenza illimitata, generalmente hanno questa
completa fiducia nelle proprie opinioni su quasi ogni questione. Le persone in una
condizione più felice, le cui opinioni sono talvolta contestate e per cui non è del tutto
insolito essere corrette quando hanno torto, hanno la stessa fiducia illimitata soltanto nelle
opinioni condivise da tutti coloro che le circondano, o di coloro ai cui giudizi si rimettono;
poiché, in misura proporzionale alla sua mancanza di fiducia nel proprio giudizio
individuale, l’uomo abitualmente si basa, con fiducia assoluta, sull’infallibilità del “mondo”
in generale. E il mondo significa, per ciascuno, la parte di esso con cui è in contatto: il suo
partito, la sua setta, la sua chiesa, la sua classe sociale; al confronto l’uomo per cui il
significato del mondo si estende a comprendere il suo paese o la sua epoca può essere quasi
definito liberale e di larghe vedute. E la sua fede in questa autorità collettiva non è affatto
scossa dal sapere che altre epoche, nazioni, sette, chiese, classi e parti politiche hanno
pensato, e tuttora pensano, esattamente il contrario. L’uomo scarica sul proprio mondo la
responsabilità di essere nel giusto, contro il dissenso dei mondi altrui; e non è mai turbato
dal fatto che è stato il puro accidente a decidere quale di questi numerosi mondi sia oggetto
della sua fiducia, e che le stesse cause che lo hanno reso anglicano a Londra l’avrebbero fatto
diventare buddista o confuciano a Pechino. Tuttavia è di per sé evidente, senza alcun
bisogno di dimostrazione, che le epoche storiche non sono più infallibili degli individui:
ciascuna ha creduto vere molte opinioni giudicate non solo false ma assurde da epoche
successive; ed è certo che molte opinioni, attualmente comuni, saranno respinte dal futuro,
come molte opinioni comuni in passato sono respinte dal presente. L’obiezione più
plausibile a questo ragionamento verrebbe probabilmente formulata nel modo seguente. Il
divieto di propagare l’errore non implica una presunzione di infallibilità maggiore di quella
implicita in qualsiasi altro atto compiuto dall’autorità pubblica in base al suo giudizio e alla
sua responsabilità. Il giudizio è dato agli uomini perché lo usino. Dato che lo possono
esercitare erroneamente, bisogna dirgli che non dovrebbero usarlo affatto? Vietare ciò che
ritengono dannoso non significa pretendere di essere immuni dall’errore, ma adempiere al
dovere, che tocca loro anche se sono fallibili, di agire in base alle proprie convinzioni e
coscienze. Se non agissimo mai sulla base delle nostre opinioni perché possono essere
erronee, trascureremmo tutti i nostri interessi e verremmo meno a tutti i nostri doveri. Una
obiezione che riguardi il complesso del comportamento umano non può essere valida per
alcun comportamento particolare. È dovere dei governi, e degli individui, formarsi opinioni
che rispondano il più possibile al vero; formarsele con cura, e non imporle mai ad altri se
non si è certi di aver ragione. Ma, una volta che ne siano certi (così proseguirebbero i
sostenitori di questa posizione), sarebbero mossi non dalla coscienza ma dalla viltà se
evitassero di agire in base alle proprie opinioni e permettessero a dottrine che in buona fede
ritengono pericolose per il benessere dell’umanità, in questa vita o in un’altra, di diffondersi
senza freno, per la sola ragione che altri, in tempi meno illuminati, hanno perseguitato
opinioni oggi considerate vere. Stiamo attenti – si potrebbe ammonire – a non compiere lo
stesso errore; ma i governi e le nazioni hanno errato in altri campi, in cui l’esercizio
dell’autorità non viene considerato illegittimo: hanno imposto tassazioni inique, scatenato
guerre ingiuste. Dovremmo allora non imporre tasse e, per quanto provocati, non dichiarare
guerre? Uomini e governi devono agire come meglio sanno. La certezza assoluta non esiste,
ma esiste una sicurezza sufficiente ai fini della vita umana. Nella guida della nostra
condotta possiamo, e dobbiamo, presumere che la nostra opinione sia vera: proibire a dei
malvagi di sconvolgere la società diffondendo opinioni che riteniamo false e perniciose non
presuppone nulla di più. La mia risposta è che presuppone molto di più. Vi è la massima
differenza tra presumere che un’opinione è vera perché, pur esistendo ogni opportunità di
discuterla, non è stata confutata, e presumerne la verità al fine di non permetterne la
confutazione. È proprio la completa libertà di contraddire e confutare la nostra opinione che
ci giustifica quando ne presumiamo la verità ai fini della nostra azione; e solo in questi
termini chi disponga di facoltà umane può trovare una sicurezza razionale di essere nel
giusto. Se consideriamo la storia dell’opinione oppure la normale condotta delle vicende
umane, qual è la causa per cui entrambe non sono peggiori di quanto siano? Non certo la
forza intrinseca della comprensione umana, poiché per ogni questione che non sia del tutto
ovvia vi sono novantanove persone completamente incapaci di darne un giudizio per una
che lo è; e la capacità della centesima è soltanto relativa, dal momento che la maggior parte
degli uomini illustri di ciascuna generazione passata ha sostenuto molte opinioni che oggi
vengono riconosciute erronee, e compiuto o approvato molti atti che oggi nessuno
giustificherebbe. Perché, allora, tra gli uomini nel complesso predominano comportamenti e
opinioni razionali? Se davvero vi è questo predominio – e deve esservi, altrimenti gli
uomini sarebbero, e sarebbero sempre stati, in una situazione quasi disperata –, è dovuto a
una qualità della mente umana, la fonte di tutto ciò che vi è di rispettabile nell’uomo inteso
come essere sia intellettuale sia morale, e cioè la possibilità di correggere i propri errori, di
rimediarvi con la discussione e l’esperienza. Non con la sola esperienza: la discussione è
necessaria per indicarne l’interpretazione. Le opinioni e le pratiche erronee cedono
gradualmente ai fatti e agli argomenti: che però per avere effetto sulla mente devono essere
sottoposti alla sua considerazione. Pochissimi fatti si spiegano da soli, senza necessità di
commenti che ne mostrino il significato. Dato quindi che la forza e il valore del giudizio
umano dipendono interamente dalla sua proprietà di poter venire corretto quando è errato,
esso è attendibile soltanto quando i mezzi per correggerlo sono tenuti costantemente a
disposizione. Consideriamo una persona il cui giudizio sia veramente degno di fiducia:
come lo è diventato? Perché si è mantenuto aperto alle critiche riguardanti le sue opinioni e
la sua condotta. Perché si è imposto come prassi costante di ascoltare tutto ciò che potesse
venire detto contro di lui; di metterne a profitto quanto fosse giusto, e di chiarire, a se stesso
e se necessario ad altri, l’erroneità di quanto fosse erroneo. Perché ha intuito che il solo
modo in cui un uomo può in una certa misura avvicinarsi alla conoscenza complessiva di
un argomento è ascoltando ciò che ne dicono persone di ogni opinione, e studiando tutte le
modalità secondo cui può essere considerato da ogni punto di vista.
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