Una, in profilo, era fatta da uno dei migliori fotografi della città; l’altra era un’istantanea bellissima ma più per il vestito elegante, trinato, ch’ella aveva portato la prima volta in cui egli le aveva parlato, che per la faccia sfigurata dallo sforzo di tener aperti gli occhi ai raggi del sole. - Chi ha fatto questa poi? - domandò Emilio. - Il Leardi forse? - Egli ricordava d’aver visto il Leardi sulla via, con una macchina fotografica sotto il braccio.

- Ma no! - disse essa. - Geloso! Me l’ha fatta un uomo serio, sposato: il pittore Datti.

Sposato sì, ma serio? - Non geloso, - disse il Brentani, con voce profonda, - triste, molto triste. - Ed ora vide fra le fotografie anche quella del Datti, il grande barbone rosso, ritratto con predilezione da tutti i pittori della città e, vedendolo, Emilio ebbe un dolore acuto al ricordare una sua frase « Le donne con cui ho a fare, non sono degne di costituire un torto a mia moglie ».

Egli non aveva più bisogno di cercare dei documenti, gli cascavano addosso, l’opprimevano, ed Angiolina, maldestra faceva del suo meglio per illustrarli, metterli in rilievo. Umiliata e offesa, mormorò: - Merighi m’ha fatto conoscere tutta questa gente. - Ella mentiva perché non era credibile che il Merighi, un commerciante laborioso, avesse conosciuto quei giovinastri e quegli artisti o, pur conoscendoli, fosse andato a sceglierli per presentarli alla sua sposa Egli la guardò a lungo con uno sguardo inquisitore come se fosse stata la prima volta che la vedesse ed ella comprese la serietà di quell’occhiata; un po’ pallida guardava in terra e attendeva. Ma subito il Brentani ricordò quanto poco egli avesse il diritto di essere geloso. - No! né umiliarla né farla soffrire mai! - Dolcemente, per dimostrarle ch’egli l’amava ancora sempre, - egli sentiva che le aveva già manifestato un sentimento molto differente, - volle baciarla.

Subito ella apparve rabbonita ma s’allontanò e lo scongiurò non la baciasse più. Egli si sorprese ch’ella rifiutasse un bacio tanto significante e finì coll’adirarsene più che per quanto era successo prima. - Ho già tanti peccati sulla coscienza - disse ella seria, seria, - che oggi mi sarà ben difficile di ottenere l’assoluzione. Per colpa tua mi presento al confessore con l’animo mal preparato.

In Emilio rinacque la speranza. Oh, la dolce cosa ch’era la religione. Di casa sua e dal cuore d’Amalia egli l’aveva scacciata, - era stata l’opera più importante della sua vita, - ma ritrovandola presso Angiolina, la salutò con gioia ineffabile. Accanto alla religione delle donne oneste, gli uomini sul muro parvero meno aggressivi e, andandosene, egli baciò con rispetto la mano ad Angiolina che accettò l’omaggio come un tributo alla sua virtù. Tutti i documenti raccolti erano inceneriti alla fiamma di un cero sacro.

Perciò, l’unica conseguenza della sua visita fu che egli aveva trovata la via a quella casa. Prese l’abitudine di portarle la mattina i dolci pel caffè. Era una gran bell’ora anche quella. Si stringeva al seno il magnifico corpo uscito allora dal letto, e ne sentiva il tepore, che passava il leggero vestito da mattina e gli dava il sentimento di un contatto immediato con la nudità. L’incanto della religione era presto svanito perché quella di Angiolina non era tale da proteggere o difendere chi non fosse difeso altrimenti, ma pure ad Emilio i sospetti non vennero mai così fieri come la prima volta. In quella stanza egli non aveva il tempo di guardarsi d’intorno.

Angiolina tentò di simulare quella religione che le aveva giovato tanto una volta, ma non le riuscì e presto ne rise spudoratamente. Quando ne aveva assai dei suoi baci, lo respingeva dicendogli: Ite missa est, insudiciando un’idea mistica ch’Emilio serio, serio, aveva espressa più volte al momento di separarsi. Domandava un Deo gratias quando chiedeva un piccolo favore, gridava mea maxima culpa quando egli diventava troppo esigente, libera nos Domine quando non voleva sentir parlare di qualche cosa.