Questa s’era annunziata proprio facile e breve. L’ombrellino era caduto in tempo per fornirgli un pretesto di avvicinarsi ed anzi - sembrava malizia! - impigliatosi nella vita trinata della fanciulla, non se n’era voluto staccare che dopo spinte visibilissime. Ma poi, dinanzi a quel profilo sorprendentemente puro, a quella bella salute - ai rétori corruzione e salute sembrano inconciliabili -
aveva allentato il suo slancio, timoroso di sbagliare e infine s’incantò ad ammirare una faccia misteriosa dalle linee precise e dolci, già soddisfatto, già felice.
Ella gli aveva raccontato poco di sé e per quella volta, tutto compreso del proprio sentimento, egli non udì neppure quel poco. Doveva essere povera, molto povera, ma per il momento - lo aveva dichiarato con una certa quale superbia - non aveva bisogno di lavorare per vivere. Ciò rendeva l’avventura anche più gradevole, perché la vicinanza della fame turba là dove ci si vuol divertire. Le indagini di Emilio non furono dunque molto profonde ma egli credette che le sue conclusioni logiche, anche poggiate su tali basi, dovessero bastare a rassicurarlo. Se la fanciulla, come si sarebbe dovuto credere dal suo occhio limpido, era onesta, certo non sarebbe stato lui che si sarebbe esposto al pericolo di depravarla; se invece il profilo e l’occhio mentivano, tanto meglio. C’era da divertirsi in ambedue i casi, da pericolare in nessuno dei due.
Angiolina aveva capito poco delle premesse, ma, visibilmente, non le occorrevano commenti per comprendere il resto; anche le parole più difficili avevano un suono di carattere non ambiguo. I colori della vita risaltarono sulla bella faccia e la mano di forma pura, quantunque grande, non si sottrasse a un bacio castissimo d’Emilio.
Si fermarono a lungo sul terrazzo di S. Andrea e guardarono verso il mare calmo e colorito nella notte stellata, chiara ma senza luna. Nel viale di sotto passò un carro e, nel grande silenzio che li circondava, il rumore delle ruote sul terreno ineguale continuò a giungere fino a loro per lunghissimo tempo. Si divertirono a seguirlo sempre più tenue finché proprio si fuse nel silenzio universale, e furono lieti che per tutt’e due fosse scomparso nello stesso istante. - Le nostre orecchie vanno molto d’accordo, - disse Emilio sorridendo.
Egli aveva detto tutto e non sentiva più alcun bisogno di parlare. Interruppe un lungo silenzio per dire: - Chissà se quest’incontro ci porterà fortuna! - Era sincero. Aveva sentito il bisogno di dubitare della propria felicità ad alta voce.
- Chissà? - replicò essa con un tentativo di rendere nella propria voce la commozione che aveva sentita nella sua. Emilio sorrise di nuovo ma di un sorriso che credette di dover celare. Date le premesse da lui fatte, che razza di fortuna poteva risultare ad Angiolina dall’averlo conosciuto?
Poi si lasciarono. Ella non volle ch’egli l’accompagnasse in città ed egli la seguì a qualche distanza non sapendo ancora staccarsene del tutto. Oh, la gentile figura! Ella camminava con la calma del suo forte organismo, sicura sul selciato coperto da una fanghiglia sdrucciolevole; quanta forza e quanta grazia unite in quelle movenze sicure come quelle di un felino.
Volle il caso che subito il giorno dopo egli risapesse sul conto dell’Angiolina ben più di quanto ella gli avesse detto.
S’imbatté in lei a mezzodì, nel Corso. La inaspettata fortuna gli fece fare un saluto giocondo, un grande gesto che portò il cappello a piccola distanza da terra; ella rispose con un lieve inchino della testa, ma corretto da un’occhiata brillante, magnifica.
Un certo Sorniani, un omino giallo e magro, gran donnaiuolo, a quanto dicevasi, ma certo anche vanesio e linguacciuto a scapito del buon nome altrui e del proprio, si appese al braccio di Emilio e gli chiese come mai conoscesse quella ragazza. Erano amici fin da ragazzi ma da parecchi anni non s’erano parlati e doveva passare fra di loro una bella donna perché il Sorniani sentisse il bisogno di avvicinarglisi.
- L’ho trovata in casa di conoscenti, - rispose Emilio.
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