Ella qui lo interruppe: - Io non avrei paura - a lui parve ch’ella volesse prenderlo per il collo e gettarlo in quella condizione che tanto temeva - io vivrei accanto all’uomo cui volessi bene, povera e rassegnata.
- Ma non io - disse egli dopo una breve pausa e fingendo d’aver esitato per un istante. - Io mi conosco. Nelle strettezze non saprei neppure amare. - E, dopo altra breve pausa, aggiunse con voce grave e profonda: - Mai! - mentre ella lo guardava seria, il mento appoggiato al manico dell’ombrellino. Rimesse così le cose a posto, osservò - e quest’era l’avviamento all’educazione che voleva darle - che per lei sarebbe stato preferibile che le si fosse avvicinato un altro di quei cinque o sei giovanotti che quel giorno l’avevano ammirata con lui: Carlini ricco, Bardi che sprecava spensieratamente gli ultimi resti della sua gioventù e della sua grossa fortuna, Nelli affarista che guadagnava molto. Ciascuno di loro, per un verso o per l’altro, valeva più di lui.
Ella, per un momento, trovò la nota giusta. Si offese! Era però troppo visibile che il suo risentimento era voluto, esagerato, ed Emilio dovette accorgersene; ma non le imputò a colpa tale finzione. Dimenandosi con tutto il corpo, ella simulava uno sforzo per svincolarsi da lui, per andar via, ma la violenza di questo sforzo non arrivava fino alle braccia per le quali egli la tratteneva.
Quelle subivano la sua stretta quasi inerti e finì che egli le accarezzò, le baciò e non le strinse più.
Le chiese scusa; non s’era spiegato bene e, coraggiosamente ripeté con altre parole quello che già aveva detto. Ella non rilevò la nuova offesa, ma conservò per qualche tempo un tono risentito: -
Non voglio ch’ella creda che per me sarebbe stato lo stesso di venir avvicinata da uno o l’altro di quei due signori. A loro non avrei permesso di parlarmi. - Al loro primo incontro, vagamente avevano ricordato d’essersi visti sulla via un anno prima; egli, dunque - diceva Angiolina - non era per lei il primo venuto. - Io - dichiarò Emilio solennemente, - non volli dire altro se non che io non la meritavo.
Soltanto allora egli arrivò a comunicarle gl’insegnamenti che dovevano esserle tanto utili. La trovava troppo disinteressata e la compianse. Una ragazza della sua condizione doveva badare al proprio interesse. Che cosa era l’onestà a questo mondo? L’interesse! Le donne oneste erano quelle che sapevano trovare l’acquirente al prezzo più alto, erano quelle che non consentivano all’amore che quando ci trovavano il loro tornaconto. Dicendo queste parole egli si sentì l’uomo immorale superiore che vede e vuole le cose come sono. La potente macchina da pensiero ch’egli si riteneva, era uscita dalla sua inerzia. Un’onda d’orgoglio gli gonfiò il petto.
Essa poi pendeva sorpresa e attenta dalle sue labbra. Parve ella credesse che donna onesta e donna ricca fossero la stessa cosa. - Ah! le superbe signore son dunque fatte così? - Poi, vedendolo sorpreso, negò d’aver voluto dire questo, ma se egli fosse stato l’osservatore che credeva, si sarebbe accorto che ella non capiva più il ragionamento che poco prima l’aveva tanto sorpresa.
Egli ripeté e commentò le idee già espresse: la donna onesta sa valere molto; è quello il suo segreto.
Bisogna essere onesta o almeno parere. Era già male che il Sorniani potesse parlare leggermente di lei, malissimo ch’ella dichiarasse di voler bene al Leardi, - e qui sfogò la sua gelosia, - quel donnaiuolo compromettente quant’altri mai. Era meglio fare del male che aver l’aria di farlo.
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