C’erano già tutti i suoi bagagli, i bauli, le casse d’armi, le conserve alimentari; tutta quella roba riempiva completamente la barca, e non ci fu bisogno di aspettare altri passeggeri. Il negro si arrampicò sui bauli, e ci si accovacciò sopra come una scimmia. Un altro negro prese i remi… Tutti e due guardavano Tartarino e ridevano, mettendo in mostra i loro denti bianchi.

In piedi, a poppa, con quella grinta terribile che era il terrore dei suoi concittadini, il grande Tarasconese tormentava nervosamente il manico del suo coltellaccio; malgrado le tranquillizzanti informazioni di Barbassou, si sentiva rassicurato solo a metà sulle intenzioni di quei due facchini dalla pelle d’ebano, così diversi dai bravi facchini di Tarascona…

Dopo cinque minuti, la barca giungeva a terra, e Tartarino posava il piede su quel piccolo molo barbaresco dove, trecento anni prima, un galeotto spagnolo chiamato Miguel Cervantes, concepiva, sotto la sferza della ciurma barbaresca, quel sublime romanzo che doveva chiamarsi Don Chisciotte!

3. Invocazione a Cervantes, Sbarco, Dove sono i Turchi? Delusione.

Oh, Miguel Cervantes Saavedra, sè è vero, come si dice, che nei luoghi dove i grandi uomini hanno abitato, aleggi nell’aria fino alla consumazione dei secoli, qualcosa di loro, quel che restava di te sul lido barbaresco, dovette trasalire di gioia nel veder sbarcare Tartarino di Tarascona, lo straordinario tipo di francese meridionale in cui erano incarnati i due eroi del tuo libro.

Don Chisciotte e Sancio Panza…

Faceva caldo. quel giorno. Sul molo inondato dal sole c’erano solo cinque o sei doganieri, qualche Algerino che aspettava notizie dalla Francia, alcuni Arabi accovacciati a fumare le loro lunghe pipe, e dei marinai maltesi che tiravano le loro grandi reti dove migliaia di sardine luccicavano come piccole monete d’argento.

Ma appena Tartarino ebbe messo piede a terra, il molo si animò e cambiò aspetto. Una banda di selvaggi, ancora più spaventosi dei pirati della nave, Si drizzò sulla riva sassosa e si precipitò sul disgraziato viaggiatore. Arabi giganteschi, nudi sotto i loro mantelli di lana, Mauri piccoli e coperti di stracci, negri, Tunisini, Mozabiti, camerieri d’albergo col grembiule bianco, si attaccarono urlando ai suoi abiti, si disputarono i suoi bagagli, l’uno impadronendosi della sua cassa di carne conservata, l’altro afferrando la farmacia, e tutti gridandogli in una lingua incomprensibile degli inverosimili nomi di alberghi…

Stordito da tutto questo tumulto, il povero Tartarino andava e veniva tempestava, imprecava, si dimenava, correva dietro i suoi bagagli e, non sapendo cosa inventare per farsi capire da quei barbari, li arringava in francese, in provenzale, e anche in latino, il suo latino scolastico, rosa rosae, bonus, bona, bonam, tutto quello che sapeva… Fatica sprecata. Nessuno lo stava a sentire… Fortunatamente un ometto, che indossava una tunica col colletto giallo ed era armato di un lungo e robusto manganello, intervenne nella mischia come un dio d’Omero, e disperse tutta quella canaglia a colpi di bastone. Era una guardia di città algerina. Con molta gentilezza, la guardia consigliò a Tartarino l’Hotel de l’Europe, e l’affidò a dei facchini dello stesso albergo che, dopo aver caricato i suoi bagagli su delle carrette, lo condussero con loro.

Dopo i primi passi in città, Tartarino spalancò tanto d’occhi. Si era aspettato di trovare una città orientale, fantasmagorica, mitica, qualcosa tra Costantinopoli e Zanzibar… gli sembrava di trovarsi in piena Tarascona…

Caffè, ristoranti, strade larghe, case a quattro piani, una piazzetta pavimentata in macadàm, quella pavimentazione stradale in pietrisco che prende nome dal nome dell’ing. scozzese McAdam, dove una banda militare suonava delle polke di Offenbach davanti a dei signori seduti che bevevano birra e mangiavano pasticcini, a delle signore e a delle signorine, e ad una quantità incredibile di militari… ma non c’era nemmeno un Turco!… non c’era che lui… e così, quando dovette attraversare la piazza, si sentì un po’ imbarazzato.

Tutti lo guardavano. I suonatori smisero di suonare, e la polka di Offenbach rimase sospesa a mezz’aria. Coi suoi due fucili in spalla, la rivoltella al fianco, fiero e maestoso come Robinson Crusoe, Tartarino passò solennemente in mezzo alla gente.

Ma appena arrivato all’albergo, le forze lo abbandonarono. La partenza da Tarascona, il porto di Marsiglia, la traversata, il principe montenegrino, i pirati, tutto cominciò a girare vorticosamente davanti ai suoi occhi.

Bisognò portarlo in camera di peso, disarmarlo, spogliarlo… Si parlava già di chiamare il medico; ma appena ebbe posato la testa sul cuscino, l’eroe cominciò a russare così di gusto e così sonoramente, che l’albergatore giudicò inutili i soccorsi della scienza, e tutti si ritirarono con discrezione.

4. Il primo appostamento.

Suonavano le tre all’orologio del palazzo del Governatore, quando Tartarino si svegliò. Aveva dormito tutta la sera, tutta la notte, tutta la mattina, e anche una buona parte del pomeriggio; ma bisogna considerare che da tre giorni quel povero fez ne aveva passate delle belle!

Appena aperti gli occhi, il primo pensiero dell’eroe fu: Sono nel paese dei leoni! Ma perchè non dirlo? All’idea che i leoni erano lì vicino a due passi, quasi a portata di mano, e che bisognava affrontarli, brr’ …Tartarino fu preso da un freddo mortale, e si ficcò coraggiosamente sotto le coperte.

Più tardi, però, la gaiezza dell’ambiente, il cielo azzurro, il sole meraviglioso che inondava la camera dalla finestra spalancata sul mare, e un buon pranzetto che si fece servire in camera accompagnato da una bottiglia di vino eccellente, gli restituirono ben presto il suo antico coraggio.

Al leone! al leone! gridò, buttando via le coperte.