E ve ne spiego il perchè. Dovete sapere, prima di tutto, che a Tarascona tutti sono cacciatori, dai più grandi ai più piccini. La caccia è la passione dei Tarasconesi fino dai mitici tempi in cui una fiera mostruosa chiamata Tarasque faceva strage nelle paludi della città, e i Tarasconesi di allora organizzavano delle battute contro di lei.
Sono passati parecchi anni, come vedete. Dunque, ogni domenica mattina, tutta Tarascona afferra le armi ed esce dalle mura, il sacco in spalla, il fucile a tracolla, insieme a una marea di cani, di furetti, di trombe, di corni da caccia. E’ uno spettacolo superbo… ma, disgraziatamente, manca del tutto la selvaggina.
Per cinque leghe intorno a Tarascona, ogni tana è vuota e tutti i nidi sono abbandonati. Nemmeno un merlo, nemmeno una quaglia, nemmeno un coniglietto, e neppure il più piccolo culbianco. E’ vero che le bestie sono bestie, ma a lungo andare hanno finito per non fidarsi più.
Eppure sono così seducenti quelle graziose collinette tarasconesi, tutte odorose di mirto, di lavanda, di rosmarino; e come sono appetitosi quei bei grappoli di uva moscatella, rigonfi di zucchero, tutti in fila sulla riva del Rodano… Ma ahimè, c’è dietro Tarascona; e nel piccolo mondo del pelo e delle penne, Tarascona ha una pessima fama. Gli stessi uccelli migratori l’hanno segnata con una grossa croce sulle loro carte di crociera; e quando le anitre selvatiche, nelle loro formazioni a triangolo, discendendo verso la Camargue, avvistano da lontano i campanili della città, l’anitra di testa si mette a strillare: Ecco Tarascona!… Ecco Tarascona! e tutto lo stormo cambia direzione.
In fatto di selvaggina, non c’è rimasto in tutta la regione che quell’anima dannata di una vecchia lepre, sfuggita per miracolo alle settembrine stragi dei Tarasconesi, e che si ostina a vivere nella zona. A Tarascona questa lepre è conosciutissima; le hanno dato persino un nome: la Folgore.
Si sa che ha la sua tana nei terreni del signor Bompard, cosa che tra parentesi ha raddoppiato e anche triplicato il valore della tenuta, ma finora non è stato possibile colpirla. Ormai non ci sono più che due o tre fanatici che si accaniscono a darle la caccia. Gli altri si sono rassegnati, e la Folgore è passata da molto tempo a far parte della mitologia locale.
Ma allora, mi domanderete, con questa scarsità di selvaggina, cosa diavolo fanno i cacciatori di Tarascona tutte le domeniche? Cosa fanno?
Diamine! Se ne vanno in campagna a due o tre leghe dalla città, si radunano in gruppetti di cinque o sei, si sdraiano pacificamente all’ombra di un pozzo, di un vecchio muro, di un olivo, tirano fuori dal carniere un bel tocco di stracotto di manzo, delle cipolle crude, dei salsicciotti, qualche acciuga, e danno inizio a una colazione interminabile, innaffiata da uno di quei garbati vini del Rodano che fanno ridere e cantare.
Dopo essersi ben rifocillati, si alzano, fischiano ai cani, caricano i fucili, e cominciano la caccia. Voglio dire, cioè, che ognuno di quei signori prende il suo berretto, lo scaraventa in aria con tutta la forza, e gli tira al volo con l’intenzione di colpirlo.
Chi colpisce più spesso il suo berretto è proclamato re della caccia, e la sera rientra a Tarascona da trionfatore, col berretto crivellato sulla canna del fucile, in mezzo alle fanfare e all’abbaiare dei cani.
Inutile dirvi che in città il commercio dei berretti da caccia è molto bene avviato. Ci sono persino dei cappellai che vendono berretti già sfondati e strappati ad uso degli inesperti; ma pare, e lo diciamo a sua vergogna, che Bèzuquet, il farmacista, sia il solo che ne compri.
Come cacciatore di berretti, Tartarino di Tarascona era incomparabile.
Ogni domenica mattina partiva con un berretto nuovo; ogni domenica sera tornava con uno straccio. La soffitta della casa del baobab era piena di quei gloriosi trofei. Perciò i Tarasconesi lo riconoscevano come il loro maestro; e poichè Tartarino conosceva a fondo il codice del cacciatore, e aveva letto tutti i trattati e tutti i manuali di tutte le cacce possibili, dalla caccia al berretto a quella alla tigre birmana, i Tarasconesi l’avevano eletto loro grande giustiziere cinegetico, e lo sceglievano come arbitro in tutte le loro discussioni.
Ogni giorno, dalle tre alle quattro, dall’armaiolo Costecalde, si poteva vedere un uomo grosso e solenne, con la pipa tra i denti, seduto su una poltrona di cuoio verde, in mezzo alla bottega piena di cacciatori di berretti che, tutti in piedi, si bisticciavano ferocemente. Era Tartarino di Tarascona che amministrava la giustizia, proprio come Nembrod, il famoso cacciatore biblico ricordato anche da Dante nella Divina Commedia, e Salomone a un tempo.
3. No! No! No! Seguito dello sguardo generale alla città di Tarascona.
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