L’esplosione avvolse la nave in un turbine tale, che sembrò come se qualche immensa diga fosse stata squarciata «dal vento. Gli uomini pendettero immediatamente ogni contatto fra loro. Perché questo è il potere di disgregazione dei grandi venti: isola. Un terremoto, una frana, una valanga colpisce l’uomo incidentalmente, per così dire, e senza collera. L’uragano, invece, se la prende con ciascuno come con un nemico personale, mira a intimidirlo, a immobilizzarlo membro a membro, mette allo sbaraglio la sua forza di resistenza.
Jukes fu strappato dal fianco del suo comandante. Gli sembrò di essere trasportato in aria a una grande distanza.
Tutto scomparve davanti a lui, e durante qualche istante perdé la facoltà di pensare; ma la sua mano allora incontrò uno dei sostegni della ringhiera. Era quasi incredulo della realtà di quello che accadeva; ma ciò non diminuiva in nulla il pericolo.
Benché giovane ancora, aveva attraversato varie bufere, e si lusingava di poter immaginare il peggio; ma ecco qualche cosa che superava stranamente il suo potere d’immaginazione. Non avrebbe mai creduto che alcuna nave al mondo potesse sopportare una cosa simile. Ed avrebbe provato anche una uguale incredulità a proposito della propria persona, senza dubbio, se il suo spirito non fosse stato completamente assorbito dalla lotta terribile che doveva sostenere contro quella forza che pretendeva strappargli il suo punto di appoggio. Ma il sentirsi così a metà annegato, selvaggiamente scosso, soffocato, malmenato, gli lasciava la convinzione di non essere ancora totalmente soppresso.
Gli parve di rimanere a lungo, per un tempo interminabile, così miserevolmente solo, aggrappato al sostegno. Una pioggia da diluvio gli cadeva a scrosci sulle spalle. Compiva grandi sforzi convulsivi per respirare, e l’acqua che ingoiava era talvolta dolce e talvolta salata. La maggior parte del tempo teneva gli occhi energicamente chiusi, come per il timore che l’assalto degli elementi stesse per attentare alla sua vista.
Quando si arrischiava a socchiudere una palpebra tremante, attingeva qualche conforto nella luce verde del fuoco di tribordo, che brillava debolmente attraverso la furia della pioggia e dei marosi. E precisamente nell’istante in cui lo contemplava ancora, un’onda gigantesca, che fu rivelata debolmente da quella luce verde, si abbatté sul fanale e lo spense. Ebbe appena il tempo di vedere la cresta dell’onda sfasciarsi, aggiungendo il suo fragore trascurabile allo spaventoso tumulto che infuriava intorno a lui. L’istante successivo il sostegno fu strappato alla stretta delle sue braccia; dopo essere stato rigettato sulla schiena, si sentì subitamente sollevato, trasportato ad una grande altezza. Il suo primo irresistibile pensiero fu che il mare della Cina tutt’intero si era riversato sul ponte. Il secondo pensiero, più coerente, fu che stava per passare sopra bordo. E durante tutto il tempo in cui si sentì trascinare, mentre enormi masse d’acqua lo sballottavano, lo rotolavano e lo schiaffeggiavano, non cessava di ripetere mentalmente, con una estrema precipitazione: «Mio Dio! Mio Dio! Mio Dio!».
A un tratto, in un’agonia di spavento e di disperazione, pensò che doveva subito tentare di sottrarsi a quel caos; e cominciò ad agitare braccia e gambe. Fin dai primi sforzi, si accorse che era impastoiato e come mescolato con l’impermeabile, gli stivali ed il viso di qualcuno. Si aggrappò ferocemente a questi oggetti volta a volta, li lasciò, li afferrò, li perdette ancora, e finalmente fu allacciato lui stesso da un paio di braccia robuste. Abbracciò alla sua volta strettamente un grosso corpo solido. Aveva ritrovato il suo capitano.
Entrambi precipitarono giù e rotolarono, senza però che rallentassero la stretta.
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