Ed ecco il mare che si solleva.
Un tuffo della nave fini in un urto, come se il suo sperone avesse incontrato un corpo solido. Un momento di calma, poi un’alta volata di spruzzi si abbatté col vento, sferzando loro il viso.
— Mantenete questa rotta il più a lungo che sia possibile
— gridò il capitano Mac Whirr.
Prima che Jukes si fosse asciugato gli occhi pieni di acqua salata, tutte le stelle erano sparite.
CAPITOLO III.
Jukes era un uomo risoluto, non meno risoluto di qualunque altro di quei giovani secondi che si pescano a dozzine gettando una rete sulle acque; se in principio la brusca violenza del primo colpo di vento l’aveva disorientato, si era poi subito riavuto, aveva radunato l’equipaggio e aveva fatto chiudere, assicurandoli saldamente, i boccaporti che erano rimasti ancora aperti. Con la sua voce fresca e stentorea dirigeva la manovra, gridando:
— Coraggio, ragazzi! Forza! forza!
E si diceva a bassa voce:
— Proprio quel che avevo temuto.
Ma ormai cominciava a pensare che la cosa superava ogni previsione. Dall’istante in cui aveva sentito il primo soffio accarezzargli la guancia, la tempesta sembrava ingrossare con lo slancio moltiplicato di una valanga. Pesanti volate di spruzzi avvolgevano il Nan-Shan che subitamente, come impazzito, nel mezzo del suo rollio regolare, cominciò a fare una serie di brevi tuffi.
— È, qualche cosa di più di uno scherzo — pensò Jukes.
E, mentre scambiava col capitano urli esplicativi, un subitaneo infittirsi delle tenebre rinforzò la notte, cadendo davanti ai loro occhi come qualche cosa di palpabile. Si sarebbe detta l’estinzione di tutte le luci di questo mondo.
Jukes era contento, indiscutibilmente, di sentirsi al fianco il suo capitano. Ciò lo sollevava, come se quell’uomo, semplicemente recandosi sul ponte, avesse preso la parte più pesante della tempesta sulle proprie spalle.
Tale è il prestigio, il privilegio ed il peso del comando.
Ma il capitano Mac Whirr, lui, non poteva sperare da nessuno sulla terra un sollievo simile.
Tale è l’isolamento del comando. Si sforzava di scrutare le intenzioni di quell’attacco, di calcolarne le direzioni, le risorse, alla maniera vigilante dei marinai, il cui sguardo s’immerge nell’occhio del vento come nell’occhio di un avversario. Ma il vento che balzava su lui sorgeva dall’oscurità. Sentiva sotto i piedi il disagio della sua nave, ma non la vedeva più; non poteva neppure distinguerne i contorni. E restava immobile, attendendo, inchiodato nell’impotente inferiorità del cieco.
Il silenzio era il suo stato naturale, notte e giorno. AI suo fianco, Jukes lanciava attraverso le raffiche cordiali parole:
— Avremo avuto il peggio tutto d’un colpo, capitano.
Un debole sprazzo di luce tremolò tutt’intorno, come se brillasse sulle pareti di una caverna — in un rifugio del mare segreto e cupo, col pavimento di schiuma e di flutti. La sua palpitazione sinistra rivelò per un istante l’ammasso lacero di nuvole basse, il profilo allungato del Nan-Shan, e le oscure masse dei marinai col capo abbassato, sorpresi sul ponte in qualche slancio, immobilizzati e come pietrificati. Poi le tenebre ondeggianti si abbatterono di nuovo. Ed allora infine la cosa reale sopraggiunse.
Fu qualche cosa di formidabile e di subitaneo, simile allo scoppio del gran vaso della Collera.
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