Ei si rammenta del dolce tempo e de l’età più verde, de l’error, de’ viaggi, e de le giostre, de l’imprese, de’ pregi, e de le spoglie, de la gloria commune, e de la guerra; ma più del vostro amor. Né d’uopo è forse ch’io lo ricordi a chi ‘l riserba in mente.

TORRISMONDO

Oh memoria, oh tempo, oh come allegro de l’amico fedel novella ascolto!

Dunque sarà qui tosto. Oimè, sospiro perch’a tanto piacer non basta il petto, talch’una parte se ‘n riversa e spande.

CORO

La soverchia allegrezza e ‘l duol soverchio, venti contrari a la serena vita, soffian quasi egualmente e fan sospiri; e molti sono ancor gl’interni affetti da cui distilla, anzi deriva il pianto, quasi da fonti di ben larga vena: la pietate, il piacer, il duol, lo sdegno; tal ch’il segno di fuor non è mai certo di quella passion che dentro abonda.

Ed or nel signor nostro effetti adopra l’infinita allegrezza, o così parmi, qual suole in altri adoperar la doglia.

MESSAGGIERO

Signor, se con sì ardente e puro affetto amate il nostro re, giurar ben posso ch’è l’amor pari; e l’un risponde a l’altro, e non ha, quanto il sole illustra e scalda, di lui più fido amico.

TORRISMONDO

Esperto il credo.

Anzi certo sono io che ‘l ver si narra.

MESSAGGIERO

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Torrismondo

Ei de le vostre nozze è lieto in modo che ‘l piacer vostro in lui trasfuso inonda, a guisa di gran pioggia o di torrente.

Gioisce al suon di vostre lodi eccelse o per l’arti di pace o di battaglia; gioisce se i costumi alcuno essalta, e racconta i viaggi, i lunghi errori, la beltà de la sposa, il merto e i pregi; e del padre e di voi sovente ei chiede.

TORRISMONDO

N’udrà liete novelle. E lieto ascolto le vostre anch’io; ma, del camin già lasso, deh non vi stanchi il ragionar più lungo.

Sarà da me raccolto il re Germondo com’egli vuole. E‘ suo de’ Goti il regno non men ch’egli sia mio: però comandi.

Voi prendete riposo. E tu ‘l conduci a le sue stanze, e sia tua cura intanto ch’egli onorato sia; che ben conviensi, e ‘l merta il suo valor, l’ufficio e ‘l tempo, e l’alta degnità di chi ce ‘l manda.

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Torquato Tasso

Atto 2, scena 2

TORRISMONDO

Pur tacque al fine, e pur al fin dinanzi mi si tolse costui, ch’a me parlando quasi il cor trapassò d’acuti strali.

O maculata conscienza, or come mi trafigge ogni detto! Oimè dolente che fia se di Germondo udrò le voci?

Non a Sisifo il rischio alto sovrasta così terribil di pendente pietra, come a me il suo venire. O Torrismondo, come potrai tu udirlo? O con qual fronte sostener sua presenza? O con quali occhi drizzar in lui gli sguardi? O cielo, o sole, che non t’involvi in una eterna notte?

O perché non rivolgi adietro il corso perch’io visto non sia, perché non veggia?

Misero, allora avrei bramato a tempo che gli occhi mi coprisse un fosco velo d’orror caliginoso e di tenebra, ch’io sì fissi li tenni al caro volto de la mia donna: allor traean diletto, onde non conveniasi. Or è ben dritto che stian piangendo a la vergogna aperti, e di là traggan noia, onde conviensi, perché la man costante il ferro adopre.

Ma vien l’ora fatale e ‘l forte punto, ch’io cerco di fuggire; e ‘l cerco indarno, se non costringe la canuta madre la figlia sua, col suo materno impero, 28

Torrismondo

sì come io l’ho pregata, ella promesso.

E so ch’al mio pregar fia pronta Alvida.

Ma chi m’affida, oimè, che di Germondo l’alma piegar si possa a novo amore?

E se fia vano il più fedel consiglio, non ha rimedio il male altro che morte.

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Torquato Tasso

Atto 2, scena 3

ROSMONDA

O felice colei, sia donna o serva, che la vita mortal trapassa in guisa che tra via non si macchi, e non s’asperga nel suo negro e terren limo palustre.

Ma chi non ne n’asperge? Ahi non sono altro serve ricchezze al mondo e servi onori ch’atro fango tenace intorno a l’alma, per cui sovente in suo camin s’arresta.

Io, che d’alta fortuna aura seconda portando alzò ne la sublime altezza, e mi ripose nel più degno albergo, de’ regi invitti e gloriosi in grembo, e son detta di re figlia e sorella, dal piacer, da l’onore e da le pompe, e da questa real superba vita fuggirei, come augel libero e sciolto, a l’umil povertà di verde chiostro.

Or tra vari conviti e vari balli pur mal mio grado io spendo i giorni integri e de le notti a’ dì gran parte aggiungo; onde talor vergogna ho di me stessa, s’a vergine sacrata a Dio nascendo, è vergogna l’amar cosa terrena; ma chi d’amor si guarda e si difende?

o non si scalda a la vicina fiamma?

Misera io non volendo amo, ed avampo appresso il mio signor, ch’io fuggo, e cerco dapoi che l’ho fuggito; indi mi pento, 30

Torrismondo

del mio voler non che del suo dubbiosa.

E non so quel ch’io cerchi o quel ch’io brami, e se più si disdica e men convenga come sorella amarlo o come serva.

Ma s’ei pur di sorella ardente amore prendesse a sdegno, esser mi giovi ancilla, ed ancilla chiamarmi e serva umile.