E bench’ei far non possa, o non ardisca, 19

Torquato Tasso

che fuor traluca del suo ardor favilla, che dagli occhi di lei sia vista e piaccia, pur nudrì nel suo cuore ardente foco.

Né lunghezza di tempo o di camino, né rischio, né disagio, né fatica, né veder novi regni e nove genti, selve, monti, campagne, e fiumi, e mari, né di nova beltà novo diletto, né s’altro è che d’amor la face estingua, intepediro i suoi amorosi incendi.

Ma, de’ pensieri esca facendo al foco, tutto quel tempo agli altri il tenne occulto ch’errò per varie parti; e del suo core secretari sol fummo Amore ed io.

Ma poiché richiamato al nobil regno egli s’assise ne l’antico seggio, l’animo a le sue nozze anco rivolto, mille strade tentando, usò mille arti, mille mezzi adoprò, mille preghiere or come re porgendo, or come amante, liberal di promesse e largo d’oro, sol per indur d’Alvida il vecchio padre, che la sua figlia al suo pregar conceda; ma indurato il trovò di core e d’alma perché d’ingegno, di costumi e d’opre altero il re canuto, anzi superbo, di natura implacabile, e tenace d’ogni proposto, e di vendetta ingordo, la pace ricusò con gente aversa, da cui tal volta depredato ed arso vide il suo regno, e violati i tempî, dispogliati gli altari, e tratti i figli da le cune piangendo, e da’ sepolcri le ceneri degli avi, e sparse al vento; da cui, non ch’altri, un suo figliuol medesmo, senza lagrime no, né senza lutto, ma pur senza vendetta, anciso giacque orribilmente; e l’uccisor Germondo egli stimò ne la sanguigna mischia, non l’essercito solo o solo il volgo.

E veramente ei fu ch’in aspra guerra 20

Torrismondo

n’ebbe le spoglie, e pur non volle il vanto.

Poiché sprezzare ed aborrir si vide de l’inclita Suezia il re possente, par che dentro arda tutto, e fuori avampi di giusto sdegno incontra il fiero veglio, che di lui fatto avea l’aspro rifiuto.

Non però per divieto, o per repulsa, o per ira, o per odio, o per contrasto, del primo amore intepidì pur dramma.

E ben è ver che negli umani ingegni, e più ne’ più magnanimi e più alteri, per la difficoltà cresce il desio, in guisa d’acqua che rinchiusa ingorga, o pur di fiamma in cavernoso monte, ch’aperto non ritrova uscendo il varco e di ruine il ciel tonando ingombra.

Dunque ei fermato è di voler, malgrado del crudo padre, la pudica figlia, e di piegar, comunque il ciel si volga e sia fermo il destin, varia la sorte, la donna; o di morir ne l’alta impresa.

D’acquistarla per furto o per rapina dispose; e mille modi in sé volgendo ora d’accorgimento ed or di forza, al fin gli altri rifiuta, e questo elegge.

Per un secreto suo fido messaggio e per lettere sue con forti prieghi mi strinse a dimandar la figlia al padre, e avutala poi con sì bella arte, la concedessi a lui, che n’era amante, né re saria di re genero indegno.

Io, se ben conoscea che questo inganno irritati gli sdegni e forse l’arme incontra me de la Norvegia avrebbe, estimai ch’ove è scritto, ove s’intenda d’onorata amicizia il caro nome, quel che meno per sé parrebbe onesto acquisti d’onestà quasi sembianti; e se ragion mai violar si debbe, sol per l’amico violar si debbe; ne l’altre cose poi giustizia osserva.

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Torquato Tasso

E posposi al piacer del caro amico l’altrui pace e la mia, tanto mi piacque divenir disleal per troppa fede.

Questo fisso tra me, non per messaggi, né con quell’arti che sovente usarsi soglion tra gli alti regi in pace o ‘n guerra, del suocero tentai la stabil mente, ma gli indugi troncai: rapido corsi del mio voler messaggio e di me stesso.

Ei gradì la venuta e le proposte, e congiunse a la mia la real destra, ed a me diede e ricevé la fede, ch’io di non osservar prefisso avea.

Ed io tolto congedo, e la mia donna posta su l’alte navi, anzi mia preda, spiegai le vele; e negli aperti campi per l’ondoso ocean drizzando il corso, lasciava di Norvegia i porti e i lidi.

Noi lieti solcavamo il mar sonante, con cento acuti rostri il mar rompendo, e la creduta sposa al fianco affissa m’invitava ad amar pensosa amando.

Ben in me stesso io mi raccolsi e strinsi, in guisa d’uomo a cui d’intorno accampa dispietato nemico. Il tempo largo, e l’ozio lungo e lento, e ‘l loco angusto, e gli inviti d’amor, lusinghe e sguardi, rossor, pallore, e parlar tronco e breve solo inteso da noi, con mille assalti vinsero al fin la combattuta fede.

Ahi ben è ver che risospinto Amore più fiero e per repulsa e per incontro ad assalir sen torna, e legge antica è che nessuno amato amar perdoni.

Ma sedea la ragion al suo governo, ancor frenando ogni desio rubbello, quando il sereno cielo a noi refulse e folgorâr da quattro parti i lampi; e la crudel fortuna e ‘l cielo averso, con Amor congiurati, e l’empie stelle mosser gran vento e procelloso a cerchio, 22

Torrismondo

perturbator del cielo e de la terra, e del mar violento empio tiranno, che quanto a caso incontra, intorno avolge, gira, contorce, svelle, inalza e porta, e poi sommerge; e ci turbâro il corso tutti gli altri fremendo, e Borea ad Austro s’oppose irato, e muggiâr quinci e quindi, e Zefiro con Euro urtossi in giostra; e diventò di nembi e di procelle il mar turbato un periglioso campo; cinta l’aria di nubi, intorno intorno una improvisa nacque orribil notte, che quasi parve un spaventoso inferno, sol da’ baleni avendo il lume incerto; e s’inalzâr al ciel bianchi e spumanti mille gran monti di volubile onda, ed altrettante in mezzo al mar profondo voragini s’aprîr, valli e caverne, e tra l’acque apparîr foreste e selve orribilmente, e tenebrosi abissi; ed apparver notando i fieri mostri con varie forme, e ‘l numeroso armento terrore accrebbe; e ‘n tempestosa pioggia pur si disciolse al fin l’oscuro nembo; e per l’ampio ocean portò disperse le combattute navi il fiero turbo: e parte ne percosse a’ duri scogli, parte a le travi smisurate, sovra il mar sorgenti in più terribil forma, talché schiere parean con arme ed aste, e ‘n minacciose rupi o ‘n ciechi sassi, che son de’ vivi ancor fiero sepolcro; parte a le basi di montagne alpestri sempre canute, ove risona e mugge, mentre combatte l’un con l’altro flutto, e ‘l frange e ‘nbianca, e come il tuon rimbomba, e di spavento i naviganti ingombra; parte inghiotinne ancor l’empia Caribdi, che l’onde e i legni intieri absorbe e mesce; son rari i notatori in vasto gorgo.

Ma co ‘l flutto maggior nubilo spirto 23

Torquato Tasso

il nostro batte, e ‘l risospinge a forza, sì ch’a gran pena il buon nocchiero accorto lui salvò, sé ritrasse e noi raccolse d’uno altissimo monte a’ curvi fianchi, dove mastra natura in guisa d’elmo forma scolpito a meraviglia un porto, che tutti scaccia i venti e le tempeste, ma pur di sangue è crudelmente asperso, fiero principio e fin d’acerba guerra.

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Torrismondo

Atto 2, scena 1

MESSAGGIERO

Me di seguire il mio signore aggrada, o calchi il ghiaccio de’ canuti monti, o le paludi pur ch’indura il verno.

Ed or quanto m’è caro e quanto dolce l’esser venuto seco a l’alta pompa ne la famosa Arana! Ei segue, e ‘ntanto al re de’ Goti messagiero io giungo, perch’io gli dia del suo arrivar novella.

Ma chieder voglio a que’ ch’insieme veggio ove sia del buon re l’aurato albergo.

O cavalieri, io di Suezia or vegno, per ritrovare il re; dov’è la reggia?

CORO

E‘ quella che t’addito, ed ei medesmo quel che là vedi tacito e pensoso.

MESSAGGIERO

O magnanimo re de’ Goti illustri, de l’inclita Suezia il re possente a voi manda salute e questa carta.

TORRISMONDO

La lettra è di credenza. Espor vi piaccia quel ch’ei v’impose.

MESSAGGIERO

Il mio signor Germondo dentro a’ confin del vostro regno è giunto, e già vicino; e pria che ‘l sole arrivi del lucido oriente a mezzo il corso, sarà ne la famosa e nobil reggia; 25

Torquato Tasso

ed ha voluto ch’io messaggio inanzi porti insieme l’aviso e porga i prieghi, perché raccolto ei sia come conviensi a l’amicizia, a cui sarian soverchi tutti i segni d’onore e tutti i modi, che son fra gli altri usati.