Nella penultima quartina il poeta si ritrova un bimbo sperduto, il meraviglioso «bateau ivre» è una barchetta di carta, il mare della poesia una pozza. La coscienza della situazione comporta una «chiusura».

Qual era, in quel momento, l’intensa ambizione di Rimbaud? Entrare a far parte di una cerchia di scrittori, poter comunicare il proprio messaggio, farsi «lavoratore» nel modo prescelto, poeta. Fu quindi con slancio, portando con sé il pessimistico augurio del Bateau ivre, che partì alla fine del settembre 1871 per Parigi dove Verlaine, insieme a Charles Cros, lo attese alla stazione. Poteva essere l’inizio di una nuova vita, se non di una carriera. Fu invece una catastrofe. Che il giovane Rimbaud avesse propensione per una sessualità poco ortodossa è fuori dubbio; che l’incontro con Verlaine, più anziano e più distorto non ostante il recente matrimonio, fosse in proposito poco opportuno è assolutamente certo. Capitò quanto doveva capitare. La giovane speranza della poesia, dopo che si riseppe di che specie fosse il legame con Verlaine, non poteva avere l’accoglienza desiderata; non ebbe nemmeno l’intenzione di accattivarsi le simpatie di Lepelletier, Carjat, Cabaner, dello stesso Charles Cros, o di Léon Valade che pure in principio ne aveva riconosciuto il genio. Fu «colpa» di Rimbaud? Tenuto conto della giovanissima età, è piuttosto vero che a Parigi trovò ostilità e rifiuto, lui che aveva sognato di essere «chargé de l’humanité, des animaux même», e da parte di Verlaine ambigua e pericolosa «liaison». Così, da questa nuova delusione nacque il gruppo di poesie note sotto il titolo di Derniers Vers, certamente incompiute, e che dovevano essere riunite intorno alle Fêtes de la Patience. Poesie incomprensibili, secondo il giudizio dei più; poesie invece comprensibilissime sia, se si vuole, in chiave biograficopsicologica, sia – quel che conta – secondo la loro morfologia tipicamente tardo-romantica.

La tematica dei Derniers Vers, infatti, si articola in molteplici direzioni, ma soprattutto intorno a due motivi fondamentali, quello della «patience» e quello dell’«acqua». La prima va intesa etimologicamente (Feste del «patire»), e siccome «Science avec patience, / Le supplice est sûr» 9, significa che il dolore non è solo patimento ma scienza del patimento: la conoscenza delle cause acutizza la sofferenza dando la certezza del suo persistere inesorabile. Quanto al motivo dell’acqua – se ne potrebbe fare la lunga storia, da Leonardo ai barocchi, ai preromantici, romantici, parnassiani e simbolisti, fino ai contemporanei, con l’ambiguo sussidio della psicanalisi per giunta – in Rimbaud non deriva soltanto da Baudelaire e quindi, forse, da Poe, ma dallo stesso Verlaine. Che significa? Se si considera Mémoire, la maggiore e certo la meno facile di queste liriche, di cadenza vagamente proustiana ante litteram, non pare che lo schema e la conclusione pessimistica del Bateau ivre siano superati. Anche in Mémoire il soggetto è l’io poetico, in principio immerso nell’acqua chiara dell’infanzia, che progressivamente si abbuia in un sapiente contrappasso di sonorità, luci, immagini, e sullo sfondo di un doloroso fallimento matrimoniale (di chi? di Rimbaud e Verlaine, o di Mme Rimbaud e del Capitano Frédéric? o non piuttosto di ogni «indissolubile» legame spezzato?). Poi il paesaggio interiore intristisce di colpo, oppresso da fatica e pena, da una sottile angoscia invadente, e si scioglie nelle due ultime quartine con la imprecazione alle «braccia troppo corte» che gli impediscono di cogliere sia «la fleur jaune» che «la fleur bleue»; ritorna il motivo della pozzanghera e del «bateau frêle»: il «canot» è legato, la catena lo trascina verso chissà quale fango. Se si tiene conto che Mémoire è la vicenda di un corso d’acqua, fluente prima e paludoso poi, che il corso d’acqua – lo spiegò Poe in The Domain of Arnheim – significa lo stesso fluire della fantasia poetica, che il fiore è in tutto il romanticismo (e anche in Rimbaud, come dimostra Ce qu’on dit au poète à propos de Fleurs) simbolo dell’espressione poetica, il senso di Mémoire non può essere messo in dubbio: è la storia di una ispirazione poetica mortificata, di un «divino fanciullo» costretto al riconoscimento di una drammatica solitudine esistenziale. Per la seconda volta, il vate imberbe era costretto a rinfoderare la sua lira.

Non solo metaforicamente. I Vilains-Bonshommes (il bizzarro cenacolo in cui era stato introdotto da Verlaine) avevano ascoltato una lettura del Bateau ivre, probabilmente più per curiosità che per interesse; ma eccetto Les Corbeaux, nessuna poesia di Rimbaud era stata pubblicata. Era di nuovo solo, a cantare la Chanson de la plus haute Tour, la pazienza, la sete e le «mille vedovanze obbligate», o a bestemmiare in Comédie de la Soif tutti i parnassiani consigli dello «Spirito», o a sognare di «Saisons» e «Châteaux», castelli in aria, s’intende. Non fa meraviglia, allora, che desiderasse di riprendere per sé Verlaine, il suo unico «amore» ma anche l’unico fratello, compagno e lettore, l’unico ascoltatore delle sue poesie. L’ostacolo erano la moglie di Verlaine, Mathilde Mauté, e il figlioletto. Ciò non toglie che quando il 7 luglio 1872 Rimbaud decise di partire per il Belgio, Verlaine uscì di casa con la scusa di cercare il medico Antoine Cros per la moglie sofferente di emicrania, e lo seguì. Andarono prima dalla madre di Verlaine, per farsi dare un po’ di danaro, poi alla stazione.

Rimasero a Bruxelles poco tempo, e il quattro settembre si imbarcarono per l’Inghilterra. Il «drôle de ménage» era cominciato.

Come è noto, finì bruscamente un anno dopo la partenza da Parigi, forse il 9 luglio, a Bruxelles, quando Verlaine sparò uno o due colpi di pistola contro Rimbaud, ferendolo a un polso. Fu medicato, probabilmente dormì in casa di una certa Signora Pincemaille per evitare ulteriori guai, ma l’indomani la discussione con Verlaine riprese: pare che questi volesse tornare dalla moglie e che non permettesse all’amico, privo di risorse finanziarie, di seguirlo. Un nuovo litigio scoppiò in Place Rouppe, e non si sa come né perché Verlaine fu arrestato e condannato a due anni di carcere. Rimbaud rientrò nella piccola proprietà di Roche, e durante la prima quindicina di agosto scrisse la Saison en Enfer. Sarebbe stata la sua penultima opera, l’unica che sia riuscito, se non a pubblicare, almeno a stampare10.

Una Stagione all’Inferno, come si tradusse nel primo Novecento e tuttora si dice (anche per la cinematografia): quale inferno? quale stagione? Questa è la sua breve età, dal settembre del 1871 al luglio del 1873, consumata in sempre più difficili ricerche poetiche e dall’incontro con Verlaine; quello è senza alcun dubbio l’inferno cristiano. Ma non nel senso voluto da Claudel, o da Daniel-Rops in una imprudente mistificazione stampata dalla Morcelliana di Brescia, nel senso cioè che Rimbaud, scosso dal dramma di Bruxelles, sentì la voce che lo richiamava sulla retta via; bensì nel senso che, a contatto con la equivoca religiosità di Verlaine (lo soprannominerà presto «Loyola») e sempre della sua «sale éducation d’enfance»11, intese operare una ulteriore verifica della condizione del poeta, allargando l’analisi dalla Francia all’Europa, all’Occidente infine, che identifica con l’Occidente cristiano. Cittadino occidentale, Rimbaud vuole liberarsi della maledizione dell’inferno. Per riuscirvi, ha bisogno di «inventare» un nuovo linguaggio in cui non esista traccia della storia, della tradizione, del passato occidentali e cristiani.