«Perché bussa così come un pazzo?» chiese un uomo gigantesco dandogli appena un'occhiata. Da una specie di lucernario una luce opaca, già consumata nella parte alta della nave, scendeva nella misera cabina nella quale erano stipati, come in un magazzino, un letto, un armadio, una poltrona e l'uomo. «Mi sono perso», disse Karl, «durante il viaggio non me n'ero accorto, ma è una nave terribilmente grande.»

«Sì, in questo ha ragione», disse l'uomo con un certo orgoglio, continuando a trafficare attorno alla serratura di una valigetta che premeva con ambedue le mani, cercando di udire lo scatto della serratura. «Ma venga dentro!», proseguì l'uomo, «non vorrà mica restare là fuori!»

«Non disturbo?», chiese Karl. «E perché dovrebbe disturbare?»

«Lei è tedesco?», cercò ancora di assicurarsi Karl, che aveva udito dei molti pericoli che minacciavano i nuovi arrivati in America, specie da parte degli irlandesi. «Tedesco, tedesco», disse l'uomo. Karl però esitava ancora. Allora l'uomo afferrò all'improvviso la maniglia e chiudendo di colpo la porta spinse Karl dentro la cabina. «Non sopporto che mi si guardi dal corridoio», disse l'uomo che si era rimesso a trafficare attorno alla valigia, «Tutti quelli che passano guardano dentro, non ci resisto!»

«Ma il corridoio è vuoto», disse Karl pressato scomodamente contro il letto. «Già, adesso», disse l'uomo. «Ma è ben di adesso che stiamo parlando», pensò Karl, «è difficile discorrere con quest'uomo.»

«Si metta sul letto, così avrà più spazio», disse l'uomo. Karl vi si arrampicò sopra alla meglio, ridendo di cuore nel vano tentativo che aveva fatto di montarci sopra d'un balzo. Ma non appena fu sul letto, esclamò: «Santo cielo, mi sono completamente dimenticato della valigia!». «Dov'è?»

«Sopra coperta, ci fa la guardia un mio conoscente. Già, ma come si chiama?» E dalla tasca segreta che sua madre gli aveva cucito nella fodera della giacca per il viaggio estrasse un biglietto da visita. «Butterbaum, Franz Butterbaum». «Ha un gran bisogno di quella valigia?»

«Naturalmente.»

«E allora perché l'ha affidata a un estraneo?»

«Avevo dimenticato l'ombrello di sotto e son corso a prendermelo, ma non volevo trascinarmi dietro la valigia. Poi però mi sono anche perso.»

«Lei è solo? Senza compagnia?»

«Sì, solo.»

«Forse dovrei affidarmi a quest'uomo», passò per la testa a Karl, «dove trovo ora come ora un amico migliore?»

«E adesso ha perso anche la valigia. Per non parlare dell'ombrello.» E l'uomo si sedette in poltrona, come se adesso la faccenda di Karl suscitasse in lui un certo interesse. «Credo però che la valigia non sia ancora perduta.»

«La fede rende beati», disse l'uomo e si grattò energicamente tra i capelli scuri, corti e folti, «su una nave, con i porti cambiano anche le usanze. Ad Amburgo forse il suo Butterbaum avrebbe fatto la guardia alla valigia, qui molto probabilmente ormai non c'è più traccia né dell'uno né dell'altra.»

«Ma allora debbo subito andar su a controllare», disse Karl cercando di scendere dalla cuccetta. «Rimanga», disse l'uomo, e con una manata sul petto lo fece ricadere indietro, in modo addirittura brutale. «Ma perché?» chiese Karl irritato. «Perché non ha alcun senso», disse l'uomo, «tra un minuto esco anch'io, così andremo insieme. O la valigia è stata rubata, e allora non c'è niente da fare, oppure quello l'ha lasciata lì, e allora la troveremo più facilmente quando la nave sarà vuota. E così pure il suo ombrello.»

«Lei è pratico della nave?» chiese Karl con una certa diffidenza, parendogli che l'idea, del resto convincente, che sulla nave vuota le cose si sarebbero potute trovare più facilmente contenesse una trappola. «Sono fuochista», disse l'uomo. «Lei è fuochista!», esclamò Karl tutto contento, come se questo superasse ogni sua aspettativa e, appoggiato sul gomito, osservò l'uomo più attentamente. «Proprio di fronte alla cabina dove dormivo con lo slovacco c'era una finestrella da dove si vedeva la sala macchine.»

«Sì, io lavoravo là», disse il fuochista. «Io mi sono sempre un po' interessato di tecnica», disse Karl che seguiva un suo corso di pensieri, «e sarei sicuramente diventato ingegnere se non fossi dovuto partire per l'America.»

«Perché è dovuto partire?»

«Lasciamo perdere», disse Karl, e con un gesto della mano liquidò tutta la storia.