La compagnia di navigazione avrebbe potuto dire soltanto che lui era arrivato a New York. Ma a Karl dispiaceva di non aver quasi adoperato le cose che erano nella valigia, sebbene per esempio da un bel pezzo avesse avuto bisogno di cambiarsi la camicia. Aveva fatto male a risparmiare; proprio adesso che, all'inizio della sua carriera, avrebbe avuto necessità di presentarsi vestito pulitamente, si sarebbe dovuto far vedere con una camicia sporca. Per il resto la perdita della valigia non era un danno così grave, perché il vestito che aveva addosso era persino meglio di quello rimasto nella valigia, che in realtà era un vestito rimediato, che la madre aveva dotato rammendare subito prima della partenza. Adesso ricordò anche che nella valigia c'era anche un pezzo di salame di Verona, che la madre aveva aggiunto come dono speciale, ma di cui lui aveva potuto mangiare solo una piccolissima parte perché durante il viaggio non aveva avuto per niente appetito, e gli era stata più che sufficiente la zuppa che distribuivano sull'interponte. Invece adesso avrebbe voluto avere sotto mano quel salame, per farne omaggio al fuochista. Infatti le persone di quel genere si conquistano facilmente mettendo loro in mano qualche piccolezza, Karl lo aveva imparato da suo padre, che distribuendo sigari si ingraziava tutti gli impiegati di rango inferiore con cui aveva a che fare per la sua professione. Adesso, da regalare Karl aveva solo il suo denaro, e quello, dal momento che forse aveva già perso la valigia, per ora non lo voleva toccare. Di nuovo i suoi pensieri tornarono alla valigia, e adesso non capiva proprio perché durante il viaggio aveva sorvegliato la valigia con tanta attenzione che quella guardia gli era quasi costata il sonno, mentre ora se l'era fatta portar via così facilmente. Si ricordò delle cinque notti in cui aveva sospettato di continuo un piccolo slovacco, che dormiva due posti più in là alla sua sinistra, di aver delle mire sulla sua valigia. Questo slovacco aspettava soltanto che Karl, vinto dalla debolezza, finisse per assopirsi un istante, per tirarsi vicina la valigia con un lungo bastone col quale durante il giorno giocava o si esercitava. Di giorno questo slovacco aveva un'aria innocente, ma non appena calava la notte ogni tanto si alzava dal suo giaciglio e guardava tristemente la valigia di Karl. Karl se ne accorgeva benissimo perché c'era sempre qualcuno che, con l'irrequietezza dell'emigrante, accendeva un lumino, nonostante il regolamento della nave lo proibisse, e cercava di decifrare gli incomprensibili prospetti delle agenzie di emigrazione. Se quella luce era lì vicino Karl poteva assopirsi un poco, ma se era lontana oppure c'era buio era costretto a tener gli occhi aperti. Quella fatica lo aveva davvero stremato, e invece forse era stata completamente inutile. Quel Butterbaum, ah, se una volta o l'altra gli fosse capitato di incontrarlo! In quell'istante, nel silenzio totale che aveva regnato sino allora, risuonarono in lontananza piccoli brevi colpi, come di piedi infantili, il rumore aumentava via via che si avvicinavano, e poi divenne una tranquilla marcia di uomini. Evidentemente camminavano in fila, com'era naturale in quello stretto corridoio, e si udiva come un tintinnare di armi. Karl, che stava per abbandonarsi sul letto a un sonno libero da ogni pensiero per la valigia e lo slovacco, sobbalzò e scrollò il fuochista per richiamare la sua attenzione, perché la testa della processione sembrava giunta all'altezza della porta della cabina. «È l'orchestra della nave», disse il fuochista, «hanno suonato di sopra e ora vanno a far le valigie. Adesso è tutto finito e noi possiamo andare. Venga!» Prese per mano Karl, all'ultimo momento staccò dalla parete sopra il letto un quadruccio con l'immagine della Madonna, lo infilò nella tasca interna della giacca, afferrò la valigia e uscì frettolosamente con Karl dalla cabina.

«Adesso vado nell'ufficio e dico la mia a quei signori. Non ci sono più passeggeri, non c'è più da aver riguardi.» Il fuochista ripeteva queste parole in tutti i toni, e mentre camminava tentò di schiacciare colpendolo lateralmente col piede un topo che gli traversava la strada, ma riuscì soltanto a far sì che si infilasse più rapidamente nel buco che aveva fatto in tempo a raggiungere. Era lento di movimenti, perché aveva sì le gambe lunghe, ma troppo pesanti.

Traversarono un reparto della cucina dove alcune ragazze che indossavano dei grembiuli sudici — li macchiavano apposta — lavavano delle stoviglie in grandi mastelli. Il fuochista chiamò una certa Line, le mise un braccio attorno ai fianchi e se la trascinò dietro per un pezzetto, mentre lei si stringeva civettuola al suo braccio. «È ora di paga, vuoi venire?», le chiese. «Perché dovrei fare questa fatica? portami piuttosto il denaro qua», rispose lei, sgusciandogli di sotto al braccio e correndo via. «Dove hai pescato quel bel ragazzo?», gridò ancora, ma non attese la risposta. Si udirono le risate di tutte le ragazze, che avevano interrotto il lavoro.

Ma loro proseguirono, e giunsero a una porta sormontata da un piccolo frontone sorretto da cariatidi dorate. Per un arredamento di nave sembrava davvero un lusso eccessivo. Karl si accorse di non essere mai stato in quella parte della nave, che probabilmente durante la traversata era riservata ai passeggeri di prima e seconda classe, mentre adesso, in vista della pulizia generale, le porte di separazione erano state tolte.