In effetti avevano già incontrato degli uomini che portavano una scopa sulla spalla e che avevano salutato il fuochista. Karl era stupito di quel gran movimento, sul suo interponte ne aveva visto ben poco. Lungo i corridoi correvano anche fili di linee elettriche, e si udiva continuamente suonare una piccola campana.

Il fuochista bussò rispettosamente alla porta, e quando fu gridato «Avanti!», con un gesto della mano invitò Karl a entrare senza timore. Questi entrò, ma rimase accanto alla porta. Davanti alle tre finestre della stanza vide le onde del mare, e a contemplare il loro allegro movimento il cuore gli batteva, come se per cinque lunghi giorni non avesse visto mare in continuazione. Grandi bastimenti si incrociavano e cedevano al moto delle onde soltanto per quel che consentiva la loro pesantezza. Se si socchiudevano gli occhi, pareva che quelle navi oscillassero solo a causa del loro enorme peso. Sugli alberi avevano bandiere sottili ma lunghe che, pur se il movimento della nave le faceva tendere, ancora palpitavano irrequiete. Risuonarono dei colpi di salve, probabilmente da qualche nave da guerra, i cannoni di una di queste che passava non troppo distante, lucenti nel loro manto d'acciaio, erano come carezzati dall'andatura sicura, piana e tuttavia non orizzontale del bastimento. I piccoli battelli e le barche, almeno dalla porta li si poteva osservare solo di lontano, infilarsi numerosi nei varchi che si aprivano tra le grandi navi. Ma dietro tutto questo stava New York e guardava Karl con le centomila finestre dei suoi grattacieli. Sì, in quella stanza si capiva bene dove si era.

A un tavolo rotondo sedevano tre signori, un ufficiale di bordo nella sua uniforme blu e due funzionari della capitaneria di porto, che indossavano nere uniformi americane. Sul tavolo erano posate alte pile di documenti, che l'ufficiale scorreva per primo con la penna in mano per poi passarli agli altri due, che ora li leggevano, ora ne prendevano degli appunti, ora li riponevano nelle loro cartelle, quando uno di loro, che faceva quasi ininterrottamente un lieve rumore coi denti, non dettava al suo collega qualcosa in un verbale.

Davanti alla finestra sedeva a una scrivania, con le spalle rivolte alla porta, un signore piuttosto piccolo, che armeggiava con grossi libroni allineati davanti a lui all'altezza del capo su un massiccio scaffale. Lì vicino c'era una cassaforte aperta e vuota, almeno a una prima occhiata.

La seconda finestra era vuota e offriva la vista migliore. Invece accanto alla terza c'erano due signori che parlavano a bassa voce. Uno stava appoggiato vicino alla finestra, indossava anche lui l'uniforme di bordo e giocherellava con l'elsa della spada. Il suo interlocutore era rivolto verso la finestra e ogni tanto muovendosi lasciava intravvedere una parte delle decorazioni che ornavano il petto dell'altro. Era in abiti civili e aveva un sottile bastoncino di bambù che, poiché il signore teneva le mani poggiate sui fianchi, sporgeva anch'esso come una spada.

Karl non ebbe molto tempo per guardar tutto, perché subito si avvicinò loro un servitore che, guardando il fuochista come se questi lì non avesse niente a che fare, gli chiese cosa voleva. Il fuochista rispose con voce sommessa, così com'era stata pronunciata la domanda, di voler parlare col signor cassiere capo. Il servitore da parte sua respinse questa preghiera con un gesto della mano, tuttavia andò in punta di piedi, evitando con un largo giro il tavolo rotondo, dal signore dei libroni. Questo signore — lo si vide chiaramente — alle parole del servitore si raggelò addirittura, ma alla fine si volse verso colui che voleva parlargli e agitò le mani, con aria di severo rifiuto, all'indirizzo del fuochista e per sicurezza anche del servitore. Allora il servitore tornò dal fuochista e disse, con tono sommesso come se gli stesse facendo una confidenza: «Se ne vada subito da questa stanza!».

A questa risposta il fuochista guardò Karl, come se questi fosse il suo cuore al quale poter confidare in silenzio la propria pena. D'impulso Karl si staccò da lui, traversò la stanza di corsa tanto che urtò leggermente la sedia dell'ufficiale, il servitore gli corse dietro, curvo, con le braccia pronte a ghermire, come se desse la caccia a un insetto pericoloso, ma Karl arrivò per primo al tavolo del cassiere capo e vi si aggrappò, nel caso che il servitore cercasse di trascinarlo via.

Naturalmente la stanza subito si animò. L'ufficiale al tavolo era balzato in piedi, i signori della capitaneria osservavano calmi ma attenti, i due signori accanto alla finestra si erano messi fianco a fianco e il servitore, ritenendo di esser fuori di luogo là dove i nobili signori manifestavano il proprio interesse, si fece indietro. Sulla porta il fuochista aspettava, teso, il momento in cui ci sarebbe stato bisogno del suo aiuto. Finalmente il cassiere capo fece un ampio giro a destra con la sua poltrona.

Dalla tasca segreta che non si preoccupava di esporre agli sguardi di quella gente Karl pescò fuori il passaporto, che depose aperto sulla scrivania in luogo di ogni altra presentazione. Il cassiere capo parve trovare irrilevante quel passaporto, perché lo fece schizzar via con due dita, e Karl lo ripose in tasca, come se quella formalità fosse stata soddisfacentemente espletata.

«Mi permetto di dire», cominciò poi, «che secondo la mia opinione al signor fuochista è stato fatto un torto. C'è qui un certo Schubal che ce l'ha con lui. Egli ha già prestato servizio con piena soddisfazione su molte navi che può nominarvi tutte, è diligente, ha voglia di lavorare, e davvero non si capisce perché proprio su questa nave, su cui il servizio non è eccessivamente pesante come per esempio sui velieri mercantili, egli dovrebbe fare una cattiva riuscita. Quindi deve trattarsi soltanto di calunnie, che gli impediscono di farsi strada e lo privano di quel riconoscimento che altrimenti non gli mancherebbe di certo.