Del resto dentro non c'era niente, e lei può tranquillamente rimettere tutto a posto».
«Ah», disse Karl fissando il cesto che andava vuotandosi rapidamente e ascoltando lo strano rumore che produceva Robinson nel bere, perché il liquido prima gli scendeva ben giù nella gola, poi tornava su d'un tratto con una specie di fischio e infine si riversava dentro a cascata.
«Hanno già finito di mangiare?», chiese quando i due si fermarono un attimo per riprender fiato.
«Lei non ha già mangiato in albergo?» domandò Delamarche, credendo che Karl volesse rivendicare la sua parte.
«Se vogliono mangiare ancora si sbrighino», disse Karl andando verso la valigia.
«Sembra che abbia i nervi», disse Delamarche a Robinson.
«Non ho i nervi», disse Karl, «ma le pare una cosa ben fatta scassinarmi la valigia in mia assenza e buttar fuori tutta la mia roba? Lo so, tra compagni ci si deve poter permettere qualche confidenza, e mi ci ero anche preparato, ma questo è troppo. Pernotterò all'albergo e non verrò a Butterford. Mangino svelti, debbo riportare indietro il cesto.»
«Vedi, Robinson, è così che si parla», disse Delamarche, «è così che parlano le persone educate. Non per niente è un tedesco. Tu mi avevi subito messo in guardia contro di lui, ma io sono stato un bello scemo e l'ho preso con noi. Gli abbiamo dato la nostra fiducia, ce lo siamo trascinati dietro tutto il giorno perdendo come minimo una mezza giornata di tempo, e adesso — perché là all'albergo qualcuno lo avrà abbindolato — se ne va, se ne va e basta. Ma perché è un tedesco falso, non lo fa apertamente ma si cerca la scusa della valigia, e poiché è un tedesco villano, non può andarsene senza offenderci nell'onore e chiamarci ladri, perché gli abbiamo fatto un piccolo scherzo con la sua valigia.» Karl, che stava rimettendo dentro le sue cose, disse senza voltarsi: «Continui pure a parlar così, mi renderà più facile andarmene. So benissimo cos'è il cameratismo. In Europa avevo anch'io degli amici, e nessuno può rimproverarmi di essermi comportato in modo falso o cattivo. Adesso naturalmente non siamo più in relazione, ma se un giorno dovessi tornare in Europa tutti mi accoglierebbero bene e mi accetterebbero come amico. E lei, Delamarche, e lei, Robinson, proprio loro io avrei dovuto tradire, loro che, non lo ripeterò mai abbastanza, sono stati così gentili da interessarsi a me e da farmi sperare in un posto di apprendista a Butterford? Ma non si tratta di questo. Loro non possiedono nulla, e questo non li abbassa minimamente ai miei occhi, però mi invidiano quel poco che ho e per questo cercano di umiliarmi; questo non posso sopportarlo. E adesso, dopo che mi hanno scassinato la valigia, non trovano una parola di scusa, e per di più mi insultano e insultano anche il mio paese — e con ciò mi tolgono ogni possibilità di restar con loro. Del resto tutto questo non lo dico proprio per lei, Robinson. Sul suo carattere ho soltanto da obiettare che lei si lascia troppo influenzare da Delamarche».
«Ecco finalmente», disse Delamarche avvicinandosi a Karl e dandogli un colpetto come per farlo stare attento, «ecco finalmente che si toglie la maschera. Per tutto il giorno mi è venuto dietro, si è tenuto alla mia giacca, ha ripetuto ogni minimo gesto che facevo ed è rimasto zitto come un topolino. Ma adesso che all'albergo ha fiutato qualche appoggio, comincia ad alzar la cresta. Lei è un piccolo volpone, e non so ancora se manderemo giù tutto così tranquillamente o se non pretenderemo una ricompensa per tutto quello che lei oggi ha imparato da noi. Ehi, Robinson, noi lo invidiamo, dice lui, per quel che ha. Un giorno di lavoro a Butterford — per non parlare della California — e avremo dieci volte più di quel che lei ci ha fatto vedere e di quel che tiene ancora nascosto nella fodera della giacca. Dunque stia attento a come parla!» Karl si era alzato, e vide che adesso anche Robinson si avvicinava, ancora insonnolito ma un po' rinfrancato dalla birra. «Se resto ancora qui», disse, «potrei avere altre sorprese. Sembra che abbiano voglia di bastonarmi.»
«Ogni pazienza ha un limite», disse Robinson.
«Farebbe meglio a star zitto, Robinson», disse Karl senza perder di vista Delamarche, «dentro di sé mi dà ragione, ma deve far vedere che sta dalla parte di Delamarche!»
«Per caso vorrebbe conquistarselo?», chiese Delamarche.
«Non ci penso neanche», disse Karl. «Sono contento di andarmene, e non voglio aver più niente a che fare con nessuno di loro due. Dirò solo un'ultima cosa. Lei mi ha rinfacciato di avere del denaro e di averlo tenuto nascosto. Ammesso che sia vero, non era forse una cosa ben fatta avendo a che fare con persone che conoscevo da un paio d'ore appena, e il modo in cui si stanno comportando ora non conferma forse che ho fatto bene ad agir così?»
«Sta' calmo», disse Delamarche a Robinson, benché questi non si fosse mosso. Poi chiese a Karl: «Dal momento che è così sfacciatamente sincero, spinga la sua sincerità ancor più in là, dal momento che stiamo così piacevolmente insieme, e confessi il vero motivo per cui vuole andare all'albergo». Karl dovette indietreggiare scavalcando la valigia, tanto Delamarche gli stava addosso. Ma questi non desistette, spinse da parte la valigia e fece un passo avanti, calpestando uno sparato bianco che era rimasto sull'erba, e ripetè la domanda.
Come per rispondergli, dalla strada saliva verso il gruppo un uomo con una lampadina tascabile che gettava un vivo cono di luce.
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