Invece successe il contrario. Karl non le aveva ancora parlato, ma l'aveva soltanto guardata un po' di sottecchi quando lei, così come a volte nel parlare capita di guardare da una parte, volse gli occhi verso di lui e, interrompendosi, gli chiese cortesemente e in un inglese chiaro come la grammatica che cosa cercasse.
«A dire il vero», disse Karl, «qui non riesco ad aver niente.»
«Allora venga con me, piccolo», essa disse, salutò il suo conoscente che si tolse il cappello, cosa che lì appariva di una cortesia incredibile, prese Karl per mano, andò al banco, spinse da parte un cliente, aprì uno sportello, traversò il passaggio dietro il bancone dove si doveva stare attenti ai camerieri che correvano instancabilmente, aprì una porta a due battenti nascosta nella tappezzeria e si trovarono nei vasti, freschi locali della dispensa. «Bisogna conoscere il meccanismo», si disse Karl.
«Dunque che cosa vuole?», disse lei, piegandosi servizievole verso di lui. Era molto grassa, il corpo le tremolava ma il suo viso, naturalmente a confronto del corpo, aveva una conformazione quasi delicata. A vedere le tante vivande allineate con cura su tavoli e scaffali, Karl fu quasi tentato di ordinare una cena più prelibata, soprattutto perché sperava che quella donna influente gli avrebbe fatto pagare di meno, ma alla fine, poiché non gli veniva in mente nulla di adeguato, chiese soltanto pancetta, pane e birra.
«Nient'altro?», chiese la donna.
«No, grazie», disse Karl, «ma per tre persone.» Quando la donna chiese chi erano gli altri due, Karl in poche parole le raccontò dei suoi compagni, gli faceva piacere che qualcuno gli rivolgesse qualche domanda.
«Ma questo è un mangiare da galeotti», disse la donna, aspettandosi evidentemente che Karl ordinasse qualche altra cosa. Ma lui temeva che volesse regalargli tutto e non accettasse il denaro, perciò tacque. «In un attimo sarà tutto pronto», disse la donna e con un'agilità sorprendente per la sua mole andò a un tavolo, con un lungo e sottile coltello seghettato tagliò un grosso pezzo di pancetta abbondantemente filettata di carne, prese da uno scaffale una pagnotta, raccolse da terra tre bottiglie di birra e mise tutto in un leggero canestro di paglia, che porse a Karl. Nel frattempo gli spiegava di averlo portato là perché i cibi del bancone, benché venissero consumati presto, tra il fumo e i vapori della sala perdevano subito la freschezza. Ma per la gente là fuori andavano più che bene. Karl non rispose nulla, perché non sapeva per quale motivo avesse meritato quel trattamento speciale. Pensava ai suoi compagni che, per quanto bene conoscessero l'America, forse non sarebbero riusciti a entrare in quella dispensa e si sarebbero dovuti contentare dei cibi guasti del bancone. Nessun rumore della sala penetrava sin là, i muri dovevano essere molto spessi per mantenere così fresche quelle volte. Era già un po' che Karl aveva il paniere in mano, ma non pensava a pagare e neppure si muoveva. Soltanto quando la donna volle mettergli nel cesto un'altra bottiglia, di quelle che nella sala erano sui tavoli, rifiutò con un brivido.
«Ha ancora molto cammino da fare?», chiese la donna.
«Sino a Butterford», rispose Karl.
«Ci manca ancora parecchio», disse la donna.
«Ancora una giornata di cammino», disse Karl.
«Non di più?», domandò la donna.
«Oh, no», rispose Karl.
La donna si mise a riordinare alcune cose sul tavolo; entrò un cameriere, si guardò attorno cercando qualcosa, la donna gli indicò un grande vassoio su cui era steso un largo mucchio di sardine cosparse di un po' di prezzemolo, ed egli lo portò a braccia alzate nella sala.
«Perché vuol pernottare all'aperto?», chiese la donna. «Qui c'è posto. Dorma da noi qui all'albergo.» Per Karl la cosa era molto invitante, soprattutto perché aveva passato così male la notte precedente.
«Ho il mio bagaglio di fuori», disse esitando e non senza un po' di vanità.
«Lo porti qua», disse la donna, «questo non è un problema.»
«Ma i miei compagni?», chiese Karl, subito pensando che quelli sì che erano un problema.
«Naturalmente possono dormir qui anche loro», disse la donna. «Venga dunque! Non si faccia pregar tanto.»
«I miei compagni sono brave persone», disse Karl, «però non sono puliti.»
«Non ha visto che sudiciume c'è nella sala?» chiese la donna storcendo la faccia. «Da noi può davvero venire anche il più sporco degli uomini. Farò subito preparare tre letti. Però in soffitta, perché l'albergo è pieno, anch'io mi sono trasferita in soffitta, ma è sempre meglio che all'aperto.»
«Non posso portar con me i miei compagni», disse Karl. S'immaginava il chiasso che avrebbero fatto quei due nei corridoi di quell'albergo elegante; Robinson avrebbe insudiciato tutto e Delamarche avrebbe infallibilmente dato fastidio persino a quella donna.
«Non capisco che cosa ci sia d'impossibile», disse la donna, «ma se lei preferisce così, allora lasci i suoi compagni di fuori e venga lei solo da noi.»
«Non va, non va», disse Karl, «sono i miei compagni, e io debbo restare con loro.»
«Lei è cocciuto», disse la donna volgendo gli occhi altrove, «le si dimostra della bontà, le si vorrebbe essere d'aiuto e lei si difende con tutte le forze.» Karl se ne rendeva conto, ma non trovava via d'uscita, così aggiunse solamente: «Molte grazie per la sua cortesia.» Poi si ricordò di non avere ancora pagato, e chiese quanto doveva.
«Pagherà quando mi riporterà indietro il cesto», disse la donna. «Debbo riaverlo al più tardi domani mattina.»
«Certo», disse Karl. Essa aprì una porta che dava direttamente all'aperto e aggiunse, mentre Karl usciva inchinandosi: «Buona notte, però sbaglia a far così». Si era già allontanato di qualche passo quando lei gli gridò: «Arrivederci domani mattina!».
Appena fu all'aperto sentì giungere dalla sala lo stesso chiasso di prima, al quale ora si mescolava anche il suono di un'orchestra di fiati.
Era contento che per uscire non avesse dovuto riattraversare la sala. Adesso tutti e cinque i piani dell'albergo erano illuminati e rischiaravano la strada in tutta la sua larghezza. Le automobili continuavano a passare, anche se non più così ininterrottamente, sbucando di lontano più veloci che di giorno, esploravano coi bianchi raggi dei fari il suolo della strada, traversavano con luci più smorzate la zona illuminata dell'albergo e sfrecciavano via risplendenti nell'oscurità.
Karl trovò i compagni profondamente addormentati, d'altra parte lui era stato via troppo a lungo.
Voleva disporre in modo appetitoso quanto aveva portato, su dei fogli di carta che trovò nel cesto, e svegliare i compagni solo una volta che tutto fosse pronto, quando si accorse con spavento che la sua valigia, che aveva lasciata chiusa portandosi via la chiave in tasca, era spalancata, e metà del suo contenuto sparso tutt'attorno sull'erba.
«Alzatevi!», gridò «Voi dormite e intanto qui son venuti i ladri.»
«Manca qualcosa?», chiese Delamarche. Robinson non era ancora del tutto sveglio e già allungava una mano verso la birra.
«Non lo so», gridò Karl, «ma la valigia è aperta. Che imprudenza è questa, di mettersi a dormire lasciando la valigia incustodita?» Delamarche e Robinson scoppiarono a ridere, e il primo disse: «La prossima volta non resti via così a lungo. L'albergo è a dieci passi di distanza, e lei ci mette tre ore per andare e venire. Avevamo fame, abbiamo pensato che nella valigia avesse qualcosa da mangiare e abbiamo fatto il solletico alla serratura finché si è aperta.
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