Due volte gridò a intervalli: «Sono ancora qui!». Ma non ci fu risposta, solo una pietra rotolò giù per il pendio, forse per caso, forse per un tiro che aveva mancato il bersaglio.
Questo ebook appartiene a luciana monghesci - 92138 Edito da Newton Compton Editori Acquistato il 9/23/2014 5:49:51 PM con numero d'ordine 937552
Hotel Occidental
All'albergo Karl venne subito condotto in una specie di ufficio dove la capocuoca, con un'agenda in mano, dettava una lettera a una giovane dattilografa. La dettatura estremamente precisa, il battito elastico e contenuto dei tasti si sovrapponevano al ticchettio solo a volte percepibile dell'orologio sulla parete, il quale segnava circa le undici e mezzo. «Ecco fatto !», disse la capocuoca chiudendo l'agenda, la dattilografa si alzò di scatto e chiuse sulla macchina da scrivere il coperchio di legno, compiendo quel gesto meccanico senza staccare gli occhi da Karl. Sembrava una scolaretta, il suo grembiule era stirato con cura, per esempio aveva un'arricciatura sulle spalle, la pettinatura era molto alta, e dopo quei dettagli si restava un po' stupiti a vedere la serietà del suo viso. Con un inchino, prima alla capocuoca, poi a Karl, se ne andò, e Karl guardò la capocuoca con aria involontariamente interrogativa.
«Che bella cosa che lei sia venuto», disse la capocuoca. «E i suoi compagni?»
«Non li ho portati con me», disse Karl.
«Probabilmente si metteranno in cammino molto presto», disse la capocuoca come per darsi una spiegazione della cosa.
«Pensa forse che io non andrò con loro?», si chiese Karl, e per escludere ogni equivoco disse: «Ci siamo separati in collera».
Sembrò che la capocuoca la prendesse come una buona notizia. «Quindi lei è libero?», domandò.
«Già, sono libero», rispose Karl, e gli parve che nulla fosse meno importante di questo.
«Senta, non sarebbe disposto ad accettare un lavoro qui all'albergo?», domandò la capocuoca.
«Molto volentieri», disse Karl, «però sono spaventosamente poche le cose che so fare. Per esempio, non so neppure scrivere a macchina.»
«Non è questo l'importante», disse la capocuoca. «Infatti per il momento lei avrebbe un lavoro da nulla, e in seguito dovrebbe vedere di farsi avanti con il suo zelo e la sua attenzione. Comunque credo che sarebbe meglio, e più adatto a lei, stabilirsi da qualche parte, anziché vagabondare per il mondo. Lei non mi sembra fatto per questo.»
«Questo lo sottoscriverebbe anche lo zio», si disse Karl e fece cenno di sì. In quel momento si ricordò che lui, per il quale la donna si dava tanto da fare, non si era ancora presentato.
«Mi scusi, la prego», disse, «di non essermi ancora presentato. Mi chiamo Karl Rossmann.»
«Lei è tedesco, non è vero?»
«Sì», disse Karl, «sono in America da poco tempo.»
«Da dove viene?»
«Da Praga, in Boemia», disse Karl.
«Ma guarda un po'», gridò la capocuoca in un tedesco dal forte accento inglese, e alzò quasi le braccia. «Allora siamo connazionali, io mi chiamo Grete Mitzelbach e sono di Vienna. E Praga la conosco benissimo, ho lavorato sei mesi all'Oca d'Oro sul Wenzelplatz. Ma pensi un po'!»
«Quando c'è stata?» chiese Karl.
«Molti, molti anni fa.»
«La vecchia Oca d'Oro», disse Karl, «è stata demolita due anni fa.»
«Sì, certo», disse la capocuoca, tutta presa dai pensieri del passato. Ma riprendendo di colpo la sua vivacità, gridò afferrando le mani di Karl: «Adesso che è venuto fuori che è mio connazionale, non deve andar via di qui a nessun costo. Questo non deve farmelo. Le piacerebbe per esempio fare il ragazzo d'ascensore? Basta solo che dica di sì, e lo farà. Se si è guardato un po' attorno, saprà che non è così facile ottenere un posto del genere, che è il miglior inizio che si possa immaginare. Lei viene a contatto con tutti i clienti, la vedono sempre, le affidano dei piccoli incarichi; insomma, ogni giorno ha la possibilità di arrivare a qualcosa di meglio. Al resto penso io».
«Mi piacerebbe molto fare il ragazzo d'ascensore», disse Karl dopo una breve pausa. Sarebbe stata una follia farsi degli scrupoli ad accettare quel posto in considerazione dei suoi cinque anni di liceo. In America piuttosto ci sarebbe stato motivo di vergognarsi di quei cinque anni. Del resto a Karl erano sempre piaciuti i ragazzi di ascensore, gli erano sembrati quasi l'ornamento dell'albergo.
«Non occorre la conoscenza delle lingue?», chiese ancora.
«Lei parla tedesco e un buon inglese, questo basta.»
«L'inglese l'ho imparato in America in due mesi e mezzo», disse Karl, al quale pareva di non dover passare sotto silenzio il suo unico merito.
«Già questo parla a suo favore», disse la capocuoca. «Se penso a quanto è stato difficile per me imparar l'inglese! Ma questo succedeva trent'anni fa. Giusto ieri ne parlavo. Ieri infatti ho compiuto cinquantanni.» E cercò sorridendo di leggere sul volto di Karl che impressione gli faceva quell'età veneranda.
«Allora, tanti auguri di felicità.»
«Se ne può sempre aver bisogno», disse lei stringendo la mano di Karl, e di nuovo si rattristò un poco a quel vecchio modo di dire del suo paese che le era salito alle labbra nel parlar tedesco.
«Ma io la sto trattenendo qui», esclamò poi. «E lei sicuramente sarà molto stanco, e di giorno potremo discutere meglio di ogni cosa.
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