La gioia di aver trovato un connazionale mi ha fatto dimenticare il resto. Venga, la condurrò in camera sua.»

«Ho ancora una preghiera, signora capocuoca», disse Karl vedendo il telefono sul tavolo, «può darsi che domani, forse domattina presto, i miei vecchi compagni mi portino una fotografia di cui ho urgente bisogno. Sarebbe così gentile da telefonare al portiere di mandar su da me quelle persone, oppure di farmi chiamare?»

«Sicuro», disse la capocuoca, «ma non basterebbe che la foto la ritirasse lui? Che fotografia è, se mi permette la domanda?»

«È la foto dei miei genitori», disse Karl. «No, con quelle persone debbo parlarci io.» La capocuoca non replicò, e per telefono diede l'ordine al portiere, specificando il numero della stanza di Karl, il 536.

Poi attraverso una porta opposta a quella da cui Karl era entrato uscirono in un piccolo corridoio, dove appoggiato alla ringhiera di un ascensore dormiva un ragazzetto. «Possiamo fare da soli», disse sottovoce la capocuoca, e fece entrare Karl in ascensore. «Un orario lavorativo di dieci, dodici ore è un po' troppo per un ragazzino così», disse mentre salivano. «Ma questo è tipico dell'America. Ecco lì quel ragazzetto, per esempio; anche lui è arrivato da circa sei mesi con i suoi genitori, sono italiani. Adesso sembra che non riesca a reggere questo lavoro, ha già le guance incavate, si addormenta mentre è in servizio, benché di natura sia molto volenteroso — ma basterà che lavori ancora sei mesi qui o in qualunque altro posto in America, e affronterà tutto con facilità, e tra cinque anni sarà un colosso. Di esempi del genere avrei da raccontargliene per ore. Con tutto questo non mi riferisco a lei, che è un ragazzo robusto; ha diciassette anni, non è vero?»

«Ne compirò sedici il mese prossimo», rispose Karl.

«Non ha nemmeno sedici anni!», disse la capocuoca. «Coraggio allora!» Di sopra condusse Karl in una stanza che, trovandosi in soffitta, aveva una parete obliqua, ma per il resto aveva un aspetto molto confortevole, alla luce di due lampadine. «Non si spaventi dell'arredamento», disse la capocuoca, «questa infatti non è una stanza d'albergo, ma fa parte della mia abitazione, che è di tre camere, sicché lei non mi darà nessun fastidio. Chiuderò le porte di comunicazione così si sentirà più a suo agio. Domani, come nuovo dipendente dell'albergo, riceverà naturalmente una stanzetta tutta sua. Se fosse venuto coi suoi compagni, avrei dovuto sistemarla nel dormitorio della servitù, ma dal momento che è solo penso che qui starà meglio, anche se dovrà dormire su un sofà. E adesso dorma bene, e si rimetta bene in forze per il suo lavoro. Domani non sarà ancora troppo faticoso.»

«La ringrazio infinitamente per la sua cortesia.»

«Aspetti», disse lei, fermandosi accanto alla porta. «Quasi rischiava di farsi svegliar presto anche lei.» Si avvicinò a una delle porte laterali della stanza, bussò e chiamò: «Therese!».

«Sì, signora capocuoca?», disse la voce della piccola dattilografa.

«Domattina presto, quando vieni a svegliarmi, passa dal corridoio, qui in camera c'è un ospite. È stanco morto.» Così dicendo sorrise a Karl.

«Hai capito?»

«Sì, signora capocuoca.»

«Allora buona notte!»

«Buona notte a lei.»

«Da alcuni anni», spiegò la capocuoca, «dormo malissimo. Adesso potrei dirmi soddisfatta del mio lavoro, e non dovrei davvero aver delle preoccupazioni. Ma debbono essere le conseguenze delle mie preoccupazioni di un tempo a causarmi questa insonnia. Posso essere contenta se riesco a prender sonno alle tre del mattino. Ma dal momento che debbo essere al mio posto alle cinque, o alle cinque e mezza al più tardi, debbo farmi svegliare, e anche con molta dolcezza, per non diventare più nervosa di quanto già sono. E così è Therese a svegliarmi. Ma adesso davvero lei sa già tutto, e io continuo a star qui! Buonanotte!» E, nonostante la sua mole, sembrò sgusciar via dalla stanza.

Karl era contento di poter dormire, perché quella giornata lo aveva molto stancato. E un ambiente più piacevole per un lungo sonno indisturbato non avrebbe potuto desiderarlo. La stanza in realtà non era stata pensata come camera da letto, ma era piuttosto una stanza di soggiorno, o per meglio dire, di rappresentanza della capocuoca, nella quale per quella sera era stato portato un lavabo espressamente per lui, ma non per questo Karl si sentiva un intruso, bensì circondato di cure. La sua valigia era stata sistemata per bene, e da tempo non era stata così al sicuro. Su un basso cassettone sul quale era stato disteso un tappeto di lana a maglie larghe c'erano parecchie fotografie incorniciate e sotto vetro; nella sua esplorazione della stanza Karl si fermò lì davanti e le guardò.