Lo ossessionava il pensiero che, se non lavorava con solerzia, avrebbe fatto la fine di Delamarche e Robinson.
Dal sarto dell'albergo gli venne provata l'uniforme da ragazzo d'ascensore, sontuosamente ornata all'esterno di bottoni e cordoni dorati, ma nelPindossarla Karl rabbrividì leggermente, perché soprattutto sotto le ascelle la giacchetta era fredda, indurita e irrimediabilmente intrisa del sudore dei ragazzi d'ascensore che l'avevano indossata prima di lui.
Inoltre l'uniforme dovette anche essere allargata sul petto espressamente per lui, perché nessuna delle dieci che c'erano gli andava bene neanche un po'. Nonostante il lavoro di cucito che ci volle, e benché il caposarto fosse molto pignolo — due volte l'uniforme appena consegnatagli fu rispedita in laboratorio —, tutto fu sbrigato in neanche cinque minuti, e Karl lasciò la sartoria già vestito da ragazzo d'ascensore, con pantaloni attillati e, nonostante le decise affermazioni in contrario del caposarto, un giubbetto ancora troppo stretto che induceva a continui esercizi respiratori per vedere se si era ancora in grado di tirare il fiato. Poi si presentò al capocameriere da cui doveva prender ordini, un bell'uomo slanciato, con un gran naso, che doveva già essere sulla quarantina. Questi non aveva tempo di scambiar nemmeno due parole, e si limitò a suonare per chiamare un ragazzo d'ascensore, per caso proprio quello che Karl aveva visto la sera prima. Il capocameriere lo chiamò semplicemente col nome di battesimo, Giacomo, ma Karl lo seppe solo più tardi, perché nella pronuncia inglese quel nome era irriconoscibile. Questo ragazzo ricevette l'incarico di mostrare a Karl quel che occorreva per il servizio d'ascensore, ma era così timido e frettoloso che Karl, per quanto in fondo ci fosse poco da vedere, non riuscì a capire neanche quel poco. Giacomo di sicuro era arrabbiato anche perché, a quanto pareva, doveva lasciare il servizio d'ascensore a causa di Karl, ed era stato assegnato come aiuto alle cameriere, lavoro che, per certe esperienze che aveva fatto ma di cui non voleva parlare, trovava poco dignitoso. Deluse Karl soprattutto il fatto che un ragazzo aveva a che fare col meccanismo di un ascensore solo per metterlo in moto premendo semplicemente un bottone, mentre per le riparazioni al motore si ricorreva esclusivamente ai meccanici dell'albergo: Giacomo per esempio nonostante avesse lavorato circa sei mesi sugli ascensori, non aveva mai visto né i motori nello scantinato né i meccanismi all'interno delle cabine, benché gli sarebbe piaciuto molto, come ebbe a dire. Soprattutto era un lavoro monotono e, a causa dei turni di dodici ore alternativamente di giorno e di notte, così faticoso che a sentir Giacomo non ci si poteva resistere, se non si riusciva a dormire in piedi qualche minuto. Karl non disse nulla, ma comprese che proprio quell'arte era costata il posto a Giacomo.
Karl fu molto lieto che l'ascensore su cui doveva lavorare fosse destinato solo ai piani più alti, motivo per cui non avrebbe avuto a che fare con gente ricca e pretenziosa. Però qui avrebbe imparato meno che altrove, ma per cominciare andava bene. .
Già dopo la prima settimana Karl capì di essere perfettamente all'altezza di quel servizio. L'ottone del suo ascensore era sempre il più lucido, nessuno degli altri trenta ascensori poteva stargli a pari, e sarebbe stato anche il più lucente se il ragazzo che serviva su quello stesso ascensore fosse stato sia pur lontanamente diligente come lui, e non si fosse sentito incoraggiato nella propria pigrizia dallo zelo di Karl. Era americano di nascita, si chiamava Renell ed era un ragazzo vanitoso, dagli occhi scuri e dalle guance rase e un po' incavate. Possedeva un vestito elegante, che indossava quando nelle sere di libertà correva, lievemente profumato, in città; a volte pregava Karl di sostituirlo di sera, dovendo allontanarsi per questioni di famiglia, e poco si curava del fatto che il suo aspetto contraddicesse quei pretesti. Ciononostante Karl provava della simpatia per lui, ed era lieto quando Renell la sera prima di uscire si fermava accanto a lui all'ascensore, nel suo bel vestito, e infilandosi i guanti chiedeva ancora scusa, e poi si avviava per il corridoio. Del resto con quelle sostituzioni Karl intendeva fargli solo un piacere e riteneva ovvio, che un principiante si comportasse così di fronte ad un collega più anziano, ma non doveva certo diventare un'abitudine. Infatti quell'eterno viaggiare in ascensore era molto faticoso, e specialmente nelle ore serali non conosceva quasi interruzione.
Presto Karl imparò anche a fare quei rapidi e profondi inchini che ci si aspetta dai ragazzi d'ascensore, e a prendere le mance al volo. Il denaro scompariva nella tasca della sua giacca, e nessuno avrebbe potuto dire dalla sua espressione se era poco o tanto. Davanti alle signore apriva la porta con un piccolo sovrappiù di galanteria e le seguiva nella cabina lentamente, perché esse, preoccupate di gonne, cappelli ed ornamenti, vi salivano più adagio degli uomini. Durante il viaggio se ne stava accanto alla porta, con le spalle ai clienti, per dare nell'occhio il meno possibile, e teneva la mano sulla maniglia della porta per spingerla di lato al momento dell'arrivo, rapidamente ma senza fracasso. Solo ogni tanto durante il tragitto qualcuno gli batteva sulla spalla per chiedergli qualche piccola informazione, e allora lui si girava svelto, come se se lo fosse aspettato, e dava la sua risposta a voce alta. Spesso, nonostante ci fossero molti ascensori, specialmente dopo la chiusura dei teatri o all'arrivo di speciali treni espressi la ressa era tale che, deposti i clienti ai piani superiori, doveva precipitarsi di sotto per prendere quelli che aspettavano. Tirando un cavo metallico che traversava la cabina aveva la possibilità di aumentare la velocità, ma era proibito dal regolamento e pareva che fosse pericoloso. Karl non lo faceva mai se ce n'erano dei passeggeri, ma quando li aveva deposti di sopra e giù ce n'erano degli altri ad aspettare, abbandonava ogni prudenza e maneggiava il cavo con mosse energiche e regolari da marinaio. Del resto sapeva che anche gli altri ragazzi lo facevano, e non voleva certo cedere i suoi passeggeri a loro. Qualche cliente che abitava in albergo da più tempo, cosa che lì era abbastanza usuale, talvolta rivolgendogli un sorriso mostrava di considerarlo il suo ragazzo d'ascensore; Karl accettava quel gesto di cortesia con viso serio, ma gli faceva piacere. A volte, quando il via vai era meno intenso, poteva accettare anche piccoli incarichi particolari, per esempio andare a prendere in camera una qualche piccolezza a un cliente che non aveva voglia di tornar su; allora volava su da solo nel suo ascensore che in quei momenti gli era particolarmente familiare, entrava in una camera estranea, dove spesso erano sparsi attorno o appesi a delle stampelle strani oggetti che non aveva visto mai, sentiva l'odore caratteristico di una saponetta sconosciuta, di un profumo, di un dentifricio, e, trovato l'oggetto nonostante le vaghe indicazioni ricevute, se ne tornava giù in fretta senza trattenersi un momento di più. Spesso rimpiangeva di non poter accettare incarichi più importanti, perché per questi esistevano appositi servitori e fattorini, che svolgevano le commissioni in bicicletta o addirittura in motocicletta. Solo in circostanze particolarmente favorevoli Karl poteva recare delle ambasciate dalle stanze nelle sale da pranzo o da gioco.
Quando, dopo il turno di dodici ore, terminava il lavoro tre giorni alle sei di sera, e gli altri tre alle sei del mattino, era così stanco che andava dritto a letto, senza preoccuparsi di nessuno.
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