Ma adesso già mi sto irrobustendo».

«Qui il lavoro deve essere molto faticoso», disse Karl. «Di sotto ho visto un ragazzo d'ascensore che dormiva in piedi.»

«Eppure i ragazzi d'ascensore son quelli che stanno meglio di tutti» lei disse, «guadagnano parecchio con le mance e non debbono neppur lontanamente faticare come il personale di cucina. Ma un giorno ho avuto davvero fortuna: alla signora capocuoca serviva una ragazza per piegare le salviette per un banchetto, e ha mandato a chiamare una ragazza di cucina, ce ne sono circa cinquanta, io ero là e lei è rimasta molto soddisfatta di me, perché piegare le salviette è una cosa che so fare molto bene. E così da allora mi ha tenuta vicino a sé e pian piano mi ha insegnato a farle da segretaria. In questo modo ho imparato molto.»

«C'è dunque tanto da scrivere?», chiese Karl.

«Ah, moltissimo», rispose lei, «forse lei nemmeno se lo immagina. Eppure ha visto che oggi ho lavorato fino alle undici e mezzo, e oggi non è un giorno particolare. Comunque non scrivo soltanto, debbo fare anche molte commissioni in città.»

«Come si chiama la città?», chiese Karl.

«Non lo sa?», disse lei, «Ramses.»

«È una città grande?», domandò Karl.

«Grandissima», rispose lei, «io non ci vado volentieri. Ma davvero non vuole dormire?»

«No, no», disse Karl, «ancora non so perché lei è venuta qua.»

«Perché non posso parlare con nessuno. Io non sono una pignucolona, ma quando si è soli al mondo, si è felici anche soltanto se uno ci sta a sentire. Io l'ho già vista giù in sala, andavo a chiamare la signora capocuoca quando lei l'ha condotto nella dispensa.»

«Quella sala è orribile», disse Karl.

«Io non ci faccio più caso», rispose lei. «Volevo soltanto dire che la signora capocuoca con me è buona come lo è stata solamente mia madre. Ma la nostra condizione è troppo diversa perché io possa parlare liberamente con lei. Prima avevo delle buone amiche tra le ragazze di cucina, ma non stanno più qui da molto tempo, e quelle nuove le conosco appena. E poi, a volte mi sembra che il lavoro di adesso mi stanchi più di quello che facevo prima, e che non sappia farlo neppure tanto bene, e che la signora capocuoca mi tenga lì solo per pietà. Per diventare segretaria occorre avere un'istruzione migliore della mia. Si fa peccato a dirlo, ma spesso temo di impazzire. Per l'amore di Dio», disse all'improvviso più rapidamente, e sfiorò la spalla di Karl, dato che questi teneva le mani sotto la coperta, «non dica nulla di questo alla signora capocuoca, altrimenti sono davvero rovinata. Se oltre ai fastidi che le causo col mio lavoro dovessi anche recarle un dolore, sarebbe troppo.»

«Va da sé che non le dirò nulla», rispose Karl.

«Allora sta bene», lei disse, «e rimanga qui. Sarei contenta se restasse, potremmo sostenerci a vicenda, se lei è d'accordo. Ho sentito di potermi fidare di lei dal primo momento che l'ho vista. Eppure — pensi quanto sono cattiva — ho avuto anche paura che la signora capocuoca volesse mettere lei al mio posto e licenziare me. Seduta quassù, da sola, mentre lei era giù in ufficio, ho riflettuto a lungo sulla faccenda, e ho concluso che sarebbe addirittura una buona cosa se lei prendesse il mio lavoro, perché lo farebbe sicuramente meglio. Se non volesse fare le commissioni in città, quelle potrei continuare a farle io. Altrimenti sarei senz'altro più utile in cucina, soprattutto perché sono già diventata un po' più forte.»

«La cosa è già sistemata», disse Karl, «io farò il ragazzo d'ascensore e lei resterà segretaria. Se però lei farà il pur minimo cenno dei suoi piani alla signora capocuoca, io le racconterò anche tutto il resto di quel che lei mi ha detto oggi, per quanto possa dispiacermi.» Questo tono commosse tanto Therese che si rannicchiò piangendo accanto al letto e premette il viso sulla coperta.

«Io non parlerò», disse Karl, «ma nemmeno lei deve dir nulla.» A quel punto non poteva più restar nascosto sotto la coperta, e le carezzò lievemente il braccio; non trovava più le parole giuste da dirle, e soltanto pensava che la vita di lei era davvero amara. Alla fine lei si calmò almeno di quel tanto da vergognarsi del suo pianto, guardò Karl con riconoscenza, insistette che l'indomani dormisse a lungo, e gli promise che, se avesse trovato un minuto di tempo, sarebbe salita a svegliarlo alle otto.

«Lei sa svegliare così bene», disse Karl.

«Sì, qualche cosa so fare», disse lei, passò lievemente la mano sulla coperta come per salutarlo e corse in camera sua.

L'indomani Karl insistette per prendere subito servizio, benché la capocuoca volesse dargli un giorno di libertà per fargli visitare Ramses. Ma Karl dichiarò senza mezzi termini che per quello non sarebbero mancate le occasioni; adesso per lui l'essenziale era cominciare subito a lavorare, perché in Europa già aveva interrotto inutilmente un lavoro di tutt'altro genere, e incominciava come ragazzo d'ascensore in un'età in cui gli altri giovani, almeno i più capaci, secondo il corso naturale delle cose erano prossimi a intraprendere un lavoro superiore. Era giustissimo cominciare come ragazzo d'ascensore, ma era altrettanto giusto affrettarsi il più possibile. Stando così le cose, vedere la città non gli avrebbe fatto nessun piacere. Non potè indursi nemmeno a fare la breve passeggiata alla quale Therese lo aveva invitato.