È un esordio con protagonista al femminile, dunque con una delega autobiografica meno vincolata, secondo la tradizione dei maestri, il Verga della Storia di una Capinera e della Lupa, il Capuana di Le Appassionate e di Le Paesane, il De Roberto dell'Illusione. Pirandello in quest'area già gremita introduce una variazione forte: a Catania domina, sino a irradiarsi come stereotipo etnico nel territorio nazionale, la problematica della triangolazione amorosa e del delitto d'onore. Ad Agrigento, a date ulteriori ma in una società ancor più arretrata, l'imminenza della colpa è un incubo senza risarcimento erotico.

Come Maria la Capinera, Marta Ajala, protagonista dell'opera, è una peccatrice innocente, già impigliata nella rete paradossale dell'ossimoro. Ma a differenza della Capinera, essa è colpevolizzata, anzi ultracolpevolizzata. Prima dal marito, Rocco Pentagora. È bastata la lettera di uno spasimante, trovatale incautamente in mano, per scatenare la punizione. È pochissimo, ed è insufficiente, ma per il tabù di una cultura è troppo. Verrebbe da pensare che la colpa sta proprio nella lettera, cioè nella capacità di leggerla da parte della donna, nella sua avvenuta alfabetizzazione. Il padre di Rocco, Antonio Pentagora, il primo personaggio in assoluto a entrare in scena, saluta nella disgrazia del figlio la conferma di una legge: lui stesso ne ha fatto esperienza, e addirittura il proprio genitore. Tre generazioni convergono nella disfatta per dimostrare questa fatalità, ormai largamente prevista. La donna, e figuriamoci la moglie, è sinonimo di male; e l'infamia delle corna non lascia scampo. Il tono è quello di una disperazione entusiasta.

Colpisce, all'esordio di Pirandello romanziere, un'atmosfera da caccia alle streghe, in questa Salem siciliana, e ci affrettiamo a registrarla come segno della sua identità, come impronta caratterizzante del suo bagaglio culturale.

Sin qui il marito Rocco, che è figlio e nipote, portatore delle corna come un reale «stemma di famiglia» e coatto nella sua reazione. Ma il padre di Marta, che fa? Invece di difendere la figlia, come sarebbe naturale, per legame di sangue, non foss'altro per ragioni di convenienza sociale, si contorce nella medesima ossessione e punisce la figlia con una condanna che vale come una prova certa e un modello comportamentale per la collettività, per la tribù compatta nella persecuzione. Questo padre supera persino il consuocero e, prontissimo a cogliere il pretesto di questa maledizione dell'onore, per la vergogna si autocastiga a sua volta, si barrica nel buio della sua stanza, da cui non vorrà uscire mai più, sino a quando sarà stroncato da un infarto. La mossa di questo padre è devastante, ma la falsa coscienza del villaggio ne ha altra idea. Di lui dicono con rimpianto: «Non ne vengono più al mondo galantuomini come quello!».

Questo è l'exploit del giovane Pirandello. Ad autoescludersi, prima ancora di Marta, è Francesco Ajala, suo padre. Marta è esclusa di conseguenza, in maniera inesorabile, attorno hanno fatto a gara per scavarle la fossa, dove è praticamente inevitabile che finirà per precipitare. Nella serratezza del racconto naturalistico si intravedono i fantasmi di una società: il nodo oscuro del rapporto tra padri e figli e la negatività connessa alla figura della donna.

Il romanzo è costruito per intero al femminile: accanto a Marta stanno la sorella Maria e la madre Agata, accomunate nella sorte di sacrificio. Il personaggio di Anna Veronica, con nome quanto mai simbolico, è l'unico che a Girgenti osi violare il blocco dell'isolamento, e lo fa per istruzione di un'esperienza parallela. Alla fine della vicenda, la suocera di Marta, Fana, avrà diritto al suo momento di luce, quando morrà abbandonata da tutti, tranne appunto che da Marta, la quale vedrà in lei un triste precedente. Questo episodio tardivo della povera Fana invalida e in qualche modo ridicolizza il furore di Antonio Pentagora, quasi metafisicamente orgoglioso delle sue corna. Tanto rumore per nulla.

Lo scrittore procede nella sua dimostrazione non esente da accumulo di coincidenze. Marta viene ripudiata proprio mentre è incinta, e il ripudio contribuisce alla morte del bambino. La morte di suo padre avviene in contemporanea alla morte del figlio, «un mostriciattolo quasi informe». Nello stesso giorno, mentre arriva il viatico per Francesco Ajala, annunciato dal campanello e dalle preghiere del rosario, si odono le grida e gli applausi per la proclamazione dell'Alvignani a deputato. Ben tre avvenimenti straordinari quindi convergono a determinare il corto circuito. Trasferitasi Marta a Palermo, proprio la prima volta che un uomo, sia pure quell'orrore di Matteo Falcone, la accompagna per strada, la sorprende il marito, appena arrivato apposta da Girgenti per verificare la fondatezza delle chiacchiere che circolano su di lei. Infine, Rocco viene a perdonare la moglie proprio quando lei è ormai una femmina perduta per davvero, cioè incinta, ma di un altro, quell'amante che le avevano attribuito a torto, e alle cui braccia hanno finito per consegnarla, per impraticabilità di ogni altra opzione. E ancora non basta: Rocco è pronto a perdonare la moglie, davanti al cadavere della madre.