Con Ugo Ojetti nel 1914 si confessa: «La pazzia di mia moglie sono io». È lecito affermare che buona parte della sua opera, da un certo momento in avanti, è la conclamazione di un’ingiustizia, e forse di una nemesi, che lo ha toccato, di una sorta di morbo che minaccia la sua salute individuale ma anche quella collettiva, che spalanca la verità sulla debolezza delle fondamenta dell’edificio sociale.
Il teatro, sbocco naturale dell’ispirazione drammatica pirandelliana, nella matrice dialettale e nella rielaborazione colta e sofisticata, è questa piazza pubblica, un palcoscenico reale ma soprattutto simbolico, in cui l’autore esasperato porta il suo problema alla discussione, con una richiesta ossessiva, per un confronto inesausto delle parti, per una resa dei conti.
La rivoluzione dei Sei personaggi in cerca d’autore nel 1921 e del successivo teatro nel teatro, canalizza quest’energia entro un nuovo alveo, identificando a livello internazionale un marchio d’autore, e quasi un brevetto. Cambia, nell’Italia e nell’Europa uscite dal disastro di una guerra mondiale, la relazione consensuale tra l’autore, i personaggi e il pubblico; lo scrittore rilancia, a partire dalla memoria degli archetipi della tragedia greca e dalla fonte calda del coro di Sofocle e di Euripide, di cui si sente erede, la sua scommessa costruttiva e distruttiva. Ormai anziano, lui che si è sentito sempre vecchio, come se quella nascita in tempo di colera lo avesse intaccato, riprova tutti i percorsi del labirinto, in una nuova stagione creativa.
Trova il coraggio anche di sostituire la sua Musa: alla moglie l’attrice Marta Abba, l’allieva che si anima sulla scena, che incarna le sue aspirazioni di Pigmalione, che rinfocola le istanze del desiderio e del rimorso. La sua opera diventa un’infinita logomachia, la palestra dove un ragionatore lucidissimo, dotato di maschere e in tenzone con sosia e cloni, demistifica ogni base razionale, sino al delirio, al crollo degli specchi, alla scissione della personalità. Lo smascheramento della forma si riproduce in nuove forme. Nuovo Gorgia, Pirandello si prolunga nel pirandellismo, il rischio e il vizio annidati nella sua struttura mentale.
Dopo Il fu Mattia Pascal, dopo i Sei personaggi in cerca d’autore, nelle tappe dell’inchiesta di un grande inquisitore, dopo il reality show dei Quaderni di Serafino Gubbio operatore, è il romanzo antiromanzo di Uno, nessuno e centomila il libro che chiude una tormentatissima vicenda, in un esemplare epilogo negativo. Che lascia sbalordito lo stesso autore, come dimostra il sussulto surreale del teatro del mito nella Nuova colonia, in Lazzaro e nei Giganti della montagna.
Pirandello ottiene gli allori del premio Nobel quando ormai è un viaggiatore senza valigia e senza illusioni. Li ottiene in pieno fascismo, un regime a cui ha dato la sua plateale adesione, addirittura dopo il delitto Matteotti, lui che ha una produzione artistica che più antifascista non si potrebbe immaginare. E non c’è bisogno della novella C’è qualcuno che ride per trovare il segno scoperto di questa contestazione.
Nella cultura italiana assurge a un ruolo di icona, parallelo a Svevo, nel superamento di una soglia. E certo non sarà l’Alfieri a contendergli lo spazio del teatro, che peraltro va restringendosi per tutti. Ma l’avanguardia di questo autore acquista una valenza europea e internazionale, accanto ad autori come Proust, Joyce, Kafka, Musil, Pessoa, gli interpreti dello statuto della crisi nella modernità. Chi da noi con la sua intensità si è interrogato, in maniera sostanziale e formale, sui nodi e sui fantasmi della contemporaneità quali il suicidio, la follia, le finzioni della rappresentazione sociale, la dissoluzione della personalità? La parabola di questo figlio del Caos, di questo angelo e demone col suo messaggio nichilistico, nel confluire di elementi originari e ultra-intellettuali, nell’assunzione continua di maschere, mi pare che possa sostenerne un’ultima, che appartiene alla civiltà postmoderna.
SERGIO CAMPAILLA
Questo ebook appartiene a EVA Catilla - 92055 Edito da Newton Compton Editori Acquistato il 9/22/2014 5:18:14 PM con numero d'ordine 936266
Luigi Pirandello, la vita e l’opera
Luigi Pirandello nasce il 28 giugno 1867, nei pressi di Girgenti (Agrigento), nella tenuta paterna denominata Caos. Il padre Stefano appartiene a una ricca famiglia di commercianti di zolfo, la madre Caterina Ricci-Gramitto a una famiglia della borghesia girgentana. In entrambi i rami, intensa è la memoria antiborbonica e risorgimentale.
Riceve l'istruzione elementare in casa e qui ascolta affascinato le favole e le leggende che gli racconta la vecchia serva Maria Stella. A soli dodici anni scrive la prima tragedia, andata perduta. Il padre vuole che si iscriva alle scuole tecniche ma poi Luigi, attratto dagli studi umanistici, ottiene di frequentare il ginnasio.
Nel 1880 la famiglia si trasferisce a Palermo; qui Luigi compie gli studi liceali, compone le prime poesie e s'innamora della cugina Lina. Mentre il rapporto con il padre va logorandosi, la famiglia di Lina per avallare le nozze pretende che Luigi lasci gli studi e si dedichi al commercio dello zolfo. Per questo motivo nel 1886, durante le vacanze, Luigi segue il padre nelle zolfare. Il matrimonio tuttavia viene rimandato e Pirandello può iscriversi all'università di Palermo, alle Facoltà di Legge e di Lettere. L'ateneo palermitano vede in quegli anni il sorgere del movimento che sfocerà nei Fasci siciliani; Pirandello non vi partecipa attivamente ma è in rapporti di amicizia con alcuni dei futuri dirigenti.
Nel 1887 sceglie definitivamente la Facoltà di Lettere e per continuare gli studi si trasferisce a Roma. La decadenza degli ideali risorgimentali che sperimenta in questa città gli detta i versi amari della prima raccolta di poesie, Mal giocondo (1889). Per un contrasto con un professore di latino, è costretto a lasciare l'università di Roma e si reca a Bonn, dove rimarrà due anni (1889-1891), di fervida vita culturale. Nel marzo del 1891 si laurea in Filologia romanza con una tesi sul dialetto di Girgenti: Suoni e sviluppi di suono della parlata di Girgenti.
Nella primavera del 1891 torna in Italia e a Milano pubblica il poemetto Pasqua di Gea, dedicato a Jenny Schulz-Lander, una ragazza tedesca con la quale a Bonn ha intrecciato una relazione.
Dopo un breve soggiorno in Sicilia, durante il quale il matrimonio con la cugina già seriamente compromesso va a monte, ritorna a Roma, dove stringe amicizia con un folto gruppo di scrittori e giornalisti. Fondamentale l'incontro con Luigi Capuana, che lo spinge a dedicarsi alla narrativa. Scrive nel 1893 Marta Ajala, che pubblicherà nel 1901 con il titolo L'esclusa. Nello stesso anno detta all'amico Pio Spezi un Frammento d'autobiografia che sarà poi pubblicato nel 1933. Nel 1894 pubblica la prima raccolta di novelle, Amori senza amore. Il 1894 è anche l'anno del matrimonio: sposa una ragazza timida e chiusa, di buona famiglia girgentana, Maria Antonietta Portulano. Sin dall'inizio la donna mostra di non comprendere la vocazione artistica del marito, ma i primi anni di convivenza sono comunque abbastanza sereni: nel 1895 nasce Stefano, nel 1897 Lietta, nel 1899 Fausto.
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