E fin da ora

m’accingo a buttar giù le alternative

per rinsaldarmi nelle mie certezze

sul risultato e prepararmi l’anima

- non si sa mai - ad una buona morte.

Per mezzanotte avrete mie notizie.

 

BERTRAMO -

Posso arrischiarmi ad informar sua grazia

che ti stai accingendo a quest’impresa?

 

PAROLLES -

Non so qual esito avrà, monsignore,

ma giuro che mi ci cimenterò.

 

BERTRAMO -

So che sei valoroso,

e sulla tua perizia militare

posso ben garantire io stesso. Addio.

 

PAROLLES -

Non mi piacciono le parole inutili.

 

 

(Esce)

 

PRIMO NOBILE -

Ah, sì, come non piace l’acqua a un pesce!

(A Bertramo)

Monsignore, ma non vi sembra strano

un tipo che con tanta sicurezza

ha l’aria d’intraprendere un’azione

che sa che non può farsi,

e si danna giurando di intraprenderla,

e preferisce dannarsi che compierla?

 

SECONDO NOBILE -

Voi non lo conoscete, monsignore,

come lo conosciamo noi.

È certo che ha la grande abilità

d’insinuarsi nelle grazie altrui

riuscendo, per una settimana,

ad evitare d’essere scoperto,

ma una volta scoperto,

sarà per sempre, spero.

 

BERTRAMO -

Come, come?

credete dunque che non farà nulla

di tutto ciò che s’è impegnato a fare

con tanta serietà?

 

PRIMO NOBILE -

Nulla di nulla.

Si ripresenterà con qualche scusa

e vi rifilerà senza scomporsi

due, tre panzane più o meno attendibili.

Ma ormai lo abbiamo quasi nella rete.

Stanotte ne vedrete la caduta;

non è uomo costui da meritare

il rispetto di vostra signoria.

 

SECONDO NOBILE -

Ah, vi faremo divertire un po’,

prima di catturarla quella volpe!

Il primo a farlo uscire allo scoperto

è stato il vecchio buon monsieur Lafeu.

Quando lo avremo messo tutto a nudo

mi direte che fior di galantuomo

si cela sotto il suo travestimento;

e lo vedrete questa notte stessa.

 

PRIMO NOBILE -

Io vado a preparare le mie trappole.

Deve caderci dentro.

 

BERTRAMO -

Vostro fratello invece vien con me.

 

PRIMO NOBILE -

Come piace a vossignoria. Io vado.

 

 

(Esce)

 

BERTRAMO -

Vi condurrò alla casa che v’ho detto,

e vi farò vedere la ragazza.

 

PRIMO NOBILE -

Ma dite ch’ella è onesta.

 

BERTRAMO -

E questo è il guaio.

Ho parlato con lei solo una volta

e l’ho trovata fredda come ghiaccio;

le ho anche mandato, a più riprese,

per tramite di questo bellimbusto

che stiamo smascherando, doni e lettere,

ma me l’ha puntualmente rimandati.

Finora non ho combinato altro;

ma lei è una creatura deliziosa.

Non vorreste venir con me a vederla?

 

SECONDO NOBILE -

Con immenso piacere, mio signore.

 

 

(Escono)

 

 

 

SCENA VII - Firenze, in casa della vedova.

 

Entrano la VEDOVA ed ELENA

 

ELENA -

Se dubitate che sia proprio io

quella, non so come potrei convincervi

se non facendo crollare alla base

l’edificio che vado costruendo.([62])

 

VEDOVA -

Io, signora, se pure decaduta,

sono di buona ed onesta famiglia,

e mai mi son trovata a che fare

con simili faccende;

non vorrei perciò correre il pericolo

di macchiare la mia reputazione

ed il mio nome.

 

ELENA -

Né io voglio questo.

Per prima cosa dovete convincervi

che il conte è mio marito,

e che quanto vi ho detto su di lui,

con l’impegno del vostro giuramento

di tenerlo nel massimo segreto,

parola per parola è tutto vero.

Cosicché nel prestarmi quell’aiuto

che chiederò alla vostra cortesia

non dovete temere di far male.

 

VEDOVA -

In coscienza, dovrei prestarvi fede,

perché m’avete ben dato la prova

d’essere una signora d’alto grado.

 

ELENA -

Ecco, accettate questa borsa d’oro

per l’aiuto amichevole

che m’avete prestato fino ad ora

e come anticipata garanzia

di più preziosi riconoscimenti,

quando ne avrò riconosciuto il frutto.

Il conte, che vagheggia vostra figlia,

 

e stringe d’un assedio licenzioso

la sua bellezza, è deciso ad averla;

lasciate ch’ella alla fine acconsenta:

però seguendo le nostre istruzioni

sul modo come debba comportarsi.

Lui, nella foga del suo sangue caldo

non le rifiuterà, sono sicura,

qualunque cosa gli possa ella chiedere.

Il conte porta al suo dito un anello

che si trasmettono da padre in figlio

da quattro, cinque, sei generazioni

i vari membri della sua casata,

a partire dal loro capostipite.

Il conte custodisce quell’anello

con la più scrupolosa gelosia,

e tuttavia, nella sua pazza foja,

non gli sembrerà prezzo troppo caro

per acquistare ciò cui egli anela,

anche se dopo se ne pentirà.

 

VEDOVA -

Adesso vedo chiaro e fino in fondo

il vostro intento.

 

ELENA -

E vedrete anche allora

quanto legittima sia la sua causa.

Vostra figlia non dovrà fare altro,

con lui, prima di far finta di cedere,

che chiedergli di darle quell’anello.

Gli fissi quindi l’ora del convegno,

al quale sarà castamente assente,

e lasci a me d’andare al posto suo.

Dopo di che, aggiungerò al già dato,

per la sua dote tremila corone.

 

VEDOVA -

D’accordo, cara, m’avete convinta.

Date pure a mia figlia le istruzioni

su quel che deve fare: tempo e luogo,

così che questo legittimo inganno

riesca. Il conte viene qui ogni sera

con vari musici a far serenate

che si direbbero composte ad arte

per cantar meriti ch’ella non ha;

ed a nulla son valsi fino ad ora

i nostri sforzi per allontanarlo

dalle nostre finestre; egli persiste,

quasi fosse per lui question di vita.

 

ELENA -

Bene, stanotte metteremo in opera

il nostro piano; che, se avrà successo,

sarà servito a far d’un rio disegno

un atto di giustizia;

e, dando il giusto senso a quest’impresa,

a far di due peccati intenzionali

un’azione senz’ombra di peccato.

Ma mettiamoci all’opra.

 

 

(Escono)

 

ATTO QUARTO

 

SCENA I - Presso l’accampamento fiorentino.

 

Entra il PRIMO NOBILE francese con alcuni soldati

 

NOBILE -

L’unica strada da cui può venire

è qui, dall’angolo di questa siepe.

Quando gli salterete addosso, urlate,

terribilmente, quello che volete;

se non vi capirete tra di voi

non importa; essenziale è finger noi

di non capire quel che dice lui,

tranne quello di noi che incarichiamo

di far da interprete.

 

UN SOLDATO -

Lo faccio io, capitano, da interprete.

 

NOBILE -

Lo conosci? Conosce la tua voce?

 

SOLDATO -

No, signore, vi posso assicurare.

 

NOBILE -

E con che razza di strano linguaggio

pensi di corrispondere con lui?

 

SOLDATO -

Lo stesso che userete voi con me.

 

NOBILE -

Bisogna fargli credere

che siamo una masnada di stranieri

mercenari al servizio del nemico.

E, siccome ha una certa conoscenza

dei dialetti parlati di qui intorno,

dobbiam parlar ciascuno nella foggia

che ci viene alla mente in quel momento,

incomprensibili l’uno dell’altro,

purché facciamo finta di capirci;

sarà così raggiunto il nostro scopo:

un parlar da cornacchie, ben gracchiato,

e sufficientemente convincente.

In quanto a te, che ci farai da interprete,

devi apparire molto diplomatico…

Giù tutti! Eccolo che sta arrivando,

per farsi un pisolino di due ore

e poi tornare a gabellare il prossimo

e a giurare su tutte le sue frottole.

 

 

(Si nascondono)

 

 

Entra PAROLLES

 

PAROLLES -

Son le dieci. Tre ore basteranno

per tornare da loro e raccontare…

Che dirò d’aver fatto in questo tempo?

Dev’essere qualcosa di plausibile

per convincerli, pure se inventato.

Hanno già cominciato a sospettarmi,

e le disgrazie, da alcun tempo in qua,

bussano troppo spesso alla mia porta.

Ho una lingua che corre a briglia sciolta,

ma il cuore ha una paura maledetta

di Marte e sue creature, e non s’arrischia

a fare quel che promette la lingua.

 

NOBILE -

(A parte)

Questa è la prima vera verità

di cui si sia macchiata la sua lingua.

 

PAROLLES -

Qual diavolo m’ha indotto ad impegnarmi

d’andare a raccattare quel tamburo,

quando son certo che non è possibile,

e che non ne ho la minima intenzione?

Mi dovrò procurar qualche ferita

e dir che le ho toccate nell’azione.

Ma leggère non serviranno a niente:

“Con così poco te la sei cavata?”,

mi diranno; produrmene di grosse,

francamente, però, non me la sento.

Così, che prove mai potrò esibire?

Lingua mia, ti dovrò trovare alloggio

in bocca ad una donna burro e latte,

e comprarmene un’altra al posto tuo

dal muto del sultano Bajazet,([63])

se col tuo maledetto chiacchierare

non fai che mettermi in questi pasticci.

 

NOBILE -

(c.s.)

È mai possibile che questo tanghero

sia conscio d’essere quello che è,

e si ostini a continuare ad esserlo?

 

PAROLLES -

Forse mi basterebbe, alla bisogna,

produrmi qualche sgarro nel vestito

o spezzare la mia lama spagnola….

 

NOBILE -

(c.s.)

Non ti permetteremo di cavartela

così alla buona.

 

PAROLLES -

… o rasarmi la barba,

e dir ch’era con questo stratagemma…

 

NOBILE -

(c.s.)

Non ti funzionerebbe.

 

PAROLLES -

… o restar nudo,

e gettare i vestiti nel canale,

dicendo che così m’hanno spogliato…

 

NOBILE -

(c.s.)

Non ti servirà a niente.

 

PAROLLES -

… oppur giurare

d’esser saltato giù dalla finestra

della lor cittadella…

 

NOBILE -

(c.s.)

Quanto alta?

 

PAROLLES -

Trenta braccia.([64])

 

NOBILE -

(c.s.)

Tre grandi giuramenti

non ti varrebbero a darcela da bere.

 

PAROLLES -

Poter aver magari tra le mani

un qualsiasi tamburo del nemico…

 

NOBILE -

(c.s.)

Uno lo sentirai rullar tra poco.

 

 

(Tamburo fuori scena)([65])

 

PAROLLES -

Un tamburo nemico…

 

 

(A questo punto, escono i soldati, gli saltano addosso, lo legano, lo incappucciano, gridando):

 

NOBILE -

Throca, movusus, cargo, cargo, cargo!

 

TUTTI -

Cargo!

 

 

Cargo!

 

 

Villianda!

 

 

Corbo!

 

 

Cargo!

 

PAROLLES -

Oh, riscatto, riscatto! Non bendatemi!

 

SOLDATO INTERPRETE -

Boskos, thromuldo, boskos!

 

PAROLLES -

Ho capito,

siete del reggimento dei Muskòs,([66])

e io che non conosco quella lingua

dovrò perder la vita…

Se fra voi c’è un tedesco, un olandese,

un danese, un francese, un italiano,

che mi parli, gli svelerò segreti

da infligger la disfatta ai fiorentini.

 

SOLDATO INTERPRETE -

Boskos vauvados. Io so la tua lingua,

e ti capisco. Kerelybontò.

Raccomàndati l’anima, compare,

perché contro il tuo petto son puntati

diciassette pugnali.

 

PAROLLES -

Oh, mamma mia!

 

SOLDATO INTERPRETE -

Malka revania dulke. Prega, prega!

 

NOBILE -

Oscorbidulchos, voli-volivòrco.

 

SOLDATO INTERPRETE -

Il generale dice che è disposto

a risparmiarti, e bendato così,

ti vuole trasferire in altro luogo

per sottoporti ad interrogatorio.

Forse ci puoi fornire informazioni

ed avere così salva la vita.

 

PAROLLES -

Oh, lasciatemi vivere,

e vi rivelerò tutti i segreti

del nostro campo: la lor consistenza,

i loro piani; sì, vi dirò cose

da sbalordire.

 

SOLDATO INTERPRETE -

Ma sarai sincero?

 

PAROLLES -

Se no, ch’io sia dannato.

 

SOLDATO INTERPRETE -

Acordo linta.

Vieni, ti si concede dilazione.

 

 

(Esce Parolles scortato)

 

 

(Breve rullo di tamburo all’interno)

 

NOBILE -

Vada intanto qualcuno ad informare

il conte Rossiglione e mio fratello

che abbiamo catturato il beccaccione

e lo teniamo qui, incappucciato,

in attesa di udirli.

 

SECONDO SOLDATO -

Vado io, capitano.

 

NOBILE -

E digli pure

che questi è pronto a tradirci a noi stessi.

 

SECONDO SOLDATO -

Bene, signore.

 

NOBILE -

E che io nel frattempo

lo tengo qui bendato e sottochiave.

 

 

(Escono)

 

 

 

SCENA II - Firenze, in casa della vedova.

 

Entrano BERTRAMO e DIANA

 

BERTRAMO -

M’han detto che ti chiami Fontibella.

 

DIANA -

No, Diana, monsignore.

 

BERTRAMO -

Il nome d’una dea. E ne sei degna,

più che degna! Ma, anima squisita,

non ha nella tua vaga personcina

un posto amore? Se la viva fiamma

di giovinezza non t’accende l’animo,

tu non sei una vergine fanciulla,

ma una statua tombale.

Così rigida e fredda dovrai essere

da morta; ma alla tua età devi essere

quel che è stata tua madre

al tempo che dovette partorire

la soave creatura che tu sei.

 

DIANA -

Ella era onesta.

 

BERTRAMO -

Anche tu lo saresti.

 

DIANA -

No, mia madre compiva il suo dovere,

quel dovere, signore, che anche voi

dovreste compiere con vostra moglie.

 

BERTRAMO -

Non parliamo di questo, te ne prego.

Non contrastare i miei voti per te.

Lei, l’ho sposata contro il mio volere,

per costrizione, ma è te ch’io amo

per dolce costrizione dell’amore,

e rimarrò per sempre, totalmente,

tuo servitore.

 

DIANA -

Già, voi ci servite

fino a tanto che vi serviamo noi;

còlte che avete poi le nostre rose,

non ci lasciate che le nude spine

a far che ci pungiamo da noi stesse

e a rider della nostra nudità.

 

BERTRAMO -

Ma io ho giurato!

 

DIANA -

Mille giuramenti

non creano una fede; ma uno solo,

basta ch’esso sia semplice e sincero.

Noi giuriamo su ciò che non è sacro,

ed invochiamo a testimone Iddio.

Ditemi allora: s’io pur vi giurassi

che v’amo in nome dei grandi attributi

dell’amore,([67]) ci credereste voi,

se v’amassi in peccato? Non ha senso

giurare in chi si sostiene di amare

se si vuole il suo male.([68])

E dunque tutti i vostri giuramenti

sono parole e povere promesse

mai soddisfatte. Questo è il mio pensiero.

 

BERTRAMO -

Cambialo, cara, cambialo!

Non esser più tale santa-crudele!

Santo è amore, e la mia integrità

non ha mai conosciuto le male arti

di cui tu accusi gli uomini.

Non restartene più così sdegnosa,

ma abbandònati ai miei desideri

ammalàti di te, fammi guarire.

 

DIANA -

Vedo che gli uomini sanno sì bene

invilupparci nella loro rete,

che ci dimentichiamo di noi stesse….

Datemi quell’anello.

 

BERTRAMO -

Anima mia,

te lo posso prestare, se ti piace,

ma separarmene proprio non posso.

 

DIANA -

Me lo negate, dunque, mio signore?

 

BERTRAMO -

Quest’anello è un emblema dell’onore

della mia casa, trasmesso in retaggio

a me da lunga serie di antenati,

e sarebbe la più turpe vergogna

s’io lo perdessi.

 

DIANA -

E così è il mio onore;

anche la nostra casa ha il suo gioiello:

è la mia castità, retaggio anch’essa

di lungo ordine d’avi, e gran vergogna

sarebbe per me il perderla.

E le vostre parole di saggezza

portan dalla mia parte, a mio campione,

l’Onore contro i vostri vani assalti.

 

BERTRAMO -

E sia, ecco l’anello.

Tienilo, è tuo. E tuoi sian con esso

la mia casata, il mio nome, il mio onore,

la mia vita: io sono ai tuoi comandi.

 

 

(Si sfila l’anello e lo dà a Diana)

 

DIANA -

Allo scoccare della mezzanotte

date solo un colpetto alla finestra

della mia camera; farò in maniera

che mia madre non possa udire niente.

Pongo però una sola condizione

alla vostra lealtà di gentiluomo:

conquistato il mio letto virginale,

non dovete restarci più di un’ora,

e senza mai rivolgermi parola.

 

Ho per questo gravissimi motivi;

e li saprete quando quest’anello

vi sarà reso. Vi metterò al dito

nel buio della notte un altro anello

che, accada quel che accada nel futuro,

possa valere da testimonianza

di quel che avremo fatto questa notte.

Fino ad allora addio. Ma non mancate.

Avete conquistato in me una moglie,

pur se, proprio per questo,

più non potrò sperar d’esservi moglie.

 

BERTRAMO -

Ho conquistato, corteggiando te,

un paradiso in terra.

 

 

(Esce)

 

DIANA -

Per il quale

 

possa tu viver tanto, Rossiglione,

da ringraziare il paradiso e me!

Alla fine sarà forse così.

M’aveva ben prevenuta mia madre,

su come egli m’avrebbe corteggiata,

quasi che fosse stata nel suo cuore.

Ella dice che gli uomini

fanno tutti gli stessi giuramenti.

Costui a me ha giurato

di sposarmi alla morte di sua moglie;

e perciò io andrò con lui a letto

non prima d’essere morta.

Questi francesi son tutti fedifraghi;

se li sposi chi vuole. Quanto a me,

piuttosto vivere e morire vergine.

 

Solo che in questo gioco dell’inganno,

non mi sembra peccato

ingannar chi per vincere ha barato.

 

 

(Esce)

 

 

 

SCENA III - L’accampamento fiorentino.

 

Entrano i due fratelli NOBILI francesi con alcuni soldati

 

PRIMO NOBILE -

Hai consegnato al conte

la lettera che ci affidò sua madre?

 

SECONDO NOBILE -

Sì, circa un’ora fa.

Ci dev’essere scritto qualche cosa

che l’ha scombussolato,

perché nel leggerla s’è trasformato

da non parer più lui.

 

PRIMO NOBILE -

Lo credo bene;

s’è tirato sul capo, da sua madre,

molti rimproveri per quel che ha fatto,

e giustamente: ripudiar così

una sì degna moglie

ed una sì squisita gentildonna.

 

SECONDO NOBILE -

Soprattutto è maldestramente incorso

nel permanente sfavore del re,

che aveva già intonato il proprio cuore

a una tal liberale simpatia

verso di lui da fargli prospettare

tutto il bene possibile.

Voglio dirti una cosa sul suo conto,

ma che resti nel buio del tuo animo.

 

PRIMO NOBILE -

Come me l’avrai detta sarà morta

e chiusa in me come dentro una tomba.

 

SECONDO NOBILE -

È riuscito a sedurre, qui a Firenze,

una nobil fanciulla, reputata

di grande e costumata illibatezza,

e pascerà stanotte le sue voglie

con le residue spoglie dell’onore

di quella. Le ha donato, in contraccambio,

l’anello di famiglia,

e se ne va contento ed orgoglioso

dell’osceno baratto.

 

PRIMO NOBILE -

Ah, voglia Dio

mantenerci costantemente immuni

dalla rivolta della nostra carne!

Che cosa siamo noi,

quando ci abbandoniamo ai nostri istinti!

 

SECONDO NOBILE -

Ci facciam traditori di noi stessi;

e come accade in tutti i tradimenti,

che quando sono in atto,

finché non han raggiunto il loro fine

rivelan la natura degli autori,

così costui, con questa prava azione

tradisce la sua nobile natura

travolto dalla piena di se stesso.

 

PRIMO NOBILE -

E non è forse una nostra condanna

il farci noi gli stessi banditori

delle illecite nostre inclinazioni?

Sicché allora stanotte non godremo

del piacere della sua compagnia?

 

SECONDO NOBILE -

Non fino a un’ora dopo mezzanotte,

perché non può restarci più di un’ora.

 

PRIMO NOBILE -

Ci manca poco. Ma sarei contento

che presenziasse alla vivisezione

che noi faremo di quel suo compagno,

così ch’egli abbia modo di ricredersi

su quanto errato fosse il suo giudizio

che l’ha indotto a prestare tanto credito

a un personaggio di tanta doppiezza.

 

SECONDO NOBILE -

D’accordo, allora non faremo niente

dell’uno senza l’altro, aspetteremo;

perché la sua presenza

ha da servir da frusta per il primo.

 

PRIMO NOBILE -

Nel frattempo, che sai di questa guerra?

Che si dice?

 

SECONDO NOBILE -

Da quanto ho udito in giro,

ci sarebbero approcci per la pace.

 

PRIMO NOBILE -

Anzi, da quanto so, la pace è fatta.

 

SECONDO NOBILE -

Che farà ora il conte Rossiglione?

 

PRIMO NOBILE -

Vedo bene, da questa tua domanda,

che non sei della cerchia dei suoi intimi.

 

SECONDO NOBILE -

Dio non voglia; dovrei sentirmi complice,

del suo modo d’agire sconvenevole.

 

PRIMO NOBILE -

Sua moglie era fuggita di nascosto

circa due mesi fa dalla sua casa,

per ritirarsi, come pellegrina,

a San Giacomo Grande: un santo rito,

compiuto con austera devozione;

ma lì la sua natura delicata

è stata preda del suo crepacuore,

sì che infine ella ha reso in un lamento

l’ultimo suo respiro,

ed ora canta in cielo insieme agli angeli.

 

SECONDO NOBILE -

E tutto questo come si è saputo?

 

PRIMO NOBILE -

Gran parte dalle lettere di lei,

che documentano tutta la storia

fino al momento della sua scomparsa.

E la sua morte che, naturalmente,

non poteva annunciare ella per lettera,

è stata puntualmente confermata

dal superiore di quel sacro luogo.

 

SECONDO NOBILE -

Di tutto questo il conte è a conoscenza?

 

PRIMO NOBILE -

Punto per punto, e d’ogni altro dettaglio

che possa confermarlo.

 

SECONDO NOBILE -

Mi dispiace che possa esser contento

di tutto questo.

 

PRIMO NOBILE -

Troppe volte gli uomini

sono contenti delle loro perdite!

 

SECONDO NOBILE -

E quante volte invece ci succede

di dover piangere sui nostri acquisti!

La grande fama che gli ha procurato

la sua grande bravura di soldato

qui in Italia dovrà scontrarsi in patria,

con altrettanto grande disonore.

 

PRIMO NOBILE -

La ragnatela della nostra vita

è un intreccio di fili buoni e mali;

le nostre sole buone qualità

ci farebbero troppo presuntuosi

se non ci fossero i nostri difetti

a fustigarle; ed i nostri difetti

c’indurrebbero alla disperazione

se non trovassero alcun lenimento

nelle nostre migliori qualità.

 

 

Entra un SERVO di Bertramo

 

 

Beh, che ci dici? Che fa il tuo padrone?

 

SERVO -

S’è incontrato per strada con il Duca

e se n’è congedato ufficialmente.

Partirà domattina per la Francia.

Il Duca gli ha consegnato una lettera

di raccomandazione per il re.

 

SECONDO NOBILE -

Non credo che gli gioverà gran che,

lassù, fosse pur piena di più lodi

di quante egli ne possa meritare.

 

 

(Esce)

 

PRIMO NOBILE -

Dovranno esser davvero ultra-mielate

per addolcire l’amaro del re.

Ecco sua signoria.

 

 

Entra BERTRAMO

 

 

Dunque, signore?

Mezzanotte è passata da un bel pezzo.

 

BERTRAMO -

Oh, questa notte ho dovuto sbrigare

in poco tempo un monte di faccende,

che avrebbero richiesto, in altro tempo,

sicuramente non meno di un mese.

In breve: ho preso congedo dal Duca

e salutato quelli del suo seguito;

ho dato sepoltura ad una moglie,

e preso il lutto per lei;([69])

e ho scritto alla mia signora madre

per annunciarle il mio ritorno a casa;

nel tempo poi fra l’una e l’altra cosa

di queste ch’erano le più importanti,

ho sistemato varie altre bisogne,

l’ultima delle quali, la maggiore,

è rimasta tuttora non conclusa.

 

SECONDO NOBILE -

Se è cosa di difficile disbrigo

e dovete partire domattina,

bisognerà che la facciate in fretta.

 

BERTRAMO -

Ho detto “non conclusa”

perché ho paura che avrà qualche strascico

dopo la mia partenza da Firenze.

Ma non vogliamo goderci il dialogo

fra il Matto-finto-tonto([70]) ed il Soldato?

Suvvia, portatemelo qui davanti

questo modello di furfanteria

che m’ha ingannato da ambiguo profeta.

 

SECONDO NOBILE -

(Ai soldati)

Andate, voi, e menatelo qui.

 

 

(Escono due soldati)

 

 

Ha passato tutta la notte in ceppi

il nostro povero eroe manigoldo.

 

BERTRAMO -

Non è gran male. L’han bene meritato

i suoi calcagni che per tanto tempo

hanno portato a torto gli speroni.

E come s’è portato?

 

SECONDO NOBILE -

L’ho gia detto,

signore: sono i ceppi a portar lui.

Ma per rispondervi a miglior tono,

dirò che piange come una mocciosa

che ha versato il suo latte. Ha fatto a Morgan,

che crede un frate, la sua confessione,

raccontandogli tutta la sua vita,

dai primi albori della sua memoria

alla presente sua malaventura

del ritrovarsi relegato in ceppi.

E che credete ch’abbia confessato?

 

BERTRAMO -

Spero nulla su me.

 

SECONDO NOBILE -

La confessione

è stata tutta e messa per iscritto

ed ora verrà letta in sua presenza;

per sapere se vostra signoria

v’è menzionata, dovrete ascoltarla

pazientemente, stando qui con noi.

 

 

Rientrano i due soldati con PAROLLES incappucciato con il PRIMO SOLDATO come interprete

 

BERTRAMO -

Accidenti! Bendato e incappucciato!

Di me non può dir nulla.

 

PRIMO NOBILE -

Zitti, zitti!

Arriva il nostro uomo incappucciato.

Portò-tartà-rossà.

 

PRIMO SOLDATO -

(A Parolles)

Il nostro generale sta chiamando

quelli che devon farti la tortura;

che cosa sei disposto a confessare

senza il loro intervento?

 

PAROLLES -

Confesserò tutto quello che so,

senza coercizioni.

Se mi pestate come carne trita,

non potrò dirvi una parola in più.

 

PRIMO SOLDATO -

(Al primo nobile)

Bosko chimurco.

 

PRIMO NOBILE -

Boblindo chicùrmuco.

 

PRIMO SOLDATO -

Siete molto clemente, generale.

(A Parolles)

Il nostro generale ti comanda

di dare una risposta alle domande

che ti porrò leggendole da un foglio.

 

PAROLLES -

Ed io risponderò la verità,

per quanto so di scampare la pelle.

 

PRIMO SOLDATO -

(Legge)

“Primo, precisi di quanti cavalli

consiste la cavalleria del Duca”.

 

PAROLLES -

Cinque-seimila, ma son tutti brocchi

e inservibili e tutti sparpagliati,

e i loro rispettivi comandanti

sono tutti dei poveri straccioni.

Lo giuro sulla mia reputazione

e sul mio credito, per quanto è vero

che spero solo di scampar la pelle.

 

PRIMO SOLDATO -

Devo scriver così la tua risposta?

 

PAROLLES -

Esattamente. E vi ci giuro sopra,

nella forma e nel modo che volete.

 

BERTRAMO -

(A parte, al primo nobile)

Lui non fa differenza!

Razza d’incorreggibile furfante!

 

PRIMO NOBILE -

(A parte a Bertramo)

Oh, v’ingannate su di lui, signore!

Questi è monsieur Parolles, il valoroso

uomo d’arme - così si è definito -

che porta tutta la teoria di guerra

nel nodo della sciarpa, e la sua pratica

in punta al fodero della sua spada.

 

SECONDO NOBILE -

Non mi fiderò più d’ora in avanti

di chi tiene la spada sempre lucida,

né crederò un esempio di prodezza

chi porta una divisa così in ghingheri.

 

PRIMO SOLDATO -

Bene, ho verbalizzato.

 

PAROLLES -

Ho detto “cinque-seimila cavalli”…

scrivete “circa”, per la verità;

voglio esser preciso.

 

PRIMO NOBILE -

(c.s.)

Su questo punto è assai vicino al vero.

 

BERTRAMO -

(c.s.)

Non mi sento però di ringraziarlo

per il genere di verità che dice.

 

PAROLLES -

(Al soldato)

Ho detto pure “poveri straccioni”.

Questo scrivetelo, prego.

 

PRIMO SOLDATO -

Già scritto.

 

PAROLLES -

Umili grazie. Quel che è vero è vero.

Sono proprio dei poveri straccioni.

 

PRIMO SOLDATO -

(Leggendo ancora)

“Domandargli di dire a quanto ammontano

le truppe a piedi”. Che rispondi a questo?

 

PAROLLES -

In fede mia, dirò la verità,

avessi solo un’ora ancor da vivere.

Vediamo un po’: Spurio, centocinquanta;

Sebastiano, altrettanti;

altrettanti Corambo e pure Giacomo;

Guiltiano, Cosmo, Lodovico e i Grazii,

un duecentocinquanta per ciascuno;

e duecento cinquanta per ciascuno

il mio reparto, quello di Cristoforo,

quello dei Benzii e quello di Vaumont:

e dunque l’effettivo nel totale

non arriva, tra buoni e scalcagnati,

a sì e no quindicimila uomini;

metà dei quali nemmeno s’arrischiano

a scuotersi la neve dai cappotti

per la paura di cascare a pezzi.

 

BERTRAMO -

(c.s.)

Che far di lui adesso?

 

PRIMO NOBILE -

(c.s.)

Nulla, direi, se non che ringraziarlo.

(Al primo soldato)

Domandagli di me,

e di che stima godo presso il Duca.

 

PRIMO SOLDATO -

Bene, è scritto: “Chiedetegli se sa

che fra quelli del campo fiorentino

è un capitano Dumain, un francese;

di che stima egli gode presso il Duca,

e come è reputato il suo valore,

la sua integrità ed esperienza

nell’armi; e se lui stesso non ritiene

che sia possibile o no di corromperlo

con appropriate offerte di denaro,

e indurlo a disertare”. Che rispondi?

Che puoi dire riguardo a tutto questo?

 

PAROLLES -

Per carità, lasciatemi rispondere

punto per punto all’interrogatorio.

Una domanda alla volta, vi prego.

 

PRIMO SOLDATO -

Ma lo conosci questo capitano?

 

PAROLLES -

Lo conosco altroché. Era garzone

a Parigi da un certo ciabattino,

finché non l’hanno cacciato a pedate

per aver messo incinta una ragazza,

una povera idiota dell’ospizio

del comune,([71]) una povera innocente

muta, che fu impotente a dirgli “no”!

 

 

(Il primo nobile furibondo alza la mano per colpirlo,

ma Bertramo lo ferma)

 

BERTRAMO -

No, con licenza, fermo con le mani….

Tanto so già che non passerà molto

gli arriverà una tegola in testa.

 

PRIMO SOLDATO -

Allora dunque questo capitano

è in campo, o no, col Duca di Firenze?

 

PAROLLES -

Sì, c’è quel pidocchioso, ch’io ne sappia.

 

PRIMO NOBILE -

(A Bertramo che lo guarda sbalordito)

Beh, adesso non guardatemi così.

Fra poco sentiremo anche di voi.

 

PRIMO SOLDATO -

(A Parolles)

Di che credito gode presso il Duca?

 

PAROLLES -

Tutto quello che il Duca sa di lui

è ch’egli è solo un mediocre ufficiale

in forza al mio reparto; e l’altro giorno

m’ha scritto di buttarlo fuor dai ranghi.

Credo d’aver in tasca la sua lettera.

 

PRIMO SOLDATO -

Eh, perbacco, cerchiamola senz’altro.

 

 

(Il primo soldato comincia a frugare nelle tasche di Parolles, ma non trova niente)

 

PAROLLES -

Sono mortificato…

Non so com’è: se non l’ho qui con me,

sarà rimasta insieme all’altre lettere

del Duca che conservo alla mia tenda.

 

 

(Il primo soldato, continuando a frugare,

trova un foglio)

 

PRIMO SOLDATO -

Eccola; qui c’è un foglio. Devo leggerlo?

 

PAROLLES -

Ma non sono sicuro che sia quella.

 

BERTRAMO -

(A parte, al primo nobile)

Il nostro interprete è davvero in gamba.

 

PRIMO SOLDATO -

(Legge il foglio)

“Diana, il conte è uno sciocco, pieno d’oro…”

 

PAROLLES -

Oh, no, non è lettera del Duca,

quella, signore, è solo un mio consiglio

a una brava ragazza di Firenze,

certa Diana, perché si tenga in guardia

dalle lusinghe d’un certo Bertramo,

conte di Rossiglione, un ragazzotto

scioccherello e vanesio, sempre in fregola.

Vi prego, riponetemela in tasca.

 

PRIMO SOLDATO -

Prima, con tua licenza, voglio leggerla.

 

PAROLLES -

L’ho scritta, v’assicuro, quella lettera

intenzionato a rendere un servizio

più che onesto alla povera ragazza;

perché sapevo bene, conoscendolo,

quale pericoloso donnaiolo

fosse il giovane conte Rossiglione:

un lussurioso, una vera balena

per la verginità, divoratrice

di tutti i pesciolini in cui s’imbatte.

 

BERTRAMO -

Maledetta canaglia doppiafaccia!

 

PRIMO SOLDATO -

(Legge)

“Quando ti giura amore,

“fagli sborsare del denaro e prendilo,

“ché lui consuma, ma non paga il conto.

“Un gioco ben portato

“è a metà guadagnato. Farai bene,

“se avrai in precedenza contrattato.

“A cose fatte, non paga arretrato.

“Prendili prima, Diana, e sappi questo

“che ti consiglia un soldato modesto:

“ci s’infrasca con uomini maturi,

“non si baciano uomini futuri.

“E dammi retta: il conte è un bel gaglioffo,

“che paga avanti, ma non dov’è in debito.

“Sono, come all’orecchio t’ho giurato,

“il tuo PAROLLES, parola di soldato”.

 

BERTRAMO -

Costui, parola mia,

dovrà passare sotto le frustate

di tutti gli uomini del mio reparto

con questi versi appiccicati in fronte!

 

PRIMO NOBILE -

Ecco, questo è il devoto vostro amico,

il vostro poliglotta,

l’armipotente guerriero, signore!

 

BERTRAMO -

Se c’è cosa ch’io non sopporto al mondo,

è il gatto, e questi per me adesso è un gatto.([72])

 

PRIMO SOLDATO -

(A Parolles)

Dalla faccia che fa il mio generale

mi par d’intendere, caro messere,

che ci sarà procurato il piacere

di vederti impiccato.

 

PAROLLES -

Oh, non sia mai!

Non ch’io abbia paura di morire,

ma, dato che ho commesso assai peccati,

vorrei passare il resto dei miei giorni

solo a fare mea culpa.

Oh, lasciatemi vivere, signore,

in prigione, costretto in ceppi, ovunque,

purché vivo.

 

PRIMO SOLDATO -

Vedremo cosa fare,

se dirai tutto senza reticenze.

Torniamo a questo capitan Dumain:

tu hai risposto già circa la stima

che ha il Duca di lui e del suo valore;

ma che puoi dire sulla sua onestà?

 

PAROLLES -

Che ruberebbe un uovo in un convento.

Che in quanto a stupri e violenze carnali

non ha davvero da invidiare a Nesso.([73])

Capace di mentire, signor mio,

con tanta disinvolta facciatosta

da far passare per assurdo il vero.

Sua massima virtù l’ubriachezza,

per via che s’ubriaca come un porco,

e solo quando dorme non fa danno,

salvo che alle sue povere lenzuola;

ma, poiché tutti sanno del suo vizio,

lo mettono a dormire sulla paglia.

Sulla sua onestà,

ho ben poc’altro da dire, signore,

tranne ch’è un individuo

che ha tutto ciò che non dovrebbe avere

un uomo onesto, mentre non ha nulla

di tutto quello che fa onesto un uomo.

 

PRIMO NOBILE -

(Sempre sottovoce a parte a Bertramo)

Costui comincia ad essermi simpatico.

 

BERTRAMO -

Per che cosa: per questa descrizione

della sua onestà? Gli venga un cànchero!

Per me somiglia sempre più ad un gatto.

 

PRIMO SOLDATO -

(A Parolles)

E sulla sua perizia militare

che cosa mi puoi dire?

 

PAROLLES -

Eh, so solo che ha fatto il tamburino

per una compagnia di attori inglesi,([74])

ma della sua perizia militare

altro non so, se non che in quel paese

ebbe l’onore di far l’ufficiale

in un posto chiamato Mile-end,([75])

dove addestrava a mettersi per due

le guardie di città. Vorrei anch’io

rendergli tutto l’onore che posso,

ma neppure di questo son sicuro.

 

PRIMO NOBILE -

Più ribaldo della ribalderia!

A tal punto, che quasi si riscatta

per la sua straordinarietà!

 

BERTRAMO -

Peste lo colga! Sempre un gatto è!

 

PRIMO SOLDATO -

(A Parolles)

Se le sue qualità, come tu dici,

sono roba così a buon mercato,

è inutile allora domandarti

se si lasci corrompere dall’oro

fino alla diserzione e al tradimento.

 

PAROLLES -

Per un quarto di scudo, quello lì,

si venderebbe a titolo perpetuo

il sacro feudo della sua salvezza

con diritto di ereditarietà

a se stesso, escludendone gli eredi.

 

PRIMO SOLDATO -

E quanto all’altro capitan Dumain,

il fratello, che cosa ci puoi dire?

 

SECONDO NOBILE -

Che! Gli chiede di me?

 

PRIMO SOLDATO -

Che tipo è?

 

PAROLLES -

Un altro corvo della stessa cova.

Non di grande statura come il primo

in fatto di onestà, ma assai più grande

quanto a cialtroneria in generale.

Supera suo fratello per viltà,

ch’è tutto dire, perché suo fratello

in questo è ritenuto un gran campione.

Se c’è una ritirata, nella fuga

supera pure l’ultimo lacchè;

e se c’è un’avanzata,

si fa venire i crampi alle calcagna.

 

PRIMO SOLDATO -

Lo tradiresti il Duca di Firenze

se ti promettono salva la vita?

 

PAROLLES -

Càspita! E anche il comandante in capo

dei suoi squadroni di cavalleria,

conte di Rossiglione!

 

PRIMO SOLDATO -

Vado a dir due parole al generale

per conoscere quello che decide.

(Fa finta di allontanarsi.

Parolles è sempre incappucciato)

 

PAROLLES -

E così non dovrò più stamburare.([76])

Vadano al diavolo tutti i tamburi.

Solo per farmi bello col tamburo,

ed ingannare l’immaginazione

di quel viziato ragazzaccio, il conte,

mi son cacciato in questo ginepraio!

Ma chi poteva mai immaginare

un’imboscata di truppe nemiche

proprio là dove m’hanno catturato?

 

PRIMO SOLDATO -

Purtroppo, amico, non c’è alcun rimedio:

devi morire. Dice il generale

che uno che sì proditoriamente

ha rivelato, come hai fatto tu,

tanti segreti del suo proprio esercito,

e detto male, senza alcun ritegno,

di personaggi di sì alta stima,

non serve, vivo, a nessun fine onesto.

Perciò non c’è che fare: morirai.

A te, carnefice, mozzagli il capo.

 

PAROLLES -

Oh, Dio Signore, lasciatemi vivere!

O, s’io devo morire,

lasciate almeno ch’io possa vederla

la mia morte!

 

PRIMO SOLDATO -

Sì, questo t’è concesso.

 

 

(Gli tolgono il cappuccio con la benda)

 

 

Di’ pure addio a tutti i tuoi amici.

 

BERTRAMO -

Buongiorno a te, nobile capitano.

 

PRIMO NOBILE -

Dio vi dia bene, capitan Parolles.

 

SECONDO NOBILE -

Che Dio vi salvi, nobil capitano.

 

PRIMO NOBILE -

Capitano, io parto per la Francia;

non volete mandare per mio mezzo

un salutino al mio monsieur Lafeu?

 

SECONDO NOBILE -

Buon capitano, mi volete dare

una copia di quel bel poemetto([77])

che avete scritto a Diana

con gli elogi del conte Rossiglione?

S’io non fossi quel fiore di vigliacco

che dite, me lo prenderei di forza.

Comunque, state bene.

 

 

(Escono Bertramo e i due nobili francesi)

 

PRIMO SOLDATO -

Capitano, sei tutto una rovina…

tutto, tranne la sciarpa

che serba intatto il suo superbo nodo.

 

PAROLLES -

Chi non è rovinato da un complotto?

 

PRIMO SOLDATO -

Se tu potessi scoprire un paese

non d’altri popolato che di donne

coperte di vergogna come te,

ci potresti fondare egregiamente

la nazione della spudoratezza.

Statti bene. Anch’io parto per la Francia.

Si parlerà tanto di te, lassù.

 

 

(Esce con gli altri soldati)

 

PAROLLES -

In fondo, posso ringraziare il cielo.

È andata bene: avessi un cuore grande

mi scoppierebbe dalla contentezza.

Non sarò più, magari, un capitano;

ma potrò ben mangiar, bere e dormire

comodamente come un capitano.

È l’esser quel che sono a farmi vivere.

Chi sa di essere un millantatore,

stia bene un guardia, ché giunge il momento

che farà la figura del somaro.

Arrugginisci, spada;

spallidite, rossori; e tu, Parolles,

vivi sicuro nella tua vergogna.

Gli altri t’hanno beffato?

E tu vivi di beffe e fa’ fortuna!

Il mondo è largo, ci son mezzi e posto

per tutti. Io, Parolles, li troverò.

 

 

(Esce)

 

 

 

SCENA IV - Firenze, in casa della vedova.

 

Entrano ELENA, la VEDOVA e DIANA

 

ELENA -

Per convincervi che non v’ho fatto torto,

mi sarà ben garante un personaggio

tra i più grandi della cristianità;

perché avanti a lui io dovrò andare,

a inginocchiarmi ai piedi del suo trono,

per portare a buon esito il mio piano.

Gli ho reso, tempo fa, un gran servizio,

a lui più caro quasi della vita

e tale da destar la gratitudine

anche nel cuore di pietra d’un Tartaro.

So che Sua grazia si trova a Marsiglia,

dove mi sono procurata già

conveniente maniera di recarmi.

Voi dovete sapere

ch’io son creduta morta. Mio marito,

sciolto l’esercito, ritorna a casa,

dove, il cielo aiutando,

e il re mio buon signore permettendo,

noi giungeremo del tutto inattese.

 

VEDOVA -

Mia nobile signora,

mai servo accolse con maggior piacere

di noi due la fiducia in lui riposta.

 

ELENA -

Né voi, signora, aveste mai amica

più di me impegnata fedelmente

a compensar la vostra devozione.

Sicuramente il cielo m’ha creata

perché fossi datrice di una dote

a vostra figlia, e ha destinato lei

a strumento ed aiuto suo e mio

perché io ritrovassi mio marito.

Però, che strane creature gli uomini,

che riescono a fare un sì dolce uso

di ciò che aborrono, quando accecati

da sconci ed ingannevoli pensieri

insozzano la notte.

La lussuria riesce a vezzeggiare

una cosa aborrita,

scambiandola per quello che non è.

Ma di questo, più tardi.

Nel frattempo, voi, Diana,

seguendo bene le mie istruzioni,

dovrete ancor soffrire un po’ per me.

 

DIANA -

Se alle vostre istruzioni, mia signora,

non s’accompagnano morte o disdoro,

io son pronta a soffrir quel che volete.

 

ELENA -

Ancora, sì, vi prego;

ma per noi verrà con quell’“ancora”

l’estate, quando avran le rose petali

oltre alle spine, e saran profumate

quanto pungenti. Ma dobbiamo andare;

la carrozza ci aspetta e il tempo stringe.

Tutto è bene quel che finisce bene.([78])

Il tempo ha sempre coronato l’opera.

E qual che sia la via,

la fine premia sempre la virtù.

 

 

(Escono)

 

 

 

SCENA V - Rossiglione, il palazzo del conte.

 

Entrano la CONTESSA, LAFEU e IL LAVA

 

LAFEU -

No, no, a fuorviare vostro figlio

è stato quel messere in taffettà,

quella canaglia color zafferano

capace di ridurre alla sua tinta

tutta la gioventù d’una nazione

ancor malcotta e non lievitata.

Vostra nuora sarebbe ancora in vita

e vostro figlio sarebbe qui a casa,

sicuramente in grazia più del re

che di quel calabrone codarossa.

 

CONTESSA -

Ah, non l’avessi conosciuto mai!

È stato lui a causar la morte

della più illibata gentildonna

della cui creazione la natura

poté mai compiacersi con se stessa.

Foss’ella stata carne di mia carne,

e mi fosse costata a partorirla

il più grande travaglio di una madre

io non le avrei voluto

un più profondo e radicato affetto.

 

LAFEU -

Era proprio una degna gentildonna.

Un’erba come quella

non la si trova tra mille insalate.

 

LAVA -

Davvero, era la dolce maggiorana

nell’insalata, o piuttosto la ruta,

che è l’erba della grazia.

 

LAFEU -

Ma queste non son erbe da insalata,

manigoldo, son solo erbe aromatiche.

 

LAVA -

Io d’erbe non m’intendo, monsignore,

non sono il gran Nabuccodonosor.([79])

 

LAFEU -

Chi sei allora, o chi credi di essere:

un furfante o un buffone?

 

LAVA -

L’uno e l’altro, vossignoria: buffone

quando ho da fare il servizio a una donna;

e furfante per il di lei marito.

 

LAFEU -

Che significa questa distinzione?

 

LAVA -

Che froderei il marito della moglie,

e le farei il servizio al posto suo.

 

LAFEU -

Così quello si trova al suo servizio

un furfante.