Una corrente d’aria oceanica umida e nebbiosa filtra e mi circonda qui dove stavo così caldo. Quando ero al college, ad Ann Arbor, amavo il freddo. Oggi non più. “Abbassiamo i disastri al nostro livello, non è vero, Frank?” sta dicendo Arnie. “Ma quella povera gente proprio non poteva. Quaggiù, allora, siamo fortunati, in un certo senso. Sai?” Arnie si volta verso il cadavere naufragato della sua casa. “Te la ricordi? Accidenti, oh, accidenti.” Dal sibilo dell’oceano prorompe il gemito di una sirena da nebbia. Sorprende che funzioni quando nient’altro funziona più.

“La natura ha sempre un’altra cosa da fare, a te e a me, credo, Arnie.” È la mia migliore citazione di Roethke e si adatta alla maggior parte delle vicende umane. Arnie e io ci scambiavamo storie sul povero vecchio Ted, quando gli ho venduto la casa.

“Prendi una boccata d’aria, Frank,” dice Arnie, e comincia a camminare verso la casa sradicata, come se avesse smesso di pensare a me. “Scendi, maledizione, e dimmi cosa dovrei fare di questo relitto.” Sta parlando al vento. “Direi che ho un problema, tu no?”

Arnie Urquhart è cambiato, e cambiato drammaticamente dall’ultima volta che l’ho visto, quando concludemmo l’affare, un decennio fa. Ogni anno mi inviava un biglietto di auguri per Natale, tutti con una lucida foto a colori che mostrava vari esseri umani, sorridenti e sani come più non si potrebbe, raggruppati su un folto prato ombreggiato da querce, con un’erba verde come quella del National Golf Club di Augusta, e una casona bianca dalla pianta irregolare con le persiane rosse sullo sfondo; oppure la stessa comitiva in tenuta da spiaggia, tutti ammucchiati sulla sabbia, tutti sorridenti, con un oceano scintillante alle spalle e un golden retriever davanti, al centro dell’immagine. Credo che la foto sulla spiaggia sia stata scattata più o meno dove ci troviamo adesso, per rappresentare il giusto esito delle cose quando la vita va come deve andare. A un certo momento, della vetrina natalizia entrò a far parte una sorridente faccia bruna (femminile, carina, giovane, con una specie di costume etnico o tribale). Poi, due anni dopo quella faccia fu rimpiazzata dal sorriso ancora più largo di una ragazza bionda che (per qualche ragione) pensai che fosse russa. Avrei potuto notare il cambiamento nell’aspetto di Arnie già allora, se lo avessi osservato attentamente. Ma non ero mai così annoiato.

A un certo punto del decennio, però, Arnie si è sottoposto a un considerevole “lavoro”. L’Arnie Urquhart cui ho venduto la mia casa – a cinquantaquattro anni – era un ex portiere dei Wolverine, forte, con un principio di calvizie, la pancia tonda e le nocche grosse, figlio unico di un intrattabile pescatore di aragoste di Eastport. Arnie era riuscito a scendere dalla barca grazie alle sue doti di giocatore di hockey, poi aveva studiato storia ed era diventato una persona colta. Dopo la laurea, tornò coscienziosamente a Eastport a fare il poppiere per il padre malaticcio, ma fu “buttato fuori a calci dal vecchio per il mio bene”. Dopodiché, prese un Master in Business Administration alla Rutgers, lavorò per un decennio in institutional provisioning, poi tirò fuori le sue idee e fece soldi a palate occupandosi di una pescheria alla moda e del catering per i tipi ben forniti di denaro di Bernardsville e Basking Ridge. Con la sua solidità di ragazzo del Maine, con l’ostinazione dell’atleta e la gnosi ittica di una vita, Arnie (che era uno che imparava presto) capì che quella che vendeva era l’autenticità: la sua (come pure quella dell’arowana asiatica e dell’osetra dorato). Tutti i boss di Schlumberger e Cantor-Fitzgerald lo adoravano. Si presentava personalmente al volante del furgone con le maniche rimboccate, le carnose braccia nude, sorridente e pronto a rendere grandi servigi a caro prezzo. Portava vassoi, disponeva tartine, andava avanti e indietro dal negozio instancabilmente, faceva in modo che ogni singolo piatto di pesce fosse più che perfetto. Sporcandosi (e impuzzolendosi) le mani, ricordava ai suoi ricchi clienti l’etica del lavoro del New England, che ha reso e sempre renderà questa repubblica grande, potente e indomabile, nonché il fatto che erano andati a Harvard, Yale e Dartmouth per essere sicuri di non avvicinarsi ad Arnie più di quanto misurasse il suo braccio sudato.

“Io mi limito a scuotere la testa, Frank,” mi diceva lui quando stavamo vendendo la casa nel 2004. “Il mio vecchio affogherebbe questi figli di puttana come cuccioli paralitici, dal primo all’ultimo. Ma a me piacciono. Sono la mia pagnotta.